L’origine lavorativa delle infezioni virali può provarsi mediante presunzioni semplici

Nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’infezione da agenti microbici o virali in rapporto allo svolgimento dell’attività lavorativa a rischio può essere dimostrata in giudizio anche mediante presunzioni semplici, senza che venga richiesta l’individuazione di uno specifico episodio o contatto infettante.

In un recente caso, la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in merito all' assetto probatorio dell'origine lavorativa di una patologia avente origine virale . Il ricorrente, infermiere professionale in una RSA, agiva per veder riconosciuta la copertura INAIL e il relativo indennizzo in ragione della supposta contrazione, sul luogo di lavoro, dell'infezione da Epatite C . La domanda veniva rigettata in primo grado con conferma anche a seguito di proposizione del gravame. La ragione sottesa al respingimento dell'istanza consisteva nella mancata certa individuazione del fatto all'origine della malattia , non ricordando lo stesso ricorrente alcun evento specifico e accidentale che avrebbe potuto portare alla contrazione del virus, anche in ragione della possibile origine multifattoriale. La Suprema Corte richiama anzitutto l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo – fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione aggiungendo che la relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici Cass. civ. n. 7306/2000 . A detta della Corte, la prova eccessivamente rigorosa richiesta dai precedenti organi giudicanti contrasta col principio della sentenza pocanzi richiamata e, pertanto, annulla la sentenza oggetto di impugnazione da parte dell'infermiere e rinvia alla Corte d'Appello affinché ricostruisca in via probabilistica l'esistenza o meno del nesso causale tra l'evento morboso e l'attività professionale secondo la tipologia e le modalità di svolgimento concrete della stessa, ma senza che venga richiesta l'individuazione di uno specifico episodio o contatto infettante .

Presidente Esposito – Relatore Bellè Rilevato che 1. la Corte d'Appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento con la quale era stata rigettata la domanda di B.G. , infermiere professionale presso una RSA gestita da una Cooperativa privata, di riconoscimento della copertura INAIL e quindi dell'indennizzo in rendita o in capitale ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965 in ragione dell'asserita contrazione durante il servizio dal medesimo svolto dal 19.3.2007 al 30.4.2007 e dal 27.5.2007 al 25.9.2007, sul luogo di lavoro della infezione da virus HCV epatite C 2. la Corte territoriale, prendendo le mosse dalla possibile origine plurifattoriale della malattia, riteneva che la prova della causa di lavoro o della speciale nocività dell'ambiente di lavoro gravasse sul lavoratore, aggiungendo che la valutazione da compiere non riguardava il nesso causale dipendente dagli effetti patologici dell'infortunio professionale che si sia sicuramente verificato, vertendo la questione sulla certa individuazione del fatto all'origine della malattia 3. essa aggiungeva quindi come il ricorrente stesso non portasse memoria di eventi specifici, durante il lavoro, quali punture accidentali, non bastando il suo resoconto di avere ordinariamente medicato e trattato per via parenterale pazienti anziani, epatopatici, spesso con piaghe da decubito, in quanto la valenza dimostrativa di ciò, oltre a non poter ricorrere a favore della parte che aveva reso tali dichiarazioni, era in più neutralizzata dall'accertamento svolto in altra causa in ordine ad una pregressa infezione da virus epatite B, circostanza quest'ultima che avrebbe imposto la prova rigorosa dell'evento infettante in occasione di lavoro . 4. la Corte territoriale aggiungeva infine che utile alla prova richiesta il verbale di visita medica ospedaliera formato in sede di l'indennizzo ai sensi della L. 210 del 1992 che esprime un giudizio di derivazione professionale della malattia e di esposizione a rischio di cui non rende noti gli elementi fattuali su cui è basato 5. B.G. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso INAIL 6. la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata Considerato che 1. il primo motivo di ricorso adduce la violazione ed errata applicazione dell' art. 2700 c.c. , L. 210 del 1992 art. 4, D.P.R. n. 1124 del 1965 art. 3 Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali e tabelle allegate, e artt. 113, 115 e 116 c.p.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5 2. da un primo punto di vista, il motivo assume che l'origine lavorativa della malattia virale era stata acclarata dalla Commissione per l'indennizzo ai sensi della L. 210 del 1992 e che quindi, provenendo tale accertamento dall'organo riferibile al Ministero della Salute, l'INAIL non avrebbe potuto disconoscerne gli effetti 3. in una seconda parte il motivo assume invece che sia errato richiedere, in presenza di malattia tabellata, pur multifattoriale, la prova certa del fatto origine della malattia come avvenuto in occasione di lavoro 4. il secondo motivo è formulato come violazione ed errata applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5 e con esso si censura la sentenza impugnata per non avere valorizzato, al fine almeno di dare corso a c.t.u. sul nesso causale, quanto emergeva dalla perizia svolta in altra causa e dal verbale della Commissione, rimarcando l'errore commesso nell'avere ritenuto che la pregressa contrazione di epatite B potesse avere una qualche incidenza sul decidere, visto che essa derivava da un diverso virus 5. il terzo motivo è formulato come violazione ed errata applicazione del L. 210 del 1992 art. 4, e artt. 113, 115 e 116 CPC , in relazione all' art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, sostenendosi che, anche attraverso il richiamo alle tabelle di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965 , il giudizio di ragionevole probabilità può essere sviluppato anche in base alla compatibilità della malattia quale desunta dalla tipologia delle mansioni svolte, dalla durata e dal tempo della prestazione lavorativa e per l'assenza di altri fattori extra-professionali, potendo a tale scopo utilizzare congiuntamente anche dati epidemiologici 6. il ricorrente aggiunge altresì come egli effettivamente non avesse allegato uno specifico fatto verificatosi nello svolgimento della propria attività a cui imputare il contagio contratto, quale una puntura con un ago infetto o l'avere operato una data medicazione senza guanti, o altre microlesioni lavorative, avendo invece precisato di non avere contratto il contagio prima dell'assunzione presso la RSA, producendo esami ematochimici al riguardo ed avendo allegando il fatto che nello svolgimento delle sue mansioni di infermiere turnista avesse ordinariamente medicato e trattato per via parenterale pazienti anziani, epatopatici, spesso con piaghe da decubito 7. i motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei termini e per le ragioni che si vanno a dire 8. è intanto del tutto errato l'assunto secondo cui gli accertamenti della Commissione medica per la valutazione degli indennizzi ai sensi della L. 210 del 1992 potesse dispiegare un qualche effetto vincolante nel presente giudizio, visto che l'INAIL è soggetto autonomo rispetto al Ministero della Salute, cui non possono opporsi verifiche svolte da altri, da trattare come mezzi atipici di prova liberamente valutabili dal giudice 9. non è fondato altresì il richiamo del ricorrente, come ragione di presunzione legale di origine lavorativa, all'inserimento della epatite C nella tabella di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965 art. 139, nel gruppo delle malattie per le quali vi è elevata probabilità di origine professionale 10. questa S.C., dopo alcune oscillazioni, ha infatti chiarito, con orientamento ormai consolidato, che la predetta tabella non va confusa con quella di cui all'art. D.P.R. n. 1124 del 1965 11. mentre quest'ultima, formata indicando lavorazioni e malattie, ha l'effetto legale di invertire l'onere della prova del nesso causale, ponendolo, per i casi in essa indicati, a carico dell'ente previdenziale Euro 13024/2017 , la tabella di cui all'art. 139 ha valore epidemiologico e può valere soltanto, nella formazione del convincimento giudiziale, come elemento indiziario Euro 22837/2019 Euro 13868/2012 12. rispetto all'infezione virale, pur trattata dalla giurisprudenza di questa S.comma come infortunio, va invece ripreso, onde assicuravi continuità, l'indirizzo, risalente e mai contraddetto, secondo cui nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione con l'aggiunta che la relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici comma 7306/2000, poi anche comma 20941/2004 comma 6899/2004 13. nel caso di specie, la Corte d'Appello, con una motivazione non sempre coerente e lineare, in cui è menzione della necessità di una certa individuazione del fatto origine della malattia , colloca il punto di caduta ultimo del proprio ragionamento nella conclusione per cui si sarebbe infine dovuta dare, anche alla luce della pregressa Epatite B, la prova rigorosa dell'evento infettante in occasione di lavoro 14. al di là del rilievo del ricorrente in ordine alla totale estraneità, risalendo a fattori virali indipendenti, della epatite B rispetto alla epatite C, per cui unicamente è causa, la predetta regola di giudizio e di prova adottata contrasta diametralmente con quanto ritenuto dal citato orientamento giurisprudenziale e non vi è dubbio che, pur se attraverso argomenti non sempre fondati e pertinenti, i motivi di ricorso nel loro insieme affrontino il tema dell'assetto probatorio nella fattispecie oggetto di contenzioso 15. va quindi ribadito il principio di cui alla citata comma 7306/2000 e successive conformi e ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla medesima Corte d'Appello, affinché svolga l'accertamento che pertiene ai casi come quello di specie, da operare ricostruendo in via probabilistica l'esistenza o meno di nesso causale tra l'evento morboso denunciato e l'attività professionale, secondo la tipologia di essa e le modalità concrete del suo svolgimento, ma senza necessità di riscontrare l'esistenza di uno specifico episodio o contatto infettante in occasione di lavoro P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche spese del giudizio di legittimità.