Pesca professionale con un natante a remi: il falso contrassegno identificativo dell’imbarcazione vale una condanna

Respinte le obiezioni difensive mirate a ridimensionare l’episodio e a porre in evidenza le caratteristiche dell’imbarcazione usata dall’uomo finito sotto processo. Ciò che conta, precisano i giudici, è l’apposizione di un falso contrassegno all’imbarcazione utilizzata per la pesca professionale, a prescindere dalle dimensioni del natante.

Lecita la condanna per il soggetto che esercita la pesca professionale utilizzando un natante a remi privo del fondamentale numero di immatricolazione , essendo risultato falso quello apposto sull'imbarcazione. Ricostruita la vicenda, ambientata in Sicilia e risalente all'aprile del 2015, i giudici di merito condannano, sia in primo che in secondo grado, l'uomo sotto processo, ritenendolo colpevole di avere violato il Codice della navigazione , ossia di avere apposto sulla fiancata sinistra di un natante a remi un contrassegno avente un numero identificativo non associato a nessuna unità di pesca iscritta nei Registri navi minori e galleggianti tenuti dalla Capitaneria di Porto e ciò per procurarsi un vantaggio consistito nell'attività di pesca col natante da diporto a remi . Concordi i giudici di merito anche sulla pena, fissata in Tribunale e confermata in Appello due mesi di reclusione per il pescatore colto in fallo. Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta l'uomo sotto processo sostiene ci si trovi di fronte a una condotta lecita. In questa ottica l'avvocato osserva che la norma incriminatrice prevista nel ‘Codice della navigazione' non trova applicazione in questo caso, giacché non si è in presenza di una nave, bensì di un natante che, normativa alla mano, non richiede l'apposizione del numero di immatricolazione . Ciò perché l'imbarcazione utilizzata per la pesca non professionale rientra nella categoria dei natanti, e, non essendo nave, non è applicabile la fattispecie incriminatrice prevista dal Codice della navigazione poiché il natante non ha obbligo di segni identificativi . Prima di prendere posizione in merito alla ricostruzione proposta dalla difesa del pescatore, i giudici di terzo grado richiamano i dettagli della vicenda, annotando che è accertato che la mattina del 16 aprile 2015 l'uomo sotto processo venne fermato in mare mentre, a bordo dell'imbarcazione, recuperava delle reti da pesca. L'imbarcazione recava, sulla fiancata di sinistra, un contrassegno identificativo di un'unità da pesca che, tuttavia, era contraffatto in quanto non associato a nessuna unità da pesca . Messo alle strette, il pescatore aveva dichiarato di avere ricevuto in dono da un cugino il natante che utilizzava per la pesca professionale, non riuscendo a vivere del solo lavoro di imprenditore edile . Di conseguenza, l'uomo veniva sanzionato per esercizio della pesca professionale senza l'osservanza dei requisiti di legge . I giudici ricordano che il Codice della navigazione punisce – con la reclusione fino a 12 mesi – chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, appone sulla nave o sull'aeromobile un falso contrassegno . In questa vicenda è accertata l'apposizione di un contrassegno contraffatto ma il legale sostiene non vi sia stato alcun illecito poiché l'imbarcazione utilizzata dal suo cliente rientra nella categoria dei natanti per i quali il Codice della nautica del diporto non prevede che debbano avere il contrassegno di immatricolazione . Questa tesi viene però respinta dai giudici di Cassazione, i quali ribattono, innanzitutto, chiarendo che ai fini dell'applicazione delle norme del Codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l'imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro . Queste disposizioni, però, aggiungono i giudici, non si applicano all'uomo sotto processo che esercitava l'attività di pesca professionale per far fonte alle esigenze di vita, come da lui ammesso . Per fare chiarezza, comunque, i magistrati riconoscono che l'imbarcazione di 3,5 metri a remi rientra nella categoria dei natanti, come delineata dal Codice del diporto nautico , per la quale non è prevista l'apposizione del contrassegno di immatricolazione , ma aggiungono che non di meno, l'esclusione dell'apposizione del contrassegno non conduce ad escludere il reato previsto dal Codice della navigazione , ossia l'uso di un falso contrassegno di individuazione . Riflettori puntati, per forza di cose, sulla questione di diritto attinente all'applicazione della disposizione del Codice della navigazione che punisce l'apposizione del falso contrassegno alla nave . Proprio alla luce di quanto indicato dal Codice della navigazione, per nave si intende qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo. Le navi si distinguono in maggiori e minori. Sono maggiori le navi alturiere sono minori le navi costiere, quelle del servizio marittimo dei porti e le navi addette alla navigazione interna. Le disposizioni che riguardano le navi si applicano, in quanto non sia diversamente disposto, anche ai galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne . Di conseguenza, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del Codice della navigazione, l'imbarcazione a remi usata dall'uomo sotto processo è , chiariscono i giudici, nave , secondo quanto previsto dal Codice della navigazione, e, del resto, lo stesso Codice del diporto conferma tale interpretazione, là dove prevede che, ai fini dell'applicazione delle norme del Codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l'imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro . Per i giudici è acclarato, quindi, che il natante utilizzato dal pescatore rientra nelle navi . A questo punto è fondamentale tenere presente che, sempre alla luce del Codice della navigazione, le unità da pesca devono essere iscritte nei Registri navi minori e galleggianti tenuti presso le Capitaneria di Porto . Ciò comporta, spiegano i giudici, che l'apposizione di un falso contrassegno all'unità da pesca, a prescindere dalle dimensioni che riguardano unicamente il diverso registro di iscrizione, integra il reato contestato al pescatore, trattandosi di falso contrassegno apposto su una nave, come definita dal Codice della navigazione . In questo quadro la circostanza che l'imbarcazione, adibita alla pesca professionale, potesse, in altro contesto, ovvero al di fuori dell'utilizzo per cui era stata impiegata all'atto del controllo, essere considerata natante, non esclude la rilevanza penale del fatto , mentre, sotto altro profilo, la circostanza che l'uomo fosse consapevole di essere passibile di controlli durante lo svolgimento dell'attività di pesca professionale, e, per tale ragione, avesse dotato il natante di falso contrassegno, cosi da eludere le disposizioni sulla registrazione dei mezzi impiegati, costituisce il vantaggio richiesto dalla norma incriminatrice prevista dal Codice della navigazione.

Presidente Rosi – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Patti con la quale l'imputato era stato condannato, alla pena di mesi due di reclusione, in relazione al reato di cui all'art. 1131 comma 1, c.numero , perché al fine di procurarsi un vantaggio consistito nell'attività di pesca con natante da diporto a remi, apponeva sulla fiancata sinistra del predetto natante, un contrassegno avente numero omissis , numero identificativo non associato a nessuna unità di pesca iscritta nei registri Navi Minori e Galleggianti tenuti dalla Capitaneria di Porto. Accertato il omissis . 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall' art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. . 2.1. Con il primo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione alla mancata disamina dei motivi di appello con i quali si deduceva l'insussistenza del reato. Secondo il ricorrente la norma incriminatrice di cui all'art. 1131 c.numero non troverebbe applicazione nel caso in esame giacché non si sarebbe in presenza di una nave , bensì di un natante secondo la L. numero 498 del 1994 , per il quale non è prevista l'apposizione del numero di immatricolazione. L'imbarcazione utilizzata per la pesca non professionale rientra nella categoria dei natanti e non essendo nave non sarebbe applicabile la fattispecie incriminatrice. Il natante, infatti, non avrebbe obbligo di segni identificativi. Neppure sarebbe configurabile alcun vantaggio, neppure argomentato dal giudice del merito. 2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione alla carenza di motivazione sulla sussistenza del fatto di reato e del vantaggio perseguito dall'imputato, esprimendosi dubitativamente, la corte territoriale, su una questione non oggetto di contestazione ovvero se l'imputato esercitasse o meno la pesca professionale. Considerato in diritto 4. Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza e va, pertanto, rigettato. In relazione ai motivi di doglianza, che possono essere trattati congiuntamente, osserva, la Corte, che possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente. Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo Sez. 1, numero 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906 Sez. 5, numero 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303 , cui occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello Sez. 1, numero 1309 del 22/11/1993, Scardaccione, Rv. 197250 . 5. Tutto ciò premesso, risulta accertato in punto di fatto non qui rivisitabile, che la mattina del 16 aprile 2015, l'imputato venne fermato in mare mentre, a bordo dell'imbarcazione indicata in imputazione, recuperava delle reti da pesca. L'imbarcazione recava, sulla fiancata di sinistra, un contrassegno identificativo di un'unità da pesca che, tuttavia, era contraffatto in quanto non associato a nessuna unità da pesca in particolare il numero progressivo omissis non era stato ancora raggiunto ne l'iscrizione nei registri minori delle unità da pesca, la sigla omissis era appartenente ad altra unità da pesca di proprietà di altri dislocata in altro luogo, la sigla omissis non corrispondeva a nessuna unità da pesca . L'imputato, infine, aveva dichiarato di avere ricevuto in dono da un cugino il natante medesimo che utilizzava per la pesca professionale non riuscendo a vivere del solo lavoro di imprenditore edile. Infine, l'imputato veniva sanzionato ai sensi del D.P.R. numero 1639 del 1968 art. 138 stante l'esercizio della pesca professionale senza l'osservanza dei requisiti di legge. 6. L'art. 1131 c.numero punisce chiunque al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, appone sulla nave o sull'aeromobile un falso contrassegno d'individuazione è punito con la reclusione fino a un anno. La pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a lire un milione, se il colpevole adopera le carte di bordo della nave o dell'aeromobile di cui ha usurpato il contrassegno. Accertata l'apposizione di un contrassegno contraffatto, il ricorrente censura la decisione sostenendo che il fatto non sussiste poiché l'imbarcazione utilizzata dall'imputato rientrerebbe nella categoria dei natanti per i quali il Codice della nautica del diporto, D.Lgs. numero 171 del 18 luglio 2005 , e succ. mod., che ha sostituito la L. numero 498 del 1994 , non prevede che i natanti debbano avere il contrassegno di immatricolazione. Tale prospettazione non è fondata. Va, in primo luogo, evidenziato che, per espressa previsione legislativa D.Lgs. numero 171 del 18 luglio 2005, art. 1 , l'ambito di applicazione delle disposizioni di legge è circoscritta alla navigazione da diporto come delineato dall'art. 1 e segnatamente 1.Le disposizioni del presente codice si applicano alla navigazione da diporto esercitata, per fini esclusivamente lusori o anche commerciali, mediante le unità di cui all'art. 3 del presente codice, nonché alle navi di cui al L. numero 172 del 8 luglio 2003, art. 3 . 1-bis. Le disposizioni del presente codice si applicano alle unità di cui all'art. 3 che navigano in acque marittime e interne, fermo restando quanto previsto dall' art. 3 della L. numero 172 del 8 luglio 2003 , art. 3 e dal D.L. numero 457 del 30 dicembre 1997 , convertito, con modificazioni, dalla L. numero 30 del 27 febbraio 1998 . 2. Ai fini del presente codice si intende per navigazione da diporto quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro, nonché quella esercitata a scopi commerciali, anche mediante le navi di cui al L. numero 172 del 8 luglio 2003, art. 3, ferma restando la disciplina ivi prevista. 3. Per quanto non previsto dal presente codice, in materia di navigazione da diporto si applicano le leggi, i regolamenti e gli usi di riferimento ovvero, in mancanza, le disposizioni del codice della navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo 1942, numero 327 , e le relative norme attuative. Ai fini dell'applicazione delle norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l'imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro. Nei confronti dell'imputato, che esercitava l'attività di pesca professionale, come ammesso dal predetto per far fonte alle esigenze di vita, non si applicano le disposizioni sopra citate. È ben vero che l'imbarcazione di m. 3,5 a remi rientra nella categoria dei natanti, come delineata dal Codice del diporto nautico per la quale non è prevista l'apposizione del contrassegno di immatricolazione, non di meno l'esclusione dell'apposizione del contrassegno non conduce, come ritiene il difensore, a escludere il reato di cui all'art. 1131 c.numero La questione di diritto attiene all'applicazione della disposizione di cui all'art. 1131 c.numero che punisce l'apposizione del falso contrassegno alla nave . Ai sensi dell'art. 136 c.numero Per nave si intende qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo. Le navi si distinguono in maggiori e minori. Sono maggiori le navi alturiere sono minori le navi costiere, quelle del servizio marittimo dei porti e le navi addette alla navigazione interna. Le disposizioni che riguardano le navi si applicano, in quanto non sia diversamente disposto, anche ai galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne . Consegue che, ai fini di applicazione delle disposizioni del codice della navigazione, l'imbarcazione a remi usata dall'imputato è nave secondo la disposizione di cui all'art. 136 c.numero Del resto, lo stesso Codice del diporto conferma tale interpretazione là dove prevede che Ai fini dell'applicazione delle norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l'imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro . Stabilito che, per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 136 e 1131 c.numero , l'imbarcazione in questione rientra nelle navi , la questione interpretativa non è ancora risolta. L'art. 313 comma 2 del reg. di esecuzione del c.numero prevede che le unità da pesca devono essere iscritte nei registri della Navi Minori e Galleggianti tenuti presso le Capitaneria di Porto. Da cui la conclusione che l'apposizione di un falso contrassegno all'unità da pesca, a prescindere dalle dimensioni che riguardano unicamente il diverso registro di iscrizione, integra il reato contestato trattandosi di falso contrassegno apposto su una nave così definita dall'art. 136 c.numero Come osservato dai giudici del merito la circostanza che quell'imbarcazione, adibita alla pesca professionale l'imputato è stato sanzionato per la violazione della disposizione che stabilisce i requisiti per l'attività di pesca professionale potesse, in altro contesto, ovvero al di fuori dell'utilizzo per cui era stata impiegata all'atto del controllo, essere considerata natante, non esclude la rilevanza penale del fatto. Mentre, sotto altro profilo, la circostanza che l'imputato fosse consapevole di essere passibile di controlli durante lo svolgimento dell'attività di pesca professionale, e, per tale ragione, avesse dotato il mezzo impiegato di falso contrassegno, così da eludere le disposizioni sulla registrazione dei mezzi impiegati, costituisce il vantaggio richiesto dalla norma incriminatrice. Al rigetto del ricorso consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.