Il reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio è configurabile anche nel caso di violazione di norme che regolano il diritto di accesso

In tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio da parte degli impiegati dello Stato, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso perché effettuata senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto .

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 38062/2022, depositata il 7 ottobre u.s., si è pronunciata sul reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio , con particolare riguardo all'ipotesi di rivelazione di notizie suscettibili di essere diffuse a seguito di procedimento di accesso agli atti . Il fatto. La Corte d'Appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano confermava la sentenza di primo grado con cui due imputati dei reati di rivelazione di segreti d'ufficio e turbata libertà di scelta del contraente. Avverso la sentenza i due soggetti propongono ricorso per Cassazione sollevando una serie di motivi di doglianza, tra i quali violazione di legge e vizio di motivazione per il reato di cui all' articolo 326 c.p. più nel dettaglio, i ricorrenti lamentano l'erronea applicazione dell' articolo 326 c.p. da parte della Corte territoriale, secondo la quale la fattispecie in parola si configura non solo quando si diffondono notizie d'ufficio escluse dal diritto di accesso, ma anche quando non vengano rispettate le modalità procedimentali per la successiva diffusione ove consentita . I motivi di doglianza non sono fondati. La Sesta Sezione Penale, nella sentenza in commento, ribadisce che secondo un consolidato orientamento della Corte secondo cui in tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio da parte degli impiegati dello Stato, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso perché effettuata senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto. Nel caso di specie, secondo le ricostruzioni fattuali, la notizia incriminata fu messa a disposizione senza il rispetto dell'iter di accesso prima della pubblicazione del bando di gara e senza che vi fosse alcuna spiegazione lecita alla divulgazione. Pertanto, la Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali.

Presidente Mogini – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 7 febbraio 2022, il Tribunale di Milano, adito ai sensi dell' art. 310 c.p.p. , ha confermato l'ordinanza del G.i.p. di Milano del 14 dicembre 2021 che aveva respinto la richiesta di dichiarare l'inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere applicata a L.A., tra l'altro, per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art 74 . La richiesta muoveva dalle seguenti premesse - in data OMISSIS L. è stato tratto in arresto, insieme a N.A., N.A. e E.H.A., perché trovato in possesso di più di 19 kg di eroina e, con ordinanza del 3 maggio 2020, all'esito dell'udienza di convalida, è stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carere - la sua posizione è stata poi definita con sentenza ex art. 444 c.p.p. - con ordinanza del 15 ottobre 2021 eseguita il 26 novembre 2021 L. è stato sottoposto alla custodia in carcere per violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 tutte commesse in data antecedente al OMISSIS e per violazione dell'art. 74 del cit. D.P.R., commessa dal mese di OMISSIS - secondo la difesa, essendo tali ultimi reati connessi a quello per il quale era avvenuto l'arresto del OMISSIS , doveva essere applicato l' art. 297 c.p.p. , comma 3 e, conseguentemente, i termini massimi di applicazione della misura erano decorsi. 2. Col provvedimento del 14 dicembre 2021 il G.i.p. ha respinto la richiesta volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della misura osservando - che tra il reato oggetto della prima ordinanza 3 maggio 2020 e il reato associativo oggetto della seconda 15 ottobre 2021 non vi è connessione qualificata non essendovi prova che, all'atto della costituzione dell'associazione, gli indagati avessero già programmato l'acquisito della specifica sostanza trovata in loro possesso il OMISSIS ed essendo dato di comune esperienza che, al momento della costituzione della associazione, i reati fine sono previsti in termini del tutto generici - che, in forza della sentenza n. 408/2005 della Corte costituzionale , l' art. 297 c.p.p. , comma 3 può applicarsi anche a fatti non connessi tra loro, ma solo quando gli elementi per emettere la seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell'emissione della prima e, nel caso di specie, il quadro indiziante posto alla base della seconda ordinanza è emerso solo in epoca successiva all'esecuzione della prima. 2.1. Nel proporre appello contro l'ordinanza di rigetto del G.i.p. la difesa ha precisato - che il reato per il quale fu eseguito l'arresto del OMISSIS , è stato accertato nell'ambito dell'attività investigativa poi sfociata nell'applicazione della misura cautelare per il reato associativo e il procedimento relativo all'arresto è stato creato con uno stralcio da quello nel quale è stata emessa la seconda ordinanza - che tutti gli elementi su cui si fonda la contestazione associativa sono antecedenti al OMISSIS - che l'informativa sulla base della quale è stata emessa la seconda ordinanza era riepilogativa di indagini già in corso quando fu eseguita la prima e gli elementi in possesso della autorità giudiziaria a seguito dell'arresto dell'aprile 2020 fornivano un quadro indiziario grave anche in relazione al reato associativo - che, in ogni caso, tra il reato oggetto della prima ordinanza e il reato associativo è ravvisabile il vincolo della continuazione sicché la retrodatazione deve operare automaticamente. 2.2. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale per il riesame ha confermato la decisione del G.i.p. osservando - che i gravi indizi del reato associativo sono stati ritenuti sussistenti dal 2019 all'attualità e tale ultima indicazione, sia pure generica, fa necessariamente riferimento almeno alla data della richiesta della misura cautelare e dunque ad un momento successivo a quello in cui fu emessa la prima ordinanza - che, dopo l'arresto del ricorrente e delle tre persone che erano con lui, le indagini continuarono e si accertò che, non ostante l'arresto, l'attività di spaccio era proseguita - che i servizi di intercettazione telefonica dimostrarono la riorganizzazione del gruppo e l'acquisto di ulteriori quantità di sostanza consentirono l'individuazione degli utilizzatori di alcune utenze sottoposte a intercettazione solo dopo l'aprile 2020 documentarono, inoltre, un vincolo persistente tra gli arrestati e i sodali rimasti in libertà i quali si attivarono per assicurare assistenza legale agli arrestati e procurare loro una casa ove avrebbero potuto rimanere agli arresti domiciliari. Il Tribunale distrettuale sostiene, dunque che il reato associativo fu commesso anche dopo la prima ordinanza che non si tratta di fatti commessi anteriormente che, di conseguenza, l' art. 297 c.p.p. , comma 3 non può trovare applicazione. A completamento delle considerazioni svolte, il Tribunale osserva che, anche se si volesse ritenere il reato associativo anteriormente commesso, l'art. 297, comma 3 non troverebbe comunque applicazione. Rileva, infatti - che tra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e le attività di spaccio realizzate dai componenti dell'associazione non può ritenersi sussistente una connessione qualificata né dal vincolo teleologico né dal vincolo della continuazione, tanto più che, nel caso di specie, la compagine associativa si è modificata nel tempo - che, dopo lo stralcio del procedimento relativo all'arresto, nel procedimento nel quale è stata pronunciata la seconda ordinanza le indagini sono proseguite con l'esecuzione di intercettazioni su nuove utenze successivamente individuate grazie alle quali, nel mese di giugno del 2020, è stata sequestrata una notevole quantità di sostanza - che il materiale probatorio acquisito nel corso delle indagini è stato esaminato dalla polizia giudiziaria e l'informativa finale è stata completata il 13 luglio 2021 - che solo rielaborando gli elementi acquisiti prima dell'aprile 2020 alla luce dei numerosi altri elementi accertati in seguito è stato possibile ritenere esistente il quadro indiziario del reato associativo. 3. Contro l'ordinanza emessa dal Tribunale per il riesame il difensore dell'indagato ha proposto tempestivo ricorso col quale lamenta illogicità della motivazione, inosservanza ed erronea applicazione dell' art. 297 c.p.p. , comma 3, art. 303 c.p.p. , comma 1, lett. a , n. 3 e art. 306 c.p.p., comma 1. Osserva il ricorrente - che le condotte successive all'arresto furono realizzate da soggetti diversi, ma lo scopo associativo del traffico di sostanze stupefacenti rimase immutato, sicché il reato associativo deve considerarsi commesso già in epoca anteriore all'arresto - che, al momento dell'esecuzione della prima ordinanza, i fatti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 erano già ampiamente desumibili, quanto meno in termini di gravi indizi - che l'arresto del OMISSIS fu eseguito a seguito del rinvenimento di sostanza stupefacente in un appartamento specificamente destinato a deposito della sostanza e in aree boschive attrezzate a tal fine, quindi in luoghi facenti parte del sistema organizzato di gestione proprio dell'associazione - che le intercettazioni poste alla base della seconda ordinanza sono tutte antecedenti al OMISSIS - che gli elementi di indagine acquisiti in epoca successiva all'arresto riguardano la posizione di altri associati e non certo la posizione del ricorrente nei cui confronti potevano già ritenersi esistenti gravi indizi della partecipazione al reato associativo - che, infatti, già nell'ordinanza del 3 maggio 2020, il G.i.p. aveva parlato di un gruppo ben organizzato di persone di origine marocchina dedito allo spaccio di quantità significative di eroina e cocaina, aggiungendo che, da tempo, quel gruppo era monitorato dagli operanti - che, pertanto, la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 avrebbe potuto essere contestata ai ricorrenti quantomeno prima della richiesta di giudizio immediato per il reato del OMISSIS , che risale al 10 settembre 2020 - che, in ogni caso, può essere ritenuto sussistente il vincolo della continuazione tra il reato del OMISSIS , il reato associativo e le violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 oggetto della seconda ordinanza tutte anteriori al OMISSIS e il Tribunale distrettuale non ha fornito una esauriente spiegazione del perché tale connessione qualificata sia stata esclusa. 4. il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento. 2. Le questioni prospettate dal ricorrente richiedono che sia fatta applicazione dei principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato Rv. 235910 e 235911 che devono essere pertanto, pur brevemente, illustrati. Secondo la sentenza in esame, nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura cautelare per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell'emissione della prima ordinanza, l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure art. 297 c.p.p. , comma 3, prima parte . Non v'e' alcuna automaticità, invece, anche se si tratta di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento, per fatti non legati da connessione qualificata. In questi casi la retrodatazione opera solo se al momento dell'emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza così testualmente la sentenza Librato - pag. 11 della motivazione - che richiama quanto già precisato nella sentenza Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv. 231059 . La sentenza n. 14535 del 19/12/2006 prosegue esaminando il caso in cui più ordinanze cautelari per fatti diversi siano emesse in procedimenti diversi e chiarisce che, in questi casi, si deve distinguere tra due ipotesi - se tra i fatti diversi esiste una connessione qualificata dal nesso teleologico o dall'esistenza del vincolo della continuazione, la retrodatazione prevista dall' art. 297 c.p.p. , comma 3, opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza - se le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardano fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero. Nell'affermare tali principi - tenuto conto della sentenza n. 408 del 2005 della Corte costituzionale , dichiarativa della parziale illegittimità dell' art. 297 c.p.p. , comma 3, - le Sezioni unite hanno ritenuto che la retrodatazione sia riferita, di regola, a misure adottate nello stesso procedimento e possa applicarsi a misure disposte in un procedimento diverso solo nelle ipotesi sopra indicate. Hanno sottolineato, infatti, che la retrodatazione costituisce un rimedio rispetto a una scelta indebita dell'autorità giudiziaria, sia nel caso in cui la scelta sia avvenuta procrastinando, nell'ambito di uno stesso procedimento, l'adozione della misura, sia nel caso in cui questa sia avvenuta procrastinando l'inizio del secondo procedimento o tenendolo separato dal primo, come può avvenire per esempio non iscrivendo tempestivamente o separando alcune delle notizie di reato, ricevute o acquisite di propria iniziativa dal pubblico ministero . Ha sottolineato in proposito che non è di per sé indicativo di una scelta indebita e perciò non giustifica di per sé la retrodatazione il fatto che l'ordinanza emessa nel secondo procedimento si fondi su elementi già presenti nel primo, perché in molti casi gli elementi probatori non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato essi spesso devono essere interpretati, specie quando si tratta, come di frequente accade, di colloqui intercettati e avvenuti in modo criptico. Perciò il solo fatto che essi fossero già in possesso degli organi delle indagini non dimostra che questi ne avessero individuato tutta la portata probatoria e fossero venuti a conoscenza delle notizie di reato per le quali si è proceduto, in un secondo momento, separatamente. A volte, infatti, la presa di conoscenza e l'elaborazione degli elementi probatori da parte degli organi delle indagini richiede tempi non brevi, che danno ragione dell'intervallo di tempo trascorso tra l'acquisizione della fonte di prova e l'inizio del procedimento penale pag. 14 della motivazione . 3. Com'e' evidente, la retrodatazione prevista dall' art. 297 c.p.p. , comma 3 presuppone che i fatti oggetto dell'ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi in epoca anteriore all'emissione della prima ordinanza. Il Tribunale per il riesame di Milano sostiene che, nel caso di specie, questa norma non potrebbe essere applicata perché il reato associativo oggetto della seconda ordinanza cautelare non è anteriore alla violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 . Rileva, infatti, che l'associazione della quale il ricorrente faceva parte continuò ad esistere e ad operare anche dopo il suo arresto e, pur essendo detenuto, egli continuò a farne parte. La difesa contesta tale affermazione rilevando che il vincolo associativo fu rescisso dall'arresto e che come il Tribunale riconosce il gruppo dovette riorganizzarsi e riprendere la propria attività avvalendosi di nuovi associati. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato, con riferimento al reato di associazione mafiosa, che lo stato detentivo dell'associato non determina l'automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio e, ai fini della retrodatazione, occorre valutare in concreto se tale condotta si sia protratta anche dopo l'emissione della prima ordinanza Sez. U, Sentenza n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910 Sez. 6, n. 52015 del 17/10/2018, Bencivenga, Rv. 274511 Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, Genidoni, Rv. 279222 . Il provvedimento impugnato fa buon governo di questi principi. Osserva infatti che gli associati rimasti liberi si adoperarono per assistere gli associati tratti in arresto comunicando con loro, portando loro denaro, cercando un luogo dove potessero rimanere agli arresti domiciliari che gli associati rimasti in libertà cambiarono le utenze telefoniche e si riorganizzarono che M.P. detto G. , storico appartenente al sodalizio, si pose a capo dello stesso e ne riprese le attività anche con l'apporto di nuovi soggetti ovvero in attesa dell'evoluzione giudiziaria degli arrestati . La motivazione è congrua e non presenta profili di contraddittorietà o illogicità perché desume la persistenza del vincolo associativo dall'assistenza, anche economica, prestata ai sodali detenuti, che godevano così dei proventi della riorganizzata attività di spaccio. Si deve ricordare allora che la retrodatazione prevista dall' art. 297 c.p.p. , comma 3 può ragionevolmente operare solo rispetto a condotte illecite anteriori all'inizio della custodia cautelare, la cui esecuzione segna il momento entro il quale la condotta illecita deve essere cessata. Com'e' evidente, infatti, la retrodatazione non può giungere a far sì che un'ordinanza cautelare copra fatti o parti di fatti successivi alla sua emissione. 4. Le considerazioni svolte consentirebbero di ritenere assorbito ogni altro argomento. Non è inutile, tuttavia, esaminare le ulteriori argomentazioni contenute nell'ordinanza impugnata e le doglianze formulate dal ricorrente in relazione ad esse. A tal fine ci si deve chiedere, preliminarmente, se tra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 commesso il OMISSIS e oggetto dell'ordinanza cautelare del 5 maggio 2020 e quello di cui all' art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990 oggetto dell'ordinanza del 15 ottobre 2021 in ipotesi accusatoria commesso dall' OMISSIS , e ancora in atto quando fu chiesta l'applicazione della misura sussista connessione qualificata ai sensi dell' art. 12 c.p.p. , comma 1, lett. b e c , limitatamente ai casi commessi per eseguire gli altri come previsto dal citato art. 297, comma 3. Una tale connessione, infatti, se si tratta di ordinanze emesse nel medesimo procedimento, fa sì che la retrodatazione operi automaticamente se si tratta di ordinanze emesse in procedimenti diversi, fa sì che operi quando i fatti erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza nel caso di specie prima del decreto di giudizio immediato che reca la data del 10 settembre 2020 . I giudici di merito hanno escluso che tale connessione possa essere reputata sussistente richiamando copiosa giurisprudenza di legittimità secondo la quale non necessariamente i reati fine rientrano nel generico programma associativo e non sempre può ritenersi che siano consumati per eseguire il reato associativo. Secondo questi orientamenti giurisprudenziali, la continuazione tra reato associativo e reati-fine, potrebbe configurarsi solo se risultasse che i reati fine erano stati già programmati, quanto meno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso. Quanto al nesso teleologico, la giurisprudenza osserva che il reato associativo è perfetto nel momento dell'adesione al sodalizio criminoso, mentre i singoli delitti fine sono ideati e attuati successivamente, sicché non può dirsi che si tratti di reati commessi gli uni per eseguire od occultare gli altri come previsto dall' art. 12 c.p.p. , comma 1, lett. c in tal senso, Sez. 1, n. 18340 del 11/02/2011, Scarcia, Rv. 250305 Sez. 1, n. 8451 del 21/01/2009, Vitale, Rv. 243199 Sez. F, n. 34557 del 25/07/2003, Falsone, Rv. 228396 . L'ordinanza impugnata si richiama a questi principi e sottolinea che nel caso di specie l'associazione ha conosciuto fasi differenziate ed una progressiva espansione ha attuato diverse forme di gestione dello smercio dalla vendita a clienti stabili in varie parti di Italia, alla gestione di stabili piazze di smercio nell'hinterland milanese è mutata nel tempo anche per quanto riguarda il numero dei componenti, essendosene aggiunti di nuovi dopo l'arresto del OMISSIS . Alla luce di tali circostanze di fatto esclude che lo specifico reato di cui alla prima ordinanza potesse essere stato programmato con sufficiente precisione fin dalla costituzione del sodalizio. Una motivazione che - a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente - non si fonda su generiche massime di esperienza, ma su una valutazione delle emergenze investigative non illogica né incoerente e quindi non sindacabile in questa sede di legittimità. 5. Essendo stata esclusa la sussistenza della connessione qualificata, la retrodatazione non potrebbe operare automaticamente neppure se le due ordinanze cautelari dovessero considerarsi emesse - come la difesa sostiene nell'ambito del medesimo procedimento, dal quale quello relativo all'arresto OMISSIS fu stralciato. Invero se si trattasse di ordinanze emesse nell'ambito del medesimo procedimento in base ai principi contenuti nelle sentenze Rahutia e Librato , la retrodatazione dovrebbe operare al momento dell'emissione della prima ordinanza, ma soltanto se, in quel momento, esistevano elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda se si trattasse invece di ordinanze emesse nell'ambito di procedimenti diversi, la retrodatazione dovrebbe operare al rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza nel caso di specie al decreto di giudizio immediato del 10 settembre 2020 , ma soltanto se, in quel momento, il reato associativo era desumibile dagli atti. Il Tribunale del riesame di Milano sostiene che, a seguito dello stralcio, il procedimento relativo all'arresto del OMISSIS assunse una propria autonomia e il procedimento principale proseguì con lo svolgimento di ulteriori attività di indagine dalle quali emersero nuovi indizi a carico degli stessi e di nuovi indagati. Sostiene, quindi, che si tratta di due procedimenti diversi. Sottolinea però che, anche se si trattasse del medesimo procedimento, la retrodatazione non opererebbe. Osserva, infatti - che, quando fu eseguito l'arresto e chiesta per la prima volta l'applicazione della custodia in carcere, il quadro indiziario acquisito con riferimento al reato associativo non poteva ancora essere apprezzato nella sua effettiva gravità e pote' esserlo solo in seguito, grazie alle ulteriori indagini svolte - che le indagini proseguirono fino al giugno del 2020 e ad esse seguì una accurata e non semplice disamina del compendio probatorio - che questa attività condusse, attraverso l'esame di una gran mole di materiale, alla completa ricostruzione dell'attività del gruppo nella sua esatta articolazione come contestata nella seconda ordinanza - che, pertanto, il quadro indiziario relativo alla esistenza del reato associativo non presentava il necessario carattere di gravità neppure alla data del 10 settembre 2020 quando fu emesso il decreto di giudizio immediato nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza . Più in particolare, il Tribunale distrettuale sottolinea che, se è vero che molti degli elementi indiziari sui quali è stata fondata la contestazione del reato associativo erano già noti nell'aprile del 2020, è pur vero che altri elementi furono acquisiti successivamente fu individuata un'altra abitazione a disposizione del sodalizio diversa da quella nella quale era stato eseguito il sequestro di sostanza del OMISSIS furono sequestrati altri apparati cellulari e altra sostanza stupefacente furono identificati alcuni associati dei quali ancora non era nota l'identità ne furono individuati di nuovi. Il breve tempo trascorso tra la chiusura dele indagini giugno 2020 e il decreto di giudizio immediato del 10 settembre 2020 consente poi di escludere che la decisione di trattare separatamente i due fatti di reato sia stata frutto di artificiosi ritardi o colpevoli inerzie nell'applicazione della misura cautelare e la ratio sottesa alla regola della retrodatazione è proprio quella di evitare che simili situazioni possano essere fatte ricadere sul destinatario della misura restrittiva. Non rileva in contrario che nell'ordinanza del 3 maggio 2020 il G.i.p. abbia fatto riferimento a un gruppo bene organizzato di persone dedite allo spaccio atteso che da tale affermazione non si evince la sussistenza di un grave quadro indiziario del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 . 6 . Per quanto esposto, il ricorso non può trovare accoglimento e l'ordinanza impugnata merita conferma. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all 'art. 94 disp. att. c.p.p ., comma 1 ter.