Reddito di cittadinanza: denaro sequestrato se viene nascosta la presenza del coniuge

Irrilevante la separazione di fatto tra la moglie, che ha chiesto il beneficio, e il marito. A tradire la donna, poi, anche la mancata comunicazione del fatto che il figlio, componente anch’egli del nucleo familiare, è stato sottoposto a misura cautelare.

Reddito di cittadinanza a rischio e posto sotto sequestro se il beneficiario omette alcuni dettagli rilevanti, ossia non indica la presenza del coniuge – seppur separato di fatto – e non comunica che il figlio è stato sottoposto a misura cautelare. Riflettori puntati sul provvedimento giudiziario con cui è stato disposto il sequestro – finalizzato alla confisca diretta – di quasi 11mila euro a disposizione di una donna, ritrovatasi indagata «per avere, al fine di ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza, reso false dichiarazioni in merito alla situazione anagrafica del proprio nucleo familiare» e «per aver omesso di fornire informazioni dovute ai fini della revoca o della riduzione del beneficio». Nello specifico, la donna «non ha indicato nella domanda originaria che nel proprio nucleo familiare era compreso anche il marito e, a beneficio ottenuto, ha omesso di comunicare la presenza nel nucleo familiare di un componente, il figlio, sottoposto a misura cautelare». Per la precisione, il sequestro ha avuto ad oggetto «la somma indebitamente percepita dalla donna nel periodo compreso tra aprile e settembre 2020 e da novembre ad aprile 2021». Dall'esito degli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza è emerso, in modo chiaro, che «nell'istanza di ammissione al beneficio del reddito di cittadinanza la donna ha omesso di indicare che, nel suo nucleo familiare, vi era anche il marito». Secondo il legale della donna, però, non si può ignorare che, alla luce dei documenti prodotti, «la donna e il coniuge, come si evince dal ricorso per la separazione giudiziale, erano separati di fatto già dal 2017, avendo il marito, già da anni dimorante in altra abitazione, formalizzato il proprio cambio di residenza il 29 gennaio 2019, ovvero il giorno prima della data in cui è stata presentata la dichiarazione sostitutiva unica da cui è stato generato il relativo ISEE, mentre l'istanza per accedere al beneficio del reddito di cittadinanza è stata formulata ii 6 marzo 2019». Questi dettagli sono sufficienti, secondo il legale, ad escludere il dolo nella condotta tenuta dalla donna. I giudici di Cassazione sono di parere opposto e ribattono sottolineando «la circostanza che, al momento della presentazione della richiesta di accesso al beneficio, la donna era ancora sposata con il marito, essendo intervenuta l'omologa della separazione consensuale solo il 27 novembre 2019». Ciò rileva ai fini della definizione del nucleo familiare, posto che la normativa precisa che «i coniugi che hanno diversa residenza anagrafica costituiscono nuclei familiari distinti esclusivamente in casi limitati, uno dei quali si configura quando è stata pronunciata separazione giudiziale o è intervenuta l'omologazione della separazione consensuale, ovvero quando è stata ordinata la separazione, ipotesi, queste, pacificamente non ravvisabili nella vicenda in esame». Per i giudici, quindi, va respinta l'ipotesi di una «giustificabile inconsapevolezza» della donna. Per quanto concerne, poi, la mancata indicazione della presenza nel nucleo familiare di un componente sottoposto a misura cautelare dal 4 agosto 2020, il legale sottolinea si tratti di meri «arresti domiciliari» per resistenza a pubblico ufficiale, reato non menzionato nel testo normativo che ha introdotto il reddito di cittadinanza. I giudici di Cassazione ribattono che «poiché beneficiario ex lege del reddito di cittadinanza non è il richiedente, ma il nucleo familiare, ed il valore economico si calcola proprio in relazione alla sua composizione, lo stato di detenzione sopravvenuto del familiare determina la riduzione dell'importo del beneficio economico». E in questa ottica i giudici aggiungono che «ai fini dell'eventuale riduzione del beneficio rileva la sottoposizione del familiare a misura cautelare, a prescindere dal titolo di reato da cui dipende l'applicazione della misura, riferendosi il novero dei delitti indicati dalla norma non alla mera sottoposizione a misura cautelare , che dunque può essere ricollegabile a qualunque fattispecie rilevante a tal fine, ma ai solo casi di condanna che, ove non definitiva, comporta la riduzione del sussidio economico e, ove definitiva, determina la immediata revoca del beneficio, con efficacia retroattiva e restituzione di quanto percepito». Di conseguenza, poiché la norma prevede che «i requisiti per l'ottenimento del beneficio economico devono essere in possesso del nucleo familiare cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio», deve ritenersi che «il non informare l'ente erogatore del sopravvenuto status detentivo di un componente del nucleo familiare rientri tra le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione dei benefici, la cui omessa comunicazione è sanzionata». Ciò anche tenendo presente che «la previsione di tali oneri informativi si inserisce nel concetto di leale cooperazione tra cittadino e amministrazione che, proprio al fine di assicurare il corretto funzionamento di una misura di riequilibrio sociale quale si configura il reddito di cittadinanza, va improntato alla massima trasparenza».

Presidente Aceto – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21 ottobre 2021, il Tribunale del Riesame di Biella confermava il decreto emesso il 10 settembre 2021 dal G.I.P. del medesimo Tribunale, con cui era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca diretta della somma di 10.698,98 Euro nei confronti di B.A., indagata del reato di cui al D.L. numero 4 del 2019 articolo 7 commi 1 e 2, convertito dalla L. numero 26 del 2019 tale reato era stato a lei contestato per avere, al fine di ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza, reso false dichiarazioni in merito alla situazione anagrafica del proprio nucleo familiare e per aver omesso di fornire informazioni dovute ai fini della revoca o della riduzione del beneficio. In particolare, secondo l'imputazione provvisoria, la B. non indicava nella domanda originaria che nel suo nucleo familiare era compreso anche il coniuge C.V. e, a beneficio ottenuto, ometteva di comunicare nei termini di legge la presenza nel predetto nucleo di un componente, il figlio C.A., sottoposto a misura cautelare dal 4 agosto 2020. Il sequestro disposto dal G.I.P. aveva ad oggetto quindi la somma indebitamente percepita dall'indagata nel periodo compreso tra aprile e settembre 2020 e da novembre ad aprile 2021. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale piemontese, la B., tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo, la ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato accertamento da parte del Tribunale dell'elemento soggettivo del reato, con riferimento all'omessa indicazione del coniuge separato nella dichiarazione sostitutiva unica DSU , osservando che nell'ordinanza impugnata non è stato considerato, nonostante le allegazioni prodotte, che la B. e il coniuge C.V., come si evince dal ricorso per la separazione giudiziale, erano separati di fatto già dal 2017, avendo il marito, già da anni dimorante in altra abitazione, formalizzato il proprio cambio di residenza il 29 gennaio 2019, ovvero il giorno prima della data in cui è stata presentata la dichiarazione DSU da cui è stato generato il relativo Isee, mentre l'istanza per accedere al beneficio del reddito di cittadinanza, introdotto con il D.L. numero 75 del 29 gennaio 2019 , è stata formulata il 6 marzo 2019. Con tali risultanze documentali, idonee a escludere il dolo specifico della fattispecie contestata, il Tribunale avrebbe mancato di confrontarsi. Con il secondo motivo, la difesa censura l'erronea applicazione del D.L. numero 4 del 2019 articolo 7 comma 2, evidenziando che, rispetto all'ulteriore condotta omissiva ascritta all'indagata, ovvero la mancata indicazione della presenza nel proprio nucleo familiare di un componente, il figlio C.A., sottoposto a misura cautelare dal 4 agosto 2020, il G.I.P. prima e il Tribunale poi avrebbero dovuto indicare la fattispecie penale per la quale era stata applicata la misura cautelare nei confronti del figlio della B. questi, invero, era stato destinatario degli arresti domiciliari in ordine al reato di cui all' articolo 337 c.p. , reato non menzionato nel D.L. numero 4 del 2019 articolo 7 comma 3, per cui, rispetto a questo segmento della condotta, il fatto contestato alla ricorrente non risulterebbe previsto dalla legge come reato. Con il terzo motivo, è stata infine eccepita l'inosservanza degli articolo 321 comma 2 c.p.p. e 2641 c.c., per essere stata disposta la misura cautelare reale senza alcun accertamento della natura delle somme sequestrate, consistenti nella retribuzione lavorativa percepita dall'indagata, impiegata come addetta alle pulizie presso la Coop. omissis di omissis non sarebbe stato accertato, pertanto, se fosse garantito alla B.e alla sua famiglia il cd. minimo vitale , con violazione del principio di solidarietà sociale sancito dall' articolo 2 Cost. oltre che del limite di pignorabilità di un quinto dei trattamenti retributivi, pensionistici e assistenziali, sancito dall' articolo 545 c.p.c. 2.1. Con memoria trasmessa il 4 aprile 2022, il difensore della B., nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito nell'accoglimento del ricorso, sviluppandone le argomentazioni. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Iniziando dai primi due motivi, suscettibili di essere trattati in maniera unitaria, perché tra loro sovrapponibili, occorre richiamare in via preliminare la costante affermazione di questa Corte cfr. Sez. 2, numero 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 , secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell' articolo 325 c.p.p. , è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E dell' articolo 606 c.p.p. in tal senso cfr. Sez. Unumero , numero 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710 . Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non sia configurabile nè una violazione di legge, nè un'apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame illustrato adeguatamente le ragioni poste a fondamento della propria decisione, operando una valutazione critica delle risultanze investigative. Sono stati in tal senso richiamati gli esiti dell'attività compiuta da personale della Guardia di Finanza di omissis , da cui è emerso che, nell'istanza di ammissione al beneficio del reddito di cittadinanza presentata il 6 marzo 2019, B.A. ha omesso di indicare che, nel suo nucleo familiare, vi era anche il marito C.V., essendo altresì stato accertato che, successivamente alla presentazione della domanda e al suo accoglimento, il figlio della ricorrente, C.A., facente parte del nucleo familiare della richiedente, è stato sottoposto a misura cautelare a far data dal 4 agosto 2020, circostanza questa che avrebbe dovuto essere comunicata all'ente erogatore del beneficio de quo. Rispetto a tali circostanze, riguardanti sia il momento genetico dell'accesso al beneficio che la fase di erogazione del trattamento economico, è stato dunque ritenuto legittimamente configurabile a carico della B. la fattispecie ex D.L. numero 4 del 2019 articolo 7, convertito dalla L. numero 26 del 2019 . In particolare, il comma 1 sanziona penalmente la condotta di chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, mentre il comma 2 punisce l'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di legge ovvero 30 giorni . 1.1. Ora, rispetto alla prima fattispecie, alle deduzioni difensive circa la già avvenuta separazione di fatto dei coniugi, aventi residenze anagrafiche diverse, il Tribunale del Riesame ha correttamente replicato richiamando la circostanza che, al momento della presentazione della richiesta di accesso al beneficio, la C. era ancora sposata con il marito C.V., essendo intervenuta l'omologa della separazione consensuale solo in data 27 novembre 2019 ciò rileva ai fini della definizione del nucleo familiare, posto che D.L. numero 4 del 2019 articolo 2 comma 5 richiama il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri numero 159 del 2013 regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente, ISEE , il cui articolo 3 comma 3 precisa che i coniugi che hanno diversa residenza anagrafica costituiscono nuclei familiari distinti esclusivamente in casi limitati, uno dei quali si configura quando è stata pronunciata separazione giudiziale o è intervenuta l'omologazione della separazione consensuale ai sensi dell' articolo 711 del codice di procedura civile , ovvero quando è stata ordinata la separazione ai sensi dell' articolo 126 del codice civile , ipotesi queste pacificamente non ravvisabili nella vicenda in esame, per cui le circostanze di fatto indicate nel ricorso non appaiono di per sì decisive, a fronte del contesto normativo di riferimento, la cui univocità non lascia spazio a profili di giustificabile inconsapevolezza della condotta illecita. 1.2. Quanto alla seconda fattispecie, deve premettersi che l'articolo 3, comma 13, prevede che nel caso in cui il nucleo familiare beneficiario abbia tra i suoi componenti soggetti che si trovano in stato detentivo, ovvero sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica, il parametro della scala di equivalenza di cui al comma 1, lettera a , non tiene conto di tali soggetti. La medesima riduzione del parametro della scala di equivalenza si applica nei casi in cui faccia parte del nucleo familiare un componente sottoposto a misura cautelare o condannato per taluno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 3 . Dunque, poiché beneficiario ex lege del reddito di cittadinanza non è il richiedente, ma il nucleo familiare, ed il valore economico si calcola proprio in relazione alla sua composizione, lo stato di detenzione sopravvenuto del familiare determina la riduzione dell'importo del beneficio economico. Sul punto deve innanzitutto precisarsi che, ai fini dell'eventuale riduzione del beneficio, rileva la sottoposizione del familiare a misura cautelare, a prescindere dal titolo di reato da cui dipende l'applicazione della misura, riferendosi il novero dei delitti indicati all'articolo 7, comma 3 non alla mera sottoposizione a misura cautelare, che dunque può essere ricollegabile a qualunque fattispecie rilevante a tal fine, ma ai solo casi di condanna che, ove non definitiva, comporta la riduzione del sussidio economico e, ove definitiva, determina la immediata revoca del beneficio, con efficacia retroattiva e restituzione di quanto percepito. Ora, dal momento che D.L. numero 4 del 2019 articolo 2 prevede che i requisiti per l'ottenimento del beneficio economico devono essere in possesso del nucleo familiare cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio, deve ritenersi che il non informare l'ente erogatore del sopravvenuto status detentivo di un componente del nucleo familiare rientri tra le altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del benefici , la cui omessa comunicazione è sanzionata dal D.L. numero 4 del 2019 articolo 7 comma 2. Come già precisato da questa Corte Sez. 3, numero 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Rv. 278573 , la previsione di tali oneri informativi si inserisce nel concetto di leale cooperazione tra cittadino e amministrazione che, proprio al fine di assicurare il corretto funzionamento di una misura di riequilibrio sociale quale si configura il reddito di cittadinanza, va improntato alla massima trasparenza. 1.3. Deve pertanto concludersi che, pur nei limiti della valutazione indiziaria consentita in questa sede, il giudizio sulla configurabilità della fattispecie ascritta alla ricorrente, nelle due distinte ipotesi in cui è stata contestata, non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede, in quanto coerente sia con le risultanze investigative disponibili, sia con il contesto normativo di riferimento. Di qui l'infondatezza delle doglianze difensive sollevate sul punto. 2. Anche il terzo motivo di ricorso non è meritevole di accoglimento. Premesso che il sequestro, finalizzato alla confisca, ha avuto ad oggetto esattamente la somma Euro 10.698,98 corrispondente al profitto percepito dalla ricorrente per effetto della condotta oggetto della provvisoria imputazione, deve richiamarsi la recente affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte sentenza numero 42415 del 27/05/2021, Rv. 282037 , secondo cui la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione. A ciò deve solo aggiungersi che, in ogni caso, la doglianza circa la presenza sul conto postale sequestrato degli emolumenti retributivi, tanto in questa sede, quanto e soprattutto dinanzi al Tribunale del Riesame, è stata formulata in termini non specifici, non essendo stati cioè indicati sotto il profilo contenutistico prima ancora che temporale gli effettivi importi stipendiali percepiti, sia in sé, sia in rapporto all'intera provvista presente sul conto, il che, a prescindere dalle considerazioni in punto di diritto prima esposte, non consente di cogliere la reale pregnanza, anche in punto di fatto, della censura sollevata. 3. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse della B. deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ex articolo 616 c.p.p. , di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.