Si introduce nella veranda di una casa disabitata per organizzarvi un rave: legittima la condanna

Solida l’accusa mossa nei confronti di un uomo, ritenuto ora responsabile del reato di violazione di domicilio. Impossibile ridimensionare l’episodio richiamando l’accessibilità alla veranda dalla spiaggia e il fatto che all’epoca la casa fosse non abitata.

Legittimamente inflitta la condanna per violazione di domicilio per l'uomo che si è appropriato di una veranda privata sulla spiaggia per potervi realizzare un rave party. Irrilevante, chiariscono i giudici, il fatto che la casa di cui la veranda è una pertinenza fosse all'epoca disabitata. Cass. pen., sez. V, ud. 14 settembre 2022 dep. 6 ottobre 2022 , n. 37881 . Rave . Scenario della vicenda è la provincia siciliana. A finire sotto processo è un uomo, accusato di violazione di domicilio per avere organizzato un rave party introducendosi nella veranda privata di un'abitazione, in quel momento disabitata . Per i giudici di merito è inevitabile, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell'organizzatore della festa non autorizzata. Col ricorso in Cassazione, però, il legale dell'uomo prova a fornire una chiave di lettura diversa dell'intera vicenda, ponendo in evidenza le condizioni del luogo e mettendo in dubbio la percepibilità dell'altruità della veranda che era liberamente accessibile dalla spiaggia e sostanzialmente abbandonata . Luogo . Obiettivo della difesa è mettere in discussione la consapevolezza dell'uomo nel momento in cui aveva, in sostanza, preso possesso della veranda per organizzarvi il rave. Per i giudici di Cassazione, invece, sono evidenti la coscienza e la volontà dell'uomo di introdursi e di trattenersi nell'altrui immobile . A questo proposito, i magistrati sottolineano le particolari condizioni del luogo, ossia l'esistenza di un manufatto, rappresentato dalla struttura della veranda, e il rapporto di pertinenzialità con una casa e l'esistenza di cancelli , elementi, questi, che rendevano immediatamente percepibile l'altruità del luogo, nonostante la sua libera accessibilità dalla spiaggia . Impossibile, infine, ipotizzare la non punibilità dell'uomo. Ciò perché salta agli occhi è la gravità dei fatti, vista la sfrontata invasione di un luogo di privata dimora che è stato dall'uomo imbrattato, utilizzato per fini di profitto e destinato arbitrariamente all'afflusso di un gran numero di persone .

Presidente Sabeone – Relatore Cuoco Ritenuto in fatto 1. C.C. impugna la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Corte d'appello di Messina, confermando la decisione resa in primo grado, lo ha ritenuto responsabile del reato di violazione di domicilio, commesso per aver organizzato un Rave Party introducendosi nella veranda privata di un'abitazione, in quel momento disabitata. 2. Articola due motivi d'impugnazione. In particolare 2.1. Con il primo, si lamenta l'omessa assunzione di una prova decisiva, rappresentata, in ipotesi, dall'escussione del titolare della ditta presso la quale l'imputato aveva noleggiato il gruppo elettrogeno e che, essendosi recato sul posto, avrebbe potuto dare atto delle condizioni del luogo e della percepibilità dell'altruità della veranda, liberamente accessibile tanto che già in primo grado sarebbe stata esclusa l'aggravante della violenza sulle cose e sostanzialmente abbandonato. Circostanza, questa, che inciderebbe comunque sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. 2.2. Con il secondo, invece, si lamenta la violazione dell' art. 131-bis c.p. ed il connesso vizio di motivazione, non avendo la corte territoriale, pur a fronte di una specifica richiesta avanzata dall'appellante, espresso alcuna argomentazione in ordine al mancato riconoscimento della predetta causa di non punibilità. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La prova decisiva, la cui mancata assunzione può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell' art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. d , deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, Rv. 277035 . Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato consistente nella coscienza e volontà dell'agente di introdursi o di trattenersi nell'altrui abitazione contro la volontà di colui che è titolare del diritto di esclusione Sez. 5, n. 5736 del 23/03/1981, Rv. 149297 è sufficiente ribadire che l'errore scusabile ai fini dell'elemento intenzionale del reato, oltre che ad incidere sul fatto costituente reato, deve discendere dall'erronea interpretazione di una legge extrapenale e cioè deve cadere su una norma destinata esclusivamente a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, nè richiamati, esplicitamente o implicitamente, dalla norma penale, in quanto tale legge, inserendosi nel precetto ad integrazione della fattispecie criminosa, concorre a formare l'obiettività giuridica del reato, con la conseguenza che l'errore che ricade su di essa non può avere efficacia scusante al pari dell'errore sulla legge penale vera e propria Sez. 4, n. 14819 del 30/10/2003, Rv. 227875 Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015, Rv. 263808 . Comunque, in concreto, proprio le particolari condizioni del luogo e, quindi, l'esistenza di un manufatto, rappresentato dalla struttura della veranda, il rapporto di pertinenzialità con un'abitazione e l'esistenza di cancelli rendevano immediatamente percepibile l'altruità del luogo, nonostante la sua libera accessibilità dalla spiaggia. 2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha dato atto della gravità del fatto, indicandone le ragioni per la sfrontata invasione di un luogo di privata dimora utilizzato per fini di profitto, imbrattato e destinato arbitrariamente all'afflusso di un gran numero di persone e, quindi, delle ragioni ostative al riconoscimento dell'invocata causa di non punibilità. 3. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile e, pertanto, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.