Scappa dalla casa della sorella in cui era ai domiciliari: legittima la condanna per evasione

Respinte le obiezioni difensive, mirate a vedere riconosciuto il fatto che l’uomo abbia agito preda dell’ira frutto della provocazione subita ad opera della sorella. Impossibile anche catalogare l’episodio come non grave.

Nessuna giustificazione per l'uomo che litiga con la sorella e per questo esce dalla casa della donna, dove era obbligato a rimanere a causa dell'applicazione nei suoi confronti della misura degli arresti domiciliari. Impossibile, chiariscono i giudici, ipotizzare che l'uomo abbia agito a seguito di una provocazione, cioè il comportamento ostile della sorella, e in preda a uno stato d'ira, e che la condotta da lui tenuta sia catalogabile come non grave. Cass. pen., sez. VI, ud. 22 settembre 2022 dep. 5 ottobre 2022 , n. 37699 Fuga. Ricostruito l'episodio incriminato, i giudici di merito ritengono, sia in primo che in secondo grado, legittima la condanna dell'uomo sotto processo, ritenuto colpevole di evasione dalla casa della sorella, casa in cui era ristretto in applicazione della misura degli arresti domiciliari . Col ricorso in Cassazione, però, il legale che difende l'uomo prova a ridimensionare la condotta oggetto del processo, sostenendo che l'allontanamento del suo cliente è stato determinato da uno stato d'ira indotto dal fatto ingiusto di sentirsi lui trattato come se non fosse in casa propria e fosse invece un peso per la famiglia della sorella . Ragionando sempre in questa ottica, poi, il legale aggiunge che il disaccordo fra l'uomo e la sorella non può non avere avuto un grosso peso specifico nella fuga dell'uomo dalla casa in cui era costretto ai domiciliari. Più precisamente, il legale ipotizza una situazione psicologica innescata da un impulso emotivo irrefrenabile con conseguenti perdita di autocontrollo e forte turbamento caratterizzato da aggressività . Anche per questo, a fronte della situazione di disagio che, dovuta ai motivi di conflittualità con la sorella, ha indotto l'uomo alla fuga , è ipotizzabile, secondo il legale, considerare non punibile la condotta tenuta dal suo cliente. E a questo proposito egli riconosce che sì l'uomo non si è più reso reperibile né ha contattato le forze dell'ordine dopo avere lasciato la casa della sorella, ma aggiunge che quella è stata la prima ed unica evasione dell'uomo, il quale è stato arrestato nell'immediatezza dell'evasione , peraltro, senza, dunque, aver avuto il tempo di costituirsi né di fornire una motivazione alla propria condotta . Impulso. Per i giudici di Cassazione, invece, checché ne dica il legale, va esclusa l'ipotesi che l'uomo sia evaso dai domiciliari a seguito di una provocazione. In premessa, i magistrati ricordano che per ipotizzare che un'azione illecita sia stata frutto di una provocazione sono necessarie alcune precise condizioni. In particolare, lo stato d'ira, costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il fatto ingiusto altrui il fatto ingiusto altrui, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni della persona sotto processo e alla sua sensibilità personale un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta . Proprio applicando questa prospettiva, non è configurabile, in questa vicenda, il requisito dell'impulso emotivo irrefrenabile, essendo la condizione psicologica dell'uomo riconducibile ad un mero stato di agitazione e, al più, di risentimento , così come non è sostenibile l'esistenza di un nesso causale tra l'offesa , cioè l'atteggiamento della sorella verso l'uomo, e la reazione , cioè la decisione dell'uomo di uscire dalla casa in cui era costretto agli arresti domiciliari. Infine, i giudici sottolineano che dopo l'evasione, l'uomo non ha contattato le forze dell'ordine, come, invece, avrebbe potuto fare . E il dato della irreperibilità dopo l'uscita dalla casa della sorella rende impossibile catalogare come non grave la fuga messa in atto dall'uomo.

Presidente Di Stefano – Relatore Di Giovine Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Bologna confermava la condanna di D.F. per evasione art. 386 c.p. dal domicilio della sorella presso il quale era ristretto in applicazione della misura degli arresti domiciliari. 2. Avverso tale sentenza presenta ricorso l'imputato che, per il tramite del suo difensore, articola un unico motivo di ricorso, in cui lamenta la mancata applicazione della circostanza attenuante dell' art. 62 c.p. , n. 2. In particolare, l'allontanamento sarebbe stato determinato da uno stato d'ira indotto dal fatto ingiusto di essere trattato come se non fosse in casa propria e fosse invece un peso per la famiglia della sorella. Con il medesimo motivo deduce altresì vizio della motivazione sotto il profilo del travisamento della prova, avendo il giudice fondato la sua decisione sul dato meramente congetturale - che l'attualità e il disaccordo fra l'imputato e la sorella non ha affatto assunto la connotazione di una situazione psicologica innescata da un impulso emotivo irrefrenabile da cui sia derivata la perdita di autocontrollo e un forte turbamento caratterizzato da aggressività , dato ritenuto in contrasto con il contenuto degli atti processuali. La Corte si sarebbe inoltre astenuta dal considerare ogni elemento di riscontro alla configurabilità della circostanza. Ha infatti argomentato che l'imputato non si è più reso reperibile nè ha contattato le forze dell'ordine, omettendo di considerare che quella era la prima ed unica evasione di D. , il quale è stato arrestato nell'immediatezza dell'evasione, senza, dunque, aver avuto il tempo di costituirsi e/o di fornire una motivazione alla propria condotta. 3. L'imputato presenta altresì motivi nuovi di ricorso in Cassazione nei quali invoca l'applicazione dell' art. 131-bis c.p. , alla luce della situazione di disagio, dovuta ai motivi di conflittualità, che avrebbe indotto l'imputato alla fuga, precisando come la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia rilevabile d'ufficio anche in Cassazione Sez. U,, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj Rv. 266589 Sez. 2, n. 49446 del 03/10/2018, Zingari, Rv. 274476 Sez.1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271 . Nelle conclusioni, insiste per l'accoglimento dei motivi principali e di quelli aggiunti. 4. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del D.L. n. 228 del 30 dicembre 2021, art. 16, comma 1, convertito dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022 . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile e va dunque respinto. 2. La sentenza impugnata ha escluso la configurabilità dell'attenuante della provocazione art. 62, n. 2, c.p. sulla base della giurisprudenza di legittimità che, nello specificare i requisiti della suddetta circostanza, richiede il verificarsi delle seguenti condizioni a lo stato d'ira , costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il fatto ingiusto altrui b il fatto ingiusto altrui , che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale c un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454, cui è possibile aggiungere quantomeno Sez. 5, n. 12558 del 13/02/2004, Fazio, Rv. 228020 Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894 . Nella specie, ha quindi negato fosse configurabile sia il requisito dell'impulso emotivo irrefrenabile, ritenendo la condizione psicologica di D. riconducibile ad uno stato di agitazione e, al più, di risentimento, sia la sussistenza di un nesso causale tra l'offesa e la reazione. A fronte di tale valutazione di merito, non manifestamente illogica e nemmeno incompleta, il ricorrente non allega elementi suscettibili di decostruire il percorso argomentativo del giudice di secondo grado, limitandosi a prospettare, in modo generico, una lettura alternativa della vicenda fattuale che, come tale, non può essere vagliata e/o recepita in sede di legittimità. Nemmeno rileva la considerazione che il D. non avrebbe avuto il tempo di presentarsi presso gli uffici della Questura, una volta elaborata la reazione di ira. Anche in questo caso, infatti, l'imputato non adduce elementi a sostegno di tale versione, che contrasta con quanto affermato nella sentenza di secondo grado nonché in quella primo grado che, trattandosi di c.d. doppia conforme , si salda con la prima a formare un corpo unico tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 secondo cui, dopo l'evasione, l'imputato non ha contattato le forze dell'ordine, come, invece, avrebbe potuto fare. Il motivo è dunque generico. 3. Il dato della irreperibilità di D. dopo l'evasione impedisce inoltre di accogliere il motivo aggiunto di ricorso e di ritenere applicabile l' art. 131-bis, c.p. , sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto, non potendo il danno cagionato essere ritenuto esiguo vd., a contrario, Sez. 6, n. 21514 del 02/07/2020, Molino, Rv. 279311, relativa ad un'episodica violazione del permesso di uscita per lo svolgimento di attività lavorativa, in un caso in cui l'imputato si era recato in una sede operativa diversa da quella presso la quale era stato autorizzato a lavorare ed era rientrato a casa con due ore di ritardo . Il motivo è dunque manifestamente infondato. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell' art. 616 c.p.p. . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.