Il patto di quota lite è valido se la stima tra compenso e risultato è equa

Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223/2006 e succ. conv. e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, l. n. 247/2012 che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1262 c.c. è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 codice deontologico forense, nel testo deliberato il 16 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo allo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali .

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 28914 depositata il 05 ottobre 2022. Tre clienti proponevano ricorso per Cassazione articolato in sei motivi avverso l'ordinanza del Tribunale territorialmente competente il quale aveva rigettato le opposizioni da questi ultimi formulate avverso due decreti ingiuntivi emessi su domanda dei loro due codifensori. In particolare, le pretese dei due avvocati trovavano fondamento in un patto di quota lite ” contenuto in una scrittura privata e correlata all' attività professionale svolta da costoro nell'ambito di un giudizio civile per il risarcimento dei danni da morte di un congiunto degli assisti. I due codifensori resistevano con controricorso proponendo, altresì, ricorso incidentale condizionato in un unico motivo. Il Collegio ha ritenuto fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso proposti dai ricorrenti e con i quali, questi ultimi, denunciavano la falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., l'erronea interpretazione della domanda proposta, nonché la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 2233, comma 2, c.c. e/o degli artt. 43 e 45 codice deontologico forense dovendosi intendere integrata la domanda di riduzione ad equità dalla pretesa articolata in via subordinata dalle opponenti di limitare i compensi professionali all'attività effettivamente prestata dai due codifensori nei limiti dei parametri tariffari vigenti. Nella specie, i giudici di legittimità, hanno evidenziato che ratione temporis , la vicenda oggetto di causa e che riguardava un patto di quota lite stipulato nel 2009 andasse collocata dopo l'entrata in vigore dell' art. 2, comma 1 , lettera a del d. l. n. 223/2006 il quale aveva disposto l'abrogazione delle disposizioni normative che, con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali, prevedessero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti , e prima dell'entrata in vigore dell' art. 13 l. n. 247/2012 . Il Collegio di legittimità, aggiunge, inoltre che nel medesimo intervallo temporale assunse rilievo, altresì, l'art. 45 del codice deontologico forense nel testo modificato con delibera CNF del 18 gennaio 2007 tramutatosi poi nel novellato art. 29, comma 4 , il quale consentiva all'avvocato di pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell' art. 1261 c.c. , ma sempre che gli stessi compensi fossero proporzionati all'attività svolta”. La ragionevolezza di tale limite deontologico di proporzionalità all'attività svolta della misura del compenso parametrato agli esiti del processo – prosegue il Collegio - fu dubitata da alcuni commentatori sulla base dell'aleatorietà del patto di quota lite, il cui sinallagma non consente di preservare una corrispettività economica commutativa tra carico professionale e sua retribuzione da valutare al momento della stipula dell'accordo e, quindi, semmai anche prima dell'inizio della causa. Inoltre, il Collegio rifacendosi alle Sezioni Unite, ritiene che in tema di impugnazioni delle decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, si ritiene che la prescrizione dell'art. 45 del codice deontologico da leggersi unitamente alla previsione dell'art. 43, punto II dello stesso codice avesse inteso prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui” nel senso che la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso rimanessero l'essenza comportamentale richiesta all'avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del corrispettivo a lui spettante . Di tal che, l'aleatorietà dell'accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l'equità se cioè la stima effettuata dalle parti era, all'epoca della conclusione dell'accordo che lega compenso e risultato, ragionevole, o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare, del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell'assunzione del rischio Cass. n. 25012/2014 e n. 6002/2021 . I giudici, quindi, concludono affermando di non condividere quanto affermato nella motivazione dal Tribunale di merito secondo cui il patto di quota lite stipulato durante la vigenza dell' art. 2, comma 1, lettera a , d.l. n. 223/2006 e succ. mod. può ex se validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari, non deponendo in senso contrario né precetti riferibili ad un interesse generale, né violazioni del codice deontologico, né le eventuali sproporzioni tra il compenso pattuito e la prestazione professionale resa, mai potendo tale sproporzione comportare una non prevista nullità del patto, ma al limite, una riconduzione ad equità”. La impugnata sentenza è stata, quindi, cassata con rinvio alla competente Tribunale in diversa composizione anche per la pronuncia delle spese del giudizio di Cassazione.

Presidente D'Ascola - Relatore Scarpa Fatti di causa P.S., L.M.M.C. e L.D. hanno proposto ricorso articolato in sei motivi avverso l'ordinanza n. 6357/2018 del Tribunale di Gela, pubblicata il 13 dicembre 2018. Gli avvocati F.G. e F.L. hanno resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato in unico motivo. P.S., L.M.M.C. e L.D. hanno notificato controricorso per resistere al ricorso incidentale. Il Tribunale di Gela, previa riunione dei giudizi, ha rigettato le opposizioni formulate da P.S., L.M.M.C. e L.D. avverso i due decreti ingiuntivi n. 678/2014 e n. 153/2014 emessi, rispettivamente, il primo su domanda dell'avvocato F.G. ed il secondo su domanda dell'avvocato F.L., entrambi per gli importi di Euro 76.841,39 nei confronti di L.M.M.C., di Euro 79.839,18 nei confronti di L.D. e di Euro 60.414,70 nei confronti di P.S., oltre spese generali, i.v.a., c.p.a . e interessi legali. Le pretese trovano fondamento in un patto di quota lite contenuto in scrittura privata del 12 gennaio 2009 e correlato all'attività professionale svolta dai due codifensori avvocati F.G. e L. in un giudizio civile per il risarcimento dei danni da morte di un congiunto degli assistiti, definito dal Tribunale di Caltanissetta con sentenza n. 391/2013. Il Tribunale ha superato le eccezioni pregiudiziali attinenti alla tardività delle proposte opposizioni, spiegate mediante notificazione di citazione, stante il mutamento del rito ordinato perché si procedesse nelle forme stabilite dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, e tenendo conto di quanto disposto dallo stesso D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, in ordine agli effetti della domanda. Sono state altresì ritenute nulle dal Tribunale le notificazioni dei decreti ingiuntivi eseguite il 16 aprile 2014 nei confronti di L.M.M.C. e L.D. mediante consegna dell'atto a mani della madre P.S., come quella successivamente effettuata mediante invio di raccomandata, rimanendo comunque le nullità sanate dalla costituzione delle opponenti. L'ordinanza impugnata ha poi valutato tardiva l'eccezione di incompetenza per territorio in favore del foro del consumatore, in quanto sollevata dalle opponenti soltanto nelle note autorizzate del 19 settembre 2017, e non già con l'atto di opposizione. E' stata inoltre valutata l'iniquità del patto contenuto nella scrittura privata inter partes del 12 gennaio 2009, con il quale il compenso professionale veniva determinato in misura pari per ciascuno dei legali al 15% della somma incassata dai clienti nella causa risarcitoria, importi ritenuti dal Tribunale manifestamente sproporzionati rispetto alla tariffa individuata dal D.M. n. 140 del 2012 . I valori tariffari massimi, nella stima prospettata dal Tribunale, avrebbero portato alla liquidazione di un compenso pari ad Euro 37.260,00, mentre in applicazione del convenuto patto di quota di lite il totale complessivo dei compensi in favore dei due difensori ammontava ad Euro 434.190,54, a fronte del risarcimento di Euro 1.419.400 liquidato nella sentenza del Tribunale di Caltanissetta. Non di meno, il Tribunale di Gela ha ritenuto che la violazione dell' art. 2233 c.c. , e art. 45 cod. deont. forense non conducesse alla nullità del patto, ma ad una riconduzione ad equità, che non era stata richiesta dalle opponenti. Parimenti da escludere, secondo l'ordinanza impugnata, erano la nullità D.Lgs. n. 205 del 2006, ex art. 36, come la nullità ex art. 1261 c.c., o l'annullamento per errore. Infondate, infine, sono state reputate dai giudici delle opposizioni le deduzioni circa la illegittimità della liquidazione delle spese generali al 1 5 % operata ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, della decorrenza degli interessi legali e della detrazione dell'indimostrato acconto versato. Il ricorso è stato deciso procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 , con richiesta di discussione orale formulata dai ricorrenti incidentali. I ricorrenti ed i controricorrenti hanno presentato memorie. Ragioni della decisione Deve dapprima esaminarsi l'eccezione pregiudiziale sollevata nella istanza depositata il 16 ottobre 2020 ed ancora reiterata nelle memorie presentate il 23 giugno 2022 dagli avvocati F.G. e F.L., con riguardo alla improcedibilità del ricorso per effetto della tardività del deposito operato il 9 marzo 2019, a fronte della notificazione eseguita a mezzo PEC in data 11 febbraio 2019. I controricorrenti rilevano come la notificazione a mezzo del servizio postale, parimenti avviata l'11 febbraio 2019, si sia perfezionata il 19 febbraio 2019, non potendo tale data comportare una nuova decorrenza del termine ex art. 369 c.p.c. . L'eccezione di improcedibilità del ricorso risulta infondata. La notifica a mezzo PEC del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico, da ritenersi perfezionata nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario notifica nella specie perciò perfezionata l'11 febbraio 2019 , comporta la decorrenza del termine di giorni venti stabilito, a pena di improcedibilità, dall' art. 369 c.p.c. , comma 1, entro il quale il ricorrente nel regime antecedente all'entrata in vigore del D.L. n. 34 del 2020, art. 221, comma 5, convertito con modificazioni nella L. n. 77 del 2020 deve procedere al deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso, munito di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter. La mancanza di tale attestazione o l'attestazione priva di sottoscrizione autografa non comporta l'improcedibilità del ricorso, peraltro, ove il controricorrente anche tardivamente costituitosi depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2, Cass. Sez. Unite, 24/09/2018, n. 22438 . Non ha rilievo, nel caso in esame, ai fini della verifica del tempestivo deposito del ricorso per cassazione, ex art. 369 c.p.c. , la successiva data di ricezione da parte degli intimati del ricorso notificato a mezzo del servizio postale, in quanto il termine di venti giorni, previsto a pena di improcedibilità dall' art. 369 c.p.c. , comma 1, decorre comunque, nell'ipotesi di reiterazione della notifica alla stessa parte, dalla prima notificazione eseguita, se non viziata da nullità, essendo le altre superflue Cass. Sez. Unite, 19/03/2020, n. 7454 Cass. Sez. 2, 30/08/2017, n. 20543 Cass. Sez. 1, 02/02/2016, n. 1958 . Tuttavia, il ricorso, a fronte di notificazione ultimata I'11 febbraio 2019, risulta depositato a mezzo della posta, ai sensi dell' art. 134 disp. att. c.p.c. , sicché lo stesso deposito, in forza del comma 5 di tale norma, deve aversi per avvenuto alla data di spedizione del plico 1 marzo 2019 , ed è perciò tempestivo rispetto al termine di venti giorni stabilito dall' art. 369 c.p.c. , comma 1. Sono altresì infondate le eccezioni pregiudiziali svolte nel controricorso con riguardo al requisito imposto dall' art. 366 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 6 , atteso che il ricorso per cassazione contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, dalla quale risultano le posizioni processuali delle parti, nonché gli argomenti dei giudici dei singoli gradi. In ordine, poi, all'osservanza di quanto prescritto dall' art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 6 , essa va accertata con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificando l'indicazione degli atti e dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti cfr. Cass. Sez. Unite, 05/07/2013, n. 16887 . E' comunque da affermare che sussiste una specifica indicazione della scrittura privata del 12 gennaio 2009, che è poi il documento sul quale il ricorso di fonda. Nemmeno è rilevante la considerazione, svolta nelle memorie da ultimo depositate dai controricorrenti, circa il mancato disconoscimento delle sottoscrizioni o la mancata proposizione di querela di falso ad opera delle ricorrenti, in quanto le stesse non hanno inteso contestare né la provenienza né la genuinità della scrittura del 12 gennaio 2009, quanto dedurre la invalidità della pattuizione in essa contenuta. Risultano, infine, estranee alla funzione ed al contenuto propri delle memorie ex art. 378 c.p.c. , che sono volte esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione ovvero a confutare le tesi avversarie, le allegazioni presenti nella prima parte della memoria presentata in data 20 giugno 2022 dai ricorrenti principali in ordine agli sviluppi di un processo penale tuttora pendente ed avente ad oggetto vicende collegate alla causa civile qui in esame. 1. Il primo motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D. deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 158,275 e 276 c.p.c. , in quanto l'ordinanza impugnata risulta adottata nella camera di consiglio del 28 novembre 2018, mentre dalla visura dello storico del fascicolo il collegio risulta designato in data 11 dicembre 2018. Ciò deporrebbe per una violazione del principio di immutabilità del giudice collegiale. 1.1. Il primo motivo di ricorso principale è del tutto infondato. 1.2. Dal combinato disposto degli artt. 132 e 276 c.p.c. è agevole ricavare il principio secondo cui la paternità della decisione deve essere attribuita esclusivamente al giudice o al collegio che ha elaborato la decisione stessa, occorrendo che nell'epigrafe della sentenza-documento venga riportato il nominativo del giudice o dei giudici che abbiano assunto la decisione. E' poi necessario che i membri del collegio nominativamente indicati nell'intestazione della sentenza coincidano con i nomi di coloro che hanno assistito all'udienza di discussione ovvero di coloro che sono comunque individuabili sulla base del decreto del capo dell'ufficio giudiziario redatto ai sensi degli artt. 113 e 114 disp. att. c.p.c. , o dei criteri prefissati nella tabella di organizzazione ed hanno trattenuto la causa in decisione, stante il principio dell'identità dell'organo presente all'udienza di discussione con quello deliberante, principio certamente operante anche per l'udienza di discussione delle controversie regolate dall' art. 14 del D.Lgs. n. 1 settembre 2011, n. 150 arg. da Cass. Sez. 2, 03/05/2022, n. 13856 Cass. Sez. 2, 23/03/2006, n. 6564 Cass. Sez. 1, 13/09/2006, n. 19662 . Nella specie, il collegio indicato nell'ordinanza del Tribunale di Gela del 13 dicembre 2018 è Presidente Ciancio, Giudici Vincenti e Sgroi dall'esame del verbale l'udienza del 19 settembre 2018 risulta svolta davanti al giudice relatore Sgroi non è oggetto di impugnazione la questione della costituzione collegiale del tribunale al momento della discussione della causa. La nullità della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione può quindi essere dichiarata solo quando vi sia la prova della diversità tra il collegio deliberante e quello che abbia, invece, assistito alla discussione della causa. Il verbale dell'udienza di discussione ingenera, perciò, la presunzione della deliberazione della decisione da parte degli stessi giudici che hanno partecipato all'udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall' art. 276 c.p.c. , tra i compiti del presidente del collegio vi è quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell'udienza di discussione Cass. Sez. 3, 06/07/2010, n. 15879 , restando la composizione del collegio altrimenti comunque individuabile alla stregua delle regole dettate dagli artt. 113 e 114 disp. att. c.p.c. , arg. da Cass. Sez. 1, 02/10/2019, n. 24585 . Il primo motivo del ricorso principale si fonda, invece, su due elementi di per sé irrilevanti la data 28 novembre 2018 della decisione in camera di consiglio indicata nell'ordinanza impugnata e la data 11 dicembre 2018 del provvedimento di designazione del collegio tratto dalla visura dello storico del fascicolo. Ora, la data della deliberazione della sentenza in camera di consiglio, ai sensi dell' art. 276 c.p.c. , come la data del decreto che designa presidente e componenti del collegio, attengono ad atti interni, le cui incongruenze possono dar luogo soltanto ad irregolarità formali e non determinano alcun vizio della decisione sotto il profilo della immodificabilità del collegio giudicante rispetto a quello che ha assistito alla discussione arg. da Cass. Sez. L, 10/08/2006, n. 18156 Cass. Sez. 2, 07/06/1962, n. 1393 . 2. Il secondo motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 2233 c.c. , comma 2, e/o degli artt. 43 e 45 cod. deont. forense in relazione agli artt. 1325,1339,1374,1418 e 1419 c.c. , sostenendosi la nullità anche solo parziale del patto di quota lite del 12 gennaio 2009 per contrasto col principio di imprescindibile correlazione tra prestazione e corrispettivo e col paradigma di necessaria adeguatezza del compenso desumibile dall' art. 2233 c.c. . Il terzo motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D. allega la falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. , l'erronea interpretazione della domanda proposta, nonché ancora la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 2233 c.c. , comma 2, e/o degli artt. 43 e 45 cod. deont. forense, dovendosi intendere integrata la domanda di riduzione ad equità dalla pretesa articolata in via subordinata dalle opponenti di limitare i compensi professionali all'attività effettivamente prestata dagli avvocati F.G. e L. nei limiti dei parametri tariffari vigenti. Il quarto motivo del ricorso principale lamenta la violazione e/o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. , per la mancata pronuncia sulla domanda subordinata già richiamata nella terza censura. 2.1. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D. possono esaminarsi congiuntamente, per la loro intima connessione, e risultano fondati nei termini di seguito indicati. 2.2. L'impugnata ordinanza del Tribunale di Gela ha rigettato le opposizioni spiegate da P.S., L.M.M.C. e L.D. avverso due decreti ingiuntivi, emessi, rispettivamente, il primo su domanda dell'avvocato F.G. ed il secondo su domanda dell'avvocato F.L., entrambi per gli importi di Euro 76.841,39 nei confronti di L.M.M.C., di Euro 79.839,18 nei confronti di L.D. e di Euro 60.414,70 nei confronti di P.S., oltre spese generali, i.v.a., c.p.a . e interessi legali. Le pretese azionate in sede monitoria trovano fondamento in un patto di quota lite contenuto in scrittura privata del 12 gennaio 2009 mandato di assistenza, rappresentanza, consulenza e difesa, sostanziale e processuale, per la gestione stragiudiziale e giudiziale della vicenda risarcitoria . In particolare, la pattuizione era correlata all'attività professionale svolta dai due codifensori avvocati F.G. e L. nell'ambito di un giudizio civile per il risarcimento dei danni da morte di un congiunto degli assistiti, intrapreso con distinti atti di citazione, poi riuniti, notificati nel febbraio e nel luglio del 2009, e definito dal Tribunale di Caltanissetta con sentenza del 6 maggio 2013. La scrittura prevedeva che i compensi e/o onorari dovuti ai predetti avvocati in relazione alle prestazioni professionali oggetto del presente mandato, in caso di esito positivo della richiesta risarcito-ria, sono determinati per ciascun avvocato nella misura pari al 15%, ovvero complessivamente al 30%, della somma che verrà concretamente incassata dalla controparte, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali secondo Tariffa Forense. In ogni caso le parti prendono atto che detta pattuizione non comporta per gli avvocati alcuna promessa di raggiungimento del risultato né trasforma l'obbligazione di mezzi del professionista in obbligazione di risultato . I compensi degli avvocati erano, dunque, determinati in tale convenzione unicamente per il caso di esito positivo della lite, prevedendo il solo pagamento, in sostituzione degli onorari, di una somma di denaro calcolata in percentuale sull'importo incassato dalle parti. La pattuizione, più precisamente, facendo riferimento a percentuali della somma che verrà concretamente incassata dalla controparte , individuava i compensi dei legali proprio in una parte del credito risarcitorio litigioso. Il Tribunale di Gela ha ulteriormente premesso che la validità della suddetta scrittura privata, stipulata il 12.1.2009, integrante un cd. patto di quota lite su cui si fondano entrambi i crediti opposti, va valutata applicando ratione temporis la disciplina introdotta dalla cd. riforma Bersani D.L. n. 223 del 2006 , L. conv. n. 248 del 2006 , abrogativa del previgente divieto del patto di quota lite . L'ordinanza impugnata così prosegue fermo il rispetto della forma scritta richiesta ad substantiam dall' art. 2233 c.c. , comma 3, il patto di quota lite per cui è causa si pone in contrasto con i requisiti sostanziali di proporzione e ragionevolezza nella pattuizione del compenso desumibili dall'art. 45 del codice deontologico forense, nella parte in cui vieta all'avvocato di richiedere compensi manifestamente sproporzionati all'attività svolta cfr. SS.UU. civ. n. 25012/2014, cit. . E' stata allora affermata l'iniquità del patto contenuto nella scrittura privata inter partes del 12 gennaio 2009, con il quale il compenso professionale veniva determinato in misura pari per ciascuno dei legali al 15% della somma incassata dai clienti nella causa risarcitoria, importi ritenuti dal Tribunale manifestamente sproporzionati rispetto alla tariffa individuata dal D.M. n. 140 del 2012 . I valori tariffari massimi, nella stima prospettata dal Tribunale, avrebbero portato alla liquidazione di un compenso pari ad Euro 37.260,00, con possibilità di aumento fino al doppio, mentre in applicazione del convenuto patto di quota di lite il totale complessivo dei compensi in favore dei due difensori ammontava ad Euro 434.190,54, a fronte del risarcimento di Euro 1.419.400 liquidato nella sentenza del Tribunale di Caltanissetta. Non di meno, il Tribunale di Gela ha ritenuto che la violazione dell' art. 2233 c.c. , e art. 45 cod. deont. forense non conducesse alla nullità del patto, ma ad una riconduzione giudiziale ad equità, che non era stata, però, richiesta dalle opponenti. Parimenti da escludere, secondo l'ordinanza impugnata, erano la nullità D.Lgs. n. 205 del 2006, ex art. 36, come la nullità ex art. 1261 c.c., o l'annullamento per errore. 2.3. Il secondo motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D. deduce, in particolare, la nullità del patto di quota per cui è causa, stante la inderogabilità dell' art. 2233 c.c. , comma 2, i n ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione , in relazione agli artt. 43 e 45 del codice deontologico forense. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale sostengono, peraltro, che, pur volendosi escludere la nullità del patto di quota lite, la domanda di riconduzione ad equità , che il Tribunale ha ritenuto non proposta, dovesse invece trarsi dalle conclusioni di parte opponente trascritte alle pagine 6 e 7 dell'ordinanza impugnata - in via meramente subordinata e senza recesso alcuno delle superiori domande, per mero tuziorismo, condannare le opponenti al pagamento delle somme giudizialmente liquidate nella sentenza n. 391/2013 resa nel giudizio R.G. n. 290/2010 avanti al Tribunale di Caltanissetta, ovvero alle diverse somme - maggiori o minori - che la S.V. Ill.ma riterrà provate in corso di causa e, comunque, nei limiti dei parametri stabiliti dal D.M. n. n. 140 del 2012 detratto l'importo già versato di Euro 10.000,00 . 2.4. Sotto un profilo cronologico, la vicenda per cui è causa, avendo ad oggetto la validità un patto di quota lite stipulato il 12 gennaio 2009, si colloca dopo l'entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a , come modificato in sede di conversione dalla L. n. 248 del 2006 il quale aveva disposto l'abrogazione delle disposizioni normative che, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, prevedessero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti , nonché dopo, quindi, la riformulazione dell' art. 2233 c.c. , comma 3, operata dal medesimo D.L. n. 223 del 2006 , convertito in L. n. 248 del 2006 , che aveva abrogato il testo previgente secondo cui g li avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni , e prima, invece, dell'entrata in vigore della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense . La L. n. 247 del 2012, art. 13, invero, dapprima, al comma 3, stabilisce che Dia pattuizione dei compensi è libera è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione di seguito, tuttavia, all'art. 13, comma 4, cit. dispone s ono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa . 2.5. Nel lasso di tempo intercorso tra il D.L. n. 223 del 2006 , e la L. n. 247 del 2012 , alcuni interpreti si orientarono per la validità dei patti di quota lite, alla luce anche della ratio dell'intervento riformatore del sistema tariffario voluto dal legislatore del 2006, mentre altri studiosi ne ravvisarono la permanente nullità ove comunque fosse applicabile il divieto di cessione dei crediti a favore di soggetti esercenti determinate attività ex art. 1261 c.c. , diritti sui quali è sorta contestazione davanti all'autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni , allorché, dunque, il compenso delle prestazioni dell'avvocato fosse pattuito mediante cessione del credito litigioso per le differenze tra i due precetti, si vedano già, peraltro, Cass. Sez. 3, 16/07/2003, n. 11144 Cass. Sez. 3, 24/02/1984, n. 1319 Cass. Sez. 2, 27/02/1979, n. 1286 Cass. Sez. 1, 26/03/1953, n. 788 altrimenti, si osservava che la sostituzione dell' art. 2233 c.c. , comma 3, operata nel 2006 si era limitata ad individuare il requisito formale essenziale dei patti che stabiliscono i compensi professionali, restando immutati i criteri sostanziali dettati nei primi due commi dello stesso articolo, i quali comunque vietano un compenso convenzionale la cui misura violi il criterio di adeguatezza e proporzionalità rispetto all'opera prestata. 2.6. Va ancora aggiunto che nel medesimo intervallo temporale assunse rilievo altresì l'art. 45 del codice deontologico forense nel testo modificato con la delibera C.N. F. del 18 gennaio 2007 tramutatosi poi nel novellato art. 29, comma 4 , il quale consentiva all'avvocato di pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell' art. 1261 c.c. , ma sempre che gli stessi compensi fossero proporzionati all'attività svolta . La ragionevolezza di tale limite deontologico di proporzionalità all'attività svolta della misura del compenso parametrato agli esiti del processo fu dubitata da alcuni commentatori, sulla base dell'aleatorietà del patto di quota lite, il cui sinallagma non consente di preservare una corrispettività economica commutativa tra incarico professionale e sua retribuzione da valutare al momento della stipula dell'accordo e quindi semmai anche prima dell'inizio della causa. 2.7. Le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciando in tema di impugnazione delle decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, hanno comunque ritenuto che la prescrizione dell'art. 45 del codice deontologico che faceva il paio con la previsione dell'art. 43, punto II dello stesso codice avesse inteso prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui , nel senso che I a proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso rimanessero l'essenza comportamentale richiesta all'avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del corrispettivo a lui spettante . Di tal che, l 'aleatorietà dell'accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l'equità se, cioè, la stima effettuata dalle parti era, all'epoca della conclusione dell'accordo che lega compenso e risultato, ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell'assunzione del rischio così Cass. Sez. Unite, 25/11/2014, n. 25012 conforme Cass. Sez. Unite, 04/03/2021, n. 6002 . 2.8. Nella interpretazione prescelta dalle Sezioni Unite, dunque, la proporzionalità, deontologicamente imposta, del compenso pattuito dall'avvocato quotista attiene a valutazione non solo sul quantum, ma anche sulle modalità comportamentali dell'accordo concluso col cliente, sotto un profilo di equità della stima effettuata dalle parti al momento della stipula, ovvero di complessivo equilibrio contrattuale, prospettiva che attiene alla causa del contratto e dischiude evidentemente la tutela di interessi generali arg. da Cass. Sez. Unite, 12/12/2014, n. 26243 . L'imposto controllo di ragionevolezza del patto di quota lite, teso a scongiurare l'iniquità dell'accordo concluso, non appare limitato al rispetto di doveri di comportamento ad opera dell'avvocato nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto, doveri la cui violazione potrebbe essere unicamente fonte di responsabilità risarcitoria esso, piuttosto, guarda allo squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti ed alla giustificazione dei reciproci spostamenti patrimoniali, e, dunque, alla verifica in concreto del requisito causale la ragion d'essere dell'operazione , valutata nella sua individualità sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti si vedano indicativamente Cass. Sez. 3, 09/07/2020, n. 14595 Cass. Sez. 2, 29/05/2020, n. 10324 Cass. Sez. Unite, 24/09/2018, n. 22437 . Il sindacato giudiziale sull'adeguatezza e sulla proporzionalità della misura del compenso rispetto all'opera prestata trova fondamento nell' art. 2233 c.c. , comma 2, intendendosi lo stesso non come intervento soltanto suppletivo del giudice, ove manchi una valutazione pattizia dei contraenti e nell'art. 45 del codice deontologico. L'indagine è portata sulla causa concreta del contratto e sull'equilibrio sinallagmatico non meramente economico delle prestazioni, ovvero sullo scopo pratico del regolamento negoziale, ed ha come approdo eventuale la nullità del patto di quota lite, ai sensi dell' art. 1418 c.c. , comma 2. Tale nullità non concerne l'intero contratto di patrocinio, ma soltanto la clausola relativa, ai sensi dell' art. 1419 c.c. , comma 2, Cass. Sez. 2, 30/07/2018, n. 20069 . 2.9. Invero, come spiegato da Cass. Sez. 3, 27/09/2018, n. 23186 , in linea generale, la violazione di norme deontologiche, se ha sempre un rilievo di tipo disciplinare, non dà luogo di per sé all'illiceità della prestazione o ad altre cause di nullità del contratto di mandato tra professionista e cliente. Diversa può essere la gravità della violazione deontologica e diversa la rilevanza, sia sotto il profilo disciplinare che della validità o meno dell'attività svolta, dell'esistenza di tale violazione. La commissione da parte del professionista di una violazione delle regole di deontologia professionale non comporta in ogni caso la nullità di tutta l'attività svolta e la conseguente non remunerabilità delle relative prestazioni. Occorre verificare se, nel caso concreto, la violazione deontologica, oltre che rilevare sotto il profilo disciplinare, sia di gravità tale da integrare anche una causa di nullità . La norma deontologica che fissa il criterio di proporzionalità dei compensi dell'avvocato, del resto, non rivela una portata limitata al rapporto corrente tra il professionista e l'ordine di appartenenza, e perciò rientra tra le fonti secondarie di integrazione del contratto di patrocinio ex art. 1374 c.c. , sì da contemperare gli opposti interessi delle parti e da imporre una verifica di adeguatezza delle clausole pattuite a garantire l'equilibrio economico dell'accordo. 2.10. Non costituisce un precedente nel senso auspicato nelle difese dei controricorrenti la richiamata Cass., Sez. 2, 04/02/2021, n. 2631 , per mancanza di eadem ratio, dovendosi individuare la ragione giustificatrice di tale pronuncia e cogliere il nesso fra caso giudicato e norme applicate. In quella decisione, questa Corte riaffermò unicamente la validità della convenzione tra avvocato e cliente - nella specie accertata in fatto dai giudici del merito-, che stabilisca la misura degli onorari in misura superiore al massimo tariffario. Non venne esaminata, invece, la doglianza relativa alla sproporzione del patto di quota lite. 2.11. Il Collegio ritiene pertanto di non condividere quanto affermato nella motivazione della sentenza della Terza sezione civile 6 luglio 2018, n. 17726, secondo cui il patto di quota lite stipulato durante la vigenza del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a , conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, e prima dell'entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 4, può ex se validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari, non deponendo in senso contrario né precetti riferibili ad un interesse generale, né le violazioni del codice deontologico, né le eventuali sproporzioni fra il compenso pattuito e la prestazione professionale resa, mai potendo tale sproporzione comportare una non prevista nullità del patto, ma, al limite, una riconduzione ad equità . Risulta, piuttosto, impervia da percorrere la strada di una siffatta riconduzione ad equità del patto di quota lite, ipotizzata sul presupposto di una indiscussa validità dell'accordo e postulata anche dal Tribunale di Gela nell'ordinanza impugnata, giacché essa implica l'individuazione di un generale strumento giudiziale di reductio ad aequitatem che si presti al fine della modificazione delle condizioni di un regolamento contrattuale per sua natura aleatorio ed il cui squilibrio tra le prestazioni, peraltro, sarebbe frutto non di sopravvenienze, ma di un originaria abusiva sproporzione, verificabile già al momento della stipula, tra il compenso dell'avvocato e l'attività professionale svolta o da svolgere. D'altro canto, l'elaborazione di un potere giudiziale di riduzione ad equità, seppur soggetto al principio della domanda domanda che, nella specie, sarebbe peraltro singolarmente offerta non al soggetto la cui prestazione risulti eccessivamente onerosa, quanto al contraente svantaggiato, al fine di mantenere comunque il vincolo contrattuale e, tuttavia, paralizzare, sia pure in parte, la avversa pretesa di condanna al pagamento dei compensi professionali azionata in giudizio , deporrebbe per la configurabilità proprio di un interesse generale dell'ordinamento, volto a ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela. 2.12. Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell' art. 2233 c.c. , comma 3, operata dal D.L. n. 223 del 2006 , convertito in L. n. 248 del 2006 , e prima dell'entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 4, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all' art. 1261 c.c. , è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell'equità alla stregua della regola integrativa di cui all'art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all'epoca della conclusione dell'accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali. 2.13. Il Tribunale di Gela ha perciò errato sia nel ritenere che il patto di quota lite stipulato inter partes il 12 gennaio 2009, pur contrastando con i requisiti sostanziali di proporzione e ragionevolezza nella pattuizione del compenso e rivelandosi iniquo, fosse, non di meno, valido e soltanto riconducibile ad equità, sia nel ritenere che occorresse a tal fine una apposita domanda degli opponenti non proposta. Gli opponenti avevano, invero, proposto domanda per ottenere una pronuncia dichiarativa o costitutiva della invalidità del contratto, nonché dichiarativa della natura indebita delle prestazioni invocate in esecuzione di quel contratto, richiedendo in via subordinata esplicitamente altresì la riduzione dei compensi comunque dovuti agli avvocati per la parte del contratto di patrocinio non colpito dalla invalidità arg. da Cass. Sez. 2, 30/07/2018, n. 20069 . L'individuazione del contenuto e della portata delle domande avanzate dagli opponenti, trascritte nelle pagine 6 e 7 dell'ordinanza impugnata, doveva perciò essere operata avendo riguardo non soltanto alla prospettazione letterale, ma anche al contenuto sostanziale delle loro pretese, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dai medesimi opponenti. 2.14. In sede di rinvio occorrerà, pertanto, riesaminare la causa, valutando il contenuto effettivo delle pretese degli opponenti e sottoponendo il concreto assetto sinallagmatico del patto di quota lite stipulato il 12 gennaio 2009 alla indicata verifica di ragionevolezza correlata agli specifici interessi perseguiti dai contraenti. 3. Il quinto motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D. deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33, 34 e 36 Codice del consumo . Il sesto motivo del ricorso principale allega la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 1429 c.c. , e dell'art. 132 c.p.c., ovvero la motivazione apparente e l'omesso esame di fatto decisivo, avendo il Tribunale di Gela negato l'annullamento per errore essenziale per il mancato disconoscimento delle sottoscrizioni della scrittura, senza valutare la sussistenza del vizio del consenso e della denunciata asimmetria informativa nei rapporti fra avvocato e clienti. 3.1. Il quinto ed il sesto motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D. rimangono assorbiti dall'accoglimento del secondo, del terzo e del quarto motivo dello stesso ricorso principale. 4. L'unico motivo del ricorso incidentale condizionato proposto dagli avvocati F.G. e F.L. ipotizza la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 2909 c.c. , e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, commi 1, 4 e 5, assumendo l'avvenuto passaggio in giudicato degli intimati decreti ingiuntivi, stante la tardività delle opposizioni proposte, in quanto si doveva aver riguardo alla data della iscrizione a ruolo delle citazioni erroneamente prescelte quali atti introduttivi. 4.1. Il motivo di ricorso incidentale è infondato. I due giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi n. 152/2014 e n. 153/2014 notificati il 16 aprile 2014, recanti riduzione a 20 giorni del termine per proporre opposizione, sono stati introdotti con atti di citazione notificati il 6 maggio 2014 e sono stati poi oggetto ordinanze di mutamento del rito D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 4 . Come chiarito dalle sentenze delle Sezioni Unite civili di questa Corte n. 758 del 12 gennaio 2022 e n. 927 del 13 gennaio 2022, nei procedimenti disciplinati dal D.Lgs. n. 150 del 2011 nella specie, dall'art. 14 per le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato , anche di opposizione a decreto ingiuntivo, da introdursi con ricorso ed invece erroneamente promossì con citazione come qui avvenuto , il giudizio è correttamente instaurato ove quest'ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte, e tale sanatoria si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, D.Lgs. n. 150 cit., ex art. 4. Dunque, le opposizioni ex art. 645 c.p.c. di P.S., L.M.M.C. e L.D. avverso le ingiunzioni ottenute dagli avvocati F.G. e F.L. nei confronti delle proprie clienti ai fini del pagamento degli onorari e delle spese dovute, ai sensi del combinato disposto della L. n. 794 del 1942, art. 28, art. 633 c.p.c. , e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, proposte, come nella specie, con atti di citazione, anziché con ricorsi ai sensi dell' art. 702 bis c.p.c. , e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, erano da reputare utilmente esperite, come ritenuto dal Tribunale di Gela, giacché le citazioni erano state comunque notificate entro il termine di cui all' art. 641 c.p.c. qui ridotto decorrente dalla notificazione dei decreti ingiuntivi. 5. Conseguono l'accoglimento del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D., il rigetto del primo motivo e l'assorbimento del quinto e del sesto motivo del medesimo ricorso, nonché il rigetto del ricorso incidentale di F.G. e F.L L'ordinanza impugnata va cassata, nei limiti delle censure accolte, con rinvio dalla causa al Tribunale di Gela, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, - da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso di P.S., L.M.M.C. e L.D., rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti il quinto ed il sesto motivo del medesimo ricorso, rigetta il ricorso incidentale di F.G. e F.L., cassa l'ordinanza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa al Tribunale di Gela, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.