Pochi euro e generi alimentari dagli ambulanti abusivi per continuare a vendere: condannato il capo della Polizia municipale

Incontestabile il reato di induzione indebita a dare utilità commesso abusando della qualità di capo della Polizia municipale e pretendendo la consegna di modesti importi – nell’ordine di 2 o 3 euro – dai commercianti ambulanti che nel mercato cittadino non avevano presentato richiesta di occupazione del suolo pubblico. Irrilevante la collaborazione fornita dal pubblico ufficiale per individuare tutti i commercianti obbligati a pagare. Impossibile riconoscere una riduzione della pena.

Sorpreso a chiedere qualche euro e generi alimentari ai commercianti ambulanti abusivi per chiudere un occhio e consentire loro di proseguire nell'attività. Sacrosanta la condanna per il capo della Polizia municipale di un Comune calabrese. Incontestabile il reato di induzione indebita a dare utilità. Su questo fronte è decisivo il riscontro fornito dai carabinieri che hanno monitorato le azioni del capo della Polizia municipale. Impossibile, poi, concedere la riduzione della pena ipotizzata dalla difesa, poiché le ammissioni compiute dal capo della Polizia municipale sono arrivate tardi, quando, cioè, i fatti erano già stati accertati dai militari dell'Arma, i quali avevano provveduto anche a sottoporlo a una perquisizione Cass. pen., sez. VI, ud. 14 settembre 2022 28 settembre 2022 n. 36769 . Mercato. Ricostruita in dettaglio la vicenda, i giudici di merito ritengono, sia in primo che in secondo grado, legittima la condanna del capo della Polizia municipale di un Comune calabrese. Incontestabili le plurime condotte di induzione indebita a dare utilità commesse dall'uomo abusando della qualità di capo della Polizia municipale e pretendendo la consegna di modesti importi – nell'ordine di 2 o 3 euro – dai commercianti ambulanti che nel mercato cittadino non avevano presentato richiesta di occupazione del suolo pubblico . In particolare, si è appurato che l'uomo richiedeva ai commercianti ambulanti la consegna delle suddette somme di denaro, prospettando che, altrimenti, non avrebbero potuto continuato a vendere la loro merce nell'area di svolgimento del mercato comunale . A inchiodare il capo della Polizia municipale è stato il monitoraggio effettuato da alcuni carabinieri, i quali prima hanno notato un vigile urbano che, in uniforme e con l'auto di servizio, si aggirava per le vie del mercato riscuotendo denaro contante, generi e altre merci da alcuni commercianti e poi, insospettiti da quella situazione, e poi hanno avviato immediatamente un servizio di osservazione in abiti civili al fine di appurare la liceità della condotta del vigile, riuscendo a documentare come quest'ultimo, avvalendosi della sua qualità di pubblico ufficiale, stesse riscuotendo indebitamente da alcuni commercianti abusivi e non autorizzati, con pagamenti in denaro ovvero sotto forma di altri generi alimentari, il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche destinate al mercato . A quel punto, i carabinieri hanno provveduto ad arrestare il capo della Polizia municipale mentre egli si accingeva a salire a bordo dell'autovettura di servizio, e, all'esito di una perquisizione, lo hanno scoperto in possesso di 40 euro in contanti e di alcune buste contenenti prodotti ortofrutticoli e cosmetici, proventi delle precedenti illecite riscossioni. Collaborazione. Con il ricorso in Cassazione il legale dell'imputato non ha contestato le accuse, poggiate, come detto, sul solido quadro probatorio fornito dai carabinieri, ma ha chiesto una riduzione della pena, ponendo in evidenza la rilevanza del contributo collaborativo fornito dal suo cliente. In questa ottica l'avvocato richiama la deposizione di un tenente dei Carabinieri, in cui emerge che il suo cliente non era stato visto nell'atto di riscuotere denaro, se non in un'occasione . Ciò significa, secondo il legale, che le ulteriori condotte illecite sono emerse solo a seguito delle dichiarazioni rese dal capo della Polizia municipale, il quale aveva indicato i restanti soggetti cui aveva richiesto denaro . Per respingere la richiesta avanzata dalla difesa, però, i giudici di Cassazione richiamano l'attività di indagine, ricostruita in appello, che ha condotto all'arresto in flagranza del capo della Polizia municipale . In sostanza, i militari dell'Arma hanno assistito alla consegna della somma di 2 euro da parte di un commerciante e poi dal successivo pedinamento è emerso che il pubblico ufficiale si avvicinava a numerosi venditori ambulanti per farsi consegnare beni di diversa natura e, nel momento in cui si accingeva ad allontanarsi a bordo dell'autovettura di servizio, veniva fermato e sottoposto a perquisizione, risultando in possesso della somma complessiva di 43 euro e 10 centesimi . E a quel punto i Carabinieri hanno provveduto alla identificazione dei venditori cui il pubblico ufficiale aveva richiesto denaro e hanno ottenuto così la conferma del modus operandi già accertato in precedenza quando avevano potuto constatare la materiale consegna di denaro. Solo successivamente il pubblico ufficiale, una volta subita la perquisizione per mano dei carabinieri, ha ammesso di aver ricevuto del denaro da alcuni commercianti ambulanti . Ma tale circostanza, chiariscono i magistrati, non è idonea a riconoscere l'attenuante della collaborazione, in quanto al momento dell'arresto e delle successive spontanee dichiarazioni erano stati già acquisiti elementi gravemente indizianti, a fronte dei quali il contributo fornito dal pubblico ufficiale non è stato determinante . Come detto, la consegna del denaro è stata percepita de visu in un caso, mentre la successiva attività di individuazione degli altri commercianti ambulanti costretti a pagare per continuare a vendere è stata solo agevolata dal comportamento collaborativo del pubblico ufficiale , ma, comunque, una volta individuato il modus agendi e stante l'ambito circoscritto in cui la condotta veniva realizzata, gli inquirenti sarebbero ugualmente giunti alla ricostruzione completa dei fatti , osservano i giudici. Tirando le somme, il contributo dichiarativo del pubblico ufficiale, intervenuto quando questi era stato già sottoposto a perquisizione, si è risolto in una sostanziale ammissione di fatti già sufficientemente accertati, tant'è che si è proceduto all'arresto in flagranza , concludono i giudici.

Presidente Petruzzellis – Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Reggio Calabria confermava la sentenza di condanna emessa nei confronti del ricorrente in ordine a plurime condotte di induzione indebita, commesse abusando della qualità di Capo della Polizia Municipale di […], pretendendo la consegna di modesti importi nell'ordine di 2 o 3 Euro , dai commercianti ambulanti che non avevano presentato richiesta di occupazione del suolo pubblico. In particolare, le sentenze di merito accertavano che l'imputato richiedeva agli ambulanti la consegna delle suddette somme di denaro, prospettando che, altrimenti, non avrebbero potuto continuato a vendere la loro merce nell'area di svolgimento del mercato comunale. 2. Avverso la suddetta sentenza, il ricorrente ha proposto un unico motivo di ricorso, per vizio di motivazione, con il quale si duole del mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all' art. 323-bis, comma 2, c.p. . Sostiene il ricorrente, infatti, che i giudici di merito avevano erroneamente escluso la rilevanza del suo contributo collaborativo, ritenendo che i fatti fossero stati integralmente monitorati dagli inquirenti nel momento stesso in cui venivano effettuate le richieste di denaro, sicché alcun concreto apporto probatorio sarebbe stato offerto dall'imputato. A supporto di tale impostazione, nel ricorso si richiama la deposizione resa dal Tenente dei Carabinieri J.B. , la quale aveva riferito che l'imputato non era stato visto nell'atto di riscuotere denaro, se non in un'occasione descritta al capo 1 , sicché le ulteriori condotte illecite erano emerse solo a seguito delle dichiarazioni rese dall'imputato, il quale aveva indicato i restanti soggetti cui aveva richiesto denaro. Sulla scorta di tale deposizione, si sostiene che i giudici di merito sarebbero incorsi nel vizio di travisamento della prova, lì dove si è ritenuto che i Carabinieri avevano monitorato tutte le condotte illecite poste in essere dall'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Nella sentenza di appello è stata compiutamente ricostruita l'attività di indagine che ha condotto all'arresto in flagranza dell'imputato, dandosi atto di come i militari assistevano alla consegna della somma di Euro2 da parte di omissis capo 1 . Dal successivo pedinamento emergeva che l'imputato si avvicinava a vari venditori ambulanti per farsi consegnare beni di diversa natura e, nel momento in cui si accingeva ad allontanarsi a bordo dell'autovettura di servizio, veniva fermato e sottoposto a perquisizione, risultando in possesso della somma complessiva di Euro 43,10. I Carabinieri provvedevano alla identificazione dei venditori cui l'imputato aveva richiesto denaro, ottenendo la conferma del modus operandi già accertato in precedenza. La Corte di appello non è affatto incorsa nel travisamento della prova denunciato dal ricorrente, infatti, dà espressamente atto che l'imputato, dopo la perquisizione, ammetteva di aver ricevuto del denaro da alcuni ambulanti. Tuttavia, tale circostanza non è stata ritenuta idonea a riconoscere l'attenuante della collaborazione, in quanto al momento dell'arresto e delle successive spontanee dichiarazioni erano stati già acquisiti elementi gravemente indizianti, a fronte dei quali il contributo dell'imputato non è stato ritenuto determinante. Nel ragionamento probatorio seguito dalla Corte non emerge il travisamento della prova denunciato dal ricorrente, in quanto si dà puntualmente conto di come la consegna del denaro sia stata percepita de visu nella sola ipotesi descritta al capo 1 la successiva attività di individuazione degli altri ambulanti può ritenersi che sia stata al più agevolata dal comportamento collaborativo dell'imputato, salvo restando che una volta individuato il modus agendi e stante l'ambito circoscritto nel quale la condotta veniva realizzata, gli inquirenti sarebbero ugualmente giunti alla ricostruzione completa dei fatti. 2.1. A ciò occorre aggiungere che il motivo di ricorso, limitandosi ad esaminare la sola deposizione del Tenente B., non assolve a tutti i requisiti per l'utile proposizione del vizio di travisamento della prova. Per consolidata giurisprudenza, infatti, ai fini della deducibilità del vizio di travisamento della prova , che si risolve nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica. Sez.6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117 Sez.6, n. 10795 del 16/2/2021, Rv. 281085 . Nel caso di specie, la Corte di appello ha chiaramente ritenuto che il contributo dichiarativo dell'imputato, intervenuto quanto questi era stato già sottoposto a perquisizione, si è risolto in una sostanziale ammissione di fatti già sufficientemente accertati, tant'è che si è proceduto all'arresto in flagranza. Ne consegue che l'enfatizzazione della deposizione resa dal teste B. risulta inidonea a configurare il travisamento della prova. 3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.