Ogni violazione del diritto di superficie comporta un danno per il concedente e va rimossa

Le opere realizzate sulla base di una scrittura privata risultano eccedenti rispetto ai limiti concordati, con danni per la proprietà della parte che aveva concesso il diritto di superficie. In tal caso si configura un inadempimento contrattuale o una violazione del diritto di proprietà del concedente?

Il caso. Una proprietaria aveva concesso a due suoi vicini di casa la possibilità di costruire un garage al di sotto della sua proprietà. Tale concessione, identificata come diritto di superficie, era stata formalizzata in una scrittura nella quale erano state accordate tra le parti le dimensioni della costruzione e il numero massimo di aperture realizzabili. Al termine dei lavori, tuttavia, la proprietaria concedente si era accorta che la costruzione finale non rispecchiava le caratteristiche del progetto concordato. In ragione di tale circostanza, ella agiva in giudizio domandando – previo accertamento dell'inadempimento contrattuale e della violazione delle normative in tema di diritti reali e distanze – la condanna dei convenuti alla rimozione delle aperture illegittime, il ripristino della corretta altezza del garage e delle quote di rampe di accessi ai locali. Si costituivano in giudizio i convenuti non negando le variazioni rispetto all'accordo, ma invocando il loro impatto minimo. Aggiungevano, poi, i proprietari come senza le suddette variazioni il progetto non sarebbe stato concretamente realizzabile. Il processo di prime cure terminava con il riconoscimento delle ragioni di parte attrice. Diversamente, invece, il giudizio d'appello si chiudeva con l'accoglimento della domanda di parte convenuta sulla base di una perizia. Secondo l'elaborato peritale, infatti, sarebbe stata dimostrata l'irrealizzabilità delle opere senza le varianti messe in atto e, conseguentemente, nonostante le difformità dell'opera rispetto agli accordi, la parte appellante non sarebbe stata inadempiente e l'opera sarebbe stata realizzata correttamente. Per la Cassazione il focus del giudizio non è l'inadempimento contrattuale, ma la violazione dei diritti del concedente. A seguito della soccombenza la proprietaria concedente agiva in giudizio con un lungo ed elaborato ricorso incentrato su otto motivi. La sentenza Cass. civ., sez. II, sent. 26 settembre 2022, n. 28000 accoglieva il ricorso limitatamente alla settima doglianza, dichiarando assorbite le altre. Giova quindi analizzare il citato motivo di ricorso. Con detta domanda, infatti, la proprietaria censurava l'operato della Corte d'Appello ella parte in cui essa aveva riconosciuto l'esistenza di difformità tra l'opera finale e il progetto concordato tra le parti, ma aveva affermato che la scarsa entità delle stesse poteva far escludere la sussistenza di un inadempimento contrattuale da parte dei vicini di casa. Secondo la parte ricorrente, tuttavia, tale approccio non era corretto. In primo luogo, infatti, l'inadempimento non sarebbe stato di scarsa entità e, in seconda battuta, la difformità dal progetto più che in materia di inadempimento contrattuale, avrebbe dovuto essere considerata una violazione del diritto domenicale della stessa, con conseguente onere dei proprietari del fondo dominante di ricondurre le opere a quanto pattuito. La Cassazione, nella citata sentenza, accoglieva questo principio giuridico. Nella decisione in commento, infatti, essa specificava come la Corte d'Appello aveva errato nel considerare la questione dal punto di vista dell'indagine della sussistenza o meno di un inadempimento contrattuale. L'approccio che il Giudice di merito avrebbe dovuto tenere, infatti, più che valutare la sussistenza o meno di inadempimenti contrattuali, avrebbe dovuto considerare se le opere realizzate in modo abnorme rispetto alle concessioni fatte dalla proprietaria avessero costituito o meno una illegittima invasione della proprietà della stessa. Secondo la Corte, gli accordi presi tra le parti costituivano una consentita erosione dei diritti della proprietaria ma, proprio in ragione delle concessioni, qualsiasi difformità rispetto alle opere – anche di modesta entità – costituiva una invasione della proprietà altrui e quindi un comportamento illegittimo. Per chiarire, quindi, la stessa questione può essere letta” con due diversi approcci. Dal punto di vista puramente contrattuale, un inadempimento minimo e che non crea danni non viene considerato in linea di massima tanto grave da comportare il diritto della parte non inadempiente a percepire un risarcimento o ad ottenere la riduzione in pristino di strutture immobiliari. Diversamente, invece, dal punto di vista del diritto immobiliare, la violazione dei diritti del proprietario – anche di scarsa entità – comporta l'illegittima compressione dei diritti domenicali dello stesso e determina la doverosa riduzione in pristino e l'eventuale risarcimento dei danni. Nel caso in questione, quindi, la Cassazione rimproverava alla Corte d'Appello di avere valutato la questione soltanto dal punto di vista della sussistenza o meno di un inadempimento contrattuale e la valutazione sulla entità dello stesso , quando – trattandosi di vicenda relativa a proprietà immobiliari – avrebbe dovuto incentrare la decisione sulla violazione o meno del diritto di proprietà, della disciplina delle servitù immobiliari e della disciplina delle distanze. Alla luce di tale ragionamento, quindi, la Cassazione accoglieva il settimo motivo del ricorso, dichiarava assorbiti i restanti sette e, cassata la sentenza, rinviava il giudizio alla Corte d'Appello per una nuova valutazione nel merito.

Presidente Manna – Relatore Amato Fatti di causa 1. Con scrittura privata del 13.02.1999, successivamente rifusa nell'atto pubblico del 03.01.2001, la sig.ra M.C., proprietaria di un appartamento sito in OMISSIS , ha ceduto ai sigg.ri D.M.D. E I.A. il diritto di superficie sottostante il giardino della propria abitazione, consistente nel diritto di realizzare un garage avente le dimensioni e caratteristiche approvate dal Comune di Salerno, con esclusione della realizzazione di vedute, salvo una feritoia. 2. La sig.ra M.C. si doleva dell'inadempimento nell'esecuzione dell'opera, poiché i sigg.ri D.M. e I. avrebbero realizzato un garage dalle dimensioni difformi da quelle concordate e aperto una finestrella verso il giardino di sua proprietà, in spregio a quanto pattuito tra le parti. La sig.ra M.C., pertanto, con atto di citazione notificato il 07.11.2006 conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno i sigg.ri D.M.D. e I.A. chiedendo, previo accertamento dell'inadempimento contrattuale e della violazione delle prescrizioni normative in tema di diritti reali e distanze, la condanna dei convenuti all'eliminazione del vano finestrino e della tettoia, nonché al ripristino dell'altezza del garage e delle quote delle rampe di accesso al locale contrattualmente stabilite. 2.1. Costituitisi in giudizio, i convenuti chiedevano il rigetto della domanda principale e formulavano domanda riconvenzionale di condanna all'eliminazione della veranda realizzata dall'attrice nella parte retrostante al garage, poiché essa limitava l'aerazione del locale dei convenuti, e perché costruita in spregio alle dovute distanze dalla feritoia del locale. 3. Il Tribunale di Salerno , con sentenza n. 385 del 16.10.2010, in accoglimento della domanda principale, condannava i convenuti al ripristino dell'altezza del garage e delle quote delle rampe di accesso al locale in conformità alle prescrizioni indicate nel progetto approvato con la concessione edilizia n. OMISSIS e nell'atto pubblico del 03.01.2001 rigettava la domanda riconvenzionale avanzata dai convenuti. 4. Avverso la sentenza di prime cure proponevano appello i sigg.ri D.M. e I., deducendo che nel corso della realizzazione dell'opera si era reso necessario procedere ad una variante al fine di consentire l'effettiva fruibilità del garage. Secondo gli appellanti, non sarebbe perciò prospettabile un inadempimento grave, tale da giustificare la violazione dell'accordo intervenuto tra le parti né sarebbe prospettabile la risoluzione del medesimo accordo, in virtù dell'inserimento di una clausola contrattuale apposta nella sola ipotesi di impossibilità di realizzazione dell'opera. 4.1. Costituitasi in sede di gravame, la sig.ra M.C. chiedeva il rigetto dell'appello principale e proponeva appello incidentale in merito alla chiusura della finestrella aperta dagli appellanti sulla parete di fondo del garage. 5. La Corte d'appello di Salerno, con sentenza n. 1066/2017 pubblicata il 30.10.2017, in accoglimento del gravame principale proposto dai sigg.ri D.M.D. e I.A., riformava la sentenza impugnata e rigettava la domanda formulata dalla sig.ra M. accoglieva l'appello incidentale della sig.ra M.C. in merito alla riduzione in feritoia della finestrella aperta nella parete posteriore del locale. 5.1. La Corte riteneva dimostrata dagli appellanti la materiale impossibilità di eseguire l'opera conformemente all'accordo intervenuto tra le parti e la non imputabilità della suddetta irrealizzabilità. Sulla scorta, poi, delle risultanze della CTU considerava l'inadempimento di modesta entità, avuto riguardo all'equilibrio delle rispettive prestazioni e alla causa contrattuale. 6. La sig.ra M.C. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado. I sigg.ri D.M.D. e I.A. resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. 7. Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, come inserito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 , senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale. Ragioni della decisione 1. Il ricorso si articola in otto motivi. 1.1. Con il primo motivo di gravame la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell' art. 111 Cost. , comma 6, art. 132 c.p.c. , comma 1, n. 4 e art. 156 c.p.c. , comma 2, in relazione all' art. 360 c.p.c. , nn. 3 e 4. Segnatamente, il deducente censura la contraddittorietà della sentenza nella parte in cui i Giudici di seconde cure da un lato riconoscono la conclamata impossibilità di esecuzione dell'opera in conformità all'accordo intercorso tra le parti e la non imputabilità dell'inadempimento agli odierni controricorrenti dall'altro considerano di modesta entità le variazioni apportate da questi ultimi all'originario progetto, con ciò formulando un giudizio inconciliabile con quello della materiale irrealizzabilità. 1.2. Con il secondo motivo la ricorrente censura l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1256 e 2697 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, ovvero il travisamento della prova, per aver la Corte distrettuale ignorato il dato probatorio inequivoco rappresentato dalla CTU svolta in primo grado, che ha negato l'impossibilità di esecuzione del progetto, riconoscendo esclusivamente l'esistenza di difficoltà esecutive tali da non inficiare la realizzabilità dell'opera. Con ciò i Giudici di seconde cure avrebbero omesso di esaminare un fatto decisivo ai fini della controversia, poiché l'acclarata realizzabilità dell'opera avrebbe negato l'esonero da responsabilità dei convenuti per inadempimento contrattuale. 1.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, nonché violazione di legge, artt. 1353 e 1360 c.c. , in relazione all'art. 360, n. 3. Con scrittura integrativa del contratto del 13.03.1999, le parti avevano convenuto la risoluzione dello stesso in caso di sopravvenuta impossibilità di realizzazione dell'opera concordata secondo la ricorrente, l'esame del suddetto documento avrebbe portato i Giudici di secondo grado a concludere in favore della risoluzione del contratto per irrealizzabilità dell'opera, con conseguente impossibilità per i sigg.ri D.M. e I. di realizzare un progetto difforme da quello previsto e tale da incrementare la proprietà superficiaria loro attribuita, in spregio al diritto dominicale della sig.ra M 1.4. Con il quarto motivo la deducente censura la violazione di legge, artt. 1256,1325,1346,1418 c.c., in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3. Secondo la tesi della ricorrente, invero, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere applicabile al caso di specie l' art. 1256 c.c. , che prevede l'estinzione dell'obbligazione quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diviene impossibile, in ragione dell'assenza di elementi probatori dimostrativi della sopravvenuta impossibilità della prestazione. Trattandosi, invece, di impossibilità della prestazione iniziale, dovuta alla pretesa irrealizzabilità del progetto, la deducente sostiene che i Giudici di secondo grado avrebbero dovuto dichiarare la nullità del contratto ex art. 1418 c.c. , con conseguente reintegrazione della sig.ra M. nei suoi diritti dominicali attraverso l'eliminazione del manufatto. 1.5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell' art. 1350 c.c. , comma 1, nn. 2 e 12, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per aver valorizzato nel contesto motivazionale della decisione la circostanza che la sig.ra M. non si sarebbe opposta alla comunicazione con la quale gli odierni controricorrenti avevano addotto l'impossibilità di realizzare l'opera alle condizioni contrattualmente previste. Secondo la ricorrente, invero, la mancata risposta alla comunicazione non potrebbe valere a confermare l'irrealizzabilità dell'opera o ad accettare la variazione al progetto, rimanendo essa irrilevante ai fini contrattuali, in virtù del disposto normativo che prescrive la forma scritta ad substantiam per eventuali modifiche del contratto di cessione di diritti reali. 1.6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, ossia l'intervenuta opposizione della sig.ra M. alle varianti al progetto. Segnatamente, i Giudici di secondo grado avrebbero omesso di esaminare la circostanza che il supposto assenso prestato dalla sig.ra M. alle varianti al progetto sia stato, in realtà, smentito dal contenuto di una lettera redatta dai difensori degli odierni controricorrenti, dalla quale emergerebbe, al contrario, l'opposizione espressa dalla ricorrente alle variazioni nella realizzazione dell'opera. 1.7. Con il settimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 952,955 e 1218 e 2697 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Si censura, in particolare, il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui i Giudici di secondo grado hanno escluso l'inadempimento degli odierni controricorrenti in ragione della modesta entità delle varianti che, qualora non poste in essere nella fase di realizzazione della costruzione, avrebbero precluso lo scopo contrattuale. Secondo la deducente, la Corte distrettuale avrebbe errato nel valutare esclusivamente l'idoneità in sé dell'opera realizzata, senza considerare la circostanza per la quale l'estensione del diritto di superficie attribuito ai controricorrenti in conseguenza della realizzazione di un'opera difforme dalle condizioni contrattualmente previste ha determinato la lesione e compressione dei diritti dominicali della ricorrente. Sostiene, dunque, la ricorrente che nel caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione il principio dell'esatta prestazione in materia di adempimento contrattuale ai sensi dell' art. 1218 c.c. , con la conseguenza che il manufatto doveva corrispondere esattamente a quello del progetto originario, e non invadere la restante proprietà della sig.ra M 1.8. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 948,949,952,955 e 1218 c.c. , violazione del giudicato ex art. 2909 c.c. , violazione ex art. 112 c.p.c. , in riferimento all' art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3 e 4, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, per aver la Corte territoriale ignorato la circostanza, già oggetto di dibattito nelle precedenti fasi di giudizio, dell'usurpazione della restante proprietà della M. per effetto della costruzione del manufatto, in spregio delle dimensioni contrattualmente concordate tra le parti. 2. Il settimo motivo è fondato. La doglianza propone preliminarmente il problema della qualificazione del contratto di costituzione dello ius aedificandi questione di ermeneusi negoziale, la cui soluzione compete al giudice di merito, valutando l'effettiva volontà delle parti, desumibile innanzitutto da elementi testuali tra i quali non ultimo, il nomen iuris attribuito dalle parti , ma anche da elementi extratestuali, tra i quali la forma dell'atto Cass. sez. U., 30.04.2020, n. 8434 . D'altra parte, la realizzazione della proprietà superficiaria può essere il frutto non soltanto dell'alienazione di un bene già esistente, separatamente dal suolo, ma - come nel caso di specie - anche della concessione del diritto di costruire sotto il suolo altrui. Nel caso di specie, non sembra essere messa in dubbio dalla Corte territoriale la natura reale del diritto di edificazione di un garage nella superficie sottostante il giardino della sig.ra M., acquistato dai sigg.ri D.M. e I. mediante atto pubblico. E' pur vero che il diritto di superficie sorto convenzionalmente, prima con scrittura privata e poi con atto pubblico soggetto a trascrizione, quale diritto di godere del bene edificato sotto il suolo, delimita il diritto di proprietà della sig.ra M. nel suo corollario dell'accessione facoltà edificatoria insita nel diritto di proprietà sul suolo ma tale limitazione deve pur sempre essere realizzata entro i limiti dell'interesse concreto della proprietaria. Stante, dunque, la natura reale di tale diritto di superficie, esso è sottratto all'autonomia privata e alle regole generali che governano il diritto delle obbligazioni sono le clausole contrattuali attraverso le quali il diritto reale è stato costituito a definire i limiti e le condizioni per l'esercizio dello ius aedificandi. Orbene, dalla lettura complessiva del rapporto negoziale intercorso tra le parti, così come operata dalla Corte d'appello, emerge che - la ricorrente aveva ceduto agli odierni resistenti la facoltà edificatoria sotto il suolo del giardino di sua proprietà corpo di fabbrica , conservando la proprietà esclusiva dell'area sovrastante e dell'area sottostante al pavimento del corpo di fabbrica - il diritto di superficie così costituito prevedeva la realizzazione di un garage le cui dimensioni, anche in altezza, erano quelle previste nel progetto iniziale approvato dalla ricorrente - trattandosi della costituzione di diritto reale minore, l'onere della forma scritta avrebbe dovuto essere rispettato, ex art. 1350 c.c. , comma 1, nn. 2 e 12, anche nell'ipotesi - effettivamente verificatasi - di ricorso a necessarie variazioni, seppur minime e dovute ad esigenze tecnico-esecutive, rispetto al progetto originario. Pertanto, ha errato la Corte territoriale nel valutare l'inadempimento dei resistenti alla luce delle norme che regolano il rapporto obbligatorio, escludendone la gravità e l'imputabilità, mentre avrebbe dovuto ragionare dell'entità della violazione del diritto dominicale della ricorrente, causata dalla realizzazione del locale garage in difformità rispetto alle pattuizioni intercorse, trattandosi di un rapporto inerente la costituzione di un diritto reale su cosa altrui. In altri termini ciò di cui si controverte è se l'attività edificatoria degli odierni controricorrenti sia o non rispettosa del generale dovere di astensione che grava sui terzi, e tali devono considerarsi tra loro le parti del presente rapporto, una volta eseguita, col pagamento del corrispettivo, l'unica prestazione derivante dal contratto. La realizzazione del garage sotterraneo nel rispetto delle previsioni del contratto rappresenta il limite quantitativo del diritto di superficie ceduto, oltre il quale vi sarebbe stata invasione della proprietà dell'odierna ricorrente. 3. Il ricorso è accolto. Restano assorbiti tutti gli altri motivi. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa con rinvio alla stessa Corte d'Appello in diversa composizione.