Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in assenza di convivenza tra l’imputato e la vittima?

La Corte di Cassazione risponde a questo quesito, individuando il concetto di famiglia e di convivenza in una dimensione più ristretta, quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale o, comunque su una continuativa condivisione dell’abitazione.

Un uomo veniva condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia e lesioni , nei confronti della sua ex compagna con quale aveva convissuto in passato e ricorreva per Cassazione sulla base di due motivi di doglianza. Merita accoglimento secondo il Collegio il secondo motivo del ricorso, con il quale l'imputato deduceva l'intervenuta prescrizione del delitto a lui ascritto, sul presupposto della configurabilità del reato, fino al momento della cessazione della convivenza della coppia. Sia in primo che in secondo grado, i giudici avevano escluso la prescrizione del reato, ritenendo che fosse configurabile anche in assenza di convivenza tra l'imputato e la vittima. Ritiene invece la Corte di Cassazione che vada fatta un'analisi più puntuale sulla questione e pertanto ha affermato che il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici art. 14, preleggi , immediato precipitato dal principio di legalità art. 25, Cost. , nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'ambito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell' art. 572 c.p. , di intendere i concetti di famiglia e di convivenza nell'accezioni più ristretta quella, cioè di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza di affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugo o di parentela o, comunque su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi, ma comunque circoscritti . Sulla base di questo principio, occorre pertanto che sia il giudice a verificare il rapporto di convivenza , per capire se il reato sia o meno estinto per prescrizione. Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ritiene che nel caso in esame, ci sia la configurabilità di un diverso reato atti persecutori , in quanto è stata riscontrata l'assenza di rapporti di convivenza tra l'autore a la vittima al momento dei fatti.

Presidente Di Stefano – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. B.D., attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Brescia del 15 novembre 2021, che ne ha confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti in danno di Bi.A.l., con la quale aveva convissuto ed aveva generato una figlia, e per quello di lesioni volontarie nei confronti della medesima e del padre di lei, Re., entrambi costituitisi nel processo come parti civili. 2. Il ricorso consta di due motivi. 2.1. Con il primo, si lamenta il travisamento delle prove testimoniali a discarico, che, se valutate correttamente, avrebbero condotto ad escludere l'abitualità delle condotte, l'esistenza dei due episodi aggressivi denunciati dalle vittime, l'indole irascibile dell'imputato ed il suo disinteresse verso la figlia. 2.2. Con il secondo, si deduce l'intervenuta prescrizione del delitto di maltrattamenti, sul presupposto della configurabilità del medesimo, semmai esistente, fino al momento della cessazione della convivenza della coppia, avvenuta nel luglio dell'anno 2011. 3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'inammissibilità del ricorso. 4. Hanno depositato argomentate conclusioni scritte e note spese i difensori delle parti civili, chiedendo la conferma della sentenza impugnata. 5. Ha depositato memoria e conclusioni scritte la difesa ricorrente, insistendo per l'accoglimento dell'impugnazione. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso non può essere ammesso, risolvendosi nella contestazione della valenza dimostrativa degli elementi di prova valorizzati in sentenza, di cui si assume la soccombenza rispetto a quelli addotti a discarico di questi ultimi, tuttavia, il ricorso si limita a riproporre, in sintesi e per stralcio, i contenuti, senza però misurarsi con le argomentazioni logiche poste dalla Corte distrettuale a sostegno del proprio giudizio pag. 7 s., sent. . La doglianza, dunque, si presenta generica nonché funzionale ad ottenere dalla Corte di cassazione un giudizio di merito, che pere non le compete, potendosi in questa sede censurare soltanto l'omessa valutazione od il fraintendimento palese del complessivo dato probatorio, che sia tale da disarticolare, sul piano logico, la ricostruzione dei fatti compiuta in sentenza. Dunque, non rilevandosi un siffatto vizio nel provvedimento sottoposto a scrutinio, lo stesso, sotto il profilo in esame, si sottrae a censura. 2. Non così, invece, con riferimento al secondo motivo di ricorso, in punto di momento consumativo del delitto di maltrattamenti, con i correlati riflessi sull'eventuale decorso del relativo termine di prescrizione. Entrambi i giudici di merito hanno escluso la prescrizione del reato, ritenendo che lo stesso sia configurabile anche in assenza di convivenza tra l'autore e la vittima delle relative condotte e richiamando, a loro sostegno, alcuni precedenti di un robusto indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità. Secondo il Collegio, però, si tratta di una lettura normativa che merita una riflessione ulteriore. 2.1. Frutto dello sforzo dell'interprete di ampliare lo spettro di tutela per soggetti tipicamente vulnerabili, poiché vittime di condotte prevaricatrici che maturano nell'àmbito di rapporti affettivi, dai quali hanno naturale difficoltà a sottrarsi, essa deve ora misurarsi con i numerosi passi avanti in tal direzione compiuti dalla legislazione più recente, a cominciare dal D.L. n. 11 del 2009 , conv. dalla L. n. 38 del 2009 , che ha introdotto il delitto di atti persecutori art. 612 bis c.p. , e dalla stessa L. n. 172 del 2012 , che esteso la platea dei soggetti passivi del delitto di maltrattamenti alla persona comunque convivente senza altro aggiungere. In tal senso, non può obliterarsi l'espresso monito di recente rivolto dalla Corte costituzionale al giudice penale, affinché rimanga aderente al testo normativo, correndo altrimenti il rischio di violare il divieto di analogia in malam partem che caratterizza le norme incriminatrici. Chiamato a pronunciarsi ex professo su una questione di rito, sorta all'interno di un processo per tal specie di condotte, il Giudice delle leggi ha affidato all'interprete il compito di stabilire se relazioni affettive - per così dire non tradizionali in quel caso si trattava di un rapporto sentimentale protrattosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro possano farsi rientrare nelle nozioni di famiglia o di convivenza , alla stregua dell'ordinario significato di queste espressioni. Ma, immediatamente dopo, ha ammonito che, in difetto di una tale dimostrazione, l'applicazione dell' art. 572 c.p. , in casi siffatti - in luogo dell' art. 612 bis c.p. , comma 2, che pure contempla espressamente l'ipotesi di condotte commesse a danno di persona legata da relazione affettiva all'agente - apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico , ma comunque preclusa dall' art. 25 Cost. , comma 2 Corte Cost., sentenza n. 98 del 2021 . 2.2. Tale sollecitazione è stata raccolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, alla quale il Collegio intende dar seguito. In ipotesi soltanto apparentemente differenti da quella in esame - poiché caratterizzate dal comune denominatore dell'assenza di un rapporto familiare o di convivenza tra autore e vittima al momento dei fatti - questa Sezione ha infatti ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamenti, bensì l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398, con la precisazione per cui, terminata la convivenza, vengono meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento ed ancora Sez. 6, n. 9653 del 16/02/2022, P., Rv. 283120 Sez. 6, n. 10626 del 16/02/2022, L., Rv. 283003 . In conclusione, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici art. 14 preleggi , immediato precipitato del principio di legalità art. 25Cost. , nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'ambito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell' art. 572 c.p. , di intendere i concetti di famiglia e di convivenza nell'accezione più ristretta quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti . 3. In applicazione di tale principio, è compito del giudice di merito verificare fino a quando il rapporto di convivenza , così definito, si sia protratto tra l'imputato e la Bi., rilevando, all'esito di tale indagine di fatto, a quale fattispecie incriminatrice debbano ricondursi le condotte accertate e, di conseguenza, se il reato così individuato si sia o meno estinto per prescrizione, anche in considerazione di eventuali sospensioni del decorso del relativo termine, non evincibili dalla sentenza impugnata. Quest'ultima dev'essere perciò annullata con rinvio, onde consentire al giudice di merito di compiere i necessari accertamenti in fatto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.