Anche se la compensatio lucri cum damno è eccezione in senso lato è onere di chi la invoca dimostrarne il fondamento

La natura di eccezione in senso lato della compensatio lucri cum damno non esime chi la invoca di dimostrarne il fondamento in caso di giudizio di rinvio a seguito di cassazione del provvedimento la lacuna probatoria non può essere colmata perché trattasi di un giudizio a istruzione chiusa.

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 27736/2022 depositata il 22 settembre u.s., si pronuncia in tema di compensatio lucri cum damno e ne definisce gli oneri probatori. Il fatto. L'attrice conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce il Ministero della Sanità per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti per l'aver contratto il virus HCV a seguito della somministrazione di alcune emotrasfusioni negli anni 70 presso l'Ospedale di Gallipoli. L'attrice specificava di aver preso atto della propria positività al virus solo dopo aver effettuato specifici esami di laboratorio. Il convenuto si costituiva in giudizio eccependo la prescrizione del diritto, ma comunque il Tribunale di Lecce rigettava la domanda rilevando che nel 1978 la scienza medica non era in grado di prevenire il rischio di contagio. L'attrice ricorreva alla Corte d'Appello territoriale, evidenziando l'intervenuto indennizzo ai sensi della legge 210/1992 e l'illogicità del dictum di primo grado. In effetti, il Collegio di seconda istanza riteneva sussistente la responsabilità del Ministero e, previo scomputo delle somme già percepite a titolo di indennizzo, accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria. L'attrice ricorreva per Cassazione e, in quella sede, veniva enunciato il principio di diritto secondo cui l'eccezione della compensatio lucri cum damno è da ritenersi in senso lato, come tale rilevabile dal giudice, il quale, ai fini dell'acquisizione della prova, può far riferimento a tutte le risultanze del giudizio e anche a quelle intervenute in corso di causa. Tuttavia – precisava la Corte di legittimità – presupposto per la compensatio è che la somma da scomputare sia stata corrisposta e, soprattutto, sia determinata o determinabile nell'ammontare. Riassunto il giudizio dinanzi alla Corte d'Appello, il Ministero produceva la documentazione attestante l'intervenuto indennizzo. Tuttavia, la Corte d'Appello di Lecce riteneva inammissibile tale produzione documentale, vertendosi in un giudizio di rinvio in cui erano maturate le preclusioni processuali . Avverso tale provvedimento ricorre il convenuto, lamentando l'erronea applicazione da parte del Collegio territoriale dei principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione in punto di acquisizione probatoria da parte del giudice sulla scorta della natura di eccezione in senso lato della compensatio lucri cum damno . I motivi di ricorso sono infondati. La Sesta Sezione della Suprema Corte rileva l'infondatezza delle censure sollevate dal Ministero della Salute, attraverso un interessante iter argomentativo. Con l'ordinanza in commento, nello specifico, la Corte di legittimità afferma che la natura di eccezione in senso lato della compensatio lucri cum damno non esime chi la invoca di dimostrarne il fondamento in caso di giudizio di rinvio a seguito di cassazione del provvedimento la lacuna probatoria non può essere colmata perché trattasi di un giudizio a istruzione chiusa. L' art. 394 c.p.c. , infatti, contempla il giudizio di rinvio come fase processuale ad istruttoria cristallizzata , eccetto che la nuova produzione documentale non sia giustificata da fatti sopravvenuti, o da esigenze istruttorie connesse all'annullamento o all'impossibilità di precedente produzione per causa di forza maggiore. Pertanto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della ricorrente.

Presidente Amendola – Relatore Scrima Fatti di causa B.R. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecce, il Ministero della Sanità, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti per aver contratto il virus dell'HCV a seguito della somministrazione di alcune emotrasfusioni nel giugno del 1973 e nel novembre 1976, presso l'ospedale di omissis . Precisò l'attrice di aver avuto contezza di essere affetta da Epatite cronica C solo a seguito di specifici esami di laboratorio. Si costituì il convenuto eccependo la prescrizione del diritto fatto valere dall'attrice, l'inammissibilità della domanda - per aver la B. percepito l'indennizzo ex L. n. 210 del 1992 - e la sua infondatezza, tenuto conto della data delle trasfusioni. Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 475 del 2006, depositata il 13.02.2006, rigettò l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Salute convenuto e, con sentenza definitiva n. 872 del 2011, depositata il 29.04.11, rigettò la domanda sul rilievo che le trasfusioni in seguito alle quali l'attrice aveva contratto il virus erano state eseguite anteriormente al 1978 e, quindi, in un'epoca in cui la scienza medica non aveva raggiunto le necessarie conoscenze sull'infezione da epatite B, in base alle quali non poteva farsi risalire la conoscenza del virus dell'HCV ai fini preventivi. Avverso la sentenza di primo grado B.R. propose gravame cui si oppose il Ministero deducendo di aver corrisposto l'indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992. Con sentenza n. 51 del 19 dicembre 2015, la Corte di appello di Lecce, ritenendo sussistente una responsabilità omissiva colpevole del Ministero e disponendo lo scomputo delle somme già erogate a titolo di indennizzo - sulla base della considerazione che tali somme fossero facilmente determinabili - dalle somme liquidate a titolo risarcitorio, accolse parzialmente l'impugnazione, condannò il Ministero appellato al risarcimento in favore dell'appellante del danno non patrimoniale, liquidato complessivamente in Euro 88.804,00, da cui doveva detrarsi l'indennizzo ex L. n. 210 del 1992 , alla stessa già corrisposto, oltre accessori, dispose la parziale compensazione delle spese di quel grado di giudizio nella misura di un terzo, ponendo a carico del Ministero i residui due terzi, nonché le spese per la c.t.u. effettuata in primo grado. Avverso la decisione di secondo grado la B. propose ricorso per cassazione, cui resistette con controricorso il Ministero della Salute. Questa Corte, con ordinanza n. 21967 del 3 settembre 2019, accolse il ricorso per quanto di ragione, con riguardo al secondo e al quinto motivo, e lo rigettò in relazione ai motivi primo, terzo, quarto e sesto quest'ultimo relativo alla mancata liquidazione del danno morale , con assorbimento del settimo motivo cassò la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. In particolare questa Corte con l'ordinanza appena richiamata nel rigettare la censura proposta al riguardo -. precisò che l'eccezione di compensatio lucri cum damno si dimostra correttamente proposta anche per la prima volta in sede di appello. Per le ragioni connesse all'entità del danno da risarcire, essa si pone come eccezione in senso lato, vale a dire non in termini di adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma di mera difesa in ordine all'esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato ed e', come tale, rilevabile dal giudice, il quale, per determinarne l'esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell'acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio, e così anche a quelle successivamente intervenute in corso di causa v. Sez. 6 - 3, Sentenza n. 20111 del 24/09/2014 . E in relazione ai motivi accolti attinenti alla compensabilità delle due poste risarcitorie, di cui una rimasta incerta nel suo esatto ammontare , osservò che Detta compensazione mediante scomputo dall'importo residuale dovuto non potrebbe certamente operare qualora l'indennizzo indicato dalla legge non sia stato corrisposto, ovvero non sia quanto meno determinato o determinabile nel suo preciso ammontare. Difatti, l'astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo e un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l'esatto ammontare. Ne' potrebbe soccorrere, a tal fine, il carattere predeterminato delle tabelle indicate nella legge di riferimento per individuare, in mancanza di dati specifici della cui prova è onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso importo da portare in decurtazione dal risarcimento Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 20909 del 22/08/2018 . Pertanto, la censura inerente all'erronea applicazione della norma di cui all' art. 1242 c.c. , per avere il giudice operato la compensazione tra due poste, di cui una rimasta incerta, è fondata . La B. riassunse il giudizio dinanzi alla Corte di appello di Lecce, chiedendo di applicare il principio di diritto affermato nell'ordinanza suindicata, con condanna del predetto Ministero al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 88.804,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sino al soddisfo, con vittoria di spese di tutti i gradi da liquidarsi in favore del procuratore anticipatario. Il Ministero della Salute si costituì rappresentando che questa Corte, con la già più volte richiamata ordinanza, aveva evidenziato che l'unico ostacolo alla concreta operatività del meccanismo di compensazione tra indennità conseguita e risarcimento del danno riconosciuto giudizialmente fosse costituito dall'assoluta incertezza ed indeterminabilità dell'indennizzo, il che non sussisteva nella specie, atteso che la B. aveva dichiarato di aver conseguito l'indennità ex L. n. 210 del 1992 , e che, con verbale della CMO di Taranto del 3.05.2003, la patologia contratta era stata giudicata ascrivibile alla categoria della Tabella A del D.P.R. n. 834 del 1981 , dalla domanda amministrativa. Il Ministero produsse, comunque, in quella sede di rinvio, documentazione attestante la quantificazione e la liquidazione dell'indennizzo ex L. n. 210 del 1992 , e chiese il rigetto dell'appello. La Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 908/2021, depositata il 12.08.2021, ritenuta inammissibile tale produzione documentale, vertendosi in un giudizio di rinvio nel quale erano maturate le preclusioni processuali, accolse la domanda per quanto di ragione e condannò il Ministero della Salute al risarcimento del danno in favore di B.R., liquidato in Euro 88.804,00, oltre interessi legali da computarsi sulla somma devalutata alla data della domanda e annualmente rivalutata in base agli indici ISTAT, sino alla pubblicazione di quella sentenza e per il periodo successivo, sino al saldo sulla somma complessiva compensò al 30% le spese di tutti i gradi del giudizio e condannò il Ministero al pagamento del restante 70% di tali spese, con distrazione al procuratore anticipatario. Avverso tale decisione della Corte di merito il Ministero della Salute ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, cui ha resistito B.R. con controricorso illustrato da memoria. La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, l'Amministrazione ricorrente deduce la Violazione e falsa applicazione dell' art. 384 c.p.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3. Violazione del principio di diritto affermato dal Giudice di legittimità . Sostiene il ricorrente che questa Corte, con ordinanza n. 21967/2019, dopo aver ribadito la natura di eccezione in senso lato dell'istanza di compensatio lucri cum damno ed averne definito i criteri applicativi, avrebbe consentito al giudice di merito di fare riferimento, per l'esatta determinazione del danno risarcibile, a tutte le risultanze del giudizio, anche a quelle successivamente intervenute in corso di causa. Ad avviso del ricorrente, dichiarando inammissibile la produzione documentale volta a provare la corresponsione e la quantificazione dell'indennizzo ex L. n. 210 del 1992 nei confronti della B., la Corte di merito avrebbe, quindi, violato il principio di diritto affermato da questa Corte. 2. Con il secondo motivo di ricorso, il Ministero della Salute denuncia la Violazione dei principi in materia di compensatio lucri cum damno violazione dell' art. 2043 c.c. , nonché degli artt. 1223 e 2056 c.c. , in tema di determinazione del quantum dovuto per risarcimento dei danni violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. , violazione della L. n. 210 del 1992, artt. 1 - 3, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 . Secondo la tesi del ricorrente, la decisione della Corte territoriale si porrebbe in contrasto con la natura di eccezione in senso lato della domanda di compensatio lucri cum damno e con l'esigenza, cui la stessa sarebbe preordinata, di delimitare l'ambito del pregiudizio risarcibile, nonché di impedire che un medesimo evento possa determinare, nei confronti dello stesso soggetto, una duplicazione dell'obbligazione di pagamento. Assume, altresì, il ricorrente che la compensatio in parola, rientrando nell'attività difensiva, sarebbe proponibile anche in grado di appello ed anche in sede di giudizio di rinvio ovvero sarebbe rilevabile d'ufficio, in quanto con essa non verrebbe prospettato un ampliamento dell'iniziale oggetto della controversia, pur sempre circoscritto alla valutazione globale delle conseguenze nella sfera economica del danneggiato unico ostacolo alla concreta operatività del meccanismo della compensazione in parola, starebbe nell'assoluta incertezza ed indeterminabilità dell'indennizzo, non ricorrenti nella specie, nemmeno alla luce degli elementi già acquisiti al giudizio e prima della fase di rinvio , avendo la Corte di merito, già nella decisione annullata da questa Corte, ritenuto incontestato il fatto storico che la B. avesse ricevuto l'indennizzo. 3. I due motivi di ricorso ben possono essere esaminati congiuntamente, attenendo entrambi, sostanzialmente, alla corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte con l'ordinanza n. 21967 del 2019 in tema di compensatio lucri CUM damno con riferimento alla specifica fattispecie all'esame e alla questione della natura dell'eccezione della compensatio in parola, alla luce dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità al riguardo. 3.1. Questa Corte, con l'ordinanza di rinvio n. 21967/2019, ha preso le mosse dalle pronunce delle Sezioni Unite nn. 12564, 12565 e 12566 del 22/05/2018, che hanno chiarito che in tutti i casi in cui sia una norma legislativa ad attribuire un vantaggio collaterale il giudice della responsabilità civile non potrebbe procedere, tout court, ad effettuare l'operazione compensativa o di defalco, perché in tal modo egli vanificherebbe il senso più profondo della previsione normativa costituente il titolo dell'attribuzione, che risiede nell'assunzione da parte della generalità dei consociati del carico di determinati svantaggi subiti dal o dai soggetti danneggiati, non essendo tollerabile per il sistema premiare indirettamente chi si è comportato in modo negligente sì da alleggerirne la posizione debitoria e che, in questa materia, è il criterio del nesso causale a fungere da reale argine all'operare dello scomputo da compensatio. Conseguentemente, il criterio causale da applicare è orientato a far sì che il risarcimento copra tutto il danno cagionato, ma eviti in pari modo che lo si oltrepassi, non potendo esso costituire né un vantaggio per il danneggiante, né una fonte di arricchimento per il danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l'illecito come l'ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così anche occorre tener conto degli eventuali effetti vantaggiosi ex lege che il fatto dannoso ha provocato a favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione del risarcimento. Per delineare tale criterio di selezione, occorre muoversi guardando alla funzione di cui il beneficio collaterale si rivela essere espressione, per accertare se esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento, sicché la prospettiva non e', quindi, quella della coincidenza formale dei titoli, ma quella del collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale e l'obbligazione risarcitoria pertanto, il beneficio non è computabile in detrazione con l'applicazione della compensatio solo allorché trovi la sua fonte altrove e nell'illecito solo un coefficiente causale. L'ordinanza di rinvio ha pure osservato che, proprio ragionando negli stessi termini indicati dalle Sezioni Unite con le richiamate pronunce, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che, pur avendo il diritto al risarcimento del danno natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria erogata ex lege al soggetto infettato, nell'ambito del giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della Salute per omessa adozione delle dovute cautele in materia di emoderivati infetti, l'indennizzo eventualmente già corrisposto può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno stabilito in via giudiziale, venendo altrimenti la vittima del sinistro a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo, dove la prima elargizione prescinde dall'accertamento di un fattore di colpa nella condotta, mentre la seconda richiede l'accertamento di tale ultimo elemento Cass. 14/03/2013, n. 6573 , Cass., 24/9/2014, n. 20111 Cass. 20/1/2014, n. 991 Cass. 22/08/2018, n. 20909 . Ed infatti l'indennizzo previsto dalla legge speciale di riferimento non ha una natura propriamente previdenziale, rimanendo strettamente collegato alla causa del danno, e non è esclusivamente connesso ad un peculiare fondamento solidaristico, ma è essenzialmente connotato dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel danneggiato per effetto dell'illecito, e ciò a prescindere dalla prova della negligenza della struttura sanitaria in cui ha ricevuto il trattamento di emodialisi. A tal fine l'indennizzo viene calcolato sulla base di un accertamento del nesso causale tra danno epatico e trasfusione, nonché della relativa percentuale di invalidità. Con l'ordinanza n. 21967/19 rilevato che, qualora non si ammettesse lo scomputo di tale somma dall'ammontare dell'intero risarcimento dovuto, la vittima si troverebbe a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico del medesimo soggetto il Ministero due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo, questa Corte, con riferimento al caso anche ora in esame, come già riportato testualmente nella parte relativa ai fatti di causa, ha osservato che l'eccezione di compensatio lucri cum damno è stata correttamente proposta per la prima volta in appello, trattandosi di mera difesa in ordine all'esatta entità globale del pregiudizio ed e', quindi, rilevabile dal giudice che, per determinare l'esatta misura del danno risarcibile, può far riferimento, per il principio di acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio, anche a quelle intervenute successivamente in corso di causa e a tale riguardo ha espressamente richiamato Cass. 24/09/2014, n. 20111 . Da tale affermazione non può però desumersi, come sostiene il Ministero ricorrente, che la prova al riguardo possa essere fornita in sede di rinvio. Ciò anzitutto per ragioni testuali, non avendo in alcun modo l'ordinanza di rinvio fatto riferimento ad eventuali acquisizioni in sede di rinvio ma anzi, richiamando espressamente la decisione n. 20111/2014, ha ribadito, sia pure per relationem, che deve trattarsi di elementi istruttori ritualmente acquisiti v. in motivazione la decisione appena richiamata, che non si riferisce a giudizio di rinvio e in cui si afferma, per quanto qui rileva e con riguardo allo specifico riferimento operato da Cass. 21967/2019 , che A stretto rigore, peraltro, nella determinazione del danno il giudice potrebbe, nell'individuazione dell'esatta entità, fare riferimento a tutte le risultanze del giudizio, in virtù sia del principio in forza del quale ogni elemento istruttorio ritualmente acquisito concorre alla decisione a prescindere dalla parte che lo abbia addotto . . A quanto precede va pure aggiunto che questa Corte con la già più volte richiamata ordinanza n. 21967/2019 ha espressamente ritenuto fondata la censura inerente all'erronea applicazione della norma di cui all' art. 1242 c.c. per aver 11 giudice di merito operato la compensazione tra due poste di cui una rimasta incerta , rilevando che la compensazione in questione non può operare qualora l'indennizzo indicato dalla legge non sia stato corrisposto, ovvero non sia quanto meno determinato o determinabile, con la precisazione che l'astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo e un massimo, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l'esatto ammontare, e che non soccorre, a tal fine, il carattere predeterminato delle tabelle indicate nella legge di riferimento per individuare, in mancanza di dati specifici della cui prova è onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso importo da portare in decurtazione dal risarcimento. Non sussiste, quindi, la lamentata violazione del principio di diritto affermato da questa Corte con l'ordinanza che, in accoglimento parziale del ricorso, ha rinviato la causa. Peraltro la Corte di merito, decidendo nel senso già ricordato, sul rilievo dell'inammissibilità della produzione depositata dalla parte appellata in riassunzione, vertendosi in un giudizio di rinvio nel quale sono maturate le preclusioni processuali , ha correttamente statuito. Ed invero, fermo restando quanto ribadito anche con l'ordinanza 21967/2019 in relazione alla natura dell'eccezione di compensazione, va ribadito il principio che è onere di chi la invoca dimostrarne il fondamento e che, in caso di insufficienza di prova, le conseguenze ricadranno sulla parte onerata che resterà tenuta al risarcimento integrale Cass. 24/09/2014, n. 20111 e Cass., ord., 10/05/2016, n. 9434 , entrambe richiamate da Cass., 0.I., 22/06/2017, n. 15534 al cpv 5 . 5 . v. anche Cass., ord., 10/09/2019, n. 22528 . Con l'ordinanza n. 21967 del 2019, questa Cori e, censurando l'iter argomentativo svolto dalla Corte d'appello di Lecce nella sentenza n. 51 del 2015 - come già evidenziato -, ha ritenuto fondata la censura inerente all'erronea applicazione della norma di cui all' art. 1242 c.c. , per aver il giudice operato la compensazione tra due poste di cui una quella inerente alla somma per indennizzo ex L. n. 210 del 1992 rimasta incerta nel suo preciso ammontare, sicché non rileva in questa sede la deduzione del ricorrente v. ricorso p. 16 secondo cui nella decisione poi annullata in parte dalla Corte di legittimità, con la ordinanza dalla quale promana il giudizio di rinvio aveva . ritenuto incontestato il fatto storico che la B. avesse ricevuto l'indennizzo . Si rileva che questa Corte ha già avuto modo di affermare, sia pure con un obiter v. Cass., ord., 10/09/2019, n. 22528 , non massimata , che, nonostante la natura di eccezione in senso lato della compensatio lucri cum damno, la mancata dimostrazione del fondamento di tale pretesa non può essere colmata con il giudizio di rinvio che prevede un'istruzione chiusa e che, pertanto, non consente l'introduzione di elementi di fatto nuovi e diversi da quelli già prospettati nei precedenti gradi del giudizio. Al riguardo si osserva che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di rinvio, configurato dall' art. 394 c.p.c. , quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa , e', infatti, preclusa la produzione di nuovi documenti, salvo che la loro produzione non sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall'impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore Cass. 12/10/2009, n. 21587 Cass. 30/09/2015, n. 19424 Cass., ord., 18/10/2018, n. 26108 . Nel caso di specie, il Ministero ricorrente ben avrebbe potuto produrre la documentazione a fondamento dell'eccezione di compensatio lucri cum damno sino al grado di appello mentre la ricorrenza dei presupposti per poter derogare al divieto di nuove attività probatorie nel giudizio di rinvio non risulta essere stata neppure allegata. Alla luce di quanto precede, risulta che il Giudice di rinvio ha fatto buon governo dei principi di diritto affermati da questa Corte nella sua consolidata giurisprudenza e nell'ordinanza che ha disposto il rinvio, e, quindi, entrambi i motivi proposti sono infondati. 4. Il ricorso, pertanto, va rigettato. 5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, disponendosene la chiesta attribuzione in favore dell'avv. Rosalba Pindinello, dichiaratosi antistatario. 6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con attribuzione in favore dell'avv. Rosalba Pindinello, antistatario ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 , comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.