La clausola contrattuale che onera il conduttore delle imposte gravanti sull’immobile locato è legittima

La clausola di un contratto di locazione - per scopi diversi da quello abitativo - che imponga al conduttore l’onere di corrispondere le imposte gravanti sull’immobile, non è affetta da nullità per violazione di norme imperative ed in particolare del precetto costituzionale di cui all’art. 53 Cost. che dispone il concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.

Il caso. La società conduttrice di un complesso immobiliare ad uso commerciale cita in giudizio la società locatrice per la restituzione degli importi versati quali imposte sul bene locato, chiedendo che fosse dichiarata la nullità della clausola contenuta nel contratto di locazione con cui il conduttore si era fatto carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati e al contratto. Il giudice di prime cure ed il giudice di appello respingono la domanda di parte conduttrice. Viene proposto ricorso per Cassazione adducendo, tra gli altri motivi, la nullità della clausola contrattuale per contrasto con gli artt. 53 e 2 Cost. , art. 1418 c.c. e artt. 9, 41 e 79, l. n. 392/1978 in quanto veniva a riversare l' onere tributario , relativo a ICI e IMU gravanti sull' immobile locato, su un soggetto diverso da quello passivo tenuto per legge. Inoltre, si adduce che la clausola in questione veniva ad addossare al conduttore un onere accessorio violando l' art. 79, l. n. 392/1978 , che elenca tassativamente e inderogabilmente gli oneri a carico del conduttore. La decisione. La Corte esaminati i motivi di ricorso, con l'ordinanza interlocutoria n. 20340/2018, rinvia la trattazione del ricorso a nuovo ruolo avendo rilevato che la questione giuridica principale, sollevata con il primo motivo di ricorso ovvero se si possa ritenere legittima una clausola contrattuale che, nell'ambito di un contratto di locazione commerciale, preveda la traslazione sul conduttore degli oneri tributari gravanti sull'immobile era stata rimessa era stata rimessa - in un giudizio avente il medesimo petitum e tra le medesime parti - alla valutazione delle Sezioni Unite della Corte, ritenuta necessaria in quanto sul tema si era sviluppata una giurisprudenza contrastante. Con ordinanza interlocutoria n. 7504/2022, quando ormai le Sezioni Unite si sono pronunciate, è disposta la trattazione della causa. La Corte alla luce dell'identità delle questioni ad essa sottoposte rispetto alla sentenza n. 6882/2019 delle Sezioni Unite in questa rivesta fasc. 46, 2019, con nota di L.R. Corrado , rigetta il ricorso sottolineando come le Sezioni Unite abbiano ritenuto valida la clausola di un contratto di locazione ad uso commerciale così formulata i il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati ed al presente contratto. ii il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito . La legittimità della pattuizione si fonda essenzialmente sulla assenza di divieti normativi espressi e sulla causa concreta individuabile nella volontà delle parti di individuare la traslazione degli oneri tributari quale parte integrante del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore. Le questioni giuridiche affrontate dalle Sezioni Unite , le cui motivazioni sono state fatte proprie dalla Corte nella sentenza in commento, sono da un lato se l' art. 53 Cost. , in quanto norma imperativa, rappresenti un limite assoluto ed inderogabile all'autonomia negoziale anche in assenza di norme tributarie specifiche che vietino la traslazione degli oneri tributari. Dall'altro lato la necessità di ribadire i corretti canoni interpretativi cui il giudice si deve attenere quando chiamato a valutare la validità di una clausola contrattuale. Sotto il primo profilo la Corte ritiene che l' art. 53 Cost. che fissa il principio della capacità contributiva secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva , ha la finalità di affermare, non solo il principio che tutti coloro i quali siano titolari di una capacità contributiva devono concorrere alle spese pubbliche, ma anche e soprattutto il principio secondo cui il sacrificio economico derivante dal pagamento deve essere sopportato dal soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l'obbligazione, e non da altri Cass., 5 gennaio 1985 n. 5 . Tuttavia, i Giudici di legittimità, richiamando una precedente sentenza delle Sezioni Unite in tema di contratto di mutuo Cass. Sez. Un. n. 6445/1985 chiariscono come il divieto posto dall' art. 53 Cost. debba essere inteso con riferimento alla sola ipotesi in cui, mediante la pattuizione, si intenda trasferire su altri l'onere dei tributi, determinando una sostituzione del soggetto passivo dell'imposta e quindi che si debbano ritenere nulli, per contrarietà all'ordine pubblico, i patti finalizzati a sottrarre in modo definitivo l'imposta al fisco. Da tale lettura discende, quindi, la legittimità di quelle clausole come quella in esame nella sentenza in commento che si pongano quale mera integrazione dell'entità complessiva del corrispettivo, costituendone una componente addizionale, a sua volta, sottoposta a tassazione, senza esonerare il percettore del reddito dall'onere fiscale in assenza di divieti legislativi specifici. Alla luce di tale chiarimento diviene, pertanto, dirimente - quando si valuta una siffatta clausola - indagare la reale intenzione delle parti mediante una lettura complessiva dell'intero contenuto contrattuale il cui accertamento, risolvendosi in una questione di interpretazione della convenzione stessa, è riservato al giudice di merito, ed è sindacabile, in sede di legittimità, solo per violazione di canoni di ermeneutica contrattuale specificamente individuati e per vizio di motivazione. Sotto tale ultimo profilo i Giudici di legittimità delle Sezioni Unite prima e della sezione terza civile dopo premettendo che il legislatore con riferimento alla locazione commerciale ha limitato l'autonomia negoziale esclusivamente con riferimento alla durata del contratto, della tutela dell'avviamento e della prelazione, lasciando le parti libere di convenire la misura del canone, la cui determinazione potrebbe anche dipendere dalla previsione di oneri accessori, hanno altresì rilevato che egualmente non sussiste alcun motivo per cui parte del canone non possa determinarsi trasferendo in capo al conduttore il peso economico delle imposte derivanti dall'immobile . In conclusione, secondo La Suprema Corte la clausola, oggetto di esame, è pienamente legittima in quanto ha una funzione integrativa rispetto al canone come correttamente ritenuto anche dalle Corti di merito che hanno considerato la ragion pratica dell'accordo o causa concreta e della volontà complessivamente manifestata dalle parti ex art. 1362 e 1363 c.c. .

Presidente Frasca – Relatore Scrima Fatti di causa S.S.C. omissis S.r.l. agì in giudizio nei confronti di omissis S.r.l. per ottenere la restituzione di quanto alla stessa versato in virtù della clausola 7.2. di un contratto di locazione ad uso commerciale di un complesso immobiliare sito in omissis , stipulato il 18 dicembre 2003, la quale prevedeva la traslazione di oneri tributari, assumendone la nullità. Secondo tale clausola Nel corso dell'intera durata del presente contratto i Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi, il il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito . Il Tribunale di Torino S.S.C. rigettò la domanda. La Corte di appello di Torino confermò la decisione di primo grado. Avverso la sentenza di secondo grado S.S.C. omissis S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memorie. omissis S.r.l. ha resistito con controricorso, pure illustrato da memorie. Con ordinanza interlocutoria n. 20340/18, all'esito della pubblica udienza del 25 maggio 2018, rilevato che la principale questione giuridica prospettata con il ricorso, relativa alla legittimità della clausola di un contratto di locazione che preveda la sostanziale traslazione sul conduttore di oneri tributari relativi all'immobile locato, era stata già rimessa alla Sezioni Unite di questa Corte ordinanza di rimessione n. 28437 del 28 novembre 2017 nel procedimento NRG. 1466/2016 in una controversia tra le medesime parti riguardante un contratto di locazione analogo a quello per cui è causa, in cui era inserita clausola del tutto identica a quella di cui si discute nel presente giudizio, è stata rinviata a nuovo ruolo la trattazione del ricorso in attesa della decisione delle Sezioni Unite sul ricorso NRG 1466/16. Con ordinanza interlocutoria n. 7504 del 2022, la causa, già fissata per l'adunanza camerale del 20 ottobre 2021, è stata rinviata a nuovo ruolo disponendosene la trattazione della causa in pubblica udienza. Fissato per l'udienza pubblica del 7 giugno 2022, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020 , senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale. Il P.G., in prossimità della Camera di consiglio, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del terzo motivo del ricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme di cui all' art. 1362 c.c. , commi 1 e 2, e art. 1363 c.c. , per non avere la Corte di appello applicato i canoni di ermeneutica contrattuale previsti da dette disposizioni, ritenendo che, con la clausola di cui all'art. 7.2 i del contratto, le parti abbiano voluto pattuire una componente integrante il canone di locazione e non un onere accessorio a carico del conduttore o, comunque, un vantaggio, diverso dal canone, a favore del locatore. Secondo la ricorrente la Corte di merito avrebbe scelto consapevolmente di ignorare sia il nomen iuris attribuito dalle parti alla prestazione patrimoniale dedotta all'art. 7.2. i del Contratto e, quindi, l'interpretazione letterale e sistematica della clausola , sia il comportamento delle parti successivo alla stipula del contratto di ineludibile valenza interpretativa, giungendo quindi ad un'interpretazione del Contratto fondata su criteri inconoscibili e oscuri, in nome di una pretesa ma evidentemente inesistente oggettività ed evidenza di significato, che non trova però alcun riscontro nel tenore letterale del Contratto, né nell'analisi della comune volontà dei contraenti . 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione delle norme di cui al combinato disposto dell' art. 1418 c.c. , comma 3, e della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 79,41 e 9, per aver erroneamente ritenuto la Corte d'Appello che l'art. 7.2 i del Contratto, nello stabilire l'obbligo del conduttore di rimborsare al locatore le tasse e le imposte, relative ai beni locati, previste a carico del locatore, non imponga al conduttore un onere accessorio e, quindi, non si ponga in contrasto con le predette disposizioni della L. n. 392 del 1978 , che vietano di porre a carico del conduttore di immobili ad uso non abitativo oneri accessori diversi da quelli tassativamente elencati nell'art. 9 e, comunque, di attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni della medesima legge . Ad avviso della ricorrente, quanto affermato dalla Corte di merito per escludere il dedotto profilo di nullità della clausola in parola per contrasto con le previsioni di cui alla L. n. 392 del 1978 - il trattarsi cioè di parte del canone e non di oneri accessori - si risolverebbe in una interpretazione sostanzialmente abrogativa e quindi in patente violazione degli artt. 79, 41 e 9 della predetta Legge, dalla combinata applicazione dei quali, come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità, discenderebbe, da un lato, che la L. n. 392 del 1978 , distinguerebbe nettamente il canone di locazione e gli oneri accessori diversi dal canone addossati al conduttore e, dall'altro, che nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, anche se il canone può essere liberamente determinato dai contraenti, non è consentito al locatore di pretendere il versamento di ulteriori somme, pur previste dal contratto, che non abbiano giustificazione nel sinallagma contrattuale o che non trovino la loro causa giustificativa in prestazioni accessorie e diverse dal mero godimento dell'immobile, risultando le relative pattuizioni dirette ad attribuire al locatore illegittimi vantaggi in contrasto con la menzionata legge. La ricorrente contesta l'affermazione della Corte territoriale secondo cui quanto previsto dalla clausola in questione non abbia ad oggetto oneri accessori sostiene che il fatto che dette spese non dipendano dall'uso del bene non costituirebbe affatto un'evidente riprova del fatto che non si tratti di oneri accessori rappresenta che gli oneri tributari di cui alla clausola 7.2 i sono oneri mutevoli non ricompresi nella L. n. 392 del 1978, art. 9, e, quindi, soggetti al vaglio di compatibilità con l'art. 79 deduce, infine, che se è vero che il canone può essere liberamente determinato dai contraenti, non è consentito al locatore di pretendere il versamento di ulteriori somme che non hanno giustificazione nel sinallagma contrattuale, con la conseguenza che le relative pattuizioni incorrerebbero nella sanzione di nullità prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 79 . Conclusivamente, ad avviso della ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto accogliere lo specifico motivo di appello proposto dall'attuale ricorrente e dichiarare nulla la clausola per violazione delle norme indicate in rubrica. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione delle norme di cui al combinato disposto dell' art. 1418 c.c. , comma 3, e della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 79 e 32, per aver la Corte d'appello, pur considerando l'art. 7.2 i del contratto quale indicante una parte del canone, erroneamente ritenuto che esso non si ponga in contrasto con le predette disposizioni della L. n. 392 del 1978 , che vietano le pattuizioni che prevedono una variazione del canone diversa dall'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della medesima Legge. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha affermato che Anche la tesi per cui il canone dev'essere di importo fisso e non variabile in funzione di parametri esterni oggettivi cui le parti abbiano inteso riferirsi costituisce una tesi dell'appellante che non trova riscontro nella norma e che non è affatto vietata alla libera contrattazione delle parti . Sostiene la ricorrente che tale affermazione sarebbe errata in quanto la Corte territoriale, ponendosi in contrasto con le norme imperative della L. n. 392 del 1978 , già richiamate, non avrebbe considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora si reputi lecita la previsione all'atto della stipula del contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo di un canone variabile nel corso del rapporto, affinché tale pattuizione sia valida non è sufficiente che essa faccia riferimento a parametri esterni oggettivi ma è necessario che la variazione prevista dipenda da elementi predeterminati e idonei ad influire sul sinallagma contrattuale. Ed invece nel caso all'esame, ad avviso della ricorrente, la clausola in questione avrebbe lo scopo di legittimare un aumento del canone di ammontare assolutamente imprevedibile - in quanto soggetto alla legislazione in materia di imposte e tributi - rispetto all'importo del canone pattuito dalle parti e da esse precisamente determinato nel contratto e a tale imprevedibile aumento del canone non corrisponderebbe alcun ampliamento della controprestazione a carico della locatrice inoltre, ove si volesse considerare l'art. 7.2 i come indicante una componente del canone di locazione, tale pattuizione incorrerebbe comunque nella sanzione di nullità prevista dalla legge in quanto volta non già all'aggiornamento del canone in base ai criteri di legge, aggiornamento già espressamente pattuito, all'art. 5 del contratto, bensì ad attribuire al locatore veri e propri imprevedibili aumenti del canone idonei a determinare squilibri nel sinallagma contrattuale, realizzando così proprio l'effetto che le norme indicate mirerebbero ad impedire. 4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell' art. 1418 c.c. , comma 1, con riferimento all' art. 53 Cost. , in collegamento con l' art. 2 Cost. , per avere la Corte d'appello ritenuto che l'art. 7.2 i del contratto non violerebbe il principio costituzionale di contribuzione alla spesa pubblica in ragione della e non oltre la propria capacità contributiva affermato dalle predette norme inderogabili. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe escluso la violazione delle norme indicate nella rubrica in totale spregio dei principi affermati dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 6445/1985. Pur non negando che, a partire dall'arresto appena richiamato, la giurisprudenza di legittimità si sia consolidata nel senso di non ritenere la nullità per violazione di norme imperative delle clausole traslative di imposta nei contratti di mutuo, la ricorrente evidenzia che ciò non significa che sia conforme a Costituzione la clausola in questione relativa ad un contratto di locazione. In particolare la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia effettivamente verificato che sussistano, nel caso all'esame, i presupposti enucleati dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 6445/1985 necessari per accertare la compatibilità della clausola in parola con gli artt. 53 e 2 Cost. , compatibilità che va verificata di volta in volta qualora ci si trovi al cospetto di clausole diverse da quelle proprie dei contratti di mutuo esaminati dalle S.U. in quella sede. Assume la ricorrente che, secondo il richiamato arresto, una clausola avente ad oggetto la traslazione palese di un'imposta non è da considerarsi nulla solo se a sia funzionale ad integrare il prezzo della prestazione negoziale e, quindi non si affianchi al sinallagma già perfetto né abbia ad oggetto il tributo in quanto tale ma una somma di pari importo, b non sia diretta a sottrarre un contraente al carico tributario sullo stesso gravante per legge. Denuncia che la Corte di merito non avrebbe verificato o avrebbe comunque erroneamente verificato la sussistenza di entrambi i requisiti enucleati dalle S.U. necessari per affermare la compatibilità di una clausola traslativa d'imposta con le inderogabili norme costituzionali in tema di concorso dei privati nella spesa pubblica. Deduce che, nel ritenere che il riferimento alle imposte costituisce un mero criterio di determinazione del canone per relationem, e non ha attinenza con la capacità contributiva, il conduttore non contribuisce alla spesa pubblica al posto del locatore, semplicemente gli versa un canone maggiore, e riferirsi, nella determinazione di questo, a un dato esterno come il carico fiscale che grava sul locatore in conseguenza del possesso degli immobili non è certamente vietato , la Corte territoriale non avrebbe considerato a che la clausola 7.2 i del contratto non ha la funzione di integrare il prezzo della prestazione negoziale, in quanto da un lato essa sarebbe estranea al sinallagma proprio del contratto di locazione, perfetto nel rapporto tra godimento del bene e pagamento del canone, dall'altro, essa avrebbe l'evidente funzione di addossare al conduttore una spesa o un costo inerente al bene locato e quindi oneri distinti anche concettualmente dal canone di locazione, del tutto fuori dal sinallagma contrattuale b la clausola avrebbe ad oggetto direttamente il tributo, tanto è vero che Meterore ha sempre rifatturato a SSC i tributi pagati come rimborso di somme anticipate per conto della locataria senza assoggettarle all'IVA come se il tributo gravasse direttamente su SSC. In relazione poi all'ulteriore requisito dell'esclusione dell'effetto sgravante del carico tributario perseguito dalla clausola in questione, rappresenta che la Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare che il fatto che il locatore non abbia fatturato parte del canone si risolve in una violazione fiscale da parte dello stesso ma tale errore o violazione non trasforma in illecito ciò che è certamente lecito, così considerando tale profilo irrilevante ai fini del giudizio di validità della stessa laddove l'effetto perseguito dalla clausola di sottrazione del locatore agli oneri tributari sarebbe cruciale per il giudizio di validità della medesima come affermato da Cass. S.U. 6445/85 . Evidenzia, infine, che la clausola in questione non riguarderebbe la traslazione di un'imposta sui redditi ma la traslazione di un'imposta patrimoniale che il legislatore ha inteso addossare a determinati soggetti che abbiano con l'immobile oggetto del tributo un particolare legame indice di una specifica capacità contributiva, meritevole di tassazione. Sostiene che una clausola come quella in parola avrebbe l'effetto di garantire, in contrasto con l' art. 53 Cost. , come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, la neutralità fiscale di un soggetto con riferimento a tributi collegati ad un diverso presupposto d'imposta il patrimonio e chwe la medesima clausola, unitariamente considerata, avrebbe il senso di un'inammissibile ripartizione pattizia tra le parti degli oneri tributari gravanti per legge sul solo locatore, con conseguente violazione, sotto entrambi i profili evidenziati da SU n. 6645/85, dell' art. 53 Cost. , in collegamento con l' art. 2 Cost. . 5. Le Sezioni Unite di questa Corte, nell'esaminare, in sostanza, le questioni poste dal primo motivo di ricorso sottoposto al loro scrutinio con il ricorso NRG 1466/2016, del tutto omologo al primo motivo del presente ricorso - con cui la ricorrente ha lamentato l'interpretazione della clausola in parola e contestato la validità della stessa, questioni, queste, poste principalmente con il primo motivo ma sottese anche agli altri mezzi proposti - hanno reputato ben espletato in iure il procedimento esegetico, considerando in definitiva ben sussunta la fattispecie concreta alla stregua delle norme esegetiche invocate sia in quella che in questa sede e hanno conclusivamente pure affermato il principio così ufficialmente massimato La clausola di un contratto di locazione nella specie, ad uso diverso , che attribuisca al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore, non è affetta da nullità per contrasto con l' art. 53 Cost. , configurabile quando l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e conto del primo - qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge Cass., sez. un., 8/03/2019, n. 6882 . In particolare, con la richiamata sentenza, interamente condivisa da questo Collegio, le Sezioni Unite, esaminando congiuntamente i motivi sottoposti al loro scrutinio - pressoché identici a quelli formulati in questa sede, salvo per la parte in cui si denuncia la violazione della L. n. 392 del 1978, art. 32 d'altronde è la stessa ricorrente ad affermare v. memoria datata 5 ottobre 2021, p. 11 che le S.U. hanno esaminato un caso identico a quello ora in scrutinio - hanno osservato che - atteso il tenore della riportata clausola contrattuale i Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto ii il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito , nella specie, diversamente da quanto ha costituito oggetto dei casi esaminati da questa Corte nelle evocate sentenze n. 5 del 1985 e n. 6445 del 1985, oggetto della clausola in argomento sono non già le imposte dirette gravanti sulla locatrice bensì meramente quelle gravanti sull'immobile e inerenti allo stipulato contratto - trattandosi di contratto stipulato nel novembre del 2003 si evidenzia che il contratto di cui si discute nella presente causa è stato stipulato nel dicembre 2003, quindi trattasi di situazione del tutto analoga a quella esaminata dalle S.U. non viene in rilievo l'INVIM, istituita con D.P.R. n. 643 del 1972 in particolare quella decennale D.P.R. n. 643 del 1972, ex art. 3, comma 1 , il cui art. 27, prevedeva la nullità di qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l'onere dell'imposta - è invece applicabile l'I.C.I., introdotta a decorrere dal 1993 D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1 , poi sostituita a decorrere dall'aprile 2012 dall'I.M.U. D.Lgs. n. 23 del 2011 , le cui relative discipline non contemplano invero norma analoga a quella di cui al sopra richiamato del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 27 - la questione del patto traslativo d'imposta non espressamente vietato da specifiche norme di legge rimane invero estranea alla normativa comunitaria, attenendo alla mera disciplina interna come risulta confermato in particolare da Corte Giust., 16/1/2014, n. 226 C - 226/12 e da Corte Giust., 6/11/2011, n. 398 C - 398/09 , ove tale patto si è ritenuto di per sé non in contrasto con la normativa comunitaria, potendo assumere viceversa rilievo in caso di violazione di altri principi o norme, come ad esempio nell'ipotesi in cui esso determini un abusivo squilibrio nei contratti dei consumatori o integri l'abuso del diritto in ordine al quale v. Corte Giust., 21/2/2006, C 255/02 . Le Sezioni Unite hanno quindi passato in rassegna i precedenti arresti di Cass. 5/01/1985, n. 5 attribuito alle Sezioni Unite ma pronunciato in realtà dalla Prima sezione Civile e Cass., sez. un., 18/12/1985, n. 6445 rimarcando che - il primo, nel considerare inammissibile il patto traslativo d'imposta, in quanto idoneo a consentire al soggetto tenutovi per legge di giovarsi dei vantaggi e dei benefici della vita associata sottraendo la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di perequazione , ha considerato in termini generali vietato e nullo ai sensi dell' art. 1418 c.c. , comma 1, e per contrasto con l' art. 53 Cost. qualunque patto con il quale un soggetto, ancorché senza effetti nei confronti dell'erario, riversi su altro soggetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d'imposta e dal cosiddetto contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti d'imposta diretta che di imposta indiretta - il secondo ha diversamente affermato che il patto traslativo d'imposta e' nullo per illiceità della causa contraria all'ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito , il che si verifica nelle ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualità tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, né recuperato dal sostituto medesimo, sicché effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente e non anche nell'ipotesi in cui l'imposta è stata regolarmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco, allorquando cioè l'obbligazione di cui si stipula l'accollo non ha per oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente , ma riguarda una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la funzione di integrare il prezzo della prestazione negoziale . Con la pronuncia n. 6882 del 2019 le Sezioni Unite hanno evidenziato che già nel 1985, con la sentenza n. 6445 se, per un verso, hanno avvertito la necessità di mantenere fermo il discorso di fondo sulla portata dell' art. 53 Cost. , e sulla sua attitudine a porsi come norma imperativa preclusiva di atti negoziali che ne comportino l'elusione , dall'altro, hanno nell'occasione evidenziato come sia la rivalsa a rendere invero neutrale la tassazione in testa al sostituto, presentandosi come un credito del medesimo verso il contribuente pari alla somma di cui egli è debitore verso il fisco e che ha già corrisposto , concludendo che soltanto una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita, comporterebbe l'effetto di alterare immediatamente e direttamente il carico tributario perché il patrimonio del contribuente non verrebbe inciso, non verificandosi da parte sua quell'esborso verso il fisco che realizza il doveroso carico tributario e non presentandosi qui con effetto compensativo l'incremento tassabile che ne consegue poiché tale ulteriore tassazione non vale a ripristinare il vuoto contributivo da cui è conseguito l'aumento di reddito, non essendo omologhe le situazioni in raffronto . Le S.U. hanno pure evidenziato che, con la sentenza n. 6445 del 1985, hanno osservato che con il contratto di locazione qui in esame le parti, sia pure con due distinte clausole contrattuali, hanno voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti, rappresentate l'una dalla parte espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione contenuta nell'art. 4 e l'altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della domanda di nullità qui azionata art. 7.2. i . Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 6882 de 2019 hanno pure sottolineato che il principio affermato da Cass., Sez. Un., n. 6445 del 1985 , condiviso dalla dottrina maggioritaria, ha successivamente ricevuto sostanziale costante conferma da parte di questa Corte, venendo a costituire principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità v. Cass. 3/6/1991, n. 6232 , con riferimento al contratto di mutuo Cass. 25/3/1995, n. 3577 , relativamente all'imposta sulla pubblicità Cass. 27/11/1999, n. 13261 , in tema di intestazione fiduciaria di azioni Cass. 29/11/2004, n. 22369 , in ordine a contratto di locazione di immobile ad uso diverso da abitazione contemplante canone comprensivo anche degli oneri accessori Cass. 18/11/2009, n. 24307 , in tema di imposta sulla pubblicità Cass. 25/2/2015, n. 3770 , relativamente a contratto di mutuo Cass. 8/2/2016, n. 2412 , in ordine a rapporto concessorio inerente alla gestione dei parchimetri di Roma , essendo stata solamente in qualche pronunzia, in tema di imposte dirette, affermata la nullità dell'accollo delle imposte dovute sul reddito Cass., sez. un., 23/4/1987, n. 3935 , Cass., sez. un., 26/6/1987, n. 5652 , Cass., 29/5/1993, n. 6037 . Sulla base delle considerazioni sopra riportate le Sezioni Unite, con la sentenza n. 6682 del 2019 hanno quindi ritenuto - con riferimento alla fattispecie sottoposta al loro scrutino si ribadisce, del tutto analoga a quella cui si riferisce il ricorso all'esame infondate le doglianze mosse dalla ricorrente e inidonee a revocare in dubbio la correttezza della soluzione raggiunta nel 1985 alla quale hanno ritenuto doversi dare ulteriore conferma. Le Sezioni Unite con la sentenza più recente richiamata hanno rilevato, tra l'altro, che - la clausola contrattuale di cui all'art. 7.2 in argomento è stata nell'impugnata sentenza in quella sede intesa come prevedente un'ulteriore voce o componente la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinarne l'ammontare complessivo a tale titolo dovuto dalla conduttrice - tale clausola è correttamente interpretata dalla Corte di merito, alla stregua dei principi posti a fondamento del suindicato consolidato orientamento, in particolare là dove tale giudice ha riguardato la clausola in parola alla stregua del complessivo tenore del contratto, sottolineando che tale pattuizione in realtà trae origine dalle negoziazioni intercorse tra le parti, sfociate nell'operazione di sale and lease back in cui si inserisce il rapporto di locazione per cui è causa . Le Sezioni Unite hanno infine sottolineato che correttamente la corte di merito ha nell'impugnata sentenza interpretato la clausola contrattuale in argomento alla luce della ragione pratica dell'accordo e del contratto, in coerenza con gli interessi che le parti hanno cioè nel caso specificamente inteso tutelare mediante lo stipulato contratto v. Cass., 22/11/2016, n. 23701 , convenzionalmente determinando la regola volta a disciplinare il loro rapporto negoziale art. 1372 c.c. e che trattandosi di canone di locazione ab origine realmente pattuito, risulta nel caso non integrata la violazione del divieto posto all'art. 79 L. Loc., anche alla stregua dell'interpretazione offertane dalla recente pronunzia di queste Sezioni Unite ove si è affermato essere insanabilmente nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, a prescindere dall'avvenuta registrazione v. Cass. Sez. U. 9/10/2017, n. 23601 . 6. Alla luce di quanto sopra evidenziato e dell'interpretazione della clausola in questione operata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 6882/2019 si evidenzia che in relazione alla medesima clausola, sia pure con riferimento a diverso contratto tra le stesse parti, si è pronunciata in senso conforme anche Cass., 28/06/2019, n. 17453 , le doglianze formulate con il primo motivo sono infondate. 7. L'esito dell'esame del primo motivo assorbe lo scrutinio degli altri mezzi proposti, in essi compreso il terzo, non condividendo il Collegio quanto dedotto sul punto dal P.G. infatti, l'operata condivisione delle valutazioni delle Sezioni Unite esclude qualsiasi possibilità di apprezzare la vicenda in esame in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 9, e, quindi, di riflesso, all'art. 79 della stessa Legge. 8. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. 9. Le spese del giudizio di cassazione ben possono essere interamente compensate tra le parti, essendo l'ultimo arresto delle Sezioni Unite richiamato in motivazione intervenuto solo successivamente alla notifica del ricorso all'esame. 10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 , comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2022.