La S.C. sulla liquidazione dei compensi dell’avvocato

La Corte di Cassazione ritorna ad occuparsi di una causa relativa al pagamento dei compensi dell’avvocato per l’attività professionale svolta a favore di un cliente che voleva ottenere il risarcimento del danno a seguito di un sinistro stradale.

Un avvocato conveniva in giudizio un uomo per sentirlo condannare al pagamento dei compensi relativi all' attività professionale svolta in sua difesa, ottenendo l'accolgimento del Tribunale. L'uomo, in Appello, deduceva che il Tribunale avesse errato nella determinazione del quantum riconosciuto all'avvocato. Con il principale motivo del ricorso il cliente dell'avvocato denuciava il fatto che nella liquidazione degli onorari del cliente, potesse aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risultava manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile. Andrebbero pertanto esclusi dal computo gli interessi e la rivalutazione monetaria medio tempore maturati. Il motivo è infondato, dal momento che, se è vero che è necessario dare prevalenza, ai fini della determinazione del valore della controversia, al criterio del decisum in luogo di quello del disputatum, è anche vero che in un caso come quello in esame, il decisum , con riguardo alla controversia complessivamente considerata, non può essere che quello del giudice dell'impugnazione, in virtù dell'effetto sostiutivo tipico dell'Appello. Da questo punto di vista risulta pertanto irrilevante che la prestazione per la quale l'avvocato invochi il compenso sia solo quella relativa al giudizio di primo grado, proprio perché una volta intervenuta la condanna di secondo grado, il relativo importo deve considerarsi quello che già il giudice di prime cure avrebbe dovuto riconoscere.

Presidente Manna - Relatore La Battaglia Motivi in fatto ed in diritto della decisione 1. Con ricorso ex art. 28 della L. n. 794/1942, l'avv. B. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, V.L., per sentirlo condannare al pagamento dei compensi relativi all'attività professionale svolta, in sua difesa, nel processo di primo grado dallo stesso V. intentato per il risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente stradale giudizio al quale ne era stato riunito un altro, instaurato dal R.F., terza trasportata sul suo ciclomotore . Il Tribunale, disposto il mutamento del rito in ordinario, accolse la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 8.836,11 in favore dell'avvocato. Propose appello il V., deducendo che il Tribunale aveva errato nel riferirsi, ai fini della determinazione del valore della causa, alla somma riconosciutagli dalla sentenza d'appello, nonostante la domanda dell'avv. B. fosse circoscritta ai compensi dovutigli per l'attività spiegata nel primo grado di giudizio dinanzi al Tribunale di S.M.C.V. che non erano state detratte, dal quantum riconosciuto all'avvocato, le somme da costui incassate direttamente dalla parte soccombente comprese quelle di c.t.u., in realtà anticipate dal V. che erroneamente era stato ritenuto non provato il versamento di acconti per Lire 8.000.000 e l'accordo tra le parti volto a limitare l'ammontare dei compensi alle sole somme liquidate dal giudice. La Corte d'Appello di Napoli confermò la decisione di primo grado in ordine alla necessità di prendere in considerazione il decisum della Corte d'appello, ai fini dell'individuazione del valore della controversia, accogliendo, invece, il motivo afferente alla necessità di scomputare, dai compensi dovuti all'avvocato, quanto da questi incassato in qualità di antistatario dalla parte soccombente nel giudizio ad esclusione delle spese di c.t.u., per le quali - a dire dei giudici di secondo grado - l'appellante aveva fatto riserva di recupero in separata sede . Dichiarava inammissibili, invece, i motivi finalizzati a una rivisitazione della parcella posta a base della domanda , ritenendola questione mai sollevata dall'odierno appellante in primo grado, e che non può, pertanto, essere esaminata per la prima volta in grado d'appello . Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso V.L L'avv. B. è rimasto intimato. 2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.M. n. 585 del 1994, art. 6, comma 2, e del D.M. n. 392 del 1990, art. 6, comma 2, ovvero le due tariffe professionali, succedutesi nel tempo, in base alle quali è stato calcolato il compenso dell'avv. B. , i quali dispongono che nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile . Da tale statuizione sarebbe dato desumere - secondo il ricorrente - un principio implicito secondo il quale il valore della controversia dovrebbe essere autonomamente determinato con riferimento a ciascun grado di giudizio, in modo da salvaguardare l'adeguatezza e proporzionalità della remunerazione rispetto all'effettivo vantaggio patrimoniale conseguito o conseguibile dal cliente per mezzo della prestazione professionale. A tal fine andrebbero esclusi dal computo, inoltre, gli interessi e la rivalutazione monetaria medio tempore maturati, contemplati nel precetto notificato dall'avv. B. alla parte soccombente, al fine di porre in esecuzione la sentenza d'appello di cui s'è detto. 3. I restanti tre motivi sono proposti per violazione dell' art. 112 c.p.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 4. Con il secondo si denunzia che la Corte d'appello ha omesso di pronunciarsi sulla deduzione, contenuta nell'atto d'appello, per cui, anche per la fase del processo successiva alla riunione con l'altra causa, il parametro di riferimento per l'individuazione del valore della controversia de qua sarebbe dovuto rimanere immutato mentre invece il primo giudice aveva dato rilevanza al valore della causa riunita, precedentemente intentata dalla R. . 4. Con il terzo motivo di ricorso, il V. censura la pronuncia impugnata per avere omesso di pronunciarsi sul motivo concernente l'irrilevanza probatoria della nota-spese depositata dal professionista, e la conseguente necessità che costui, a fronte della contestazione del cliente, dimostrasse puntualmente le attività concretamente svolte, per le quali intendeva essere remunerato. Sul punto, erronea deve considerarsi, secondo il ricorrente, la statuizione di inammissibilità del motivo d'appello, dal momento che le questioni in esame erano state ritualmente sollevate nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, oltre che nella memoria ex art. 183 c.p.c. , comma 6, n. 1, e comunque integravano eccezioni in senso lato o mere difese , competendo - in ogni caso - al giudice, investito della domanda di liquidazione del compenso, accertare entità e tipologia delle prestazioni svolte dall'avvocato, onde procedere alla relativa liquidazione. 5. Il quarto motivo di ricorso si appunta, infine, sull'omessa pronuncia in ordine alla compensazione impropria del credito azionato dall'avvocato con quello spettante al V. per il rimborso della somma pari ai 2/3 di quella liquidata dal giudice, stante la parziale compensazione ex art. 92 c.p.c. , comma 2 incassata dal difensore antistatario a titolo di spese di c.t.u. spese che, in realtà, nel corso del processo erano state anticipate del V. medesimo, e non dall'avv. B. . La formulazione, nell'atto d'appello, di una riserva di successivo recupero di tale somma si spiegava con la circostanza che, secondo i calcoli dell'appellante, egli era già creditore di Euro 0,58 nei confronti del legale, sicché, in mancanza di un rapporto di debito/credito reciproco, un problema di compensazione all'interno del presente processo non si sarebbe potuto nemmeno porre. Tuttavia, il rigetto da parte della Corte d'appello del primo motivo di impugnazione aveva fatto sì che residuasse un credito del B. nei confronti del V., di modo che, a quel punto, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto pronunciarsi in ordine alla suddetta eccepita. 6. Il primo motivo di ricorso è infondato, dal momento che, se è vero che come ampiamente illustrato dal ricorrente è necessario o comunque possibile dar prevalenza, ai fini della determinazione del valore della controversia, al criterio del decisum in luogo di quello del disputatum si vedano Cass., Sez. Un., n. 19014/2007 Cass., n. 19520/2015 Cass., n. 3903/2016 , è pur vero che, in un caso come quello in esame in cui la sentenza di secondo grado abbia riconosciuto all'appellante una somma maggiore di quella tributatagli dal primo giudice, il decisum, con riguardo alla controversia complessivamente considerata, non può che essere quello del giudice dell'impugnazione, in virtù dell'effetto sostitutivo tipico dell'appello. Da tale angolo visuale, è irrilevante, dunque, che la prestazione per la quale l'avvocato invochi il compenso sia solo quella relativa al primo grado di giudizio, proprio perché, una volta intervenuta la condanna di secondo grado, il relativo importo deve considerarsi quello che già il giudice di prime cure avrebbe dovuto riconoscere, ove non fosse incorso negli errori successivamente emendati dal giudice di secondo grado. 7. Il ricorso merita accoglimento, invece, in relazione al secondo e al quarto motivo. Sotto il primo profilo, non v'è traccia, infatti, nella sentenza impugnata, di qualsivoglia statuizione in merito alla questione dell'autonomia della causa intentata dal V. rispetto all'altra successivamente riunita sempre ai fini della determinazione del valore del processo , benché la stessa fosse stata ritualmente sollevata nell'atto di appello. Che si tratti di questione decisiva, del resto, è evidente, dal momento che l'autonoma considerazione di ciascuna delle cause successivamente riunite nello stesso processo e, dunque, del relativo decisum ridimensionerebbe sensibilmente il valore di quella instaurata dall'odierno ricorrente per i soli danni al ciclomotore. Quanto, poi, all'omissione di pronuncia in merito alla restituzione delle spese di c.t.u. liquidate direttamente in favore dell'avv. B., in qualità di antistatario, pur a fronte dell'avvenuta anticipazione da parte del V. , va senz'altro condivisa la prospettazione del ricorrente, secondo cui al riconoscimento della fondatezza della pretesa si legge, a pag. 10 della sentenza impugnata, che correttamente, dunque, il V.considera tali somme alla stregua di un indebito sarebbe dovuto seguire il relativo diffalco, una volta riconosciuto un credito di importo maggiore in capo all'avvocato. Il riferimento alla riserva di far valere il proprio credito in altra sede si spiega, infatti, unicamente con la circostanza che, all'esito del complessivo ricalcolo delle spettanze del professionista e tenuto conto delle somme asseritamente versategli medio tempore , quest'ultimo - a dire del V.- non vantasse più alcun credito nei suoi confronti, essendo destinato a venir meno ove come accaduto nel caso di specie il giudice finisca, invece, per ritenere tale credito sussistente in misura maggiore - s'intende - rispetto alla somma a sua volta pretesa dal debitore . E ciò tanto più, in quanto come emerge dalla stessa narrativa della pronuncia della Corte d'Appello di Napoli, al p. 2.4 , l'odierno ricorrente aveva espressamente chiesto di portare quella somma in compensazione rilevabile anche d'ufficio dal giudice pag. 7 della sentenza impugnata . 8. Per le ragioni sopra illustrate il ricorso merita, dunque, accoglimento, dovendo demandarsi al giudice del rinvio un nuovo ricalcolo dei compensi effettivamente spettanti all'avv. B., in relazione all'attività professionale svolta, quale difensore del V., nell'ambito del processo di primo grado di cui s'è detto. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del processo di legittimità.