Avvocato insultato nell’aula del tribunale: 500 euro di risarcimento possono bastare

Insultato dal suo stesso cliente dopo aver rifiutato di aderire alla transazione proposta dal difensore di controparte. L’avvocato dovrà accontentarsi di un risarcimento di 500 euro, cifra determinata dal giudice di merito nell’ambito del suo potere di liquidazione equitativa del danno.

La Corte d’Appello dell’Aquila confermava la decisione di prime cure di condanna del convenuto al pagamento della somma di 500 euro come risarcimento danni a favore di avvocato al quale aveva rivolto un insulto nei locali del Tribunale di Sulmona. Il legale ha impugnato in Cassazione la pronuncia ritenendo che la cifra riconosciuta non fosse adeguata alla portata dell’offesa subita. Riguardo al preteso illegittimo esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, la Corte ricorda che l’esercizio in concreto di tale potere da parte del giudice di merito non è suscettibile di censura in sede di legittimità quando la motivazione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicandone anche il percorso logico e valutativo. Nel caso di specie, l’offesa veniva considerata di lieve entità anche in riferimento al contesto in cui si è verificato l’episodio l’avvocato aveva infatti appena rifiutato di aderire alla transazione proposta dal difensore di controparte e correttamente il giudice a quo ha ritenuto che l’espressione utilizzata sia stata la manifestazione della rabbia del cliente, avendo egli utilizzato un’espressione generica idonea a manifestare il proprio astio e non tanto ad attribuire al legale particolari qualità negative. In conclusione, escludendo ogni dubbio sulla legittimità della motivazione del provvedimento impugnato, la Corte rigetta il ricorso.

Presidente Valle – Relatore Dell'Utri Rilevato in fatto che con sentenza resa in data 8/7/2021 n. 1104/2021 , la Corte d'appello di L'Aquila ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato D.G.R. al pagamento, in favore di C.V. , dell'importo di Euro 500,00 a titolo di risarcimento dei danni, per avere il D.G. leso l'onore e la reputazione del C. apostrofandolo, nella sua qualità di professionista, all'interno dei locali del Tribunale di Sulmona, con l'espressione avvocato di cazzo a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come l'appello proposto dal C. avverso l'importo della liquidazione risarcitoria riconosciuta in proprio favore non fosse fondato, avendo il primo giudice correttamente contenuto l'entità di tale risarcimento in considerazione della natura dell'offesa, palesemente generica, idonea più a prestarsi ad una vaga manifestazione di astio che non ad una forma di attribuzione, al professionista, di particolari qualità negative avverso la sentenza d'appello, C.V. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d'impugnazione D.G.R. resiste con controricorso a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all'odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. C.V. ha depositato memoria. Considerato in diritto che con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1226 e 2043 c.c. , per avere i giudici del merito erroneamente esercitato il proprio potere di liquidazione equitativa del danno alla persona, avendo riconosciuto in favore dell'attore un importo a titolo risarcitorio meramente simbolico, palese sproporzionato e incongruo rispetto all'entità dell'offesa subita con il secondo motivo, il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 4, per avere il giudice d'appello dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione assunta, nella specie argomentata in modo contraddittorio e irriducibilmente lacunoso entrambi i motivi - congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione - sono manifestamente infondati osserva sul punto il Collegio come, con riguardo al preteso illegittimo esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale l'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito cfr. Sez. 3, Sentenza n. 24070 del 13/10/2017, Rv. 645831 - 01 nella specie, il giudice a quo, nell'aver legato la determinazione dell'importo liquidato alle circostanze costituite dall'avvenuta pronuncia dell'offesa, da parte del D.G. , immediatamente dopo il rifiuto del Colaiacomo di aderire alla transazione proposta dal difensore della controparte, e dalla conseguente connotazione, in termini di tenue intensità, dell'elemento psicologico a fondamento dell'offesa atteso il relativo carattere maggiormente legato alla rabbia provata per la mancata accettazione della transazione che non alla volontà di offendere la persona del C. , risulta aver dato conto in modo sufficientemente congruo del peso specifico attribuito ad ognuno degli indici valorizzati, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito cfr., sul punto, Sez. 3, Sentenza n. 22272 del 13/09/2018, Rv. 650596 - 01 in particolare, con specifico riguardo alla doglianza concernente il preteso carattere apparente della motivazione dettata nella sentenza impugnata, varrà sottolineare come, ai sensi dell' art. 132 c.p.c. , n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del docu-mento/sentenza nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione , ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell'atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un'eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 - 01 ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d'appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, delle ragioni indicate a fondamento del contenimento dell'entità risarcitoria liquidata in favore del danneggiato, a ciò provvedendo sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica, senza che la liquidazione operato sia valsa a segnalarsi per il relativo carattere meramente simbolico o manifestamente abnorme, incongruo o sproporzionato Ìiter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base delle indicate premesse è dunque valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 5 , per avere la corte territoriale trascurato la considerazione delle specifiche modalità di commissione dell'illecito ascritto alla responsabilità di controparte, senza tener conto del contesto giudiziario e del particolare luogo, i locali di un tribunale, in cui l'offesa fu proferita il motivo è inammissibile osserva il Collegio come al caso di specie relativo all'impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12 trovi applicazione il nuovo testo dell' art. 360 c.p.c. , n. 5, quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b , conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012 , ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti secondo l'interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d'inesistenza della motivazione in sé ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile , dall'altro chiama la Corte di cassazione a verificare l'eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza rilevanza del dato testuale o dagli atti processuali rilevanza anche del dato extratestuale , che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito sicuramente diverso della controversia , rimanendo escluso che l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 - 01 ciò posto, occorre rilevare l'inammissibilità della censura in esame, avendo il ricorrente propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell'asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario in ipotesi condotto a una sicura e non già meramente probabile diversa risoluzione dell'odierna controversia osserva il Collegio, pertanto, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un'operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell' art. 345 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente giudicato tardiva la produzione, da parte dell'appellante, di pronunce giudiziarie costituenti precedenti utili ai fini della decisione, in contrasto con la relativa funzione meramente argomentativa e non probatoria il motivo è inammissibile per carenza di interesse osserva il Collegio come, al di là della correttezza del provvedimento di diniego assunto dal giudice d'appello in relazione all'ammissione della produzione relativa ai precedenti giurisprudenziali offerti dall'odierno ricorrente testi ai quali va disconosciuta la qualità di documenti” stricto sensu rilevanti ai sensi dell' art. 345 c.p.c. , l'adozione di tale provvedimento, da parte del giudice a quo, fu tale da non pregiudicare in alcun modo le prerogative di difesa della parte interessata, rimanendo quest'ultima in ogni caso pienamente abilitata ad allegare la documentazione relativa a tali precedenti giurisprudenziali alla propria comparsa conclusionale al fine di avvalersene in chiave argomentativi sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all'attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 600,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater.