Non vi è la scriminante giornalistica per le immagini lesive della dignità e riservatezza di una mamma con neonata

La diffusione delle immagini di una donna con la bambina appena nata, senza il consenso preventivo, costituisce una grave violazione della dignità e riservatezza a prescindere da ogni concreta identificazione da parte del pubblico di chi sia la persona ritratta.

SD agiva innanzi il Tribunale di Roma, in proprio e in rappresentanza della figlia minore, per far accertare la violazione dei diritti alla privacy , alla riservatezza e alla dignità della ricorrente e della neonata, entrambe esposte senza previo consenso a riprese realizzate durante il parto , avvenuto prematuramente per delle complicanze legate alla gravidanza, da parte dell'ospedale e della RAI. Le riprese erano state autorizzate dalla struttura sanitaria e realizzate materialmente da una società per conto della RAI. La SD diffidava la RAI dalla messa in onda che, tuttavia, utilizzava il materiale. Il Tribunale di Roma accoglieva la richiesta di risarcimento danni nei confronti della casa ospedaliera e della RAI respingendo le difese che per la prima escludevano la responsabilità in quanto l'attività di raccolta e pubblicazione delle immagini erano da imputare a terzi per la seconda in quanto le immagini erano state riprese da telecamere collocate nei corridoi e autorizzate dalla direzione sanitaria, inoltre le immagini erano state modificate in sede di montaggio al fine di rendere irriconoscibili la ricorrente e la neonata. La sentenza di primo grado si pronunciava affermando che La struttura sanitaria aveva una responsabilità di tipo contrattuale per essere venuta meno agli obblighi di protezione nel rapporto medico-paziente concorrendo così alla violazione della normativa sulla protezione dei dati personali La RAI concorreva alla violazione della normativa sulla protezione dei dati personali attraverso l'utilizzo e la diffusione di dati personali sensibili trattati in violazione della disciplina prevista in materia del codice privacy ante riforma D.Lgs. 101/2018 La prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento, ai sensi dell' art. 2947 c.c. , sollevata dalla RAI non trovava applicazione trattandosi di responsabilità contrattuale e pertanto la prescrizione era decennale La liquidazione in favore della ricorrente, in proprio e quale rappresentante della figlia, andava liquidata in via equitativa a titolo di danno non patrimoniale. La Suprema Corte veniva quindi investita dalle parti soccombenti che richiedevano la cassazione della sentenza di primo grado. Tra i motivi di ricorso in Cassazione, vale la pena soffermarsi sui seguenti. La RAI lamentava l'attribuzione di una responsabilità contrattuale in capo alla stessa non essendovi stato un precedente rapporto giuridico con la ricorrente in primo grado. La Cassazione ritiene il motivo fondato secondo il Tribunale sia la struttura ospedaliera che la RAI sarebbero state responsabili nei confronti della madre e della figlia in via contrattuale. Tuttavia, è la sola struttura ospedaliera a rispondere in via contrattuale poiché gravata da precisi obblighi di protezione nei confronti dei pazienti. La pubblicazione senza consenso ad opera della RAI delle riprese in esame determina comunque una violazione riconducibile alla responsabilità extracontrattuale. La RAI lamentava poi l'attribuzione da parte del Tribunale di una responsabilità solidale , nonché il rigetto dell'eccezione di prescrizione quinquennale e il fatto che dell'illecito trattamento effettuato dalla società appaltatrice autrice materiale delle riprese ne dovesse rispondere l'azienda committente. La Corte conferma come l' art. 2055 c.c. introduca una responsabilità solidale qualora il fatto dannoso sia imputabile a più persone, anche qualora sia imputabile per diversi titoli di responsabilità, contrattuale ed aquilana. Poi, sebbene le riprese siano state effettuate da terzi, l'operazione è stata ideata dalla RAI che ha poi utilizzato le immagini per una propria trasmissione televisiva, inoltre il contratto di appalto tra la società televisiva e l'impresa appaltatrice non è sufficiente ad affermare l'autonomia di quest'ultima nello svolgimento delle attività quando i poteri di ingerenza della committente siano tali da ridurre l'autonomia dell'appaltatore nell'esecuzione del contratto, come accertato dal giudice di primo grado nel caso di specie Cass. n. 11194/2019 . Quanto alla prescrizione , poi, la disciplina solidaristica di cui all' art. 1310 c.c. stabilisce che gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori . Pertanto, la SD, con l'avvio del procedimento di mediazione, aveva interrotto la prescrizione nei confronti dell'ospedale e, per effetto della disposizione di cui sopra, interrompeva il decorso del termine prescrizionale anche nei confronti della RAI quale condebitore. La RAI invoca poi la legittimità della propria condotta di raccolta e trattamento dei dati personali senza l'acquisizione del preventivo consenso stante la disciplina speciale per l'attività giornalistica e la libertà di informazione. Tuttavia, la Cassazione precisa come l'art. 137 ante riforma d.lgs. n. 101/2018 subordinava il trattamento dei dati personali all' essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico Tale requisito va inteso in maniera particolarmente rigorosa, come confermano i recenti arresti della giurisprudenza di legittimità che sostengono l'illiceità della diffusione senza previo consenso di dati inerenti alla vita privata dei soggetti interessati e aggiunge come in questo caso la pubblicazione di immagini raffiguranti una donna durante il parto ed una bambina durante i suoi primi momenti di vita, peraltro in condizioni complesse dal punto di vista medico, e il rilascio di interviste da parte del personale sanitario sulle condizioni cliniche dei soggetti interessati, non appaiono in linea con la vigente normativa in materia e con la sua interpretazione da parte della giurisprudenza. Grava sul ricorrente l'onere di provare l'essenzialità dell'informazione e l'interesse pubblico sotteso alla sua diffusione onere che, nel caso in esame, non può dirsi concretamente assolto, dato il generico richiamo alla libertà di espressione e al diritto di cronaca . Quanto al ricorso incidentale della struttura sanitaria , riteniamo di rilievo la contestazione circa l'estraneità della stessa trattandosi di attività esclusivamente riferibile alla RAI e alla società appaltatrice che materialmente si è occupata delle riprese. Infatti, a parere della struttura ospedaliera, il contratto di spedalità è stato correttamente adempiuto e la troupe televisiva è stata autorizzata imponendo precise direttive per il rispetto della privacy dei pazienti. La Cassazione ritiene il motivo infondato. Infatti, proprio dal suddetto contratto di spedalità deriva l'obbligo di garantire non solo le prestazioni propriamente medico-sanitarie, ma anche obblighi ulteriori a garanzia dei pazienti. Inoltre, rispetto all'ulteriore motivo di contestazione circa l'assenza di trattamento dati in quanto vi è stato l'intervento sulle immagini in fase di diffusione, in modo tale da rendere irriconoscibili le persone ritratte, la Cassazione conferma la violazione del divieto di trattamento in assenza di consenso da parte del soggetto interessato Né appare fondata l'argomentazione sul requisito scriminante della mancata identificabilità della persona ritratta. In questa vicenda si è in presenza di dati personali sensibilissimi e l'esposizione al pubblico del corpo di una persona che si è manifestatamente opposta a questa possibilità costituisce una gravissima violazione della sua dignità e riservatezza a prescindere da ogni concreta identificazione da parte del pubblico di chi sia la persona ritratta”.

Presidente e Relatore Bisogni Fatti di causa Con sentenza n. 12452 del 27.07.2021 il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, presentato da D.P.S., in proprio e in rappresentanza della figlia minore, L.B., nei confronti della omissis titolare dell'Ospedale omissis e nei confronti della omissis Spa, attraverso il quale era stata allegata una violazione dei diritti alla privacy, alla riservatezza e alla dignità della ricorrente e della figlia neonata, entrambe esposte senza previo consenso a riprese realizzate da una troupe televisiva durante il parto, avvenuto prematuramente per delle complicanze legate alla gravidanza. Le suddette riprese, autorizzate dalla struttura sanitaria e realizzate materialmente dalla società omissis per conto della omissis , venivano mandate in onda il omissis e l' omissis nel corso del programma televisivo omissis sul canale omissis , nonostante la formale diffida all'utilizzo del materiale inviata dal difensore della D.P. il omissis . In data omissis la ricorrente nel giudizio di merito avanzava una richiesta di risarcimento dei danni nei confronti della struttura ospedaliera, rimasta senza esito, lamentando l'insorgenza di gravi ripercussioni sul piano del benessere psico-fisico per essere stata ripresa contro la propria volontà durante un momento di forte intimità e sofferenza. In data omissis la signora D.P. promuoveva procedimento di mediazione, rimasto anch'esso infruttuoso. A seguito dell'instaurazione del giudizio di merito, la omissis , costituitasi in giudizio, eccepiva che le riprese non realizzavano in concreto alcun intralcio allo svolgimento delle prestazioni sanitarie ed affermava la propria estraneità all'attività di raccolta e pubblicazione del materiale raffigurante il parto e gli attimi successivi. A seguito dell'integrazione del contraddittorio, la parte ricorrente avanzava richiesta di risarcimento anche nei confronti della omissis , quale responsabile in solido con la struttura ospedaliera. Costituitasi in giudizio, la omissis eccepiva la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni ex art. 2947 c.c. nel merito, chiedeva il rigetto della domanda della ricorrente, in quanto le immagini pubblicate erano state riprese dalle telecamere collocate nei corridoi del reparto ospedaliero previa autorizzazione della direzione sanitaria contestava, inoltre, che le riprese potessero aver violato la privacy della ricorrente, in quanto le immagini e la voce di quest'ultima erano state opportunamente rese irriconoscibili in sede di montaggio. Il Tribunale di Roma con la sentenza impugnata a ascriveva alla struttura sanitaria una responsabilità di tipo contrattuale per essere venuta meno agli obblighi di protezione nel rapporto medico-paziente concorrendo alla violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11,18,22,23 b condannava altresì la omissis per aver concorso alla violazione delle medesime norme, attraverso l'utilizzo e la diffusione di dati personali sensibili trattati in violazione della disciplina prevista in materia dal cd. codice della privacy c rigettava l'eccezione di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento ex art. 2947 c.c. , sollevata dalla omissis per l'applicazione del termine decennale stabilito per la responsabilità contrattuale e respingeva ogni altra possibile eccezione in tema di prescrizione sostenendo la natura di reato permanente delle condotte ascritte alle parti convenute d liquidava in favore della ricorrente, in proprio e quale rappresentante della figlia minore, il risarcimento del danno non patrimoniale. La omissis Spa, con deposito in data 24.09.2021, presenta ricorso per cassazione allegando otto distinti motivi. D.P.S., in proprio e quale rappresentante della figlia minore L.B., resiste con controricorso. La omissis propone controricorso e ricorso incidentale articolato in sette motivi. La causa è stata decisa nella Camera di consiglio fissata del 5 maggio 2022 ex art. 380 bis c.p.c Le parti hanno depositato memorie difensive. Motivi dei ricorsi principale e incidentale e ragioni della decisione I Con il primo motivo la società ricorrente censura la sentenza impugnata per la violazione dell' art. 112 c.p.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, lamentando un vizio di ultrapetizione, avendo il giudice di merito condannato la OMISSIS al risarcimento dei danni in forza di una responsabilità contrattuale, mai dedotta dalla ricorrente nel corso del giudizio di primo grado, la quale, invece, adiva il giudice di merito chiedendo la condanna delle parti convenute in via extracontrattuale. Il primo motivo di ricorso è infondato. Come riconosciuto dalla giurisprudenza costante di questa Corte Cass. n. 5832/2021 n. 8645/2018 , non incorre in vizio di ultrapetizione il giudice che, fermi i fatti costitutivi della pretesa dedotta in lite, attribuisca alla fattispecie giuridica un nomen iuris diverso da quello assegnato dalle parti. Il giudice di merito, pur avendo erroneamente ascritto all'odierno ricorrente una responsabilità di tipo contrattuale si pronuncia entro i limiti del petitum e in relazione ai medesimi fatti storici controversi. Invero, l' art. 2055 c.c. , invocato dalla ricorrente nel giudizio di merito quale fondamento della responsabilità solidale in capo alla omissis , ritiene sufficiente l'unicità del fatto dannoso, prescindendo dal titolo della responsabilità Cass. n. 24405/2021 . II Con il secondo motivo di ricorso la omissis deduce la violazione o falsa applicazione dell' art. 1218 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata riconosciuto alla società ricorrente una responsabilità contrattuale, in assenza di un precedente rapporto giuridico con l'odierna controricorrente. Il motivo è fondato e comporta la correzione della motivazione ai sensi dell' art. 384 c.p.c. , u.c Secondo le argomentazioni del Tribunale di Roma, tanto la struttura ospedaliera che l'odierno ricorrente sarebbero responsabili nei confronti della D.P. e della figlia in via contrattuale, in virtù dei rapporti negoziali intercorrenti tra la omissis e la omissis per conto della omissis . Tale conclusione si fonda su un'erronea valutazione dei presupposti di fatto della vicenda, poiché non sussistono, tra la D.P. e la omissis , dei pregressi rapporti contrattuali, il che preclude l'insorgenza di una responsabilità ex art. 1218 c.c. . Cionondimeno, come correttamente argomentato dal Tribunale di Roma nella decisione impugnata, è la struttura ospedaliera a rispondere in via contrattuale, poiché gravata da precisi obblighi di protezione nei confronti dei pazienti in altre parole, l'esistenza di un rapporto qualificato tra medico e paziente determina l'emersione di obbligazioni accessorie, che comprendono il dovere di protezione della sfera giuridica dell'assistito a fronte di potenziali lesioni provenienti da terzi. Cass. n. 24071/2017 n. 10516/2017 . La pubblicazione senza consenso ad opera della OMISSIS delle riprese in esame, contenenti immagini attinenti alla sfera privata della D.P. e di sua figlia determina, invece, violazione del generale principio del neminem laedere , fonte di responsabilità extracontrattuale, oltre che responsabilità derivante dalla violazione della normativa sulla protezione dei dati personali. III Con il terzo motivo di ricorso la OMISSIS deduce la violazione o falsa applicazione dell' art. 1292 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, per aver il giudice di merito riconosciuto in capo alla omissis una responsabilità solidale. IV Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2946 e 2947 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per aver rigettato l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno formulata dalla omissis . VI Con il sesto motivo la società ricorrente censura la decisione impugnata per violazione dell' art. 1665 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, avendo il giudice di merito statuito che per l'illecito trattamento dei dati personali effettuato dalla società omissis debba rispondere omissis . I tre motivi di ricorso, poiché strettamente connessi sul piano logico-giuridico, richiedono un esame congiunto. Da un lato, con il terzo mezzo, la società ricorrente afferma la propria estraneità ai fatti lesivi e contesta l'esistenza nei propri confronti di una solidarietà dal lato passivo ex art. 2055 c.c. , imputando integralmente alla struttura sanitaria e alla società omissis il compimento del fatto dannoso. Con il quarto motivo, invece, ribadisce l'avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento nei suoi confronti poiché tra la richiesta risarcitoria rivolta alla omissis e la data della notificazione della chiamata in giudizio sono decorsi più di sei anni, senza che siano intervenuti medio tempore atti interruttivi della prescrizione. Il sesto motivo, invece, si fonda sull'autonomia di mezzi e di organizzazione riconosciuta dal nostro ordinamento nei confronti dell'appaltatore, profilo che esclude in linea generale la responsabilità del committente verso i terzi per i danni cagionati nell'esecuzione dell'opera. I tre motivi appena esposti sono infondati. L' art. 2055 c.c. , come si è già avuto modo di richiamare, introduce una responsabilità solidale qualora il fatto dannoso sia imputabile a più persone. Si è già osservato come la disposizione in esame risulti comunque applicabile anche quando il fatto dannoso sia imputabile per diversi titoli di responsabilità, contrattuale ed aquiliana. Appare evidente in ragione dei fatti di causa che non è possibile affermare l'estraneità dell'odierna ricorrente dal compimento del fatto pregiudizievole. Sebbene, infatti, sia stata la struttura ospedaliera ad autorizzare la permanenza della troupe televisiva e sia stata la società omissis a realizzare materialmente le riprese, non può negarsi che tale operazione sia stata ideata dalla omissis , eseguita da omissis per conto della omissis che ha avuto nel corso dell'esecuzione un ruolo di supervisione e coordinamento, e ha avuto la sua utilizzazione finale attraverso la trasmissione televisiva da parte della omissis . In sostanza la omissis ha avuto un ruolo decisivo in tutte queste fasi. Il contratto di appalto tra la società ricorrente ed omissis non è sufficiente ad affermare l'autonomia dell'impresa appaltatrice nello svolgimento delle attività, come confermano quelle clausole contrattuali richiamate dalla sentenza impugnata che attribuiscono alla omissis il potere di seguire tutte le fasi delle operazioni e verificare l'esatto adempimento del piano di produzione concordato, se del caso controllando direttamente il materiale acquisito dall'appaltatore. Tali conclusioni del giudice del merito appaiono in linea con l'attuale giurisprudenza di legittimità, che non esclude la responsabilità solidale del committente verso i terzi quando i poteri di ingerenza di quest'ultimo siano tali da ridurre l'autonomia dell'appaltatore nell'esecuzione del contratto, escludendo così la fondatezza sia del terzo che del sesto motivo di ricorso Cass. n. 11194/2019 . Alla luce di tali considerazioni è possibile altresì concludere per l'infondatezza del quarto motivo di ricorso. L'accertata responsabilità ex art. 2055, di parte ricorrente e della struttura ospedaliera determina l'applicabilità della disciplina codicistica in tema di solidarietà, tra cui l' art. 1310 c.c. , che stabilisce che gli atti interruttivi della prescrizione da parte del creditore hanno effetto verso tutti i condebitori in solido. Pertanto, gli atti con cui la D.P. ha interrotto la prescrizione nei confronti della omissis si estendono anche nei confronti di omissis . Destinataria di una richiesta di risarcimento il omissis , la società ricorrente veniva chiamata in giudizio l' omissis , a distanza di oltre sei anni, termine sufficiente per il decorso della prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. . All'interno di questo lasso di tempo, tuttavia, la ricorrente, nel giudizio di merito, avviava nei confronti dell'ospedale una procedura di mediazione in data omissis , interrompendo il decorso del termine prescrizionale anche nei confronti degli altri condebitori. Il diritto al risarcimento dei danni, anche inteso in relazione al termine breve previsto per la responsabilità aquiliana, non può quindi ritenersi prescritto. V Con il quinto motivo di ricorso la omissis censura la decisione impugnata per violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 136 e 137, per aver ritenuto illecito il trattamento dei dati effettuato dalla società omissis . La parte ricorrente invoca il titolo XII del D.Lgs. n. 196 del 2003 , dedicato all'attività giornalistica e alla libertà di informazione e di espressione per sostenere la liceità della propria condotta di raccolta e trattamento dei dati personali senza l'acquisizione del preventivo consenso. Tale motivo è inammissibile perché si fonda su una eccezione che non risulta essere stata discussa e decisa nel giudizio di merito e rispetto alla quale non vi è stata alcuna contraria affermazione da parte della ricorrente necessariamente confortata dai riferimenti idonei a rendere il motivo autosufficiente. Va comunque rilevata la infondatezza della censura. Come si evince dell'art. 137, comma 3, del testo di legge invocato dalla ricorrente, il trattamento dei dati personali senza il previo consenso dell'interessato è subordinato all'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Tale requisito va inteso in maniera particolarmente rigorosa, come confermano i recenti arresti della giurisprudenza di legittimità che sostengono l'illiceità della diffusione senza previo consenso di dati inerenti alla vita privata dei soggetti interessati Cass. n. 22741/2021 . In questo caso la pubblicazione di immagini raffiguranti una donna durante il parto ed una bambina durante i suoi primi momenti di vita, peraltro in condizioni complesse dal punto di vista medico, e il rilascio di interviste da parte del personale sanitario sulle condizioni cliniche dei soggetti interessati, non appaiono in linea con la vigente normativa in materia e con la sua interpretazione da parte della giurisprudenza. Grava sul ricorrente l'onere di provare l'essenzialità dell'informazione e l'interesse pubblico sotteso alla sua diffusione onere che, nel caso in esame, non può dirsi concretamente assolto, dato il generico richiamo alla libertà di espressione e al diritto di cronaca. La descrizione analitica nella motivazione della sentenza impugnata della vicenda e della utilizzazione da parte di OMISSIS del materiale acquisito in un programma di intrattenimento e senza che vi fossero particolari ragioni di interesse pubblico per la trasmissione ripetuta delle immagini violative della privacy della sig.ra D.P. e di sua figlia in una circostanza altamente emotiva e intima della loro vita attesta per altro verso come il giudice del merito abbia compiuto una attenta ponderazione della motivazione delle riprese televisive e della loro trasmissione a confronto con la mancanza di consenso e della successiva diffida a non trasmettere le immagini. VII Con il settimo motivo la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell' art. 101 c.p.c. , artt. 3 e 24 Cost. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, nonché la nullità della sentenza per violazione dell' art. 101 c.p.c. , con riferimento all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, per aver il Tribunale posto a fondamento della decisione assunta una consulenza tecnica disposta nell'ambito di un procedimento di mediazione al quale la omissis non era stata chiamata a partecipare. Il motivo è inammissibile perché si rivela incoerente rispetto alla ratio decidendi ed è nel suo complesso infondato. Il Tribunale non ha dato ingresso a una CTU espletata in altro procedimento, cui la omissis è rimasta estranea, ma ha preso in esame una perizia cui non può che attribuirsi la natura di perizia extragiudiziaria il che comporta, come è pacifico in giurisprudenza, che, al pari di qualsiasi perizia stragiudiziale, essa non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito Cass. civ. sez. V n. 33503 del 27 dicembre 2018 Cass. civ. sez. III n. 9551 del 22 aprile 2009 che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto. Ne deriva l'inconferenza delle censure relative alla invalidità della perizia esperita nel procedimento di mediazione per mancata attuazione del contraddittorio come pure alla inutilizzabilità della perizia nel presente giudizio. Ne' risultano fondate le censure relative al mancato rispetto del contraddittorio nel giudizio di merito davanti al tribunale. La perizia in questione è stata oggetto della produzione documentale della D.P. unitamente ad altri documenti che sono stati resi disponibili all'esame e al contraddittorio delle parti. In particolare la ricorrente ha prodotto le certificazioni del neurologo Dott. B. del omissis , le relazioni psicologica e psicodiagnostica del prof. S. e della d.ssa D. del omissis , la relazione medico-legale del Dott. D. e la consulenza tecnica del procedimento di mediazione del prof. M. che, a distanza di anni dai primi accertamenti, ha confermato la diagnosi di sindrome ansioso-depressiva a carico della D.P Non risulta dalla formulazione del motivo e dall'esposizione dello svolgimento del processo che la contestazione mossa da parte della omissis sia andata oltre l'eccezione di inutilizzabilità di quest'ultima perizia. Ne' in particolare che sia stata mossa una contestazione nel merito del contenuto della perizia stessa e dell'altra documentazione prodotta dalla controparte e che sia stata chiesta e motivata una richiesta di ammissione di consulenza tecnica d'ufficio. L'attribuzione di attendibilità alla perizia per ciò che concerne la identificazione e quantificazione del danno biologico - derivante specificamente dal trauma subito per effetto della vicenda per cui si controverte - è stata pertanto il risultato di una valutazione discrezionale da parte del giudice di merito che non è sindacabile in questo giudizio perché si è basata sull'esame della produzione documentale di parte ricorrente dalla quale emerge la conferma nel tempo di un quadro ansioso depressivo di rilievo. Per altro verso occorre rammentare che non sussiste in capo al giudice alcun obbligo di assunzione di una consulenza tecnica d'ufficio per la quantificazione del danno non patrimoniale, considerato il richiamo operato dall' art. 1226 c.c. , ad una valutazione di tipo equitativo. Invero, come da orientamento di questa Corte, la liquidazione del danno non patrimoniale può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità solo nelle ipotesi in cui risulti un difetto di motivazione da parte del giudice di merito o il quantum del risarcimento risulti manifestamente sproporzionato Cass. n. 31358/2021 . Nella presente controversia il giudice di merito ha ritenuto di condividere il contenuto delle relazioni specialistiche allegate da una delle parti, quantificando poi l'ammontare del risarcimento sulla base di criteri il più possibile oggettivi e conformi alla giurisprudenza unanime del Tribunale di Roma. La mancata contestazione specifica della documentazione medica da parte della omissis nel giudizio svoltosi davanti al Tribunale di Roma preclude un sindacato sulla motivazione relativa all'accertamento e alla quantificazione del danno, che peraltro la ricorrente non ha neanche prospettato come motivo di ricorso, e che si trasformerebbe in una riedizione del giudizio di merito del tutto al di fuori del perimetro di ammissibilità delineato dall' art. 360 c.p.c. , n. 5. VIII Con l'ottavo ed ultimo motivo di ricorso la società OMISSIS segnala la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043,2059,1226 e 2697 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, per aver riconosciuto in re ipsa il risarcimento del danno non patrimoniale a beneficio della minore L.B Il motivo è infondato in quanto il Tribunale non ha riconosciuto il danno in re ipsa come ritenuto dalla omissis ma ha liquidato in via equitativa il danno subito dalla minore dopo averne accertato la sussistenza non automaticamente come mera conseguenza della grave violazione della normativa protettiva dei dati sensibili e personali, ma sulla base di una valutazione, sia pure sintetica, dell'impatto di tale condotta sulla minore appena nata e immediatamente esposta a una proditoria ostensione al pubblico di una vicenda personalissima e nodale nella vita di ogni persona qual'e' il parto e la nascita - e con la diffusione di dati personali ultrasensibili sulla gestazione e sul parto e sulle condizioni di salute della neonata. Deve inoltre rilevarsi la stretta compenetrazione esistente fra la condizione in cui si è trovata, contro la sua espressa volontà, la madre e quella della minore e considerarsi, in questa prospettiva, l'impatto negativo sulla bambina della grave perturbazione subita dalla madre che ha condotto il tribunale all'accoglimento della domanda risarcitoria dopo aver accertato il consistente danno biologico subito e l'impatto dei fatti di rilevanza penale. Nella valutazione del Tribunale è implicito pertanto il riconoscimento sia della lesione della dignità della minore che della perturbazione del suo diritto a nascere e vivere i primi giorni della sua vita nella migliore e più serena condizione possibile. Per quanto riguarda il controricorso e il ricorso incidentale della omissis vi è esplicita adesione ai motivi 5, 7 e 8 del ricorso principale, e la controricorrente formula infatti i propri motivi dal quarto al settimo specularmente a quelli del ricorso principale cui aderisce, mentre i motivi dal primo al terzo del ricorso incidentale ineriscono alla contestazione della responsabilità propria della omissis . I motivi del ricorso incidentale sono dunque i seguenti Con il primo motivo si deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1218,1228,2055 c.c. e dei principi elaborati dalla giurisprudenza sul contratto atipico di spedalità. La ricorrente incidentale non si ritiene responsabile per la violazione degli obblighi di protezione derivanti dalla normativa sulla protezione dei dati personali, di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 , in quanto nella vicenda per cui si controverte essi sarebbero inerenti esclusivamente alla attività riferibile alla omissis e alla società omissis cui essa è del tutto estranea. Il contratto di spedalità stipulato con la sig.ra D.P. - che aveva come proprio contenuto una serie di prestazioni di natura medica e una serie di prestazioni accessorie di natura organizzatoria o alberghiera - è stato pienamente adempiuto dall'Ospedale OMISSIS . Nell'autorizzare l'ingresso della troupe televisiva la omissis ha imposto poi precise direttive per il rispetto della privacy dei pazienti e non può quindi ritenersi responsabile per la violazione della normativa di protezione da parte della omissis e della società cui furono affidate le riprese. Ne' l'Ospedale può rispondere per l'operato della omissis e la società omissis in quanto soggetti ausiliari nell'esecuzione del contratto di spedalità dato che un tale rapporto di ausiliarietà è stato del tutto inesistente. Il motivo è manifestamente infondato. La ricorrente incidentale nel distinguere la responsabilità per la mancata applicazione della normativa a tutela della privacy di cui evidentemente non è responsabile indirettamente ma indirettamente dalle proprie obbligazioni attinenti al contratto di spedalità finisce per misrappresentare proprio il contenuto del contratto di cui pretende la errata interpretazione da parte del giudice di merito. Il motivo di ricorso incidentale omette infatti di considerare che proprio da tale rapporto di spedalità derivava l'obbligo di garantire non solo le prestazioni propriamente medico-sanitarie ma anche quelle organizzative e di accoglienza anche esse finalizzate alla miglior attuazione delle prestazioni mediche e della cura dei pazienti. In questo novero di prestazioni rientra indubbiamente anche quella di garantire la stretta limitazione degli accessi dei soggetti estranei all'ospedale e la rigida modalità di comportamento da imporre nelle fasce di accesso in particolare poi nelle ore notturne e nelle fasi più delicate dei trattamenti ospedalieri. La circostanza di aver autorizzato l'ingresso in ospedale nelle ore notturne a una troupe televisiva - quand'anche possa ritenersi legittima una tale decisione - e di averla condizionata al rispetto, da parte della società realizzatrice delle riprese e da parte della committente omissis , della normativa a tutela della privacy e della protezione dei dati personali non può in questa prospettiva esonerare da qualsiasi responsabilità la responsabile della prestazione di spedalità. Quest'ultima è infatti evidentemente tenuta a garantire - a maggior ragione in presenza di un soggetto estraneo nell'ospedale, autorizzato ad esercitare una attività potenzialmente lesiva delle condizioni di accoglienza dei pazienti richieste da un normale ambiente ospedaliero e potenzialmente lesiva del diritto dei pazienti alla tutela della propria riservatezza e delle norme di trattamento dei dati personali -, il rigoroso rispetto delle condizioni imposte per il rilascio dell'autorizzazione. In altri termini con tale autorizzazione l'Ospedale ha assunto un ulteriore obbligazione di protezione nei confronti dei pazienti che non è per niente estranea al contenuto del rapporto di spedalità cfr. Cass. civ. sez. III n. 19658 del 19 agosto 2014 ma anzi si pone come condizione di legittimità dell'autorizzazione stessa. Si tratta di una obbligazione che il giudizio di merito - come dimostra l'ampia motivazione sul punto resa dal tribunale - ha accertato essere stata palesemente violata. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2,4,11,18,22,23, nel testo ratione temporis applicabile e dell' art. 2055 c.c. . La ricorrente incidentale ribadisce che nessun trattamento di dati personali e sensibili può essere riferito ad essa e rileva che le riprese sono state trasmesse dopo l'oscuramento e pertanto non può neanche ritenersi che siano stati diffusi dati personali i quali presuppongono l'identificazione della persona. Anche questo motivo è palesemente infondato sia per le motivazioni teste' indicate sulla infondatezza del primo motivo sia perché la effettuazione delle riprese - come la stessa società realizzatrice ha attestato - è stata realizzata in palese violazione del divieto di effettuazione in mancanza di consenso da parte del soggetto interessato. Ne' appare fondata l'argomentazione sul requisito scriminante della mancata identificabilità della persona ritratta. In questa vicenda si è in presenza di dati personali sensibilissimi e l'esposizione al pubblico del corpo di una persona che si è manifestamente opposta a questa possibilità costituisce una gravissima violazione della sua dignità e riservatezza a prescindere da ogni concreta identificazione da parte del pubblico di chi sia la persona ritratta. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 23,26,136,139. La ricorrente incidentale contesta che fosse necessario il consenso della D.P. alla effettuazione delle riprese e alla loro trasmissione televisiva. Infatti le riprese erano finalizzate all'esercizio di attività giornalistica come tale esclusa ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137, dall'obbligo della richiesta del consenso da parte dei soggetti rappresentati ai fini dell'esercizio della attività giornalistica. Il motivo condivide la manifesta infondatezza con i precedenti per le ragioni già esposte con riferimento al quinto motivo del ricorso principale. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 4, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 24 e 101 Cost. . Secondo la ricorrente incidentale il Tribunale non poteva utilizzare, ai fini della liquidazione del danno, la CTU svolta nel procedimento di mediazione perché tale utilizzazione è in contrasto con i principi di estrinsecazione del contraddittorio non avendo tutte le parti aderito al procedimento di mediazione. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 3,9 e 10 . Il motivo ribadisce sostanzialmente la censura del precedente quanto alla inutilizzabilità della consulenza esperita nel procedimento di mediazione perché tale procedimento è caratterizzato dal principio di riservatezza tanto che le stesse dichiarazioni rese dalle parti non sono riproducibili e valutabili nel corso del giudizio contenzioso. Con il sesto motivo di ricorso si deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. e art. 41 c.p. . Secondo la ricorrente, ferma restando la valutazione di inutilizzabilità per le ragioni espresse con i precedenti motivi, il tribunale ha aderito acriticamente alla consulenza senza valutare le condizioni di salute della D.P. al momento del ricovero e la difficoltà della fase finale della gestazione e del parto che aveva inciso sensibilmente sul suo stato di salute fisica e psichica. In tal modo il tribunale si è posto in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sul nesso di causalità giuridica secondo cui il giudice, nella valutazione del danno conseguenza, deve tener conto delle condizioni preesistenti e successive del soggetto leso, che siano di aggravamento o meno di quella pregressa, al fine di risarcire il solo danno che costituisce conseguenza immediata e diretta della lesione Cass. civ. sez. III n. 15991/2011 . Con il settimo motivo di ricorso si deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056 c.c La ricorrente incidentale ritiene che il Tribunale ha identificato la violazione degli obblighi protettivi e della normativa sulla privacy come il danno in re ipsa senza considerare che la violazione di una situazione giuridica tutelata in generale non giustifica di per sé l'accertamento del danno che ne deriva il quale deve essere provato da chi ne chiede il risarcimento. I motivi dal quarto al settimo, che, come si è detto, appaiono speculari ai motivi cinque, sette e otto del ricorso principale ne condividono per le stesse ragioni il giudizio di inammissibilità e infondatezza. In particolare per quanto riguarda il quarto e quinto motivo si tratta di censure del tutto fuori fuoco rispetto alla ratio decidendi che è stata quella di valutare fra le altre fonti di prova una perizia stragiudiziale al di fuori del contesto in cui è stata effettuata e con i limiti sulla rilevanza come mezzo di prova che derivano proprio dal carattere stragiudiziale dell'accertamento peritale. Le censure sono invece rivolte a evidenziare la nullità o inutilizzabilità del procedimento di mediazione, tema del tutto estraneo al presente giudizio, o a far derivare infondatamente dal principio di riservatezza del procedimento di mediazione l'inutilizzabilità al di fuori di esso degli accertamenti peritali che vi sono stati svolti. Il principio di riservatezza può investire le dichiarazioni delle parti e le loro stesse proposte transattive perché la trasposizione nel giudizio comporterebbe una loro strumentalizzazione e l'alterazione delle forme e garanzie di assunzione dei mezzi di prova. Ciò non avviene per quanto riguarda gli accertamenti peritali che, per quanto si è detto, assumono se riportati nel processo contenzioso la mera valenza di perizie stragiudiziali e come tali quindi non costituiscono prova di quello che vi è accertato ma semplici indizi rimessi alla valutazione discrezionale del giudice di merito. Non coglie la ratio decidendi e non è fondata la censura relativa alla errata interpretazione in tema di accertamento del danno conseguenza. Il tribunale non ha infatti, né esplicitamente né implicitamente, affermato la esclusione della valutazione delle condizioni di salute della D.P., preesistenti e sopravvenute alla vicenda per cui è causa, nell'accertamento del danno conseguenza. In realtà la valutazione del tribunale ha investito una documentazione medica che ha ricostruito proprio le conseguenze dirette del trauma subito a causa delle riprese televisive di cui la D.P. è stata vittima. E il riscontro diacronico della persistenza a distanza di anni della sindrome ansioso-depressiva costituisce nella valutazione del giudice di merito la riprova della indipendenza e non sovrapposizione del danno biologico conseguente al trauma subito rispetto allo stress causato dalla difficile gravidanza e dal parto oltre che dalle condizioni della bambina derivante dalla prematurità della nascita. Quest'ultimo, se pure significativamente presente all'epoca dei fatti, ha agito come potenziatore dell'evento lesivo ma si è necessariamente risolto con l'esito finale positivo del parto e della degenza ospedaliera della bambina dopo la sua nascita. E' quindi da escludere che la motivazione della sentenza esprima una interpretazione contraria a quella di legittimità integrando la violazione di legge prospettata con il sesto motivo del ricorso incidentale. Sotto il profilo dell'autosufficienza il motivo si presenta carente perché omette qualsiasi riferimento al contraddittorio sulla produzione documentale della D.P. impedendo così di verificare la prospettazione di condizioni soggettive o eventi che abbiano inciso sulla determinazione del danno biologico e limitato la sua piena ascrivibilità all'evento lesivo e l'eventuale omessa considerazione da parte del tribunale. Infine quanto al settimo motivo non ci si può che riportare alle motivazioni che hanno portato a ritenere inammissibile l'ottavo motivo del ricorso principale il quale, contrariamente a quanto ritenuto realmente dal tribunale, deduce la identificazione, in re Osa, del danno non patrimoniale con la violazione delle norme in materia di privacy e di protezione dei dati personali. Non è così perché da tutto il complesso della motivazione si evince una attenta considerazione degli effetti gravemente lesivi che la violazione delle norme in questione ha prodotto sia sulla madre che sulla bambina. Ne' ovviamente può essere confusa la liquidazione in via equitativa del danno con la sua identificazione in re ipsa nella commissione delle violazioni delle norme protettive della privacy e dei dati personali. Il ricorso principale e quello incidentale devono pertanto essere respinti con condanna solidale delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione come liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale condanna in solido le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 5.600 di cui Euro 200 per spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, ove dovuto, a carico della parte ricorrente principale e incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che in caso di pubblicazione o diffusione della presente ordinanza siano omesse generalità e dati identificativi delle controricorrenti.