Figlia con oltre 30 anni di età e inserita nel mondo del lavoro: sì alla revoca del mantenimento paterno

Incontestabile il fatto che la ragazza sia nelle condizioni di rendersi autosufficiente dal punto di vista economico. Corretta, chiariscono i giudici, la linea seguita dall’uomo, che ha agito in giudizio direttamente nei confronti dell’ex moglie.

Revocato il mantenimento paterno per la figlia che ha superato i 30 anni di età, ha ottenuto un titolo di studio e ha raggiunto un adeguato inserimento nel mondo del lavoro. Palese, secondo i Giudici, che la donna sia stata messa nelle condizioni di rendersi autosufficiente dal punto di vista economico, e questa valutazione non può essere modificata dalla patologia che l’ha costretta a subire un’operazione chirurgica. Corretta la scelta del padre di agire direttamente contro l’ex moglie. A ritenere legittima la richiesta, avanzata dall’ex marito, di modifica delle condizioni di divorzio sono innanzitutto i giudici di merito sia in primo che in secondo grado, difatti, viene revocato l’assegno, posto a carico del padre, per il mantenimento della figlia che ha oltre 30 anni di età e ha raggiunto l’indipendenza economica . Inutile l’opposizione della ragazza e della madre. Corretta, precisano i giudici, anche la decisione dell’uomo di agire direttamente contro l’ex moglie, essendo irrilevante che la figlia non sia più convivente con la madre e che l’assegno sia versato direttamente alla ragazza . Per quanto concerne, poi, la posizione della ragazza, i giudici di secondo grado ne evidenziano l’età – di oltre 30 anni –, il titolo di studio conseguito ormai da anni e l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro con mansioni coerenti con gli studi svolti , elementi che attestano che il percorso educativo e formativo è stato completato da tempo e che ella è stata messa nelle condizioni di rendersi economicamente autosufficiente . E su quest’ultimo fronte la ragazza e la madre non hanno fornito alcuna prova circa l’incidenza della patologia che affligge la ragazza sulla sua capacità di lavorare e di produrre reddito, patologia che l’ha costretta anche a sottoporsi a un intervento chirurgico . Col ricorso in Cassazione, però, l’ex moglie sostiene che la figlia è l’unica legittimata a richiedere la modifica dell’assegno di mantenimento già riconosciuto in suo favore e, dunque, anche l’unica legittimata a resistere alla domanda di revoca del beneficio , e aggiunge che il giudizio di modifica avrebbe dovuto essere incardinato nei confronti della figlia, quale soggetto maggiorenne non più convivente con il genitore già collocatario e diretta percipiente degli assegni di mantenimento . In premessa, i Giudici ribadiscono che il genitore separato o divorziato, tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest’ultimo anziché del genitore istante. Invero, sia il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell’altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento, cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi , ancorché concorrenti, sicché sono entrambi legittimati a percepire l’assegno dal genitore obbligato . In questo quadro si colloca il principio secondo cui in tema di mantenimento da parte del genitore separato o divorziato del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, il genitore obbligato, in mancanza della corrispondente domanda del figlio, non può pretendere di assolvere la propria prestazione direttamente nei confronti di quest’ultimo, e non nei confronti del genitore istante, poiché, sebbene quest’ultimo e il figlio, in quanto titolari di diritti autonomi e concorrenti, siano entrambi legittimati a percepire il menzionato assegno, tuttavia la decisione non può sottrarsi al principio della domanda . E nell’escludere che il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, per resistere alla domanda di questo, possa corrispondere direttamente l’assegno al figlio va precisato che giammai potrebbe disporsi il versamento diretto in favore del figlio in mancanza della domanda del medesimo, cioè dell’avente diritto . Tirando le somme, va ribadito, chiariscono i Giudici, che sebbene il Codice civile riconosca al figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente un diritto concorrente con quello del genitore convivente alla percezione dell’assegno di mantenimento che ne legittima la partecipazione al giudizio sia in via principale sia in via di intervento autonomo, nondimeno l’attribuzione della provvidenza direttamente a mani del figlio ne presuppone la domanda giudiziale e non viene perciò meno al principio della domanda , circostanza questa che, nel caso in esame, non è stata nemmeno allegata, risultando, piuttosto, che è stata l’ex moglie ad azionare la procedura per il pagamento diretto dell’assegno di mantenimento della figlia e che tale procedura è stata reiterata a seguito della trasformazione del trattamento di mobilità in trattamento pensionistico .

Presidente Meloni – Relatore Caradonna Rilevato in fatto che 1. Con decreto del 19 gennaio 2021, la Corte di appello di Roma ha rigettato il reclamo proposto da R.L. e C.A., avverso il decreto del Tribunale di Civitavecchia del 22 marzo 2019, che aveva accolto la domanda di C.R. di modifica delle condizioni del divorzio e, per l’effetti, aveva revocato l’assegno posto a carico del padre per il mantenimento della figlia A., nata il omissis , per avere questa raggiunto l’indipendenza economica. 2. La Corte di appello ha ritenuto insussistente il dedotto difetto di legittimazione passiva della R., non avendo la stessa contestato la ritualità della notifica del ricorso introduttivo, affermando, inoltre, che, a tali fini, non rilevava, che la figlia A. non fosse più convivente con la madre e che l’assegno fosse versato dall’I.N.P.S. direttamente alla ragazza. 3. I giudici di secondo grado hanno, poi, evidenziato che l’età della figlia A. di anni 31 , il titolo di studio conseguito ormai da anni e l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro con mansioni coerenti con gli studi svolti attestavano che il percorso educativo e formativo era stato completato da tempo e che essa era stata messa nelle condizioni di rendersi economicamente autosufficiente, mentre le reclamanti non avevano fornito alcuna prova circa l’incidenza sulla capacità lavorare e di produrre reddito della patologia al sistema linfatico da cui era affetta la figlia e per la quale la stessa era stata sottoposta ad intervento chirurgico nel 2016. 4. R.L. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi. 5. C.R. ha depositato controricorso. 6. C.A. non ha svolto difese. 7. Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in camera di consiglio non partecipata del giorno 10 maggio 2022 ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. Considerato in diritto che 1. Il primo mezzo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in quanto il decreto risultava carente della illustrazione delle critiche mosse dalle reclamanti alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che avevano indotto a disattenderle il giudice di appello si era limitato a rilevare come circostanze ininfluenti il fatto che C.A. non fosse convivente con la madre alla data di introduzione del giudizio ex art. 710 c.p.c., e il fatto che l’importo dovuto per il mantenimento fosse versato da parte dell’I.N.P.S. sul conto corrente della stessa. 1.1. Il motivo è infondato. 1.2 Ed infatti, non sussiste nel caso di specie il vizio di nullità della sentenza per motivazione apparente che in base alla costante giurisprudenza di legittimità, ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente esistente - come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale - non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881 . 1.3 Ed invero, la motivazione contenuta nella sentenza impugnata cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato risulta dotata della concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione, sia delle ragioni di diritto poste a fondamento della stessa decisione e di una esposizione logica e adeguata al caso di specie che consente di cogliere il percorso logico - argomentativo che ha portato la Corte decidente a rigettare le tesi dell’odierno ricorrente. 2. Il secondo mezzo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100 e 81 c.p.c., dell’art. 24 Cost. dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 C.A. era l’unica legittimata a richiedere la modifica dell’assegno di mantenimento già riconosciuto in suo favore e, dunque, anche unica legittimata a resistere alla domanda di revoca del beneficio il giudizio di modifica avrebbe dovuto essere incardinato nei confronti della figlia C.A. , quale soggetto maggiorenne, non più convivente con il genitore già collocatario e diretta percipiente degli assegni di mantenimento, la quale al contrario veniva privata, siccome non chiamata, del diritto a contraddire in merito alla domanda spiegata in violazione dell’art. 24 Cost 2.1 Il motivo è infondato. 2.2 Ed invero alla luce dell’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest’ultimo anziché del genitore istante. Invero, anche a seguito dell’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c., ad opera della L. 8 febbraio 2006, n. 54, sia il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell’altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento, cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi, ancorché concorrenti, sicché sono entrambi legittimati a percepire l’assegno dall’obbligato Cass., 24 febbraio 2006, n. 4188 Cass., 11 novembre 2013, n. 25300 Cass., 31 dicembre 2020, n. 29977 . Più di recente, questa Corte ha ribadito il principio che In t mantenimento da parte del genitore separato o divorziato del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, il genitore obbligato, in mancanza della corrispondente domanda del figlio, non può pretendere di assolvere la propria prestazione direttamente nei confronti di quest’ultimo, e non nei confronti del genitore istante, poiché, sebbene quest’ultimo e il figlio, in quanto titolari di diritti autonomi e concorrenti, siano entrambi legittimati a percepire il menzionato assegno, tuttavia la decisione non può sottrarsi al principio della domanda Cass., 12 novembre 2021, n. 34100 . In particolare, nella sentenza da ultimo richiamata, questa Corte, nell’escludere che il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, per resistere alla domanda di questo, possa corrispondere direttamente l’assegno al figlio, ha precisato che giammai, dunque, potrebbe disporsi il versamento diretto in favore del figlio in mancanza della domanda del medesimo, cioè dell’avente diritto Cass., 11/11/2013, n. 25300 . 2.3 Va qui, dunque,riaffermato che, sebbene l’art. 337 septies c.c., come già il suo antecedente dell’art. 155 quinquies c.c., riconosca al figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente un diritto concorrente con quello del genitore convivente alla percezione dell’assegno di mantenimento che ne legittima la partecipazione al giudizio sia in via principale sia in via di intervento autonomo, nondimeno l’attribuzione della provvidenza direttamente a mani del figlio ne presuppone la domanda giudiziale e non viene perciò meno al principio della domanda di cui all’art. 99 c.p.c., circostanza questa che, nel caso di specie, non è stata nemmeno allegata, risultando, piuttosto, a pagina 6 del ricorso per cassazione, che era stata la R. ad azionare la procedura L. n. 898 del 1970, ex art. 8, comma 3, per il pagamento diretto dell’assegno di mantenimento della figlia e che tale procedura era stata reiterata a seguito della trasformazione del trattamento di mobilità in trattamento pensionistico. 3. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.