Dolo di strage: è sufficiente il contributo alla fase preparatoria

Il delitto di strage, appartenente al genere dei reati di pericolo, è sorretto dal dolo consistente nella coscienza e volontà di porre in essere atti idonei a determinare pericolo per la vita e l'incolumità fisica della collettività mediante violenza, con la possibilità che dal fatto derivi la morte di una o più persone. Ciò consente di ritenere responsabile anche colui che partecipa alle fasi preparatorie e il dolo non è scalfito dal fatto che l'agente ignori i dettagli operativi dell'esecuzione del piano stragista.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, con la sentenza numero 34368 depositata il 16 settembre 2022. Un nuovo capitolo giudiziario sulla stagione delle stragi L'attacco militare condotto dalla mafia contro lo Stato nel corso degli anni novanta del secolo scorso è al centro di innumerevoli decisioni giudiziarie, studi, servizi giornalistici e pubblicazioni monografiche. Sappiamo tutto – o quasi – di quelle pagine buie della nostra storia, conosciamo nomi e volti delle vittime, abbiamo imparato a studiare il valore, il coraggio e la dedizione dei servitori dello Stato che in quel periodo sono caduti per combattere l'esercito mafioso e il folto nugolo dei suoi fiancheggiatori. Giovanni Falcone , Francesca Morvillo, Paolo Borsellino , gli agenti delle loro scorte, i loro familiari – vittime indirette anch'esse della mano assassina della mafia – sono uomini e donne noti anche a chi, in quegli anni, non era nemmeno nato. Ma ad essere diventati tristemente famosi sono anche i criminali che, nel corso delle indagini, sono stati via via identificati quali mandanti, esecutori o cooperatori del progetto stragista condotto e messo a segno da “ Cosa Nostra ”. Tra investigazioni, depistaggi e interminabili processi siamo – si spera – giunti a ricostruire quantomeno i passaggi salienti del delirio criminale tradottosi nei sanguinosi attentati del '92 e del '93. La sentenza che oggi vi proponiamo altro non è che l'ennesimo capitolo giudiziario che passa in rassegna la responsabilità di alcuni soggetti, coinvolti nella preparazione e nell'esecuzione dell' attentato di Capaci messo a segno il 23 maggio 1992. L'esplosivo venne dal mare Nelle novanta e passa pagine che compongono la sentenza della Seconda Sezione Penale, i Giudici di legittimità passano in rassegna le complesse doglianze sollevate sia dalla Procura Generale che dalle difese degli imputati raggiunti dalla condanna pronunciata dalla Corte di Assise di appello di Caltanissetta tranne uno di loro, assolto e oggetto quindi del ricorso della pubblica accusa, gli altri quattro tentano la strada del ricorso di legittimità per scansare l'ergastolo comminatogli per concorso in strage aggravata e fabbricazione di esplosivi. Già perchè al centro del fatto storico ripercorso dai giudici di merito era anche la modalità attraverso la quale era stato confezionato l'esplosivo utilizzato per uccidere il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Nelle placide acque del porto palermitano della “Cala” vennero ripescati – stando a quanto si legge nella sentenza – alcuni ordigni bellici angloamericani risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. Sventrati e svuotati del loro contenuto, fornirono la materia prima per mettere in atto il programma criminale . Alcuni degli imputati collaborarono a “lavorare” l'esplosivo per confezionare le bombe, “macinandolo” a mano. E sono stati condannati all'ergastolo. Nei ricorsi per cassazione si solleva il tema del dolo di strage , perchè – come ognuno potrebbe facilmente intuire – uno degli argomenti difensivi è il “non sapevo a cosa servisse l'esplosivo”. Ma il “nènti sacciu” non ha convinto la Corte. Vediamo perchè. La condotta incriminata del delitto di strage e il contributo materiale Per superare la doglianza, che per la verità coinvolge principalmente l'elemento soggettivo del delitto di strage, i supremi Giudici di legittimità hanno brevemente tratteggiato gli elementi salienti della componente oggettiva della norma incriminatrice la commissione di atti idonei a determinare pericolo per la vita e l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone la condizione obiettiva di punibilità consiste nella morte di più persone conseguenti alla condotta illecita, mentre la morte di una sola persona rilevava soltanto ai fini del trattamento sanzionatorio pena di morte nel primo caso, ergastolo nel secondo. L'abrogazione della pena capitale e la sua sostituzione con l'ergastolo rende sostanzialmente identica la risposta punitiva dello Stato nei riguardi del delitto di strage . Per la sua struttura, che arretra la soglia di punibilità al compimento di “atti idonei” è evidente che il legislatore ha inteso rifarsi alla categoria concettuale dei reati di pericolo, sicchè è esclusa la punibilità del tentativo perchè esso sarebbe, a conti fatti, il pericolo di un pericolo . Come ha già affermato la Cassazione nel 2015, a rilevare per il concorso nel delitto di strage può ben essere anche un contributo limitato alla fase preparatoria, logistica per così dire, del reato che verrà poi eseguito nella sua interezza da altri còrrei. Non è necessario, quindi, che il concorrente sappia chi sarà la vittima o gli esecutori del progetto stragista, né quali saranno le modalità operative. È sufficiente soltanto che sappia che il proprio contributo si inscrive in un più ampio progetto criminale, finalizzato alla perpetrazione di un “omicidio di rilevante impatto sul territorio”. Il dolo, quindi, è ricavato dalla materialità dei fatti, come sempre avviene quando occorre darne prova giudiziaria e la macinazione dell'esplosivo prelevato da una bomba non può certamente essere destinato che ad un proposito criminale di enormi proporzioni. Dolus in re ipsa ? Non esattamente ma il “non sapevo a cosa servisse” è una giustificazione un po' debole .

Presidente Rago – Relatore D'Agostini/Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26 luglio 2016 la Corte di Assise di Caltanissetta aveva dichiarato M.S.M., L.N.C., P.G. e T.L. responsabili dei delitti di concorso in strage aggravata e continuata, devastazione, detenzione, fabbricazione e porto di esplosivi continuata e li aveva condannati ciascuno alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per la durata di diciotto mesi, con le pene accessorie della interdizione dai pubblici uffici e della decadenza dalla potestà genitoriale li aveva altresì condannati al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, in favore delle quali aveva liquidato le provvisionali indicate in dispositivo. La Corte, invece, aveva assolto T.V. dalle medesime imputazioni per non aver commesso il fatto. La vicenda esaminata nel processo riguardava la strage di Capaci, nella quale, il omissis , persero la vita F.G., + ALTRI OMESSI. Secondo la ipotesi accusatoria, recepita dalla Corte di Assise di Caltanissetta, M.S.M., quale reggente del mandamento mafioso di Resuttana e pertanto appartenente alla commissione provinciale di Cosa Nostra , aveva concorso a deliberare l'esecuzione di un programma stragista, partecipando a una apposita riunione della stessa commissione, tenutasi in epoca anteriore e prossima al 13 dicembre 1991, nella quale si deliberò anche l'uccisione del magistrato F.G., che aveva rappresentato e rappresentava ancora un concreto pericolo per la sopravvivenza della organizzazione criminale. Gli imputati L.N.C., P.G. e T.L. venivano ritenuti responsabili della strage per avere, in concorso fra loro e con altre persone separatamente giudicate con rito abbreviato fra le quali S.G., collaboratore dalle dichiarazioni del quale erano state avviate le indagini relativamente a questo filone , provveduto al reperimento, alla lavorazione, al confezionamento e al trasporto della carica esplosiva utilizzata, insieme ad altra sostanza, per l'attentato a Capaci in particolare partecipando anche alla macinazione del tritolo contenuto in quattro ordigni navali, residuati bellici, recuperati dal mare. A T.V., invece, era stato contestato di avere consegnato a G.G. l'esplosivo poi utilizzato per l'attentato, unitamente a C.C 2. La Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, decidendo sugli appelli proposti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta e dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta nei confronti di T. e su quelli proposti dagli altri imputati, ha confermato la sentenza di primo grado, fatta eccezione per il riconoscimento, richiesto dalla difesa di L.N., del vincolo della continuazione tra i reati di cui al presente processo e quelli giudicati con sentenza della Corte di Assise di Appello di Firenze del 13 febbraio 2001, divenuta irrevocabile il 6 maggio 2002 conseguentemente, per detto imputato, ha rideterminato la pena complessiva nell'ergastolo con isolamento diurno per anni tre. 3. Ricorrono per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta nonché, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, P.G., M.S.M., T.L. e L.N.C 3.1 Il Procuratore generale chiede l'annullamento della sentenza di assoluzione emessa nei confronti di T.V. per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e delle norme processuali in materia di inutilizzabilità degli atti. 3.2. Sostiene il P.G. di Caltanissetta che la Corte di Assise di Appello, ripercorrendo la decisione di primo grado, ha redatto una motivazione meramente apparente con violazioni plurime dell' articolo 546 c.p.p. , comma 1, lett. e , e dell' articolo 192 c.p.p. , comma 1 , omettendo di far riferimento alle prove acquisite nei giudizi di merito, ai criteri di valutazione della prova elaborati dalla giurisprudenza, ai motivi per cui ha giudicato non conducenti o ha travisato le prove versate nel processo dalla pubblica accusa, ai motivi di gravame articolati dal Pubblico Ministero e dal P.G. di Caltanissetta. Il ricorrente, in particolare 3.3. riporta la motivazione con cui la Corte di Assise aveva assolto T. e stigmatizza la difformità di trattamento allo stesso riservato nel processo per la strage di via d'Amelio, in cui era stato condannato con 750 pagine di motivazione, a fronte delle cinque pagine con le quali è stata esaminata la sua posizione dal giudice di primo grado e delle argomentazioni solo apparentemente più diffuse dalla Corte di Assise di Appello, che tuttavia si è trincerata anch'essa dietro la affermazione della alterità della vicenda di via D'Amelio, pur risalente a qualche settimana dopo gli eventi di Capaci nei quali egli sarebbe un Carneade segnala che la Corte incorre in un errore di diritto là dove confonde il principio della intangibilità del giudicato assolutorio con la verifica in contraddittorio degli elementi acquisiti in quell'altro processo e per nulla intangibili né la Corte ha valutato se l'assoluzione di T. per i fatti di Roma e Milano fosse ancora attuale alla luce delle successive propalazioni di S., riscontrate dal processo a carico di T.M., fratello di V. sottolinea che le acquisizioni successive alla sentenza di Firenze avevano consentito di appurare il ruolo del mandamento mafioso di Brancaccio non soltanto nelle stragi di Roma, Firenze e Milano ma anche in quelle di via D'Amelio e di Capaci richiama le considerazioni svolte dalla Corte per ritenere indimostrabile la consapevolezza, da parte di T., del contenuto del materiale caricato sulla autovettura del C. e sostiene la contraddittorietà di tale conclusione con elementi acquisiti al processo e la diversa soluzione invece seguita per altri imputati evidenzia come la Corte abbia assunto la buona fede di T. a fronte di una incontestata condotta materiale consistente nel caricamento di 170 chilogrammi di tritolo nel bagagliaio di una VW Polo da lui poi scortata per qualche chilometro sostiene che la Corte non ha esaminato la figura dell'imputato, i suoi rapporti con S., con G.G. e F., il suo ruolo e le mansioni svolte nel periodo delle stragi, finendo così per incorrere in un vizio di travisamento della prova suscettibile di essere denunziato in questa sede pur in presenza di una doppia conforme 3.4. sull'elemento psicologico riporta le parole della Corte di Appello sottolineando come il pregiudizio di partenza si sia trasformato in un giudizio finale che avrebbe dovuto essere invece l'approdo dell'esame del complessivo carteggio processuale, cui invece i giudici di secondo grado si sono sottratti proclamandone la inutilità segnala, tra questi elementi, le dichiarazioni di S. di cui al verbale del 19 settembre 2018, del tutto ignorate dalla Corte di Assise di Appello, e che avrebbe dovuto rappresentare il punto di partenza dell'approfondimento richiesto al giudice di secondo grado ribadisce che la valutazione della buona fede di T. contrasta con il suo protagonismo nel gruppo di fuoco di Brancaccio e con il ruolo assunto nella strage di via Palestro a Milano, nelle fasi deliberativa ed esecutiva 3.5. riporta ancora le parole della Corte di Appello pag. 17 , osservando come la differenza di compiti e ruoli attribuiti a P., T. e L.N. non sia mai stata messa in dubbio rispetto alla posizione apparentemente più defilata e minusvalente di T. che, al contrario degli stessi P., B. e L.N., che a quel punto scompaiono , sarà però uno dei protagonisti principali della stagione delle stragi , a partire da quella di via D'Amelio per cui ha subito una doppia conforme di condanna sottolinea ancora come i macinatori di tritolo non erano presenti nel momento delicato del trasporto dell'esplosivo e del suo passaggio da C. a G. che lo porterà sino a Capaci, in cui l'apporto di T. non può essere qualificato, come invece fa la Corte territoriale, limitato 3.6. deduce che la Corte di Appello ha anche travisato il contenuto delle dichiarazioni di S. raccolte nel verbale del 19 settembre 2018, da cui emerge che T. non era certo casualmente convenuto sul posto, tanto che la sua presenza non aveva destato alcuna reazione da parte di C., che si limitò ad invitarlo a caricare i sacchi nella vettura, sì da indurre S. ad affermare di avere la certezza matematica che T. fosse stato inserito nei meccanismi che avrebbero portato alla strage riporta ampi stralci del predetto verbale segnalandone l'omessa considerazione nella sentenza assolutoria che, partendo da un dato certo, ovvero che T. non ebbe visione diretta del contenuto dei sacchi, e da un dato logico, rappresentato dalla compartimentazione delle informazioni all'interno del gruppo di Brancaccio, tralascia tuttavia una serie di elementi altrettanto obiettivi quale il fatto che egli sarebbe stato l'unico a ignorare il contenuto dei sacchi, pur essendo uomo di assoluta fiducia dei fratelli G. in particolare, G.G. avrebbe illogicamente e anche inutilmente coinvolto un soggetto ignaro, terzo rispetto a coloro che si erano già occupati della fase preparatoria dell'attentato, violando in tal modo quella stessa regola così enfatizzata dalla Corte evidenzia che in tal modo la strage di Capaci sarebbe stata l'unica nella quale T. venne coinvolto inconsapevolmente denunzia, inoltre, il travisamento delle dichiarazioni di S. relative al periodo di comune latitanza con T. e riporta stralci del verbale del 2 ottobre 2014 sostiene che le dichiarazioni di S., nella loro chiarezza, non potevano certamente essere interpretate nel senso che T. non avesse ricevuto alcuna informazione sulla strage di Capaci l'imputato si era risentito per non essere stato avvisato di tenersi lontano da quel luogo come era accaduto, invece, per via D'Amelio e, dunque, la sua lamentela era solo quella di non avere saputo del luogo piuttosto che dell'attentato in sé segnala la differente situazione di T.F., al quale invece, come riferito dal medesimo nel processo, quella indicazione era stata fornita in quanto i suoi familiari, come sapevano i G., avevano una abitazione di villeggiatura a Carini, per raggiungere la quale transitavano su quel tratto di autostrada rileva che, in definitiva, era emerso che i G. avevano avuto cura di avvisare i sodali di tenersi lontani dai luoghi delle stragi potenzialmente per loro pericolosi come era il centro della città di Palermo ma non necessariamente l'autostrada sostiene l'arbitrarietà della deduzione logica secondo la quale T., non essendo stato avvisato del pericolo su quei luoghi, nulla sapeva dell'attentato e di quanto era stato fatto per la sua preparazione aggiunge che lo stesso S. era stato tenuto all'oscuro del luogo dell'attentato e persino del suo obiettivo come anche di quello del mese di luglio cionondimeno, S. aveva compreso perfettamente a cosa fosse destinato il tritolo, come anche la Fiat 126 che C. lo aveva incaricato di procurare sottolinea che, a differenza di S., cui era stato detto genericamente di allontanarsi da Palermo, T. sapeva di dover stare lontano da via D'Amelio e ciò già ai primi di giugno, indizio della sua diretta partecipazione alle operazioni 3.7. richiama la giurisprudenza in materia di riscontri esterni nell'ambito dei processi sulle stragi e rimarca che i giudici di merito hanno applicato i principi ivi delineati in termini non coerenti e illogicamente divergenti tra la posizione di altri correi e quella di T., per il quale hanno sostenuto che lo iato temporale tra la strage di Capaci e l'attentato di via dei Georgofili fosse tale da non consentire una inferenza di quel genere, nonostante ricorressero tutti i presupposti richiesti, quali la diversità di fonti probatorie, l'analoga natura dei fatti, la loro contiguità temporale, l'identità di molti dei protagonisti, l'inserimento dei fatti in una unica strategia riconducibile a una medesima organizzazione criminale evidenzia come le acquisizioni investigative a partire dalle propalazioni dello stesso S. consentano oggi di affermare il ruolo centrale del mandamento di Brancaccio nella strategia stragista inaugurata nel 1992 e conclusasi con l'attentato di Formello dell'aprile 1994 sostiene, dunque, l'arbitrarietà della scelta dei giudici di merito di dare rilievo alla entità dello iato temporale di un anno o di due anni per giungere a conclusioni diametralmente diverse per imputati differenti P. e T. , non considerando che l'attentato di Formello aveva rappresentato l'ultimo anello di quella medesima strategia inaugurata con la strage di Capaci ben potendo fungere da riscontro alla partecipazione del T. a questo attentato, in ragione soprattutto del suo pacifico coinvolgimento anche in alcune significative tappe intermedie 3.8. processo di Firenze e giudicato rileva come la Corte abbia desunto dal principio della intangibilità del giudicato quello della impossibilità di valutare le prove acquisite in quel processo, nel quale, peraltro, T. era imputato riporta passi della sentenza di appello, sottolineando come la Corte abbia insistito sulla assoluzione di T. per i fatti del 1993, non curandosi di esaminare in chiave critica la persistente attualità delle motivazioni di quelle pronunce assolutorie alla luce di quanto emerso in questo processo e, in particolare, della collaborazione nel frattempo intrapresa dallo S., che aveva disegnato il ruolo di T. in quella complessiva strategia, il tutto non certo al fine di processare nuovamente l'imputato ma di evidenziarne il ruolo in quegli anni 3.9. travisamento della prova rappresentata dal materiale proveniente dal processo di Firenze riporta stralci della sentenza della Corte di Assise di Appello di Firenze con riferimento alla figura di T., tratteggiata in un momento nel quale era ignoto il ruolo del mandamento di Brancaccio nelle stragi di Capaci e di via D'Amelio e relativo allo stretto rapporto intercorrente con la famiglia G. sin dagli anni �80 e, poi, negli anni �90, quando egli faceva parte del gruppo di fuoco e, alla luce delle dichiarazioni di G.S. e D.F.P., era coinvolto anche nella strategia stragista segnala che la stessa Corte di Assise fiorentina aveva concluso nel senso della probabilità non solo della conoscenza delle stragi ma anche della sua diretta partecipazione, connaturale al ruolo ricoperto nel sodalizio 3.10. le stragi del 1993 e le emergenze successive al processo di Firenze violazione di legge processuale in ordine alla utilizzabilità di verbali di interrogatorio acquisiti al processo con il consenso di tutte le parti processuali, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese da S. in data 26 settembre 2008, che la Corte ha erroneamente giudicato inutilizzabili perché, contrariamente al vero, sottratte al confronto dialettico ed evidenzia l'errore di diritto in cui è incorsa riporta, quindi, le dichiarazioni di S. sul ruolo di T. e, in particolare, la sua partecipazione alle riunioni preparatorie per gli attentati eseguiti a San Giovanni in Laterano e al Velabro, a Roma, e in via Palestro a Milano, in cui era stato direttamente coinvolto sottolinea ancora l'erroneità dell'affermazione secondo la quale le dichiarazioni di S. erano rimaste estranee alla dialettica processuale non avendo considerato quelle dallo stesso rese in data 19 settembre 2018 davanti alla Corte di Assise di Appello riporta quindi stralci di quella deposizione 3.11. T.V. e la strage di via Palestro il P.G. ricorrente denuncia travisamento della prova con riferimento alle prove relative alla partecipazione di T. alle stragi di Roma e Milano del giugno 1993 nonché l'errore nella valutazione della posizione dell'imputato nel processo di Milano e sulla utilizzabilità delle prove provenienti da quel processo, anche in relazione alla dimostrata falsità del nome T.B. fornito dal passeggero dell'aereo, identificabile in T.V. riporta, ancora, passi della sentenza impugnata in cui la Corte ha evidenziato che, con riguardo ai fatti di via Palestro, era stato instaurato un procedimento penale nei confronti del solo T.M.F., conclusosi, peraltro, con sentenza di assoluzione irrevocabile sottolinea quindi come la Corte di Appello abbia ancora una volta travisato i dati investigativi omettendo di considerare che proprio S. aveva riferito del viaggio in aereo di uno dei due fratelli T. con l'utilizzo di un nome parzialmente diverso, che ben poteva identificarsi in T.V. nei cui confronti non si era proceduto a Milano non già, come sembra ritenere la Corte, per difetto di indizi, ma perché nei suoi confronti era intervenuta una sentenza di assoluzione passata in giudicato a Firenze relativa anche ai fatti di Milano sottolinea come alla Corte nissena fosse sfuggito questo dato rilevante in grado di riscontrare in termini autonomi e obiettivi le dichiarazioni di S. evidenzia che gli elementi suindicati le sentenze milanesi, come le note della Squadra Mobile di Milano del 20 marzo 2014 e della D.I.A. del 15 dicembre 2008 erano ritualmente stati acquisiti in questo processo nel pieno contraddittorio delle parti rileva, ancora, come i giudici di secondo grado abbiano omesso di considerare la levatura criminale di T. rispetto a quella del fratello che compare nelle varie vicende solo in quanto legato al germano e residente a Milano rimarca come nulla fosse emerso nel processo fiorentino, sicché il contributo di S. risulta, rispetto a quella fase, del tutto nuovo e inedito 3.12. la proclamata inutilizzabilità del materiale probatorio versato nel processo relativamente ai fatti di via D'Amelio violazione di legge e travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni di S. e agli elementi di riscontro il P.G. riporta il passo della sentenza impugnata relativa al coinvolgimento di T., evidenziando come le conclusioni cui la Corte è pervenuta non tengano conto del fatto che, nel frattempo, la condanna del predetto in relazione a quell'episodio è divenuta definitiva,. sottolinea che, a fronte dei plurimi elementi deponenti per la partecipazione attiva di T. alla strage di via D'Amelio, la Corte ha soffermato l'attenzione su profili marginali e secondari quali la individuazione del mandante del furto della Fiat 126 , comunque risultato essere C. evidenzia ancora la contraddittorietà del percorso seguito dalla Corte di Appello, che ha spiegato di non potersi occupare dei fatti di via D'Amelio in quanto ancora sub iudice, avendo nel contempo disposto la rinnovazione della istruttoria per l'esame di Gelatolo e Raimo da sentire proprio su quegli avvenimenti 3.13. le emergenze dimostrative della partecipazione cli T. alla strage di via D'Amelio omessa considerazione degli elementi acquisiti, che avevano consentito di sospendere la esecuzione della pena e procedere poi alla revisione delle condanne inflitte a sette persone a suo tempo processate per quei fatti sulla scorta della dichiarazioni di S., A. e C. richiama quindi le dichiarazioni di S. circa l'incarico, conferitogli da C., di provvedere al furto della 126 che aveva intuito essere necessaria per un fatto tragico, anche se sino all'ultimo il collaboratore aveva negato di sapere che l'obiettivo fosse il Dott. B. riassume quindi le dichiarazioni di S. in merito ai fatti di via D'Amelio a partire dal furto della 126 , alla sua custodia, al ripristino della sua funzionalità, al recupero, insieme a T.V., di un antennino e di due batterie poi utilizzati per la realizzazione dell'ordigno al trasporto della vettura in un box nei pressi di via D'Amelio e all'incarico dato a T. di ripulirne l'interno dalle impronte al furto, in concorso con T., delle targhe di un'altra 126 consegnate poi a G.G., che gli consigliò di allontanarsi l'indomani da Palermo sottolinea come l'incarico di procurare la 126 non poteva che essere affidato a soggetti di provata fedeltà anche per le ripercussioni che l'attentato avrebbe di certo avuto evidenzia che la delicatezza del compito era stata percepita da S., che aveva avuto cura di chiedere a C. il permesso di farsi aiutare da T. segnala come fossero plurimi i soggetti che avevano coinvolto nella strage di via D'Amelio T., al quale era stato dato l'incarico di reperire l'antennino e le due batterie la cui funzione non poteva destare equivoci di sorta denuncia, perciò, l'errore in cui è incorsa la Corte di Appello nel rifiutare di prendere in considerazione le vicende relative alle stragi in continente perché coperte da sentenze di assoluzione e, nel contempo, la strage di via D'Amelio per l'esistenza di un processo in corso, pur avendo ritenuto di poter valorizzare i fatti di Roma proprio per l'assenza di processi definiti o in corso e, sotto altro profilo, realizzando una disparità di trattamento, sul piano logico ed inferenziale, con la posizione di T., la cui responsabilità per i fatti di Capaci è stata collegata alla partecipazione alla missione romana 3.14. il contributo probatorio di C.T. travisamento della prova con riferimento alle propalazioni di C. il P.G. rileva che le dichiarazioni di C. sulla strage di via D'Amelio dovevano essere valutate onde apprezzarne la portata di riscontro a quelle di S. al fine di ricostruire la figura di T. ed inferirne le relative conclusioni sul piano dell'elemento psicologico, dato che le due stragi sono caratterizzate dalla medesima natura, dalla identità di molti dei protagonisti, legati da un unico e continuativo rapporto intersoggettivo, dalla contestualità territoriale e dalla vicinanza cronologica e del movente rileva come C. fosse stato tra i primi a rivelare il coinvolgimento del mandamento di Brancaccio nelle stragi fornendo negli anni un contributo acquisito in vari processi, in ragione del quale è stato ammesso al programma di protezione, avendo rivelato che fu proprio T., sia pure in maniera larvata, a fargli presente il suo coinvolgimento della strage di via D'Amelio riporta quindi le dichiarazioni rese da C. al processo B.-bis e acquisite nel presente processo sottolinea che si tratta di dichiarazioni rese nel 1997, ben prima di quelle di S. e quando il furto della 126 era stato attribuito a S. e a C.S. ripercorre perciò la figura di C. a partire dalla vicenda relativa all'acquisizione del villaggio Euromare, ai suoi rapporti con i G. e al favoreggiamento della latitanza di B.L. proprio in quel sito segnala che C. aveva riferito di aver conosciuto T. in quel contesto, avendo avuto con lui rapporti legati alle richieste di denaro dei G. sottolinea che le propalazioni di C. hanno ricevuto rilevanti riscontri a partire da quelle di S., cugino di S.D., al quale, dopo il suo arresto, i G. avevano tolto il villaggio omissis affidandolo, su sponsorizzazione di G.P., proprio a C. richiama, a proposito dei rapporti economici tra C. e i G., anche per il tramite di T., le dichiarazioni rese da T.F., secondo il quale T. riscuoteva il denaro da C. che si lamentava dei suoi modi veementi riporta, ancora, le dichiarazioni di D.G. a proposito di C. e dei suoi rapporti con i G. 3.15. omessa considerazione delle dichiarazioni di G.V. travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni di G. sull'attivismo di T. al servizio dei fratelli G. a cavallo delle stragi di Capaci e di via D'Amelio evidenzia che la Corte non ha preso in considerazione le dichiarazioni di G.V. pur dopo averne disposto l'audizione, avvenuta in data 29 agosto 2018, dando luogo a quello che il P.G. definisce l'ennesimo aspetto della doppia conforme omissiva , trascurando di considerarne le dichiarazioni come ha fatto per quelle di C., di R. e dello stesso S. segnala come la Corte abbia tacciato di astrattezza il ragionamento della pubblica accusa per poi fondare le proprie considerazioni su considerazioni esse sì del tutto avulse dal materiale probatorio agli atti, che dimostrava la diretta implicazione di T. nelle fasi preparatorie della strage di via D'Amelio sottolinea, peraltro, che le dichiarazioni rese da G.V. e da R.F. nel processo B.-quater furono acquisite ai sensi dell' articolo 507 c.p.p. dalla Corte di Assise che, tuttavia, non le ha considerate affatto richiama quindi le dichiarazioni rese da G.V. all'udienza del 20 settembre 2018, quando il dichiarante aveva riferito degli esordi della sua conoscenza con T., risalente alla fine degli anni �80, ignorando che fosse intraneo a Cosa Nostra sin quando, tra il maggio ed il giugno del 1992, proprio T. gli aveva fatto presente che un amico del padre gli voleva parlare portandolo così al cospetto di G.F. che gli fece un'ambasciata diretta al padre V., in quel momento ristretto in carcere segnala che G., con i suoi familiari, aveva gestito un parcheggio abusivo vicino a via D'Amelio dove T., alla metà del mese di giugno, lo aveva messo in guardia dal recarvisi analogo messaggio G. aveva riferito essergli stato trasmesso da G. in occasione dell'incontro sopra richiamato osserva che le dichiarazioni di G., unitamente a quelle di T. e di C.A., convergono nel disegnare la figura di Tutino come autista e uomo di fiducia prima di G. e poi di G.F., coerentemente con quanto riferito da D.F.E. e D.F.P. oltre che da D.G. e dal collaboratore S. giustifica l'errore in cui era incorso G. nell'indicare G.F. piuttosto che G.G. con l'appellativo di omissis e sostiene che il racconto di G. del suo incontro con G.F. aveva trovato un importante riscontro nel fatto che costui, in quel momento, era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale sottolinea come la Corte nissena non abbia considerato affatto tali circostanze e la valenza del fatto che T., solo pochi giorni dopo la strage di Capaci, era già al corrente di quanto programmato in via D'Amelio, tanto da consigliare G. di evitare quella zona, avendo in precedenza aiutato nel caricare i sacchi sulla vettura di C., cui aveva fatto da battistrada sottolinea il tenore del messaggio che G.F. aveva inviato a G.V., tramite il figlio, su quanto sarebbe accaduto nel territorio della famiglia di Acquasanta, dallo stesso capeggiata, ambasciata che G. non aveva potuto ricevere da M.S., tratto in arresto il 13 dicembre 1991 prosegue nella esposizione delle dichiarazioni di G., che aveva riferito della insistenza con cui T. aveva ribadito la bontà dei consigli di G. di cui, dopo l'attentato, aveva colto il senso 3.16. omessa considerazione delle dichiarazioni di R.F. violazione di legge e travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni di R.F. circa il coinvolgimento di T. nella strage di via D'Amelio, in contraddizione con l'accoglimento della richiesta di riapertura della istruttoria dibattimentale con l'escussione del collaboratore il P.G. richiama e sintetizza le dichiarazioni rese da R.F. nel processo B.-quater, acquisite al processo di primo grado e ribadite in aula nel giudizio di appello circa la conoscenza di T. in carcere, dove un giorno gli venne recapitato un avviso di garanzia della Procura della Repubblica di Caltanissetta per il delitto di strage, come confermato allo stesso T. dal compagno di cella Rampulla, cui aveva chiesto lumi sugli articoli di legge riportati sull'atto segnala che R. aveva fatto presente di aver chiesto notizie a T., il quale aveva evocato S. che lo aveva messo in mezzo anche alla strage di via D'Amelio, prima di essere tranquillizzato da R. sull'assenza di riscontri alle dichiarazioni di un solo collaboratore richiama, ancora, le dichiarazioni rese da R. all'udienza del 4 febbraio 2015, evidenziando come la cronologia degli avvenimenti portasse a ritenere che il colloquio fosse avvenuto nel gennaio/febbraio del 2009 in coincidenza con la notifica a T. di un avviso di accertamenti tecnici irripetibili e di due decreti di sequestro e non già, come erroneamente ritenuto dal collaboratore, dopo il terremoto di L'Aquila, poiché nell'invito a rendere l'interrogatorio vi era già la imputazione per i fatti di via D'Amelio e T. non avrebbe avuto alcuna necessità di chiedere lumi a Rampulla sottolinea che questa conclusione è corroborata anche dalla coincidenza tra le parole di R. e l'orario risultante dalla relata di notifica di qui la rilevanza di quanto riferito da R. circa il fatto che T. ebbe ad accennare a S. e al furto della 126 di cui in quegli atti non vi era traccia alcuna sottolinea come tali propalazioni rappresentassero perciò un rilevante riscontro 311e dichiarazioni di S., anche tenuto conto della congruità del contenuto delle confidenze di T. a R. e dell'atteggiamento concretamente assunto nel processo evidenzia come la circostanza che R. non avesse fatto cenno a tali circostanze nel verbale illustrativo non può incidere sulla sua attendibilità, trattandosi di questioni che non attengono al nucleo di conoscenze essenziali del collaboratore attinente piuttosto alla criminalità organizzata campana richiama le dichiarazioni rese da R.F. all'udienza dibattimentale del 20 settembre 2018 relative al colloquio con T.V. sulla persona di S.G., conterraneo di T. che egli aveva conosciuto in carcere a Novara, protestatosi innocente rispetto ai fatti di via D'Amelio, quando lo stesso T. gli disse di sapere anche lui dell'innocenza di S., circostanza che il collaboratore interpretò come un ulteriore segnale del suo coinvolgimento nella strage 3.17. il processo troncone abbreviato contro B.G. e C.C. e la sentenza della Corte di cassazione del 28 settembre 2017 violazione di legge con riguardo al principio affermato dalla Suprema Corte in materia di condotte partecipative alla catena stragista il P.G. richiama la decisione della Cassazione sul troncone abbreviato Capaci-bis con riguardo alla posizione di B.G., evidenziando come i giudici nisseni abbiano adottato un metro di giudizio opposto evidenzia a tale scopo che la sentenza impugnata ha valorizzato la circostanza secondo la quale quella di Capaci era la prima delle stragi con il correlativo limite al ricorso a criteri presuntivi e deduttivi sull'elemento psicologico deduce che tale ragionamento era quello proposto dalla difesa di B., disatteso dai giudici di merito e, da ultimo, dalla Corte di cassazione che ha espresso un principio senz'altro applicabile al caso di T.V. per il quale lo iato temporale con il successivo episodio stragista era stato di meno di due mesi, mentre per B. di un anno neppure conclude il P.G. - era lecito qualificare il contributo di T., quale descritto dallo S., come limitato 3.18. la condanna definitiva di T.F. per la strage di via D'Amelio in forza di una consapevolezza psicologica minusvalente rispetto a quella predicabile per T.V. per la strage di Capaci ricostruisce brevemente la figura di T.F. e le sue dichiarazioni circa la partecipazione, alle dipendenze di G.G., alle fasi preparatorie della strage di via D'Amelio, avendolo ospitato in casa sua, accompagnato, nelle prime due settimane di luglio, ad effettuare due sopralluoghi sul posto con C.C. a fare da battistrada e, la mattina del 19 luglio, lo aveva consegnato a C. dopo averlo ospitato a casa sua per la notte segnala che nemmeno a T. era mai stato rivelato quale fosse l'obiettivo della iniziativa che si stava predisponendo, la cui consapevolezza il collaboratore aveva riferito di aver maturato gradualmente per averne avuto definitiva conferma due giorni dopo la strage in occasione di un breve colloquio con G.G. evidenzia come per T. i giudici abbiano confermato l'esistenza di quel coefficiente psicologico idoneo a sorreggere il dolo generico che caratterizza il delitto di strage riporta testualmente le dichiarazioni rese da T.F. nell'interrogatorio del 24 aprile 2011 rileva come non vi fosse analogia alcuna tra la posizione di T., formalmente esterno a Cosa Nostra rispetto a T., mafioso a tutti gli effetti e impegnato nelle attività istituzionali su mandato di G., e che nell'interesse della consorteria prendeva parte anche a delicati incontri tra esponenti del sodalizio tra loro e con terzi la conseguenza, secondo il P.G è che ben maggiore doveva essere la consapevolezza in capo a T.V. rispetto a quella che avrebbe potuto ed aveva in realtà nutrito T. richiama, ancora, la giurisprudenza di questa Corte sui presupposti fattuali per rispondere del delitto di strage con riguardo, in particolare, a chi abbia svolto un ruolo anche circoscritto e limitato senza neppure conoscere l'identità degli esecutori materiali, le modalità esecutive della condotta e la stessa identità delle vittime designate, purché sia consapevole di fornire un contributo in un più ampio disegno e progettazione delittuosa segnala che non poteva certo sfuggire, a chi stava predisponendo l'attività, l'eclatante omicidio del consigliere istruttore C.R. realizzato proprio attraverso una autobomba . 4. La difesa di T.V. ha depositato una memoria nella quale ha concluso per la inammissibilità del ricorso proposto dalla Procura Generale, in quanto meramente reiterativo dei motivi già disattesi dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, aventi ad oggetto profili di merito e sulla ricostruzione del fatto deduce che il ricorso non riesce a evidenziare violazioni di legge o vizi di motivazione per omissione o manifesta illogicità, mirando, piuttosto, a sollecitare un inammissibile sindacato sulle scelte valutative di argomentazioni già vagliate e giudicate infondate dalla Corte territoriale con adeguata motivazione. 5. Nel ricorso di P.G. si deduce 5.1. violazione dell' articolo 192 c.p.p. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione il ricorrente rileva come il processo riguardi alcune figure di concorrenti nella strage che aveva coinvolto il giudice F., la cui eliminazione era stata deliberata già tra il 1983 e il 1986 nel tentativo di condizionare l'esito finale del maxiprocesso , ottenendo la sconfessione del teorema B. segnala che, più in particolare, la decisione era stata assunta dalla commissione provinciale nel dicembre del 1991 con la partecipazione dei capi mandamento e che la sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta del 7 aprile 2000 aveva sostenuto che R. avrebbe introdotto un nuovo sistema di riunioni frazionate per motivi di sicurezza di cui non erano certamente a conoscenza né S. né P., i quali non erano al corrente della destinazione dell'esplosivo alla eliminazione del Dott. F. evidenzia che la stessa sentenza impugnata ha spiegato che soltanto dopo la strage era stato raccomandato di sgomberare il tutto, in coerenza con la regia di riservatezza e compartimentazione delle notizie che aveva caratterizzato le stragi, coerentemente con la lamentela di S. e di T. di non avere saputo nulla dell'obiettivo richiama le dichiarazioni di S., che aveva riferito di essere stato contattato da C.C. con l'incarico di recuperare un'autovettura con un bagagliaio di grandi dimensioni, del prelievo di un fusto metallico dal mare che era stato caricato prima sulla barca e poi sulla Renault 9 del fratello del dichiarante e portato presso l'abitazione della zia, dalla quale il giorno successivo era stato caricato su una Moto Ape e portato nello scantinato di uno stabile di Brancaccio dove erano iniziate le operazioni di estrazione e macinatura dell'esplosivo che tuttavia andavano a rilento, sicché era stato predisposto un piano in cui era stato inserito anche P.G., il quale vi aveva partecipato con minore frequenza, presenziando poi al recupero di due ordigni presso la Cala di Palermo rileva che la sentenza impugnata ha ricostruito le fasi della consegna a G. di dieci chilogrammi di esplosivo e, poi, del caricamento del resto nella vettura di C. ad opera di S. e T. e che, sempre secondo le dichiarazioni del primo, durante la macinatura nessuno aveva parlato della destinazione finale dell'esplosivo segnala, ancora, che la responsabilità di P. è stata affermata sulla scorta principalmente delle dichiarazioni di S. e del riscontro rappresentato dalla partecipazione del ricorrente ai fatti di Firenze e di Formello che avrebbero rappresentato le tappe successive della medesima strategia stragista svolge alcune considerazioni di ordine generale sui criteri di valutazione della prova con particolare riferimento alle dichiarazioni eteroaccusatorie e ai criteri dettati dall' articolo 192 c.p.p. con la duplice fase valutativa dell'attendibilità intrinseca e della ricerca di riscontri estrinseci che debbono essere individualizzanti oltre che indipendenti tanto premesso, deduce che la sentenza impugnata non soddisfa alcuno dei criteri richiesti dalla giurisprudenza, atteso che l'unico riscontro alle dichiarazioni di S. è rappresentato proprio ed esclusivamente dalla condanna per i fatti di Firenze e di Formello la partecipazione ai quali dimostrerebbe la preventiva adesione di P. alla strategia stragista promossa da Cosa Nostra , in cui rientrava anche l'attentato al Dott. F. rileva, tuttavia, la contraddittorietà della sentenza che colloca nel dicembre del 1991 la decisione di eliminare il magistrato alla condizione sospensiva dell'esito del maxiprocesso , peraltro attesa dopo l'assegnazione del processo al collegio giudicante evidenzia che, al contrario, la strategia stragista, avente ad oggetto un attacco contro lo Stato, fu realizzata tra il 1993 ed il 1994 e che S. ne fu messo al corrente perché soggetto di particolare caratura mafiosa soltanto in occasione della strage di Firenze e non prima, mentre per la strage di Capaci né lo stesso né gli altri soggetti impegnati nella macinatura erano a conoscenza della destinazione dell'esplosivo e dei suoi obiettivi di qui - opina la difesa - la impossibilità di desumere, dalla condanna di P. per i fatti del 1993 e del 1994, un riscontro logico di un fatto antecedente che, nella stessa ricostruzione operata dai giudici di merito, si presenta del tutto autonomo e svincolato dai successivi tragici accadimenti segnala che la conclusione cui è pervenuta la Corte nissena si risolve in una mera deduzione non supportata da alcuna emergenza processuale, ribadendo come l'attentato di Capaci rispondesse a una logica e a una finalità ben diverse da quelle che avrebbero ispirato la successiva stagione delle stragi richiama, sul punto, la sentenza con cui la Cassazione ha definito la posizione di P. e di altri in relazione ai fatti di Firenze e le considerazioni svolte in quella sede quanto alla eccezione di incompetenza territoriale in cui si era rimarcata la soluzione di continuità tra le stragi di Capaci e di via D'Amelio rispetto agli eventi ivi giudicati conclude, perciò, nel senso della illogicità della motivazione là dove riconosce la unitarietà della strategia stragista sulla scorta di una sentenza che afferma tutt'altro 5.2. violazione degli articolo 42 e 110 c.p. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione la difesa, richiamate le condotte materiali di cui P. si sarebbe reso protagonista, rileva che la sua responsabilità si fonda essenzialmente su elementi di natura logica nonostante l'assenza di informazioni, da parte sua, sulla destinazione dell'esplosivo e sul progetto di eliminare il Dott. F. richiama i principi affermati dalla giurisprudenza in punto di responsabilità concorsuale per fatti commessi nell'ambito di consorterie criminali di cui l'agente sia partecipe e di dolo del delitto di strage sostiene che la Corte nissena ha desunto l'elemento psicologico esclusivamente dall'apporto materiale, sovrapponendolo all'elemento oggettivo del reato evidenzia che la stessa sentenza ha sottolineato come, all'interno degli ambienti mafiosi, non tutti sapessero della pianificazione della strage di Capaci e, certamente, non ne fossero a conoscenza S. e P., che non aveva nemmeno contezza del complessivo quantitativo di esplosivo, stante la sua saltuaria partecipazione alle operazioni di macinatura e la sua assenza il giorno in cui esso venne caricato sulla vettura di C. rimarca ancora la difforme soluzione cui i giudici di merito sono pervenuti per T., il cui contributo è stato ritenuto marginale, laddove anche P. aveva partecipato solo saltuariamente alle operazioni di macinatura sottolinea come non vi fossero elementi per sospettare quale sarebbe stata la destinazione finale dell'esplosivo, spesso utilizzato per azioni intimidatorie 5.3. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. rileva che l'aggravante non può essere applicata ai reati puniti con la pena dell'ergastolo, come testualmente stabilito dal comma 1 della disposizione normativa. 6. M.S.M., con un unico articolato motivo di ricorso, denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articolo 110 e 422 c.p. , articolo 192 c.p.p. , comma 3, e articolo 187 c.p.p. , articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU . 6.1. La difesa rileva che dalla lettura della sentenza impugnata si evince come la decisione risenta del pregiudizio espresso dagli stessi giudici nel connesso processo per la strage di via D'Amelio, in considerazione del fatto che quella di Capaci sarebbe stata decisa nella stessa riunione per gli auguri di Natale del 1991 segnala che la Corte di Assise di Appello ha disatteso la ricostruzione difensiva secondo cui tale decisione, come riferito dai collaboratori B.G. e C.S., era stata assunta già ai primi anni �80 e, anche alla luce di diverse versioni dei fatti, non era mai stata messa in dubbio, non necessitando di una ulteriore ri conferma aggiunge che la stessa ordinanza custodiale adottata nel 2016 nei confronti di M.D.M. aveva collocato la deliberazione collegiale al mese di ottobre del 1991, mentre lo slittamento a dicembre è stato fondato esclusivamente sulle parole di G.A., prive di ogni riscontro richiama e riassume le dichiarazioni rese da G. in sede di controesame quanto al contenuto e ai temi trattati nella riunione, con particolare riferimento all'intervento di R.S. e alla manifestata intenzione di questi di chiudere i conti , accompagnata dal consenso del silenzio osserva che, sempre secondo le parole di G., nell'occasione R. aveva ufficializzato la successione di S.B. quale capo del mandamento di Misilmeri a seguito dell'uccisione di O.P. deduce che, secondo la Corte, le parole di G. sarebbero state riscontrate da quelle del collaboratore C.S., delle quali, tuttavia, evidenzia la difformità rispetto alla ricostruzione fornita dal primo, avendo egli riferito, nell'interrogatorio acquisito ai sensi dell' articolo 512 c.p.p. , che R. ne parlava dal 1988-89, tornando più o meno spesso sul punto, e che alla riunione alla quale era presente M.S., quale reggente del mandamento di Resuttana, non si era parlato di quanto riferito da G. bensì dell'omicidio di O.P. aggiunge che, sempre secondo C., della eliminazione del Dott. B. si era discusso solo dopo l'attentato al Dott. F. di qui, secondo la difesa, la non linearità del percorso argomentativo che vuole ricondurre alla medesima riunione la elaborazione di una strategia unitaria, nonostante le difformità tra le versioni fornite dai due collaboratori oltre che con quella di B.G. rileva che nell'atto di gravame era stato evidenziato il percorso che aveva portato alla decisione di eliminare il Dott. F., oggetto di riunioni ristrette a partire da metà febbraio del 1992, e che G. aveva omesso di riferire della riunione del dicembre del 1991 sia quando, all'inizio della sua collaborazione, era stato sentito nel processo Tempesta sia nel corso del processo a suo carico per il duplice omicidio Savoca a Palermo quando aveva ricordato di aver visto M. nei primi mesi del 1992, circostanza impossibile essendo questi detenuto dal 13 dicembre 1991 , con conseguente difetto di costanza e sostanziale fallacia delle dichiarazioni rese nelle varie occasioni aggiunge che G., pur avendo riferito di aver partecipato a varie riunioni, aveva precisato di non avere avuto notizie di omicidi eccellenti sottolinea che la difesa aveva posto interrogativi in ordine al ricordo serbato dal collaboratore quanto ai soggetti presenti per il mandamento di Resuttana, rimasti senza risposta da parte della Corte evidenzia, ancora, le discrasie segnalate tra le dichiarazioni di G. e quelle di B. assunte nel processo per la strage di via D'Amelio circa l'occasione in cui sarebbe stata ri deliberata la eliminazione dei due magistrati e, anche, il mancato ricordo da parte di altri esponenti come M., + ALTRI OMESSI, che pure rivestivano ruoli di primo piano in sintesi, secondo la difesa, G., unico accusatore di M., aveva riferito che costui aveva partecipato alla riunione del dicembre 1991 in sostituzione del padre detenuto già a sua volta condannato per il medesimo fatto e di averlo nuovamente incontrato nei primi mesi del 1992 quando, invero, costui era già stato arrestato aggiunge che lo stesso G. aveva riferito delle lamentele raccolte in carcere da G. in ordine alla decisione di eliminare il Dott. B. nel loro territorio, circostanza in contrasto con la presenza di M. alla riunione in cui tale iniziativa sarebbe stata deliberata ribadisce, perciò, che la sentenza non si è conformata ai criteri di valutazione della prova delineati dall' articolo 192 c.p.p. , comma 3, e presenta profili di illogicità quanto alla individuazione del ricorrente come mandante della strage sottolinea ancora il contrasto tra la ricostruzione di G. e quelle di C., S. e G. evidenzia, in diritto, la problematicità della individuazione di un concorso del ricorrente rispetto a una decisione già assunta in precedenza, del quale la Corte non ha spiegato l'efficacia determinativa o rafforzativa in termini di causalità efficiente. 6.2. La difesa di M.S.M. ha trasmesso una breve memoria in cui ha insistito nell'accoglimento delle censure già articolate con il ricorso, deducendo anche la nullità della sentenza impugnata per incapacità del giudice, dovuta a difetto di terzietà e imparzialità, risultando la regiudicanda condizionata dall'esito maturato nel connesso procedimento per la strage di via D'Amelio. 7. Il ricorso proposto nell'interesse di T.L. è articolato in tre motivi. 7.1. Con il primo, la sentenza impugnata viene censurata per violazione di legge articolo 192 c.p.p. , vizio motivazionale e travisamento dei fatti . 7.1.1. La Corte di assise di appello non ha affrontato adeguatamente le censure difensive riguardanti la inattendibilità intrinseca dello S. sull'esplosivo , avuto particolare riguardo alla incompatibilità tra la tipologia di esplosivo e la tipologia di ordigni indicati da S. esplosivo del colore tipico del tritolo e bombe di profondità americane , in quanto questo tipo di bombe non conteneva tritolo bensì TORPEX, dal colore assolutamente diverso, come chiarito dal consulente tecnico della difesa. I giudici di merito, con mere illazioni, hanno superato dati tecnici obiettivi, non confutati da dati tecnici di segno contrario. 7.1.2. La inattendibilità estrinseca delle dichiarazioni di S. in ordine all'utilizzo dell'esplosivo per la strage di Capaci , già denunciata in sede di gravame, è emersa sotto molteplici profili, non essendovi alcuna certezza che l'esplosivo asseritamente macinato dallo stesso collaboratore sia stato effettivamente adoperato per una strage e per la strage di Capaci in particolare. Le dichiarazioni di D.C., pescatore che avrebbe fornito i primi due ordigni, divergono da quelle di S. su molti aspetti la data e l'orario del prelievo, le modalità di trasbordo e le auto utilizzate per il trasporto delle bombe, le forme degli ordigni, il giorno della presentazione di S., il conducente dell'auto con le bombe a bordo. Le dichiarazioni di D. potrebbero al massimo confermare il prelievo di due ordigni a Porticello, ma non certamente l'utilizzo dell'esplosivo ricavato nella strage di Capaci. Entrambi i giudici di merito hanno individuato un riscontro a tale ultima ipotesi in una conversazione fra R. e un altro detenuto intercettata all'interno del carcere di Milano Opera. Le esternazioni di R. non presentano carattere di novità, non riscontrano utilmente quelle di S., facendo anche riferimento all'esplosivo T4 che non era contenuto negli ordigni indicati dal collaboratore. R. volle verosimilmente effettuare un depistaggio, sapendo di essere intercettato, tant'e' che, trattando della strage di via D'Amelio, riferì al proprio interlocutore una circostanza falsa sull'attivazione del congegno esplosivo. La sentenza impugnata, come quella di primo grado, ha operato un travisamento là dove ha indicato nelle dichiarazioni di T. e F. un riscontro al fatto che l'esplosivo consegnato al Motel Agip da C. a G. sia stato poi portato e utilizzato a Capaci. Le dichiarazioni di T., infatti, divergono da quelle di S. su punti non secondari e il contrasto fondamentale riguarda proprio la circostanza più importante, relativa all'oggetto contenuto all'interno del portabagagli dell'autovettura di C. secondo S. si trattava di due sacchi neri di immondizia, colmi di circa venti federe di cuscino riempite per metà, contenenti il tritolo macinato di quattro bombe di profondità 400 kg circa T., invece, ha dichiarato di avere visto un involucro nero ripiegato, dalle dimensioni di 50 cm per 30-40 cm. I giudici di merito hanno preteso di superare un dato obiettivo, costituito da detta chiara divergenza, con una pura illazione, ossia con la cattiva percezione da parte di T Le dichiarazioni di T. e F. contrastano con quelle di S. anche sulla data di consegna dell'esplosivo al Motel Agip, che pertanto potrebbe essere stata successiva al caricamento del cunicolo, avvenuto in data 8 maggio. In ogni caso le dichiarazioni di S. e T. non provano che poi G., ricevuto da C. l'esplosivo macinato, si fosse poi recato a Capaci, circostanza non dimostrata dal solo fatto che egli fu visto lasciare il luogo dell'appuntamento dopo avere imboccato la direzione Capaci. In ordine alla consegna del campione di esplosivo da B. a B. per le prove di omissis , non vi è alcun riscontro sul fatto che quel campione fosse lo stesso consegnato da S. a G. né sul fatto che fosse della stessa partita di quello poi utilizzato per la strage di Capaci. L.B., sentito nel presente processo, ha affermate che il campione di esplosivo fornito da B. per le prove, asseritamente proveniente da G., era farinoso beige, indicando un colore diverso da quello fornito da S. a G., e che non vi era identità neppure fra l'esplosivo fornito per le prove di omissis da S. a G., poi rinvenuto in località Gambascio, e quello adoperato per la strage di Capaci. La Corte di appello, su questa ultima circostanza, ha cercato di superare il contrasto fra le dichiarazioni di L.B. e quelle di B. con una illazione, ritenendole anche compatibili con quelle di S. e F., che pure aveva indicato un colore diverso. La sentenza impugnata è incorsa poi nel medesimo travisamento di quella di primo grado, sostenendo, sulla base della consulenza del pubblico ministero, che l'esplosivo trovato nel 1995 nella disponibilità di R.P., sodale di S., fosse identico al tritolo utilizzato nella strage, cosicché vi sarebbe un ulteriore riscontro alle dichiarazioni del collaboratore lo stesso S. ha affermato che esplosivo simile a quello ritrovato nella disponibilità di R. che - secondo la consulenza - proveniva verosimilmente da ordigni militari della seconda guerra mondiale, quali mine antinave e non bombe di profondità fu impiegato per le stragi del 1993 e in particolare per l'attentato all'Olimpico. Le dichiarazioni di F. smentiscono la ritenuta identità fra l'esplosivo macinato da S. e poi consegnato da C. a G. al Motel Agip e quello consegnato per la strage di Capaci da G. allo stesso F., il quale, anche nel presente processo, ha parlato di sacchi contenenti l'esplosivo quattro sacchi di tela juta di plastica, bianchi, grossi e molto pesanti, cuciti a macchina assolutamente diversi da quelli indicati da S. e di un tipo del tutto differente da quello descritto dallo stesso collaboratore. La Corte di appello ha superato la divergenza del molteplice , ossia il contrasto fra le dichiarazioni di F., T. e S., riguardanti elementi essenziali quali l'oggetto effettivamente consegnato, con una valutazione di tipo probabilistico e travisamento della prova. In atti non solo mancano conferme che quello utilizzato per la strage fu l'esplosivo consegnato a G., ma vi sono elementi probatori dichiarazioni dei collaboratori A. e M. in base ai quali si può ritenere che per Capaci la fornitura di esplosivo fu fatta dai catanesi. 7.1.3. Vi è poi una inattendibilità intrinseca del racconto dei collaboranti vecchi L.B., D.M., B. e nuovi S. sulla dinamica dell'attentato, che sarebbe stato realizzato con l'utilizzo di un congegno primitivo quale un radiocomando da modellisti, soggetto a rischio di interferenza. Il generale T., consulente della difesa, ha spiegato che tali modalità avrebbero comportato una elevata possibilità di fallimento del piano. Alla luce di dati tecnici e scientifici si può affermare che la strage fu realizzata con mezzi e uomini di altissime competenze, cosicché è ipotizzabile un depistaggio dei pentiti o l'esistenza di un doppio cantiere dell'attentato. 7.1.4. In sede di gravame si era denunciata la inattendibilità intrinseca di S. sul ruolo di T. nella fase iniziale e soprattutto con riferimento alla condotta di prelievo, macinatura e consegna dell'esplosivo il racconto del collaboratore era generico ed evanescente e tale è rimasto anche all'esito dell'esame svoltosi nel giudizio di appello, nel corso del quale il collaboratore ha continuato ad attribuire un ruolo di spessore solo a C., unico supervisore delle operazioni. Secondo quanto riferito da S., al primo appuntamento per il prelievo dell'esplosivo T. non si presentò e poi non partecipò alle operazioni di macinatura e trasporto, limitandosi a presenziare con sporadici interventi, svolgendo un ruolo di comprimario nella fase di valutazione dei quantitativi, rimanendo assente nella essenziale fase di consegna del prodotto finale. 7.1.5. Le dichiarazioni di S. su T. sono poi prive di riscontri individualizzanti ed anzi l'unico ipotetico riscontro, costituito dallo stato di latitanza del ricorrente all'epoca dei fatti, ricordato dal collaboratore, è stato documentalmente smentito, perché la prima ordinanza di custodia cautelare nei confronti di T. fu emessa solo il 5 marzo 1993. Erroneamente i giudici di merito hanno considerato la cosiddetta missione romana del febbraio 1992 quale riscontro logico delle dichiarazioni di S. sul ruolo svolto da T La tematica della missione romana si fonda solo sulle dichiarazioni di S.V., che mai hanno costituito oggetto di accusa a carico di T., non imputato nel processo di Firenze per le stragi successive, cosicché sono inutilizzabili le dichiarazioni dei collaboratori sentiti in quel processo, riportate dal primo giudice, in violazione dell'articolo 238-bis de codice di rito, per quanto non riguardanti neppure lo stesso T Le dichiarazioni rese da S. nel corso del primo grado di questo giudizio si caratterizzano per la loro inattendibilità intrinseca, stante la incoerenza del suo racconto sotto molteplici profili, specificamente indicati in ricorso, e non sono state riscontrate da quelle di G.F., esaminato nel giudizio di appello, e di S.A., sentito nel processo di Firenze, secondo i quali l'obiettivo della missione romana era C.M. e non il giudice F Su detta missione, dunque, manca ogni riscontro individualizzante, cosicché l'asserita partecipazione di T. alla stessa non può essere riscontro logico alla sua partecipazione alla strage di Capaci, anche in ragione della diversità dei soggetti presenti, del contesto temporale e locale. Del resto, anche S. e G. parteciparono alla missione romana, eppure non furono coinvolti nella strage di Capaci. Il cosiddetto riscontro logico non può essere rappresentato da una mera inferenza, ma dovrebbe costituire un dato certo che può riscontrare un dato incerto. Va altresì escluso che un riscontro individualizzante sia costituito dall'appartenenza di T. al gruppo di fuoco di Brancaccio, in quanto essa risale ad un'epoca di molto anteriore alla strage di Capaci. Il ricorrente, poi, nel processo Golden Market , fu condannato solo per due omicidi commessi nel 1988 e 1989 non si può escludere una interruzione dei rapporti con quel gruppo, anche alla luce delle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori che non hanno incluso T. nel gruppo di fuoco operativo a Brancaccio negli anni �90. Non può costituire riscontro neppure la sentenza di condanna del ricorrente per la strage di via D'Amelia, fondata sulle sole dichiarazioni del falso pentito S. il fatto che tale sentenza, per ragioni extra-processuali , non sia stata oggetto di revisione è irrilevante, considerata la identità di posizione di T. rispetto ai coimputati per i quali, a seguito del giudizio di revisione richiesto dalla Procura generale, la sentenza è stata annullata. Vi e', invece, un riscontro logico di segno negativo rispetto alla presunta partecipazione di T. alle operazioni di macinatura dell'esplosivo, costituito dalla situazione di conflitto fra lo stesso e G.G., riferita da S., da S. e da molti collaboratori il ricorrente fu esautorato sicuramente a partire dalle stragi successive a quella di Capaci e con molta probabilità dopo la missione romana e prima della strage di Capaci . 7.2. Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge articolo 110 e 422 c.p. e vizio motivazionale, in sostanza con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico. 7.2.1. Premesso che il fatto di maneggiare o macinare esplosivi rientrava nella fenomenologia del territorio di Brancaccio e di Cosa Nostra nella realizzazione di attentati dinamitardi e non univocamente di stragi e omicidi, lo stesso S. ha escluso ogni consapevolezza in capo a sé e agli altri in ordine alla circostanza che l'esplosivo macinato sarebbe stato poi utilizzato per una strage o un omicidio, tantomeno per quello di F., cosa che non fu mai riferita da alcuno prima, durante o dopo la macinatura, a differenza di quanto accadde per le stragi realizzate nel 1993. Gli addetti alla macinazione non furono avvisati di non passare per Capaci il giorno della strage, diversamente da quanto successo per quella di via D'Amelio ed ancora l'ordine di fare sparire le cose compromettenti armi e altro dal magazzino in uso a S. arrivò - secondo quanto da quest'ultimo dichiarato - solo la sera alle 20, a distanza di alcune ore dall'attentato. La stessa sentenza impugnata a pag. 401 non smentisce la circostanza della mancata conoscenza in capo a S. e ai suoi complici, fra i quali T., della destinazione alla strage dell'esplosivo macinato. 7.2.2. I giudici di merito, poi, hanno illegittimamente operato una traslazione dell'elemento soggettivo della missione romanà , che fu interrotta da R. per cose più grosse rispetto alla eliminazione di F., C. e M., da identificare nell'omicidio del politico L.S., avvenuto il omissis . Quando fu macinato l'esplosivo, dunque, T. riteneva che F. non dovesse più essere ucciso, una volta interrotta la missione romana, che fu una delle tante missioni più o meno esplorative o esecutive svoltesi in passato, considerato che la decisione di uccidere F. non era una novità ma un progetto costante in Cosa Nostra . La partecipazione del ricorrente alla missione romana, peraltro, non è neppure certa, in quanto T. non è stato indagato per tale fatto, esso stesso privo di riscontri, come in precedenza evidenziato. Detta missione, in ogni caso, non può essere riscontro logico alle dichiarazioni di S. perché si tratta di un evento autonomo che non possiede i requisiti fissati dalla giurisprudenza in tema di riscontro logico, considerati i tempi, le modalità, il luogo, i partecipi e valutata soprattutto la fondamentale cesura dell'elemento psicologico fra la missione romana e la strage di Capaci. Il dolo specifico di strage, poi, è anche incompatibile con il dolo eventuale. L'irrilevanza del mero riscontro logico è stata affermata dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio nel procedimento nei confronti di T., mentre nella sentenza della stessa Corte, resa nei confronti di B. e C. nel processo celebratosi con rito abbreviato, quale riscontro logico è stata utilizzata la condanna per le stragi del 1993. 7.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la mancata assunzione di prova decisiva, ex articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. d , costituita da una perizia esplosivistica, già richiesta in primo grado ai sensi dell' articolo 507 c.p.p. e non disposta neppure in sede di appello, nonostante la prova concernesse un aspetto fondamentale, costituito dall'utilizzo per la strage dell'esplosivo acquisito con le modalità indicate da S. oppure di quello indicato dai collaboratori A. e M 8. Il ricorso proposto nell'interesse di L.N.C. è articolato in sei motivi. 8.1. Con il primo la sentenza di appello viene censurata per violazione di legge articolo 192 c.p.p. , commi 3 e 4, articolo 195 c.p.p. , comma 7, articolo 238-bis c.p.p. e articolo 6 della CEDU , motivazione inesistente o apparente in ordine alla credibilità dei collaboratori di giustizia, all'attendibilità intrinseca delle loro dichiarazioni e in tema di riscontri individualizzanti nonché in relazione alla frazionabilità delle dichiarazioni. 8.1.1. L.N. ha commesso tutti i reati per i quali è stato condannato dal 1993 in poi, non essendovi invece la prova di una sua pregressa partecipazione all'associazione, di un'adesione al programma in epoca precedente e neppure della sua conoscenza con S. all'epoca della strage. Il ricorrente è stato condannato in questo processo sulla base di un inammissibile automatismo probatorio fra la sua partecipazione alle stragi del 1993 e quella di Capaci. Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dalle sentenze irrevocabili in atti non risulta alcun coinvolgimento, prima del 1993, di L.N.C., che nell'anno precedente era un vero fantasma nel panorama mafioso. La condanna in sede di giudizio abbreviato subita da S., reo confesso della strage, non può essere utilizzata come elemento a carico di L.N., pena la violazione dell'articolo 238-bis codice di rito. 8.1.2. Le dichiarazioni dello stesso collaboratore sono inattendibili e prive di riscontri. S. non è un soggetto affidabile, come già ritenuto dai giudici nel processo a carico di D. e C., visto il ritardo della chiamata in reità le motivazioni utilitaristiche della sua condotta non sono state ben valutate né è stato affrontato dalla Corte il tema della sua credibilità. Anche se si volesse superare questo aspetto, sarebbero comunque assenti i riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di S., che conosceva gli elementi di riscontro utilizzati in altri processi a carico di L.N., quali la perizia sulla sua Moto Ape o le dichiarazioni di G., chiari esempi della circolarità dell'accusa. Mancano riscontri sul fatto specifico e sulla persona del ricorrente, della cui partecipazione alla strage nessun altro collaboratore ha riferito. Anche i tabulati telefonici confermano i rapporti fra L.N. e S. solo successivamente al 1993 . Le dichiarazioni di D.C. sul prelievo degli ordigni - come rimarcato nell'atto di appello - divergono da quelle di S. e la sentenza impugnata non trae le dovute conseguenze dalle difformi versioni dei fatti da parte dei due collaboratori che indicano tempi e soggetti presenti diversi , in violazione anche dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione frazionata della chiamata in correità. Non sono stati neppure considerati gli elementi di riscontro negativo relativamente ai fatti come narrati da S., quali, fra gli altri, il mancato rinvenimento dell'esplosivo nei luoghi della macinatura, le dichiarazioni di soggetti che hanno riferito fatti e rapporti con L.N. solo dal 1994 in poi e di collaboratori che hanno parlato di un suo coinvolgimento nelle stragi del 1993 ma non in quella di Capaci. 8.2. Con il secondo motivo si lamenta difetto di motivazione in relazione a tutte le richieste di riapertura dell'istruttoria dibattimentale, solo parzialmente accolte, e travisamento delle risultanze istruttorie . 8.2.1. Riportate le richieste ex articolo 603 c.p.p. formulate nell'atto di appello, ci si duole della mancata acquisizione dei tabulati telefonici, che avrebbero potuto confermare la versione di L.N. e smentire quella di S. sul loro incontro, dando certezza sui movimenti dei due. La Corte di appello ha poi svalutato l'alibi fornito da L.N., potendosi ritenere accertato, al di là degli esiti della parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, che il ricorrente era imbarcato su un motopeschereccio nei giorni indicati da S., compreso quello della strage quindi il ricorrente non lo aiutò, la sera della strage, a sbarazzarsi dell'esplosivo rimasto nell'immobile di vicolo Castellaccio, diversamente da quanto riferito dal collaboratore . La sentenza non ha ben valutato la circostanza che il luogo in cui sarebbero state caricate le bombe Porticello era molto frequentato, anche di sera. 8.2.2. La Corte ha ritenuto che l'esplosivo prelevato nel 1992 sarebbe stato impiegato nella strage di Capaci senza alcuna prova sul punto ma su base meramente congetturale. Neppure lo stesso S., secondo quanto dallo stesso dichiarato, era a conoscenza della ritenuta destinazione dell'esplosivo. La motivazione della sentenza impugnata non è completa né razionale sulle censure svolte in appello in ordine al sequestro dell'esplosivo rinvenuto nel 1995 su indicazione di R. che secondo S. era il medesimo estratto dalle bombe prelevate , alle dichiarazioni di M., alle altre piste provenienti da attendibili fonti dichiarative che hanno riferito dell'utilizzo di un esplosivo esterno per la strage. 8.2.3. Anche sul piano dell'elemento psicologico la Corte non ha tenuto conto del narrato dei due collaboratori S. e D. sulla mancanza di rappresentazione e volizione dell'evento strage, poiché nessuno li aveva informati di un possibile utilizzo dell'esplosivo per la strage di Capaci. Non è neppure ravvisabile, quindi, l'elemento psicologico del delitto previsto dall' articolo 422 c.p. , che richiede il dolo specifico. 8.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta difetto ed apparenza della motivazione in tema di esclusione di aggravanti . 8.3.1. Quanto all'aggravante della finalità di terrorismo ora prevista dall' articolo 270-sexies c.p. e, in precedenza, dal D.L. 15 dicembre 1979, numero 625, articolo 1 convertito nella L. 6 febbraio 1980, numero 15 , la Corte non ha fatto buon governo dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce dei quali avrebbe dovuto escludere detta circostanza, considerata la mancanza di conoscenza sulla finalizzazione della condotta. 8.3.2. La Corte avrebbe dovuto escludere anche l'aggravante dell'agevolazione mafiosa sia perché applicata a un reato punito con l'ergastolo sia perché non era chiara la volontà di agevolare associazioni mafiose, della quale comunque L.N. non era consapevole, non avendo avuto cognizione della destinazione dell'esplosivo. 8.3.3. In ragione di tale ultima circostanza è stata altresì erroneamente applicata l'aggravante prevista dall' articolo 61 c.p. , comma 1, numero 10. 8.4. Con il quarto motivo la sentenza viene censurata per difetto di motivazione in ordine al criterio seguito per stabilire nella strage di Capaci il reato più grave rispetto a quelli inerenti alle tre stragi del 1993, oggetto del processo definito con la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Firenze il 13 febbraio 2001, in relazione ai quali la sentenza impugnata ha riconosciuto il vincolo della continuazione. Considerato il disposto dell' articolo 187 disp. att. c.p.p. , il reato più grave sarebbe quello di cui alla sentenza del giudice fiorentino. 8.5. Con il quinto motivo si denuncia la omessa motivazione sulla mancata considerazione delle altre sentenze in ordine alle quali era stato chiesto il riconoscimento della continuazione fra i reati. La Corte territoriale non si è pronunciata sulla richiesta in ragione della mancata indicazione degli indici rivelatori del medesimo disegno criminoso, che però erano agevolmente deducibili dalla motivazione delle medesime pronunce. 8.6. Con l'ultimo motivo la sentenza viene censurata per il difetto e l'apparenza della motivazione nonché per l'erronea applicazione della legge penale quanto alla richiesta subordinata di riduzione della pena, avendo chiesto il ricorrente l'ammissione al rito abbreviato condizionato, con istanza respinta dal G.U.P. e poi reiterata dall'imputato, sulla base dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 169 del 2003 . In applicazione di quanto statuito dalle Sezioni Unite nella sentenza numero 44711 del 2004, la Corte avrebbe dovuto applicare la diminuente per il rito, poiché l'assunzione delle prove alle quali era stata condizionata la richiesta del giudizio abbreviato da parte dell'imputato era assolutamente necessaria ai fini della decisione, come dimostrato dal parziale accoglimento della istanza difensiva di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello. 9. In data 30 maggio 2022 l'Avvocatura Generale dello Stato per conto delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, Ministero della Giustizia, Regione Siciliana, Ente Nazionale per le Strade ha depositato una memoria difensiva nella quale conclude per il rigetto dei ricorsi di M.S.M., P.G., L.N.C. e T.L. nonché per l'accoglimento del ricorso della Procura Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta proposto nei confronti di T.V L'Avvocatura evidenzia il carattere eterogeneo delle censure cumulativamente sollevate nei ricorsi degli imputati, per questa ragione privi di specificità ne deduce, in ogni caso, la infondatezza, in particolare, con riguardo - al ricorso di M.S.M. la infondatezza dei rilievi in punto di violazione del principio di cui all' articolo 192 c.p.p. , comma 3 e di illogicità della motivazione, alla luce dell'ampia e articolata motivazione su cui è fondata la decisione della Corte di Assise di Appello - al ricorso di P.G. la infondatezza dei rilievi sollevati dalla difesa con riguardo ai profili di attendibilità di S., accuratamente vagliata in questo e in diversi altri processi e adeguatamente riscontrata alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte - al ricorso di T.L. la motivazione della Corte di Assise di Appello ha affrontato e risolto tutte le questioni che erano state evidenziate con l'atto di appello con riguardo alla natura dell'esplosivo, alle dichiarazioni di S. e all'elemento soggettivo del delitto di strage - al ricorso di L.N.C. la Corte territoriale ha argomentato in maniera esaustiva sui profili della presunta inattendibilità delle dichiarazioni di S. e sull'asserita assenza di riscontri individualizzarti, evidenziati con l'atto di appello rileva la completezza della motivazione anche sui denunciati contrasti con le propalazioni di D.C. e sull'elemento soggettivo. Quanto alla posizione di T.V., l'Avvocatura dello Stato si associa alle considerazioni svolte dal P.G., osservando come la Corte di Assise di Appello abbia confermato l'assoluzione dell'imputato giudicando erroneamente inutilizzabile il materiale probatorio acquisito nel processo B.-quater, nel quale T. è stato condannato con sentenza ormai definitiva. Considerato in diritto Tutti i ricorsi vanno rigettati in quanto proposti con motivi infondati e in parte, nei termini che verranno di seguito precisati, generici o non consentiti. 1. Ricorso M.S.M 1.1. Preliminarmente, rispetto all'esame delle doglianze articolate sul merito della sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, va affrontato il rilievo sollevato dalla difesa nelle prime pagine del ricorso e poi ribadito sia con la memoria difensiva che nel corso della discussione, sulla violazione del principio di imparzialità del giudice che, nel caso di specie, sarebbe stata compromessa dal fatto che i due componenti togati del collegio giudicante erano gli stessi magistrati che avevano composto quello che aveva definito in appello il parallelo processo per la strage di via D'Amelio c.d. B.-quater , la cui decisione si assume essere stata adottata nel corso della medesima riunione convocata da R.S. nel dicembre del 1991 quando, alla presenza di M.S.M., sarebbe stata decisa anche quella di Capaci e dato avvio alla stagione delle stragi . Il difensore ha spiegato di avere avanzato istanza di ricusazione, respinta dalla Corte territoriale, con decisione poi confermata a seguito di ricorso per cassazione con sentenza della VI Sezione numero 22012, emessa in data 8 luglio 2020 in quella sede la Corte aveva giudicato il ricorso manifestamente infondato . per un duplice ordine di profili cfr. ivi , ritenendo in primo luogo che la decisione della Corte di Appello che aveva respinto l'istanza di ricusazione sul rilievo secondo cui si trattava comunque di due processi distinti, nei quali era coinvolto il medesimo imputato ma per fatti storicamente diversi e con diversa collocazione storico-temporale, ritenendo invece non decisiva la identità del ruolo contestato al M. in entrambi i giudizi o la parziale coincidenza del compendio probatorio fosse in linea con i principi costantemente ribaditi dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità . secondo cui la valutazione espressa dal giudice in un provvedimento reso nell'ambito di un procedimento connesso o collegato a quello del quale è investito, concernente lo stesso imputato ma per un reato storicamente diverso, laddove funzionale all'esercizio della funzione decisoria, non costituisce indebita manifestazione del proprio convincimento, suscettibile di fondare una richiesta di ricusazione ai sensi dell' articolo 37 c.p.p. , comma 1, lett. b , come risultante a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità di cui alla sentenza numero 283 del 2000, non potendo configurarsi, in assenza dell'identità del fatto storico e perciò della regiudicanda, alcuna compromissione del principio dell'imparzialità, inteso sia in chiave costituzionale che convenzionale cfr., dalla motivazione della sentenza della Sesta Sezione aveva inoltre ribadito che . non dà luogo ad una ipotesi di ricusazione la circostanza che il magistrato. abbia già preso parte a un giudizio a carico dell'imputato per fatti diversi, sebbene caratterizzati dalla pretesa identità delle fonti probatorie valutate e da valutare cfr. ivi . In secondo luogo, la Corte aveva fatto presente che . la mera lettura del dispositivo della sentenza di appello per la strage di Via D'Amelio, non seguita ancora dal deposito della relativa motivazione, non consente neppure di conoscere il percorso argomentativo del ragionamento probatorio a sostegno di quella decisione, così da potere identificare il carattere pregiudicante del convincimento ivi manifestato da quei giudici per le successive ed autonome valutazioni ad essi riservate nel secondo giudizio per la strage di Capaci nel proc. Capaci-bis. Il che rende qualsiasi argomentazione sul punto meramente congetturale e frutto di illazioni cfr., ancora, ivi . Ed è proprio sulla scorta di questa riserva che la difesa, una volta depositate le motivazioni della sentenza del giudizio di appello sul B.-quater , ha ritenuto di poter utilmente riproporre la questione in questa sede sotto il profilo della nullità della sentenza per difetto del requisito della imparzialità del giudice. A prescindere dalla genericità del rilievo, non accompagnato da alcun riferimento a passaggi della motivazione di quella sentenza che in qualche misura potessero apparire pregiudicanti la decisione oggetto del presente processo, si tratta di una eccezione manifestamente infondata e, prima ancora, comunque preclusa in questa sede. Non è inutile ribadire quanto affermato in decisioni risalenti ma con considerazioni tuttora valide, là dove si è osservato che il legislatore ordinario, con il meccanismo della incompatibilità, si è fatto carico di tutelare l'indipendenza personale del giudice, ma ha nel contempo posto una distinzione tra incapacità ed indipendenza, inquadrando la prima nell'ambito delle nullità assolute e apprestando per la seconda un corpus speciale di norme, rappresentato dagli articolo 34 e ss. c.p.p. , al fine di contemperare la tutela dell'indipendenza con le esigenze di speditezza del processo in questo contesto, l'incompatibilità va inquadrata e ricondotta negli istituti dell'astensione e della ricusazione e non può essere riportata né alle nullità assolute né a quelle relative, in particolare quanto ai termini per farle valere cfr., in questo senso, Sez. 6, numero 10813 del 22/09/1994, Di Giovanni, Rv. 199926 01 conf., anche, Sez. 1, numero 5127 del 25/11/1993, dep. 1994, Fazzari, Rv. 196136 - 01 in cui la Corte ebbe modo di chiarire che la nullità di cui all' articolo 178 c.p.p. , lett. a è prevista in relazione al difetto di capacità del giudice, inteso come mancanza dei requisiti occorrenti per l'esercizio delle funzioni giurisdizionali, e non anche in relazione al difetto delle condizioni specifiche per l'esercizio di tali funzioni in un determinato procedimento, con la conseguenza per cui non può mai dar luogo alla predetta nullità l'esistenza di una causa di incompatibilità, non incidendo questa sulla capacità di giudicare in generale, ma costituendo soltanto motivo di eventuale ricusazione cfr., in ogni caso, Sez. U, numero 23 del 24/11/1999, Scrudato, Rv. 215097 - 01 . D'altra parte, la violazione della imparzialità del giudice evocato nel ricorso come causa di nullità è stata collegata a decisioni rese in fattispecie e situazioni specifiche in cui la Corte ha spiegato che non comporta nullità della sentenza di condanna emessa dal giudice ricusato la successiva decisione della Corte di cassazione che abbia annullato il provvedimento della Corte d'Appello d'inammissibilità dell'istanza di ricusazione per vizi meramente procedurali e non attinenti alla erronea valutazione della concreta idoneità del giudice ricusato ad esercitare correttamente la funzione giurisdizionale nello specifico processo, poiché solo quando è accertata la mancanza della precondizione di imparzialità e terzietà è configurabile una nullità per incapacità del giudice, deducibile mediante impugnazione cfr. Sez. 1, numero 9435 del 19/01/2015, Guerrisi Rv. 262883 - 01 conf. Sez. 2, numero 22153 del 11/12/2018, dep. 2019, Gumari, Rv. 275588 in questi casi, infatti, la Corte si è limitata a escludere che l'annullamento per vizi formali della decisione della Corte di Appello potesse pregiudicare la sentenza ciò non di meno emessa dal giudice ricusato non incorrendo nel divieto di cui all' articolo 37 c.p.p. , comma 2 cfr. Sez. U, numero 23122 del 27/01/2011, Tanzi, Rv. 249735 - 01, in cui si è chiarito che il divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare sentenza ex articolo 37 c.p.p. , comma 2, opera sino alla pronuncia di inammissibilità o di rigetto, anche non definitiva, dell'organo competente a decidere sulla ricusazione, essendo, tuttavia, la successiva decisione del giudice ricusato affetta da nullità qualora la pronuncia di inammissibilità o di rigetto sia annullata dalla Corte di cassazione e il difetto di imparzialità accertato dalla stessa Corte o nell'eventuale giudizio di rinvio . In ogni caso, e per tornare al caso che ci occupa, deve certamente essere escluso che il successivo deposito della motivazione della sentenza resa nel processo B.-quater consentisse di riproporre in questa sede un profilo di incompatibilità della componente togata della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta. Si è infatti più volte chiarito che in tema di incompatibilità la funzione della ricusazione rimane circoscritta nell'ambito di ciascun grado del giudizio, non potendo operare dopo la chiusura del grado del processo cui la causa di incompatibilità si riferisce sicché, nell'ipotesi in cui la causa di ricusazione sia sorta, o divenuta nota, successivamente alla scadenza del termine ordinario per dedurla, essa deve essere proposta prima del termine dell'udienza, limite oltre il quale non è più possibile far valere l'incompatibilità ai fini della ricusazione cfr. Sez. 3, numero 34581 del 19/05/2021, Robecchi, Rv. 282136 - 01, resa in un caso in cui l'istanza di ricusazione è stata presentata dopo la definizione del processo di secondo grado cui si riferiva la dedotta causa di incompatibilità del collegio giudicante nell'occasione la Corte ha ribadito che l'incompatibilità del giudice può integrare unicamente un motivo di ricusazione dello stesso, non potendo dar luogo ad vizio comportante la nullità del giudizio neppure allorquando la causa di essa sia divenuta nota solo dopo la definizione del relativo grado processuale, e sia ormai preclusa la proponibilità di istanza di ricusazione cfr. ancora Sez. 6, numero 42707 del 27/09/2011, Murana, Rv. 250987 - 01 . 1.2. Passando, quindi, ad esaminare il merito del ricorso articolato nell'interesse del M., rileva il Collegio che le censure formulate in questa sede appaiono sostanzialmente reiterative di quelle più diffusamente sviluppate con i motivi di appello su cui, tuttavia, la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta ha fornito delle risposte puntuali in fatto, sorrette da una motivazione complessivamente congrua e immune da vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà ovvero da errori di diritto suscettibili di essere denunziati in questa sede. 1.2.1. La Corte nissena ha esordito spiegando che la responsabilità del ricorrente non è stata affermata in considerazione della sua posizione quale reggente del Mandamento di Resuttana ma per la accertata ed effettiva partecipazione alla riunione in cui era stata deliberata la eliminazione fisica del Dott. F. proposta da R.S. ed accolta dal tacito consenso dei presenti. Benché la questione non sia stata sollevata nel ricorso, è tuttavia utile rilevare come la Corte di Assise di Appello si sia in tal modo conformata al principio ormai consolidato secondo cui è configurabile il concorso morale nel delitto di omicidio nei confronti dell'appartenente all'organismo di vertice di un'associazione criminale di tipo mafioso, che presta tacitamente il proprio consenso in merito alla esecuzione dello specifico delitto mantenendo un comportamento silente nel corso di una riunione o all'atto della doverosa informazione ad opera di altro membro del sodalizio, in quanto la sola presenza e il solo implicito assenso del capo sono idonei a costituire condizione per la realizzazione del crimine o comunque a rafforzare significativamente il relativo proposito cfr., tra le più recenti, Sez. 5, numero 9395 del 10/12/2021, dep. 2022, Pariante, Rv. 282826 - 01 Sez. 1, numero 19778 del 26/02/2015, C., Rv. 263568 01 laddove, invece, la sola appartenenza all'organismo centrale di un'organizzazione criminale di stampo mafioso nella specie Cosa nostra , investita del potere di deliberare in ordine alla commissione dei cosiddetti omicidi eccellenti , pur costituendo un indizio rilevante, non ha, tuttavia, valenza dimostrativa univoca circa il contributo di ciascuno dei suoi componenti alla realizzazione del reato-fine, essendo necessario che i singoli associati, informati in ordine alla delibera da assumere, prestino il proprio consenso, anche tacito, fornendo così il loro contributo allo specifico reato cfr., in tal senso, Sez. 1, numero 42990 del 18/09/2008, Montalto, Rv. 241820 - 01 Sez. 2, numero 3822 del 18/11/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233327 - 01 Sez. 1, numero 13349 del 02/12/2003, dep. 2004, E., Rv. 228379 - 01 conf., da ultimo, Sez. 5, numero 40274 del 05/10/2021, M.S.M., Rv. 282090 - 01, sul B.-quater . Va rilevato, d'altra parte, che la difesa del M. cfr. pag. 3 dell'atto di appello ha focalizzato la sua attenzione solo in parte sulla contestazione della presenza del ricorrente alla riunione degli auguri del dicembre del 1991, presieduta da R., soffermandosi piuttosto sull'assenza di prova del fatto che sarebbe stato proprio in quella occasione che l'organismo collegiale avrebbe condiviso non soltanto la eliminazione fisica del Dott. F. ma anche quella del Dott. B. e, infine, aperto alla reazione violenta voluta da R. nei confronti dello Stato, poi sfociata nella stagione delle stragi sul continente del 1993. D'altra parte, come ha sottolineato la corte nissena, che il M. in quel periodo componesse la Commissione provinciale in vece del padre, ristretto agli arresti domiciliari in ospedale, era certificato dalla sua attestata responsabilità per gli omicidi Savoca del luglio del 1991 per i quali era intervenuta nei suoi confronti una condanna definitiva proprio per aver preso parte alla decisione. 1.2.2. La Corte di Assise di Appello di Caltanissetta ha in realtà condiviso l'impostazione seguita dalla sentenza di primo grado e, seguendo la ricostruzione fornita da G.A. nelle dichiarazioni rese nell'ottobre del 2014, ha perciò individuato proprio nella riunione degli auguri del dicembre del 1991, presente l'odierno ricorrente, quella in cui furono adottate le decisioni e la strategia di cui si è appena detto. Ha ricostruito il contesto in cui tali decisioni erano state adottate, ricordando che già nell'estate con la convocazione del Primo Presidente della Suprema Corte Brancaccio da parte del ministro M. e la condivisa opportunità di ruotare i collegi sui processi di criminalità organizzata, come sarebbe avvenuto con provvedimento dello stesso Primo Presidente e la conseguente assegnazione del maxiprocesso , formalizzata nel mese di ottobre, a un collegio diversamente composto e presieduto rispetto a quelle che erano le aspettative erano maturate le condizioni che avrebbero portato gradualmente il R. a convincersi del fallimento dei tentativi di condizionare l'esito del maxiprocesso , sicché, nella riunione del dicembre del 1991, lo stesso R., ormai rassegnato a un esito negativo, aveva annunciato che ormai si era alla resa dei conti e che occorreva fare la guerra ai nemici , facendo i nomi di F. e B 1.2.3. La Corte territoriale si è soffermata sulla rilevanza, per i vertici di Cosa Nostra e, in particolare, per il R., dell'esito del maxiprocesso e della tenuta del teorema B. sulla organizzazione verticistica di Cosa Nostra con le conseguenti ricadute in termini di condivisione della responsabilità, quanto ai componenti degli organismi collegiali, per le decisioni più rilevanti quali, in particolare, gli omicidi eccellenti ha dato conto, a tal proposito, delle dichiarazioni rese da G.A. nel processo di Catania sull'importanza attribuita da R. alle sorti del maxiprocesso che era per lui una spina nel fianco tanto che si era assunto l'impegno e la responsabilità, nei confronti dei sodali, di condizionarne le sorti. Su questi aspetti la Corte di Assise di Appello ha richiamato non soltanto le dichiarazioni del G. ma anche quelle, convergenti, di B.G. e di altri collaboratori cfr. pag. 200 della sentenza impugnata B., in particolare, aveva riferito che R. gli aveva confidato sin dall'estate di non essere riuscito ad intervenire sulla Cassazione, nel contempo mostrando il suo disappunto sull'operato del Dott. F. manifestatosi da ultimo nel marzo del 1991 con il decreto-legge interpretativo sui termini di custodia cautelare che, non senza polemiche, era intervenuto proprio per scongiurare interpretazioni che portassero alla rimessione in libertà di esponenti mafiosi ed aveva anzi comportato la nuova restrizione per coloro che avevano beneficiato delle precedenti decisioni. In definitiva, ha condiviso l'impostazione già proposta dalla Corte di Assise di Appello di Catania, in sede di rinvio, che aveva individuato nella prognosi negativa sull'esito del maxiprocesso la premessa che aveva portato, sin dal dicembre del 1991, alla decisione di reagire in maniera anche dura, decisione sia pure condizionata alla pronuncia della Cassazione che sarebbe intervenuta il 30 gennaio 1992. 1.2.4. La difesa, con argomentazione sostanzialmente riproposta in questa sede, aveva fatto presente, con l'atto di appello, che la decisione di eliminare il Dott. F. era tuttavia risalente nel tempo, come d'altra parte dimostrato dal pur fallito attentato dell'Addaura del giugno del 1989, e che per altro verso nessuna nuova deliberazione doveva essere assunta per portare a termine il progetto della uccisione del magistrato, già largamente condivisa ed ormai notoriamente irretrattabile. Per altro verso, aveva sottolineato la difformità, rispetto al racconto fornito dal G., della versione dei fatti propinata dal collaboratore C. nei processi in cui era stato sentito e nelle dichiarazioni che erano state acquisite ai sensi dell' articolo 512 c.p.p. , oltre che rispetto a quanto era emerso dalla ordinanza di custodia cautelare adottata nei confronti di M.D.M. da cui era emerso che la decisione di eliminare il Dott. F. era stata assunta già nel mese di ottobre del 1991. La Corte di Appello ha fornito su questi aspetti una risposta lineare, immune da vizi logici e puntualmente ancorata a circostanze fattuali di cui ha dato puntualmente conto in particolare, non ha omesso di considerare come quella della eliminazione del Dott. F. fosse una decisione già adottata in precedenza e che, oltre al già menzionato attentato dell'Addaura, si era manifestata con l'incarico assegnato a O.F. di uccidere il magistrato a Mondello aveva avuto un riscontro nelle dichiarazioni di F.G. circa un attentato che sarebbe stato organizzato nei primi anni ottanta a Valdesi ovvero, ancora, al progetto di utilizzare un bazooka per colpire il magistrato sulla strada de omissis , cui avrebbe dovuto provvedere M.A Se non che, non essendo state realizzate o non essendo andate a buon fine queste iniziative, il progetto di eliminazione del Dott. F. era stato ripreso alla fine del 1991 in previsione dello scontato esito del maxiprocesso e della guerra allo Stato decisa da R., ma su cui quest'ultimo aveva preteso una piena condivisione ed assunzione di responsabilità da parte dei componenti della commissione provinciale come di quella regionale sia a causa dei mutamenti nel frattempo intervenuti nella loro composizione sia, in particolare, per la qualità della vittima e per le modalità di esecuzione dell'omicidio che, dovendo superare il sistema di sicurezza, potevano come sarebbe in effetti avvenuto risultare particolarmente cruente e devastanti tanto da determinare una prevedibile forte risposta da parte dello Stato rispetto alla quale era opportuno acquisire una adesione preventiva , tenuto anche conto di quanto era avvenuto con l'omicidio D.C. che aveva determinato aspri contrasti tra gli associati essendo stato deliberato da un gruppo all'insaputa di altri. 1.2.5. Tanto premesso, la Corte nissena ha quindi richiamato gli elementi convergenti verso la individuazione della riunione del dicembre del 1991 come quella in cui venne ribadita la decisione di eliminare il Dott. F. e si dette l'avvio alla stagione delle stragi . Ha infatti riportato in primo luogo le dichiarazioni di G. dell'1, 2 e 4 ottobre del 2014, sostanzialmente sovrapponibili a quelle rese nel 2003 salvo che sul luogo della riunione secondo G., in quella occasione, R. aveva annunciato la resa dei conti con F. e i politici che non avevano mantenuto gli impegni assunti a proposito del maxiprocesso il collaboratore aveva anche aggiunto che, dopo le parole di R., egli stesso avrebbe voluto intervenire ma G.S., che gli sedeva a fianco, gli aveva dato un colpo al ginocchio per dissuaderlo aveva fatto presente che, dopo R., non aveva parlato nessuno ma che tutti erano perfettamente consapevoli che ci si avviava su una strada senza ritorno . Era stato inoltre nel corso di quella riunione che, sempre secondo il G., si era discusso anche dello spostamento del mandamento da Misilmeri a Belmonte Mezzagno a causa della uccisione di O.P. e della sua sostituzione con S.B La Corte di Assise di Appello ha confrontato le dichiarazioni rese da G. nel presente processo con quelle rese nel processo di Catania nel 2003 in cui pure si era fatto riferimento ai politici che avevano deluso le aspettative e al Dott. F. che andava colpito per la capacità investigativa anche relativa ai collegamenti con la mafia americana G. aveva collocato M.S.M. nella riunione del dicembre del 1991 e, come successivamente ribadito, aveva spiegato che era stata l'ultima cui lui aveva preso parte prima di essere arrestato aveva ribadito la competenza della commissione per quel genere di omicidi precisando che dopo pochissimo tempo lo stesso M.S. era stato a sua volta arrestato all'udienza del 18 febbraio 2004, d'altra parte, G. aveva parlato di una guerra allo Stato finalizzata ad una presa di contatto dopo che anche le aspettative sul piano politico erano andate deluse dall'iniziativa di M. che aveva portato a Roma F. consentendogli di continuare nella sua opera di contrasto alla criminalità organizzata con modalità rilevatesi non meno efficaci. Ha richiamato le dichiarazioni di C.S. nel processo di Catania ove il collaboratore aveva parlato della riunione in casa G. dove si era deciso di eliminare L., F. e B. lo stesso C. aveva riferito che R. aveva fissato diverse riunioni della commissione tra il �90 ed il �91 alle quali aveva preso parte M.S. qJale reggente del mandamento di Resuttana in rappresentanza del fratello che era detenuto il C. aveva riferito che in una di queste si era discusso arche dell'omicidio di O.P. risalente al mese di ottobre del 1991 e ligi stesso vi aveva partecipato perché il capo mandamento, C.P., era detenuto non ricordava, però, se in tale riunione si fosse discusso anche della eliminazione di F. e B. e aveva aggiunto che di F. si era parlato due o tre mesi prima dell'attentato di Capaci e di B. subito dopo la strage di Capaci . 1.2.6. I giudici nisseni hanno quindi argomentato, in termini non censurabili in questa sede, sulle ragioni della ritenuta c onvergenza tra le dichiarazioni di G. e quelle di C. condividendo le conclusioni del primo giudice circa la identità tra la riunione di cui aveva parlato il primo rispetto a quella di cui aveva parlato il secondo, poiché entrambi avevano indicato gli stessi partecipanti con particolare riferimento al M. e fatto riferimento ai medesimi argomenti tra cui l'omicidio O. e l'investitura di S.B. pur oggetto di una diversa attenzione da parte dei due collaboratori la Corte ha a tal proposito evidenziato il diverso punto di vista del C. il quale, a differenza di G., aveva partecipato anche alle successive riunioni operative tenutesi nei primi mesi del 1992 giustificando in tal modo il differente ricordo serbato dai due su quanto era emerso nella riunione del dicembre del 1991, rimasto particolarmente impresso al G. proprio perché era stata l'ultima riunione cui aveva partecipato. Ha osservato che la unicità della riunione in cui si erano presi in esame quegli argomenti era inoltre coerente con la successione temporale degli eventi e, in particolare, con l'omicidio O. occorso nel 7 settembre 1991 con la nomina del Dott. V. anziché del Dott. C. quale presidente del collegio giudicante del maxiprocesso in Cassazione, ufficializzata nell'ottobre del 1991 con la pronuncia della sentenza in data 30 gennaio 1992 e, quindi, con la possibilità, per il R., sin dal giorno successivo, di dare avvio alla missione romana , con il già acquisito via libera dai livelli collegiali ovvero dalla commissione provinciale e da quella regionale, quest'ultima già compulsata nel settembre del 1991. La Corte ha quindi ripercorso le tappe della missione romana cui il R. aveva posto fine all'inizio di marzo del 1992 ordinando il pronto rientro in Sicilia, dove vi erano da realizzare cose più grosse . Ha valutato, dunque, le dichiarazioni di S., protagonista della missione romana , in ordine ad una riunione tenutasi a Castelvetrano finalizzata proprio a studiare i movimenti a Roma di F., M. e del giornalista C.M., quale riscontro sul piano logico alle dichiarazioni di G. circa l'esigenza di partecipare la decisione della commissione palermitana alle altre province ha fatto presente, per altro verso, come le stesse riunioni ristrette ed operative del febbraio-marzo confermavano che la decisione era stata assunta in precedenza e, perciò, proprio alla riunione degli auguri del dicembre 1991. In definitiva, secondo la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, che è pervenuta a tali conclusioni con motivazione complessivamente congrua e immune da profili di illogicità, la decisione di eliminare il Dott. F. fu assunta proprio nella riunione degli auguri del dicembre 1991, non rilevando la diversa collocazione temporale che era scaturita dal primo processo Capaci fondato su una diversa piattaforma probatoria rappresentata dalle dichiarazioni dei soli B. e C. che avevano focalizzato la loro attenzione sulle successive riunioni dei primi mesi del 1992 ha spiegato che tale piattaforma si è nel presente processo arricchita delle dichiarazioni di G. ed è risultata coerente con le conclusioni cui è approdata la Corte di Assise di Appello di Catania in sede di rinvio, in applicazione del principio di diritto affermato dalla sentenza di annullamento sulla insufficienza della mera posizione di componente dell'organismo collegiale. Ha ripercorso l'esito delle diverse decisioni assunte negli anni a partire da quella della Corte di Assise di Caltanisetta del 26 settembre 1997 che aveva assolto M.F. padre dell'odierno ricorrente perché detenuto dal 1987 e in mancanza di prova circa la nomina di un sostituto ha richiamato la sentenza di secondo grado che aveva fatto risalire la decisione alle riunioni del febbraio del 1992 in prossimità dell'omicidio di L.S., reo di essersi fatto eleggere al parlamento Europeo e di essersi perciò allontanato tradendo le aspettative di Cosa Nostra . Ha quindi sottolineato che tutte queste decisioni, pur nella loro diversa ricostruzione, avevano tuttavia convenuto sulla competenza della commissione a decidere su questo genere di omicidi e che era stata ribadita anche dalla sentenza che aveva annullato quella di secondo grado rinviando alla Corte di Assise di Appello di Catania per un nuovo giudizio alla luce del principio di diritto sopra richiamato e, anche, dalla sentenza di secondo grado del B.-ter che aveva ritenuto la competenza della riunione del febbraio-marzo solo per l'omicidio L., per la strage di Capaci e per l'omicidio di S.I. oltre che per le stragi di Roma, Firenze e Milano, mentre la eliminazione del Dott. B. sarebbe stata oggetto di una ulteriore decisione assunta a maggio-giugno di quell'anno. L'annullamento della sentenza resa in grado di appello sul B.-ter aveva portato il giudizio di rinvio a Catania dove il processo era stato riunito a quello di Capaci e dove sarebbero stati acquisiti gli elementi nuovi quali, in particolare, le dichiarazioni di G. che avevano collocato la decisione a un periodo precedente ai primi mesi del 1992 e nel contempo coerente con la riunione del dicembre del 1991 dove si era parlato di una decisione perfetta benché sottoposta alla condizione sospensiva dell'esito pur a quel punto ritenuto scontato del maxiprocesso. 1.2.7. Come anticipato, la Corte di Assise di Appello ha quindi preso in esame le censure articolate dalla difesa del M. in gran parte ribadite in questa sede cui ha fornito una risposta del tutto appagante e immune da vizi logici e giuridici. Così, in particolare, ha replicato al rilievo concernente l'affermazione di R. secondo cui ai detenuti ci penso io da cui la difesa aveva desunto come non fosse affatto necessario che il padre F. dovesse essere sostituito da altro componente della famiglia , sostenendo che egli si riferisse al caso in cui non soltanto il capo mandamento era detenuto ma si trovasse anche nella impossibilità di essere sostituito ad esempio, per la assenza di altri legittimati a prenderne il posto benché proprio M.F. padre di S. fosse stato condannato per l'omicidio di G.L. eseguito da M.S. e per il quale l'imputato era stato condannato all'ergastolo anche se detenuto agli arresti domiciliari in ospedale e quindi suscettibile di essere raggiunto ed interpellato . La Corte ha anche congruamente risposto alle considerazioni difensive concernenti l'attendibilità del G. la difesa aveva dedotto che il collaboratore, sentito in diversi processi a Termini Imerese e a Palermo, avrebbe omesso di riferire della sua presenza alla riunione degli auguri del 1991 e aveva inoltre richiamato le dichiarazioni rese dallo stesso G. a Catania nel giudizio di rinvio di cui aveva riportato integralmente il controesame cfr. pagg. 15-45 dell'atto di appello la Corte ha fatto presente che il difetto di costanza nelle dichiarazioni era stato già dedotto in primo grado con riguardo al duplice omicidio Savoca del 24 luglio 1991 per il quale il M. era stato condannato in via definitiva alla pena dell'ergastolo quando la Corte di Assise aveva tuttavia sanato le segnalate contraddizioni in ogni caso la Corte di Assise di Appello ha affrontato la dedotta discrasia rispetto alle dichiarazioni precedenti rese di fronte al Tribunale di Termini Imerese con argomentazioni che non si prestano a rilievi di manifesta illogicità o di contraddittorietà e, perciò, non censurabili in questa sede. Nel contempo, infatti, la Corte ha ribadito che al di là del carattere dubitativo delle sue affermazioni e dei ricordi in altre occasioni ben più precisi egli aveva confermato la circostanza della riunione del dicembre e la presenza di M Anche con riguardo al rilievo concernente il contenuto del verbale del 15 maggio 2003 in cui il G. avrebbe parlato, come oggetto della riunione, soltanto della successione di S.B. ad O., la Corte ha potuto osservare che nei verbali di inizio collaborazione il dichiarante aveva già riferito di come R. avesse evocato la resa dei conti in previsione dell'esito negativo del maxiprocesso ed invocato la vendetta sui primi responsabili in particolare il Dott. F. ed il Dott. B. e sui politici considerati come traditori ha pertanto potuto giudicare non rilevante che in altri processi, con altre imputazioni e per altri fatti, il G. non avesse sempre evocato tale riunione ed il suo contenuto di cui aveva invece fatto chiaro e preciso riferimento in diverse occasioni. I giudici nisseni hanno inoltre preso in considerazione il controesame del G. del 2 ottobre 2014, pressoché integralmente riportato nell'atto di appello, nonché le segnalate incertezze del collaboratore sull'esito dei processi celebratisi a suo carico e sull'oggetto delle decisioni adottate nel tempo dalla commissione provinciale la Corte di Assise di Appello, ancora una volta con argomentazioni logicamente lineari e puntualmente ancorate ai dati fattuali acquisiti, ha infatti osservato che il G. era latitante e imputato sia nel processo su Capaci che in quello di via D'Amelio ed aveva riportato sia una condanna che una assoluzione risultando comunque sotto processo per molteplici fatti ha aggiunto che lo stesso primo processo su Capaci era stato caratterizzato da una assoluzione in primo grado, una condanna in secondo grado ed un successivo annullamento, essendo del tutto comprensibile - e non incidente sulla attendibilità del dichiarante - la sua difficoltà a riferire sul contenuto delle varie decisioni che lo avevano interessato. Ha quindi sostenuto che l'attendibilità del G. non era nemmeno intaccata dalla sua difficoltà a riferire in ordine ad altri omicidi eccellenti M.N., + ALTRI OMESSI e a ricordare, in particolare, se degli stessi si fosse parlato in sede di commissione provinciale la Corte ha ritenuto trattarsi di deduzioni generiche, non rilevando la incapacità di riferire in maniera dettagliata su tali avvenimenti, visto che per altri come per l'omicidio S. il collaboratore era stato ritenuto sicuramente preciso e certamente attendibile, al punto che lo stesso odierno ricorrente era stato giudicato responsabile del delitto nella duplice veste di esecutore e di mandante. Anche con riguardo alla presenza del rappresentante del mandamento di Resuttana nelle varie riunioni la Corte ha congruamente risposto segnalando che si trattava di un ricordo che era stato sollecitato non con riguardo a fatti o avvenimenti specifici, risultando perciò del tutto comprensibile che non fosse ben focalizzato, a differenza, invece, di quello serbato sulla riunione del dicembre del 1991 di cui il collaboratore ha avuto motivo di tenere a mente sia il contenuto che i partecipanti, tra cui il M. che aveva riferito di aver incontrato pochi giorni dopo e prima che costui venisse tratto in arresto. La Corte di Assise di Appello anche con riguardo al confronto tra il G. ed il M. del 9 gennaio 2016 ha poi correttamente puntualizzato come non rilevi tanto l'incerto ricordo sul momento dell'arresto di M.A. quanto piuttosto che nel dicembre del 1991 certamente legittimato a partecipare alle riunioni della commissione provinciale era il fratello S. in quanto concordemente indicato come reggente del mandamento di Resuttana ha spiegato che in tal senso, infatti, avevano riferito M.G., O.F. ed anche lo stesso B. secondo la Corte, inoltre, era emerso che il mandamento di Resuttana era legato a R. ed aveva anzi manifestato la intenzione di eliminare F. tanto che M.A. era stato condannato per l'attentato dell'Addaura mentre M.F. era stato vittima di una condanna definitiva proprio con il maxiprocesso. Sempre con riferimento al rapporto tra il G. ed il M. ed al confronto tra i due, ha dato atto che sull'incontro successivo alla riunione che il G. aveva inizialmente collocato nei primi mesi del 1992 quando, tuttavia, è pacifico che il M. era stato tratto in arresto il 13 dicembre del 1991 ciascuno era rimasto sulle sue posizioni dovendo perciò convenire sull'imprecisione nel ricordo confermato da G., giudicato tuttavia ininfluente sulla complessiva attendibilità del dichiarante che, sulla partecipazione del M. alla riunione del dicembre del 1991 e sul suo contenuto, aveva a suo avviso ricevuto plurime conferme. 1.2.8. L'atto di appello aveva inoltre richiamato il contenuto dell'incidente probatorio reso da G. di fronte al GIP del Tribunale di Caltanissetta nel processo B.-quater che, peraltro, è quello definitosi con la sentenza della stessa Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, confermata dalla Cassazione con sentenza numero 40274 del 2021 ed in cui il M. era stato condannato per la strage di via D'Amelio. In quella sede, d'altra parte, i motivi di ricorso si erano risolti in considerazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle articolate nel presente processo e, per altro verso, avevano avuto ad oggetto le stesse propalazioni dello stesso G. rispetto alle quali la difesa ha anche in questa sede sottolineato che non si sarebbe realizzata alcuna convergenza del molteplice con le dichiarazioni di C. e B Con riguardo al C., la difesa aveva in particolare segnalato che costui aveva fornito a Catania un contributo meno decisivo e che le dichiarazioni del 22 gennaio 2009 erano state assunte in difetto di contraddittorio per la morte sopravvenuta del collaboratore secondo il C., il M. avrebbe partecipato alla riunione sull'omicidio O. ma non a quella successiva in cui si era parlato di eliminare il Dott. F. va rilevato, a tal proposito, che proprio nell'atto di appello cfr. ivi, pag. 48 la difesa aveva evidenziato come in ogni caso il C. avesse confermato il ruolo di reggente dell'imputato, che si alternava con il fratello secondo i periodi di rispettiva detenzione, autorizzando perciò i giudici di merito a concludere nel senso che, se in quel periodo il fratello A. ed il padre F. erano detenuti e la riunione si può dire essere avvenuta, era assolutamente legittimo concludere nel senso che ad essa vi avesse partecipato proprio M.S. in rappresentanza del mandamento di Resuttana. La Corte di Assise di Appello, peraltro, con considerazioni non censurabili in questa sede perché coerenti con gli elementi fattuali acquisiti e logicamente lineari, ha ritenuto che la riunione in cui si discussero le due questioni fosse in realtà la stessa ha sottolineato a tal proposito che entrambi i collaboratori avevano infatti indicato i medesimi partecipanti potendosi ragionevolmente sostenere che si trattasse della medesima occasione in cui si era parlato delle implicazioni conseguenti all'omicidio O. riunione cui la stessa difesa, con le parole del C., colloca il M. e, poi, anche della reazione al prevedibile infausto esito del maxiprocesso la Corte ha osservato, d'altra parte, come fosse assolutamente illogico organizzare due riunioni in tempi così ristretti giustificando inoltre, come pure si è detto, la più modesta impressione che il C. aveva avuto sulle intenzioni conclamate da R. nel dicembre 1991 rispetto al contenuto di altre successive riunioni in cui il discorso si era fatto più forte . La Corte nissena ha inoltre congruamente spiegato la circostanza su cui cfr. pag. 50 dell'atto di appello secondo cui C., nelle sue dichiarazioni del 22 gennaio 2009, aveva collocato M. tra i componenti della riunione del dicembre del 1991 ma non ne aveva fatto menzione all'udienza del 19 marzo 2004 ha infatti segnalato che in quel contesto il M. non era imputato e che in ogni caso C. aveva fatto riferimento alla presenza di altri convenuti oltre che di coloro che aveva in quel caso nominativamente indicato. Ed ancora, la Corte territoriale ha replicato in maniera assolutamente congrua e puntuale ai rilievi difensivi articolati con l'atto di appello sulle dichiarazioni di B.G. ha richiamato quelle rese dal collaboratore all'udienza del 19 marzo 2004 in sede di rinvio e ha giustificato il più sfumato ricordo serbato dal dichiarante sul contenuto della riunione del dicembre del 1991, mentre nell'interrogatorio del 6 giugno 2012 nel processo B.-quater il B. aveva focalizzato il suo ricordo più sulle riunioni operative dei mesi successivi ha sottolineato che, in ogni caso, sentito il 29 novembre 2014, B. aveva confermato che nella riunione del dicembre 1991 si era parlato dell'esito infausto del maxiprocesso, dei propositi di vendetta di R. spiegando non vi era necessità di indicare nominativamente quali sarebbero stati i suoi obiettivi anche se non aveva escluso che fosse stato fatto il nome di F. ha rilevato che il collaboratore aveva fatto riferimento a tre riunioni di cui serbava il ricordo come tenutesi tra il 1990 ed il 1991, aggiungendo che della riunione di fine 1991 aveva ricordato solo a seguito della contestazione delle dichiarazioni di G. ha concluso perciò per il carattere neutro delle dichiarazioni di B. in quanto non sempre lineari e non in grado di confermare ma nemmeno di smentire quelle di G La Corte di Assise di Appello ha inoltre replicato al rilievo difensivo articolato con l'atto di appello circa il mancato ricordo di quella riunione da parte di A., O., G. e M. sostenendo, con argomentazione con cui la difesa non si è confrontata nel ricorso, che nessuno li aveva indicati come presenti nella occasione né quali componenti necessari della commissione ha stimato neutra anche la circostanza che il M. non fosse stato coinvolto in alcuno degli altri omicidi deliberati dalla commissione dal momento che, in ogni caso, era stato condannato - anche come mandante oltre che come esecutore per l'omicidio S. ha inoltre giudicato non rilevante replicando anche in tal caso ad uno specifico rilievo difensivo il fatto che egli fosse stato condannato per l'omicidio G. solo come esecutore ma non come mandante, sostenendo che in quel caso non si sarebbe trattato di un omicidio eccellente e, in realtà, ha sottolineato che piuttosto da quell'episodio poteva trarsi conferma del ruolo operativo di reggente assunto da M.S. dopo l'arresto del padre e del fratello, poiché nel corso delle indagini su quella vicenda era stato rinvenuto nel covo di via D'Amelio il libro mastro scritturato a mano proprio da M.S Da ultimo, la Corte ha congruamente replicato all'ulteriore osservazione difensiva sul ruolo dell'altro fratello G., ancora libera ma sottoposto a sorveglianza speciale ad Agrigento, che ha giudicato fondata su considerazioni generiche e meramente ipotetiche. Ha, ancora, argomentato sul rilievo difensivo concernente il mancato riconoscimento di M. da parte di G. nel periodo in erano entrambi detenuti e si trovavano in una stessa saletta in vista della celebrazione di un processo in video collegamento ha fatto presente, infatti, che la circostanza dedotta era stata recisamente smentita dalle informazioni acquisite di ufficio ma su sollecitazione della stessa difesa del M 1.2.9. In definitiva, il ricorso, pur tentando di evidenziare profili di incompletezza o carenza di motivazione, finisce per reiterare argomentazioni difensive già avanzate in precedenza e su cui la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta ha fornito una risposta complessivamente appagante ed esaustiva, dovendosi anche tener conto del fatto che l'omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell'impugnazione non dà luogo a un vizio di motivazione rilevante a norma dell' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l'impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima cfr., in tal senso, Sez. 2, numero 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 - 01 Sez. 1, numero 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841 - 01 . 2. Ricorso T.L 2.1. La trattazione dei motivi del ricorso necessita di una premessa di ordine generale, con richiamo a una serie di principi che costituiscono diritto vivente, in larga parte obliterati o comunque disattesi dalla difesa di T., oltre che - come si vedrà - da quella di L.N.C., avuto riguardo, in primo luogo, a quello inerente all'onere di specificità dei motivi, che richiede l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta articolo 581 c.p.p. , comma 1, lett. d , in mancanza della quale l'impugnazione è inammissibile articolo 591 c.p.p. , comma 1, lett. c . Nell'affermare il principio di diritto secondo il quale I 'appello al pari del ricorso per cassazione è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata , le Sezioni Unite di questa Corte hanno evocato il concetto della genericità estrinseca dell'impugnazione, ben distinguendola dalla genericità intrinseca dei motivi, ravvisabile quando essi siano fondati su considerazioni generiche o astratte, senza riferimento al caso concreto Sez. U, numero 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, numero 51531 del 19/11/2019, G., Rv. 277811 Sez. 3, numero 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841 Sez. 2, numero 5253 del 15/01/2019, C., Rv. 275522 Sez. 5, numero 34504 del 25/05/2018, Cricca, Rv. 273778 da ultimo v. Sez. U, numero 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, in motivazione . Va altresì ribadito che l'onere di specificità a carico dell'impugnante è direttamente proporzionale alla specificità con cui le ragioni di fatto e di diritto sono state esposte nel provvedimento impugnato. Nel caso di specie, la lettura delle due sentenze di merito e dei due atti d'impugnazione rende evidente, anche da un punto di vista grafico, la radicale infondatezza di quanto sostenuto in premessa nel ricorso in esame, secondo il quale il giudice dell'impugnazione si è limitato, con un vero e proprio copia e incolla, a ricopiare pedissequamente i percorsi motivazionali incompleti, e pertanto illogici, ovvero inesatti, e pertanto travisanti, seguiti dal giudice di prime cure, senza tener conto - se non in apparenza - delle censure difensive e, ciò che è ancor più grave, senza tener conto delle ulteriori emergenze probatorie generate in sede di rinnovazione dell'istruzione in appello pag. 7 . E' accaduto, infatti, esattamente il contrario di quanto affermato nel ricorso. Dopo avere dato ampiamente conto dei motivi di appello per quanto concerne T. a pagg. 85-97 e dei temi oggetto della lunga rinnovazione dell'istruzione dibattimentale pagg. 106-123 , la motivazione della sentenza impugnata, anche avuto riguardo alla posizione del suddetto ricorrente, è stata articolata con un continuo richiamo alle deduzioni svolte dalla difesa nell'atto di appello e con un confronto costante con le stesse, disattese con specifiche e assai ampie argomentazioni, tutt'altro che apparenti. Pur potendosi ricordare che, in presenza di una doppia conforme , la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito - come nel caso di specie - concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado Sez. U, numero 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229 Sez. 2, numero 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 Sez. 3, numero 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 Sez. 3, numero 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615 di recente v. Sez. 2, numero 22066 del 02/03/2021, Bonfirraro, Rv. 281499, in motivazione , va rimarcato che la motivazione della sentenza impugnata si caratterizza per l'autonomia del percorso argomentativo in larga parte seguito e per l'originalità di diverse valutazioni, conseguenti proprio ad un attento e minuzioso esame dei motivi di appello. E' altresì evidente come la Corte territoriale abbia legittimamente richiamato, in alcuni casi, anche le osservazioni già svolte dalla Corte di Assise, a fronte di deduzioni difensive già avanzate nel primo giudizio e specificamente disattese con argomentazioni ritenute convincenti e condivisibili. La sentenza impugnata si è espressamente confrontata con tutte le fondamentali tesi difensive, dovendosi comunque ribadire che il giudice di appello, in presenza di una doppia conforme , nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le argomentazioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata Sez. 6, numero 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935 Sez. 2, numero 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 Sez. 3, numero 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853 Sez. 1, numero 3758B del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841 . Per contro, un sostanziale copia-incolla dell'atto di appello è ravvisabile proprio nel ricorso in esame come si vedrà, in larga parte vengono svolte deduzioni identiche, anche testualmente, a quelle proposte nel secondo giudizio di merito, mentre in altre parti sono stati riportati espressamente, virgolettati, i motivi di gravame, spesso seguiti dalla apodittica e infondata affermazione secondo la quale la Corte territoriale avrebbe ignorato le deduzioni difensive o commesso gli stessi errori . 2.2. Il ricorso, quindi, è caratterizzato, fatta eccezione per poche deduzioni delle quali si darà conto, dalla mancanza di confronto con la motivazione della sentenza impugnata, conseguente alla sostanziale riproposizione, anche testuale, dei motivi di appello. Questo profilo, che rende in buona parte inammissibile l'impugnazione, va rimarcato in quanto, in questo modo, è stata snaturata la funzione del ricorso per cassazione, anche e soprattutto in relazione ai confini entro i quali si deve muovere il giudice di legittimità, che non può sostituire i criteri e le massime di esperienza adottati dai giudici di merito così la Relazione al progetto preliminare del vigente codice di rito se a questa Corte è affidato il privilegio di dire l'ultima e definitiva parola sul processo, esso trova, nell'ordinamento, il proprio contrappeso nel rispetto dell'accertamento di fatto, il quale è riservato al giudice del merito. Il controllo di legittimità, dunque, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione secondo il diritto vivente, è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova così Sez. 3, numero 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 in senso conforme cfr., ad es., Sez. 4, numero 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702 Sez. 6, numero 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 da ultimo v. Sez. 2, numero 15928 del 25/03/2022, G., non mass. . Sono inammissibili, pertanto, tutte le doglianze che attaccano la persuasività , la inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità , la stessa illogicità quando non manifesta , così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Tutto ciò è fatto , riservato al giudice del merito così, efficacemente, Sez. 6, numero 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 nel medesimo senso, da ultimo, v. Sez. 2, numero 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 . Anche il travisamento della prova, introdotto quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorietà estrinseca della motivazione dalla L. 20 febbraio 2006, numero 46 , non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento. Ai fini della configurabilità del vizio del travisamento della prova, dunque, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto chiaro e definito, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto va escluso, pertanto, che integri il suddetto difetto un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima Sez. U, numero 33583 del 26/03/2015, Lo Presti, Rv. 264481, in motivazione Sez. 1, numero 51171 del 11/06/2018, Piccirillo, Rv. 274478 Sez. 5, numero 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406 Sez. 5, numero 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087 . Detto vizio, inoltre, può avere rilievo solo quando l'errore sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale Sez. 6, numero 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 Sez. 6, numero 8610 del 05/02/2020, P., Rv. 278457 Sez. 5, numero 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 sul travisamento della prova in caso di doppia conforme v., da ultimo, Sez. 6, numero 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665 . Invero, il vizio radicale che connota il primo e più ampio motivo di ricorso è desumibile dalla stessa rubrica, nella quale viene evocato un travisamento dei fatti , oltre alla denuncia della violazione dell' articolo 192 c.p.p. , in relazione all' articolo 606 c.p.p. , numero 1, lett. b , quando le doglianze relative alla violazione del suddetto articolo, riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge Sez. 4, numero 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 Sez. 1, numero 42237 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294 Sez. 3, numero 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567 Sez. 6, numero 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159 da ultimo v. Sez. U, numero 29541 del 16/07/2020, cit., in motivazione . Il vizio motivazionale, inoltre, è stato denunciato cumulativamente, in contrasto con il principio secondo il quale i vizi indicati dall' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , si pongono in rapporto di alternatività ovvero di reciproca esclusione Sez. 2, numero 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518 Sez. 1, numero 39122 del 22/09/2015, Rugiano, Rv. 264535 Sez. 2, numero 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263541 Sez. 2, numero 31811 del 08/05/2012, Sardo, Rv. 254329 da ultimo v., anche su questo principio, Sez. U, numero 24591 del 16/07/2020, cit., in motivazione . 2.3. Nell'esaminare i singoli motivi si vedrà che la motivazione della sentenza non risulta mai mancante, mentre di manifesta illogicità o contraddittorietà della stessa non è possibile trattare là dove, nella maggior parte dei casi, detta motivazione è semplicemente ignorata nel ricorso, dando luogo, in parte qua, alla radicale inammissibilità dell'impugnazione. In ordine alla inattendibilità intrinseca dello S. sull'esplosivo , avuto riguardo alla incompatibilità tra la tipologia di esplosivo e la tipologia di ordigni indicati da S. , il ricorso riproduce testualmente parte del motivo di gravame pagg. 12-13 , rubricato nello stesso modo, sostenendo poi che il giudice di appello si è limitato a ricopiare le illazioni sul punto contenute nella sentenza di primo grado , reiterando in maniera pedissequa le erronee affermazioni dei giudici di prime cure pag. 10 . In realtà la Corte di Assise di Appello ha riportato specificamente il motivo di gravame secondo il quale il collaboratore S. avrebbe fornito la descrizione di una tipologia di ordigni - corrispondente a quella delle bombe di profondità di fabbricazione USA o inglese - che non poteva contenere la tipologia di esplosivo dal medesimo indicato in quanto, a suo dire, le bombe di profondità americane non avrebbero contenuto TRITOLO di colore giallino ma TORPEX di colore grigiastro pag. 298 , affermando poi di non condividere l'assunto difensivo in base non a illazioni ma alle precise e coerenti valutazioni tecniche dei consulenti del Pubblico Ministero, riportate nella relazione e ribadite nel corso di più udienze durante il processo di primo grado gli esperti hanno ritenuto certamente credibile la versione dei fatti rappresentata dal collaboratore S. rilevando, anzi, che proprio il recupero delle sostanze contenute negli stessi ordigni fosse compatibile con le tracce di esplosivo rinvenute, all'epoca, sui luoghi dell'attentato tritolo e tracce di RDX ma non TORPEX , escludendo altresì ogni dubbio in ordine al mancato reperimento di tracce di TORPEX rilevando che tale sostanza non era, in realtà, contenuta nelle bombe di profondità ma soltanto nei siluri pag. 300 . Con una ulteriore argomentazione, ignorata dal ricorrente, la sentenza impugnata ha rimarcato che la tesi della verosimile provenienza dell'esplosivo utilizzato per la strage da ordigni militari americani e/o inglesi della seconda guerra mondiale era già stata sostenuta anche dai primi consulenti tecnici nel 1995, dunque ben prima delle dichiarazioni del collaboratore S. pag. 301 peraltro i nuovi consulenti non hanno escluso la provenienza da mine antinave e comunque hanno posto in evidenza che l'esplosivo accumulato nel tempo aveva una provenienza mista, ovvero sia da bombe di profondità che da mine antinave, in quanto frutto di un'attività di recupero ripetuta e protratta nel tempo pag. 329 . Anche sulla base della coerenza delle conclusioni dei consulenti, la Corte di Assise di appello ha escluso la necessità di procedere ad una perizia esplosivistica non risultando, peraltro, formulati rilievi tali da mettere in luce profili di criticità nel lavoro dei consulenti - che deve ritenersi svolto in modo esente da censure e rilievi sotto il profilo del metodo e delle conoscenze scientifiche applicate pag. 295 . E' infondato, quindi, l'ultimo motivo di ricorso pagg. 91-93 richiesta di perizia esplosivistica , quasi interamente trascritto dall'atto di appello pagg. 114-115 , dovendosi altresì ribadire che la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale rappresenta un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorché il giudice ritiene, nella sua discrezionalità, indispensabile la integrazione, nel senso che non è altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale già a sua disposizione così Sez. U, numero 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 in senso conforme cfr. Sez. U, numero 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione, nonché, da ultimo, Sez. 3, numero 47293 del 2E710/2021, R., Rv. 282633 . Successivamente le stesse Sezioni Unite hanno affermato che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. d , norma invocata dal ricorrente, in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova neutro , sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, mentre la suddetta disposizione, attraverso il richiamo all' articolo 495 c.p.p. , comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività Sez. U, numero 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936 . 2.4. La inattendibilità estrinseca delle dichiarazioni di S. in ordine all'utilizzo dell'esplosivo per la strage di Capaci è tema trattato in modo sostanzialmente sovrapponibile nei due atti d'impugnazione per sostenere la mancanza di prova circa il fatto che l'esplosivo macinato dallo stesso collaboratore e dagli altri secondo l'accusa T., P., B. e C. fosse stato effettivamente adoperato per una strage e, in particolare, per quella di Capaci. 2.4.1. I rilievi difensivi riguardanti il contrasto fra il racconto di S. e quello di D.C., riassunti in sentenza e reiterati in ricorso pagg. 1314 sulla base di quanto scritto in appello pagg. 26-27 , non sono stati condivisi dalla Corte di Assise di Appello pagg. 319-321 , che non ha richiamato pedissequamente quanto espresso dai giudici di primo grado , come affermato dalla difesa, bensì ha svolto argomentazioni logiche, inerenti soprattutto alla credibilità del pescatore che consentì il recupero dei primi due ordigni, avuto riguardo alla storia e all'epoca della sua collaborazione e al fisiologico errato ricordo di alcuni particolari, già rimarcato nella prima sentenza, considerato la rilevantissima distanza temporale ventitre' anni fra i fatti e le dichiarazioni rese. 2.4.2. La Corte di Assise di Appello ha disatteso anche l'ulteriore rilievo difensivo secondo cui nessuna valenza di riscontro - sulla circostanza riferita dal collaboratore S. relativa al recupero dell'esplosivo da ordigni militari della seconda guerra mondiale recuperati dal mare - potrebbe attribuirsi alla conversazione intercettata in carcere in data 6 agosto 2013, relativa ad un colloquio avvenuto fra R.S. e tale L.R. pag. 321 ciò ha fatto alla luce di una serie di argomentazioni pagg. 322-327 del tutto ignorate dal ricorrente, limitatosi a reiterare, anche testualmente pagg. 15-16 , il motivo di appello pagg. 28-29 . 2.4.3. Un tema rilevante concerne l'assenza di riscontri alle dichiarazioni di S., sulla base delle quali i giudici di merito hanno ritenuto dimostrato che l'esplosivo macinato consegnato da C. a G.G. al Motel Agip fosse lo stesso portato per la strage di Capaci da G. a F.G Secondo l'ipotesi accusatoria, formulata in ragione delle dichiarazioni dei diversi collaboratori e recepita dai giudici di merito, l'esplosivo macinato fu caricato in vicolo Castellaccio da S., T. e C. sull'autovettura Volkswagen Polo di quest'ultimo, il quale raggiunse il Motel Agip, preceduto dall'autovettura di T. e da quella di S. che però aveva deviato prima all'altezza del carcere Pagliarelli. Giunto al Motel Agip, C. era sceso dalla Polo per salire sull'auto di T., che aveva accompagnato sul posto G.G., passato poi alla guida del veicolo di C. contenente l'esplosivo, consegnato subito dopo a F. nella villetta di Capaci, nella disponibilità di T.A La difesa, in larga parte, ha riproposto doglianze di merito circa il contrasto fra le dichiarazioni di S. e T. in ordine all'oggetto del contenuto del portabagagli dell'autovettura di C. pagg. 17-19 e alla data di consegna al Motel Agip pagg. 19-20 , riproduttive di identiche deduzioni svolte in appello pagg. 30-31 , alle quali la sentenza impugnata ha dato precise risposte pagg. 310-318 , anche in questo caso obliterate nel ricorso, che pure, sulla clamorosa smentita proveniente dalle dichiarazioni di F. pagg. 2427 , ha riportato testualmente quanto scritto in appello pagg. 36-39 . Uno dei rari momenti di confronto del ricorso con la sentenza impugnata è rinvenibile nella parte in cui, riportati alcuni stralci della motivazione, si censura il percorso seguito dalla Corte per superare il rilievo della divergenza fra le dichiarazioni di S., T. e F. pagg. 28-31 In realtà, anche in questo passaggio, il ricorrente omette di confrontarsi con una serie di rilevanti argomentazioni della Corte intese a confutare la tesi difensiva sulla mancanza di prova che l'esplosivo macinato da S. sarebbe stato effettivamente utilizzato per la strage di Capaci alla quale è dedicato il lungo paragrafo 3 della sentenza impugnata, alle pagg. 302-329 . La Corte territoriale, infatti, ha ricordato le dichiarazioni rese dai collaboratori B.G. e L.B.G. e dallo stesso F., fin dal primo procedimento sulla strage, sulla presenza nella villetta di Capaci anche di un tipo di esplosivo procurato da G.G., di consistenza farinosa , diverso da quello da cava proveniente da Altofonte, fornito dal mandamento di San Giuseppe Jato, e soprattutto, con motivazione coerente e logica, ha rilevato, in conformità alle valutazioni del primo giudice, come una lettura coordinata, ed in successione, delle dichiarazioni dei tre collaboratori S., T. e F. imponga di ritenere le stesse riferibili ai medesimi avvenimenti, sia pure ricostruiti per singoli segmenti, svolti in uno stesso contesto temporale, in rapida successione l'uno rispetto all'altro . La sentenza ha rimarcato che la ricostruzione dei fatti di quel giorno di maggio, subito prima o dopo le prove di velocità del giorno 8, secondo le dichiarazioni rese dai collaboratori S. e T., appaiono incastonarsi come tasselli di un unico mosaico avendo i due collaboratori riferito eventi che coincidono in ordine alla indicazione dell'orario della giornata in cui l'operazione di trasporto risulta essere avvenuta nel primo pomeriggio , alla indicazione della destinazione del C. il Motel Agip lungo la circonvallazione , all'indicazione dell'autovettura utilizzata una Volkswagen Polo di colore blu e al carico del bagagliaio pur avendo potuto scorgere il T., dal suo limitato angolo visuale, solamente la parte superiore dello stesso, ovvero un sacco di spazzatura nero e ripiegato . D'altra parte, le dichiarazioni del collaboratore T. appaiono collegate a quelle rese dal collaboratore F. già, si ribadisce, dalla metà degli anni �90 in ordine all'arrivo a Capaci di G.G., in un orario corrispondete a quello indicato da T., alla guida della medesima autovettura indicata da T. una Polo di colore blu , con un carico corrispondente a quello descritto dai primi due collaboratori pagg. 309-310 . La motivazione non risulta affatto illogica la pluralità e concordanza dei suddetti elementi giustifica la conclusione secondo la quale i tre collaboratori riferirono per segmenti, su di un fatto storico �unicò, per quelle circostanze cadute sotto la loro rispettiva e limitata cognizione pag. 313 . La Corte territoriale non ha affermato la prevalenza de dato probabilistico sul dato dichiarativo , come sostenuto dal ricorrente, ma si è fatta carico di tutti i rilievi difensivi, giustificando le discrasie su dettagli marginali con il cattivo, e comprensibile, ricordo dovuto al trascorrere del tempo quando F. ha fatto riferimento alla chiusura di tipo industriale dei sacchetti ricevuti da G. ovvero sulla base di altre circostanze, quale la limitata visuale di T., rimasto al posto di guida, che riferì di uno e non di due sacchi di spazzatura presenti nel bagagliaio della Polo di C., deduzione già espressa dai giudici di merito nel processo svoltosi con rito abbreviato nei confronti di C. e B., ritenuta per nulla arbitraria da questa Corte Sez. 6, numero 26048 del 28/09/2017 , investita dei ricorsi degli imputati, come ricordato nella sentenza impugnata. E' del tutto logica la considerazione dei giudici di merito anche sul riferimento di F. ai sacchi di iuta di colore chiaro contenenti l'esplosivo, con una descrizione corrispondente a quella di S., e non a quelli di plastica, da spazzatura, che contenevano gli altri, in quanto abitualmente utilizzati per coprire il materiale illecito trasportato, come riferito dallo stesso F Non è censurabile, dunque, la valutazione della Corte territoriale pag. 318 , secondo la quale ognuno dei tre collaboratori focalizzò la propria attenzione su aspetti diversi avendo il collaboratore S. descritto sia il confezionamento dei singoli sacchi effettuato utilizzando federe di cuscino colore chiaro sia i due sacchi neri del tipo di quelli utilizzati per la spazzatura adoperati per coprirli avendo il collaboratore T. descritto solo uno dei sacchi di spazzatura di colore nero, tenuto conto, come sopra detto, della visuale limitata che doveva avere dalla sua postazione in quanto rimasto seduto sul lato guida dell'autovettura il collaboratore F. focalizzato la propria attenzione soltanto sui sacchi di iuta, di colore chiaro, nei quali era direttamente incluso l'esplosivo, trasportati dalla predetta autovettura Volkswagen all'interno dell'abitazione di campagna del Troia non mancando di fare riferimento, peraltro, nella parte finale del suo esame, a due sacchi di spazzatura, quelli neri con riferimento però ai sacchi portati da B. . Queste spiegazioni, inerenti a dettagli del trasporto del tritolo da vicolo Castellaccio alla villetta di Capaci, sono state espresse dalla Corte per escludere ogni dubbio in ordine alla unitarietà del fatto storico, in assenza di una plausibile ricostruzione alternativa, invero neppure prospettata dalla difesa e comunque priva del benché minimo riscontro di fatto o logico si dovrebbe ipotizzare, infatti, che l'esplosivo caricato da S., T. e C. sull'auto di quest'ultimo non sarebbe stato consegnato a G., il quale in un'altra occasione avrebbe ricevuto dallo stesso C. il medesimo tipo di esplosivo inoltre, quello consegnato da C. a G. non sarebbe stato poi portato a F., il quale in un'altra occasione avrebbe ricevuto 200 chilogrammi di tritolo dallo stesso G., provenienti e macinati in diverse circostanze e da altre persone. Si tratta di un'ipotesi che può essere con fondamento considerata quale una eventualità del tutto remota, pur astrattamente formulabile e prospettabile come possibile in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulta priva di riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana sul tema, a proposito della nozione di ragionevole dubbio , cfr., ad es., Sez. 3, numero 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647 Sez. 1, numero 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 Sez. 5, numero 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299 Sez. 4, numero 48541 del 19/06/2018, Castelli, Rv. 274358 Sez. 6, numero 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 . 2.4.4. La Corte di Assise di Appello ha disatteso specificamente anche il rilievo difensivo secondo il quale non vi è riscontro sul fatto che l'esplosivo adoperato da B. per le prove di omissis appartenga alla stessa partita dell'esplosivo poi adoperato effettivamente per Capaci pag. 327 , rilievo reiterato nel ricorso pagg. 21-22 con richiamo della deduzione svolta sul punto in appello pagg. 32-33 , accompagnato da una censura alla sentenza impugnata, che avrebbe superato il contrasto fra le dichiarazioni di B.G. e quelle di L.B.G. con una vera e propria illazione . La Corte territoriale, invero, ha richiamato le precise e ampie dichiarazioni rese nel presente procedimento da B.G., corrispondenti nel nucleo essenziale a quelle rese nel corso del primo procedimento per la strage di Capaci nell'aprile 1992, mentre egli si trovava in un immobile di proprietà di D.M.M.S., in contrada omissis , S. B. gli consegnò un piccolo sacchetto di colore nocciola, contenente cinque o dieci chilogrammi di esplosivo di consistenza farinosa, per provarlo, di tipo diverso rispetto a quello proveniente dalla cava IMCO di Altofonte, con il quale lo miscelò aveva poi saputo da R.S. che l'esplosivo proveniva dai fratelli G. e, in particolare, da residuati bellici . Con fondamento i giudici di merito hanno evidenziato la rilevanza delle dichiarazioni rese dal collaboratore, che nella preparazione e nella esecuzione della strage ebbe un ruolo di primissimo piano esse riscontrano pienamente quelle di S.G., che ha affermato di avere personalmente consegnato a G.G. un quantitativo ridotto di tritolo, mentre erano in corso le operazioni di macinazione e precisamente fra la lavorazione dell'esplosivo estratto dai primi due ordigni prelevati a Porticello e quella del tritolo estratto dagli altri due ordigni recuperati alla Cala. Anche L.B. ha riferito che per le prove di omissis B. ricevette da B., al quale era stato consegnato da G.G., un campione di esplosivo farinoso, beige, tipo farina di latte , un colore che certo non si discosta di molto ed è compatibile con quello giallo indicato da S La Corte ha poi sottolineato il daltonismo di F., con una osservazione censurata dalla difesa poiché la fondamentale divergenza delle dichiarazioni di quest'ultimo collaboratore riguarderebbe il confezionamento. Si è in precedenza rilevata la infondatezza della deduzione difensiva, che sulla consegna del campione per le prove non risulta neppure pertinente, poiché F. ricevette da G. l'intero quantitativo di tritolo macinato da S. e dagli altri nella circostanza e con le modalità già richiamate. L'ulteriore rilievo difensivo circa la diversità fra l'esplosivo utilizzato per la strage e quello fatto rinvenire in contrada Gambascio da R.P., affermata da L.B. in contrasto con quanto dichiarato da B., in questa sede risulta generico in quanto si limita a richiamare un brevissimo stralcio delle dichiarazioni rese dal primo nel presente procedimento, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, valido anche dopo l'entrata in vigore dell'articolo 165-bis disp. att. c.p.p., comma 2 che richiede o l'allegazione dell'intero atto ovvero la puntuale indicazione degli atti che si assumono travisati o ignorati, dei quali si ritiene necessaria l'allegazione delegata alla cancelleria Sez. 5, numero 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419 Sez. 2, numero 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432 . Peraltro, dalla lettura del breve stralcio delle dichiarazioni richiamate dalla difesa risulta evidente che L.B., sentito nel presente procedimento, non aveva alcun ricordo della circostanza e confermò quanto detto nove anni prima, in assenza di alcun approfondimento sul punto. 2.4.5. Il ricorso, poi, richiama testualmente pagg. 23-24 il motivo di appello pagg. 35-36 con il quale si era contestato che l'identità del tipo di esplosivo trovato in contrada Gambascio nella disponibilità di R. e quello utilizzato nella strage potesse essere affermata sulla base della consulenza tecnica svolta dagli esperti nominati dal Pubblico Ministero nel primo procedimento per la strage. La sentenza impugnata, a fronte di tale deduzione, ha rimarcato che alla medesima conclusione sono pervenuti i consulenti nominati nel presente procedimento, pur avendo questi ultimi, in realtà, indicato come più probabile il riferimento alle bombe di profondità americane sulla base della descrizione esteriore e dimensione degli ordigni recuperati dal mare, fornita dal collaboratore S. pag. 329 . Anche in questo caso la risposta del giudice di appello è stata ignorata dalla difesa. 2.4.6. Il ricorrente si è sottratto al doveroso confronto anche con le specifiche argomentazioni della motivazione pagg. 330-332 con le quali si sono disattese le ulteriori censure difensive circa la sussistenza di elementi dai quali desumere che l'esplosivo utilizzato per la strage di Capaci provenisse da Catania . La Corte di Assise di Appello ha esaminato le dichiarazioni dei collaboratori M. e A. e ne ha evidenziato la inattendibilità si è trattato di affermazioni che sono rimaste del tutto isolate, non avendo nessuno dei collaboratori pur numerosi che hanno riferito sull'organizzazione ed esecuzione dell'attentato di Capaci parlato di un intervento di forestieri - se si eccettua l'intervento di R.P., come esperto di esplosivi, non proveniente dalle famiglie palermitane ma dal versante catanese . Nel ricorso pagg. 32-33 è stata solo copiata la doglianza proposta in appello sul punto pagg. 40-41 . 2.5. Anche il tema della inattendibilità intrinseca del racconto dei collaboranti in ordine alla dinamica dell'attentato così rubricato nei due atti d'impugnazione è stato riproposto in ricorso pagg. 33-37 nei medesimi termini di quelli dell'atto di appello pagg. 41, 43-45 , senza alcun confronto con le precise risposte fornite dalla Corte alle doglianze difensive, anche in ordine alle osservazioni dei consulenti dell'imputato e alla dimostrata attivazione dell'esplosione mediante un radiocomando, riconosciuta nel primo processo per la strage in considerazione pure delle chiare e convergerti dichiarazioni dei collaboratori D.M.M.S. e B.G. pagg. 335-338 . La radicale inammissibilità della doglianza proposta.e' scolpita dal richiamo finale all'atto di appello, contenuto nel ricorso pag. 37 sul punto si rimanda a tutte le tematiche espresse nell'atto di impugnazione, sub. CAP. III, dalle pagine 41 a pag. 57 , come se non esistessero le ampie osservazioni della Corte territoriale, espresse in risposta ai rilievi difensivi, in relazione soprattutto ai prospettati scenari alternativi, rimasti privi di alcuna solida evidenza probatoria anche a seguito della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale p. 2.3. Ancora sulla tesi relativa ai mandanti esterni - pagg. 339-374 . E' questo uno dei casi più evidenti in cui la difesa ha di �atto sollecitato uno snaturamento delle funzioni di questa Corte v. supra, sub 2. , chiamandola a una valutazione diretta delle prove e non già a una verifica della logicità e coerenza della motivazione ciò dopo la usuale premessa che non si richiedono alla Corte considerazioni di merito, dichiarazione d'intenti il più delle volte seguita da osservazioni che nel merito, nel fatto, sconfinano in modo palese . 2.6. Non ha miglior sorte, quanto all'assolvimento dell'onere di specificità della impugnazione, nei termini in precedenza illustrati sub 1. , la questione della inattendibilità intrinseca di S. sul ruolo di T. così rubricato in entrambi gli atti d'impugnazione , riproposto in ricorso pagg. 37-41 con il richiamo letterale di alcuni brani dell'atto di appello pagg. 58-65 , senza confronto con le precise risposte fornite in sentenza dalla Corte pagg. 344-346, 374-376 , fatta eccezione per alcune brevi osservazioni nella parte finale del punto pag. 42 , quasi inevitabili, considerato che S.G. è stato nuovamente esaminato anche dal giudice di secondo grado. In realtà, senza entrare nel merito , la difesa ha reiterato le proprie osservazioni sulla evanescenza delle dichiarazioni del collaboratore in ordine al ruolo svolto da T., già disattese con motivazione del tutto logica nella sentenza impugnata, con richiamo testuale delle più significative dichiarazioni rese da S Ha osservato la Corte, a proposito della presunta evanescenza delle suddette dichiarazioni, che la circostanza indicata dalla difesa a sostegno di tale tesi - ad esempio la mancata presentazione del T. al primo incontro programmato in piazza Sant'Erasmo, ed il fatto di avere successivamente accampato una scusa dicendo che aveva avuto la febbre -- appare ininfluente nella valutazione globale della condotta ascritta dell'imputato, risultando dalle successive dichiarazioni del medesimo collaboratore come, nel prosieguo, l'impegno del T.L. si sia estrinsecato in un ruolo di primo piano nella programmazione e individuazione dello stesso quantitativo di esplosivo necessario ai fini che erano stati prefissati. Le dichiarazioni rese dal collaboratore S.G. nel presente procedimento - sopra riportate - sono state puntuali sull'argomento. Basti pensare alla circostanza riferita, all'udienza del 31.5.2019, secondo cui la direzione della macinatura era affidata .all'occhio di come si gestiva la cosa, il T.R. unitamente a .Fifetto C. . Lo stesso dichiarante ammetteva di essere più �profano della materià, mentre L.N.C. parlava con Fifetto C. e T.R. di quello che �avevano dentro e .di quello che potesse arrivare anche di fuorì pag. 15 o ancora � T.R. e lo stesso Fifetto C ere no le persone che gestivano tutto. Noi possiamo dire che eravamo le braccia di quello che era l'operazioné pag. 17 . Il ricorrente ha contestato l'affermazione della sentenza secondo la quale le dichiarazioni di S. appaiono assolutamente univoche nel loro significato e restituiscono, piuttosto, l'immagine di un correo impegnato in un compito specifico certamente non evanescente e di primo piano, in quanto volto a valutare, congiuntamente al C. omissis C.C. già condannato in modo definitivo nel parallelo procedimento in abbreviato , il quantitativo di esplosivo che sarebbe stato necessario continuare a macinare, anche in considerazione dell'ulteriore quantitativo di esplosivo che avrebbe dovuto essere utilizzato e procurato da altri . Secondo la difesa, il ruolo di T. non sarebbe stato delineato in modo univoco dal collaboratore, avuto anche riguardo alla sua presenza evanescente e fugace in fase di macinatura e al suo ruolo da comprimario nella fase di valutazione dei quantitativi . Sul punto si osserva che le riportate affermazioni di S. da sole legittimano la censura della sentenza alla lettura minimalista e riduttiva del ruolo svolto dall'imputato T. in questa specifica fase organizzativa della strage , propugnata dalla difesa. In ogni caso va rimarcato che, anche qualora il ricorrente fosse stato assente pure al secondo prelievo degli ordigni alla Cala, non avesse svolto un ruolo di primo piano nelle operazioni di macinatura, fosse stato addirittura solo saltuariamente presente alle stesse - come apoditticamente sostenuto dalla difesa, con travisamento della prova o comunque valutazione della stessa meno logica e plausibile di quella della sentenza impugnata - non per questo sarebbe venuto meno, quanto all'elemento oggettivo di cui ora si tratta, il suo concorso materiale nella strage, risultando la fase di macinatura dell'esplosivo ovviamente essenziale per la realizzazione dell'attentato stesso. 2.7. La difesa ha riproposto nel ricorso, con ampio utilizzo del copia-incolla , anche il tema dell'assenza dei riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di S., sottraendosi al confronto con la maggior parte delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, che pure ha ignorato una deduzione difensiva, riproposta in questa sede, verosimilmente in ragione della sua palese infondatezza. Il collaboratore, infatti, a distanza di ventidue anni, ha ricordato che nel periodo delle stragi di Capaci e via D'Amelio, quando frequentava T., quest'ultimo era latitante, fatto che la difesa ha smentito, asserendo che dal documento prodotto, relativo alla posizione giuridica dell'imputato, si evince che il suo periodo di latitanza iniziò nel marzo del 1993. L'errore nel ricordo eventualmente commesso da S., però, è del tutto irrilevante, non potendosi ovviamente dedurre dallo stesso che egli abbia riferito di fatti successivi a tale periodo si è all'evidenza al di fuori dell'area del riscontro individualizzante e tale non sarebbe stato neppure l'effettivo stato di latitanza di T. già nella primavera del 1992. Il ricorso riprende soprattutto il tema della missione romana , vale a dire - secondo l'ipotesi accusatoria, recepita dai giudici di merito e nelle altre citate pronunce passate in giudicato in particolare quella della Corte di Assise di Appello di Catania del 22 aprile 2006 - l'invio nella capitale di alcuni uomini di Cosa Nostra , deciso il 31 gennaio 1992, il giorno successivo alla sentenza del maxiprocesso . Si è visto, trattando del ricorso di M., che la riunione ebbe carattere esecutivo in quanto il progetto omicidiario era già stato approvato si trattava, avuta la certezza dell'atteso esito negativo di detto processo, di dare inizio alla resa dei conti precedentemente deliberata dagli organismi di Cosa Nostra , uccidendo il giudice F.G. o anche altri uomini simbolo quali il ministro M.C. e il giornalista C.M Dati documentali, a supporto delle dichiarazioni dei collaboratori, hanno consentito di individuare il periodo della missione , iniziata il 24 febbraio 1992 e terminata il 4 marzo 1992. La difesa censura le conclusioni dei giudici di merito sotto due distinti profili deduce innanzitutto che la partecipazione di T. alla missione sarebbe fondata sulle sole dichiarazioni del collaboratore S.V., prive di attendibilità intrinseca e di riscontri individualizzanti in secondo luogo, sostiene che l'asserita partecipazione del ricorrente alla missione non potrebbe comunque costituire riscontro logico alle dichiarazioni di S. sul suo coinvolgimento nella macinatura dell'esplosivo e, quindi, nella strage di Capaci. Questo secondo aspetto sarà trattato oltre sub 9. , in quanto ripreso più ampiamente nel secondo motivo di ricorso. Quanto al dato della partecipazione di T. alla missione, l'impugnazione, ancora una volta, riproduce testualmente pagg. 47-55 ampi stralci dell'atto di appello pagg. 68-80 , depurati delle risposte fornite da. S. nel corso dell'esame dibattimentale reso in primo grado proprio l'assunzione della prova del collaboratore nel presente giudizio e l'esame di G.F. in sede di rinnovazione dibattimentale privano di rilievo le deduzioni difensive in ordine alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nel processo avanti la Corte di Assise di Appello di Firenze da collaboratori sulla missione e neppure sulla figura di T. . La sentenza impugnata ha utilizzato a carico dell'imputato le dichiarazioni rese in contraddittorio nel presente giudizio dai due collaboratori e la circostanza era stata evidenziata dalla Corte territoriale, che ha pure specificamente disatteso gli ulteriori rilievi della difesa concernenti una presunta incoerenza nel racconto reso dal S. pagg. 380-382, 385-386 , con argomentazioni ignorate nel ricorso, nel quale senza fondamento si è soltanto genericamente sostenuto che anche il giudice di appello si sarebbe sottratto alla valutazione preliminare circa l'attendibilità intrinseca del S. sulla missione romana, su modalità e finalità della medesima e soprattutto sulla asserita partecipazione alla medesima da parte del T., che non è mai stato imputato per fatti attinenti alla missione romana in nessun procedimento pag. 52 . Tale ultima circostanza è del tutto irrilevante, risultando logico che l'autorità giudiziaria non abbia proceduto in relazione alla commissione di soli atti preparatori, alla luce anche delle stragi poi effettivamente realizzate. Rilevata la radicale inammissibilità delle censure riproposte in difetto di specificità estrinseca, rileva il Collegio la manifesta infondatezza delle deduzioni pagg. 56-57 , necessariamente nuove, inerenti alla divergenza del molteplice sulla missione romana, avuto riguardo alle dichiarazioni rese alla Corte territoriale da G.F. all'udienza del 12 febbraio 2020, che non costituirebbero - secondo la difesa - un riscontro di quelle di S.V La sentenza ha sintetizzato le più rilevanti dichiarazioni dei due collaboratori, rimarcandone la coerenza su dati fondamentali le riunioni che precedettero l'avvio della missione, la sua finalità e il periodo in cui si svolse, i partecipanti alla stessa G., S., T., M.D.M., G.G. e omissis C. , il luogo ove questi furono ospitati e persino le modalità con le quali proprio S. e G., insieme, raggiunsero Roma, in aereo, circostanza riscontrata da un dato documentale attestante il volo da Palermo alla capitale, effettuato dai due in data 24 febbraio 1992. Il ricorrente ha obliterato questi dati, pretendendo di privare le dichiarazioni di G. della valenza di riscontro alle dichiarazioni di S. sulla partecipazione di T. alla missione romana solo perché in precedenti interrogatori il primo avrebbe riferito che l'unico obiettivo era il giornalista C La sentenza impugnata, invero, ha osservato che all'udienza del 12 febbraio 2020 il teste assistito incluse anche il giudice fra gli obiettivi da ricercare e che, a seguito di contestazione, egli dichiarò di non avere un ricordo preciso pag. 379 . La difesa ha contestato tale sintesi della deposizione di G. asserendo che alla fine il teste avrebbe confermato quanto detto in precedenza, quando la sua mente era più lucida invero, leggendo sul punto il verbale con le trascrizioni della successiva udienza del 25 febbraio 2020 in questo caso allegato al ricorso nella sua interezza , in più punti si coglie l'incertezza nel ricordo del teste, esaminato a quasi trent'anni di distanza, come lo stesso osservò per giustificare le proprie titubanze direi una bugia oggi dopo tutti questi anni . alla seconda udienza G. effettivamente non confermò che fra gli obiettivi vi fosse anche F.G. come aveva affermato all'udienza tenutasi tredici giorni prima pur tuttavia, in un clima surriscaldato per le schermaglie tra le parti come si evince dalle trascrizioni - non si può neppure affermare che egli lo escluse. Inoltre, S. - ha ricordato la sentenza impugnata pag. 381 - ha anche dichiarato che i sei partecipanti alla missione, dopo i primi pedinamenti, arrivarono alla conclusione che l'unico obiettivo agevolmente accessibile fosse quest'ultimo , con riferimento a C.M., circostanza che ben giustificherebbe anche il significato delle prime dichiarazioni di G., rese in altro procedimento. La tempistica e le finalità della missione romana, inizio esecutivo della guerra allo Stato dopo il conclamato insuccesso del tentativo di affossare in Corte di cassazione il maxiprocesso , escludono la ragionevolezza di ogni dubbio circa il fatto che il principale obiettivo della stessa, quantomeno nella deliberazione iniziale, fosse proprio F.G., il nemico di sempre di Cosa Nostra , la cui attività era stata dal magistrato contrastata efficacemente prima a Palermo e poi a Roma, al Ministero della Giustizia. Anche in relazione alle dichiarazioni rese da S.A. avanti la Corte di Assise di Firenze, acquisite nel presente giudizio a sensi dell' articolo 512 c.p.p. , stante il decesso del collaboratore, la difesa ha dedotto che l'unico obiettivo della missione - secondo quanto riferito dal dichiarante sarebbe stato C.M Quanto asserito sarebbe dimostrato da brevissimi stralci di verbali allegati al ricorso, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso v. sub 4.4. . Peraltro, la sentenza impugnata pag. 383 ha ricordato il ruolo defilato assunto nella vicenda da S.A., che si limitò a fornire supporto logistico ai siciliani in trasferta a Roma , senza partecipare alla missione più precisamente egli richiese e ottenne, tramite il figlio F., l'utilizzo di un appartamento nella disponibilità di G.G., il quale, sentito come testimone nel processo di primo grado, ha confermato la circostanza. La Corte ha altresì richiamato pag. 388 le dichiarazioni rese da quegli stessi collaboratori di giustizia indicati dal difensore nel suo atto di gravame a pag. 83 ovvero da G.C., D.G., M.G. , a conferma dell'inserimento di T. nel gruppo di fuoco di Brancaccio, al fine di delineare, in modo inconfutabile, il contesto di riferimento nel quale inscrivere le dichiarazioni in correità rese dai collaboratori escussi nel presente procedimento, in particolare del collaboratore S.G. per quanto attiene la strage di Capaci e dei testi assistiti S.V. e G.F. limitatamente alla missione romana , che indubbiamente rafforza il livello di credibilità delle medesime dichiarazioni . Il ricorso pagg. 60-62 , trascrivendo anche in questo caso gran parte delle stesse deduzioni svolte in appello pagg. 82-84 , evoca nuovamente dichiarazioni di vari collaboratori circa l'appartenenza di T. al gruppo di fuoco in un periodo precedente, ancora una volta in violazione del principio di autosufficienza più volte ricordato, e afferma apoditticamente che l'imputato è stato condannato per due soli omicidi commessi nel 1988 e 1989, ignorando quanto scritto nella sentenza impugnata pag. 388 circa la sua condanna per un terzo omicidio, commesso il 5 agosto 1992, dunque poco dopo la strage di Capaci, contrariamente all'assunto della difesa, e ad appena diciassette giorni di distanza dalla strage di via D'Amelio. 2.8. E' manifestamente infondata la doglianza del ricorso pagg. 63-65 con la quale è stato censurato il richiamo di entrambe le sentenze alla condanna definitiva di T.L. per il concorso nella strage di via D'Amelio. Se per un verso - come dedotto dalla difesa - detta condanna, divenuta definitiva nel 2003, si fondò sostanzialmente sulle dichiarazioni di S.V., la cui falsità ne comportò la incriminazione per il reato di calunnia in danno di P.S., + ALTRI OMESSI, poi assolti a seguito di revisione delle sentenze di condanna, è altrettanto certo che la richiesta di revisione della condanna di T. non fu avanzata dalla Procura generale né dalla stessa difesa non già per ragioni extra-processuali , non meglio precisate, come rilevato dalla Corte territoriale pag. 389 , bensì proprio perché dalle successive dichiarazioni di S.G., ritenute attendibili e riscontrate da ultimo nel processo B.-quater, definitosi con la sentenza di questa Corte del 5 ottobre 2021 , è emerso il coinvolgimento anche di T. nella fase esecutiva della strage. In particolare, il pomeriggio precedente al giorno della strage, in un garage seminterrato in Via omissis , a meno di un chilometro da via D'Amelio, T. attese S., arrivato con la Fiat 126 rubata, nella quale erano già riposti l'antennino e le due batterie che si era procurato con l'ausilio di T Sul tema dei rapporti di T.L. con G.G. così rubricato in entrambi gli atti d'impugnazione , il ricorso, ancora una volta, riproduce testualmente pagg. 67-70 ampi passi dell'atto di appello pagg. 8692 , depurati degli stralci delle dichiarazioni di S. e B., senza alcun confronto con le specifiche e ampie risposte della sentenza ai motivi di gravame sul punto pagg. 384-385, 392-393 , in relazione all'epoca del contrasto insorto fra il ricorrente e G.G., certamente successivo all'attentato di Capaci, come peraltro dimostrato da quanto si è appena detto in ordine al concorso di T. nella strage di via D'Amelio. Non si è in presenza, dunque, di un riscontro logico di carattere negativo , quanto alla partecipazione dell'imputato alla strage, come invece dedotto dalla difesa con motivo reiterato, peraltro espresso negli atti d'impugnazione nei medesimi termini perplessi T. sarebbe stato esautorato sicuramente a partire dalle stragi successive a quella di Capaci e con molta probabilità dopo la missione romana e prima della strage di Capaci . 2.9. Riconosciute la coerenza e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, immune da vizi e violazioni di legge, in ordine alla valutazione dell'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di S.G. sul ruolo svolto da T.L. nella macinatura dell'esplosivo utilizzato per la strage di Capaci e alla sicura partecipazione dello stesso imputato alla missione romana e alla strage di via D'Amelio, va ora esaminato il tema del riscontro logico, riproposto in ricorso pagg. 59-60, 70-71, 82-87 , in larga parte con deduzioni sovrapponibili a quelle dell'appello pagg. 80-81, 92-93, 106-111 . La Corte territoriale ha condiviso il il percorso logico, giuridico e argomentativo seguito dai primi giudici segnato da un giudizio di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese dal collaboratore S.G. e dalla sussistenza di adeguati riscontri logici, sul piano dell'attendibilità estrinseca, rappresentati dai plurimi elementi acquisiti che dimostrano, in maniera inconfutabile, il coinvolgimento del medesimo imputato sia nella missione romana , intrinsecamente e direttamente collegata alla strage di Capaci per le ragioni sopra indicate, oltre che nell'esecuzione della strane di via D'Amelio, eseguita a distanza di meno di due mesi dalla strage di Capaci in attuazione di un programma stragista unitario pagg. 401-402 . Anche in questo caso le valutazioni della Corte territoriale sono immuni dai vizi denunciati, risultando conformi ai consolidati principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, neppure contrastati dal ricorrente. E' sufficiente ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, quanto alla tipologia e all'oggetto dei riscontri, hanno affermato che la genericità dell'espressione altri elementi di prova , utilizzata dall' articolo 192 c.p.p. , comma 3, legittima l'interpretazione secondo cui, in subiecta materia, vige il principio della libertà dei riscontri , nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova Sez. U, numero 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255143, in motivazione . Secondo il diritto vivente, dunque, gli elementi integratori della prova costituita da dichiarazioni rese da un imputato dello stesso reato o di un reato connesso possono essere anche di carattere logico, purché riconducibili a fatti esterni a quelle dichiarazioni cfr., ex plurimis, Sez. 2, numero 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744 Sez. 6, numero 45733 del 11/07/2018, P., Rv. 274151 Sez. 3, numero 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260607 Sez. 6, numero 1249 del 26/09/2013, dep. 2014, Ceroni, Rv. 258759 . Ne consegue che, allorché il chiamante in correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi dallo stesso soggetto e ripetuti nel tempo, l'elemento esterno di riscontro in ordine ad alcuni di essi fornisce sul piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in ordine agli altri, purché sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e a imporre una valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l'identica natura dei fatti in questione, l'identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l'inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo unico e continuativo Sez. 6, numero 13844 del 02/11/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270376 Sez. 6, numero 47304 del 12/11/2015, Messina, Rv. 265355 Sez. 6, numero 41352 del 24/09/2010, Contini, Rv. 248713 . La sentenza impugnata ha correttamente considerato la missione romana quale riscontro logico alle dichiarazioni di S. sul ruolo svolto da T. soprattutto nella macinatura dell'esplosivo utilizzato per la strage di Capaci, avuto riguardo alle finalità della missione ispirata essenzialmente dalla volontà di uccidere il giudice F.G. , alla collocazione cronologica della stessa in epoca prossima agli eventi di Capaci, alla parziale identità della componente soggettiva del gruppo andato in missione rispetto alla successiva squadra che risulterà impegnata nell'esecuzione della strage si pensi a G.G. e a C.C. . La partecipazione di T. alla missione, peraltro, è stata accertata sulla base non già del racconto dello stesso S. bensì di un autonomo patrimonio conoscitivo le dichiarazioni di S. e G. . Disattendendo un rilievo difensivo la partecipazione dell'imputato alla missione romana non potrebbe essere considerata come valido riscontro logico alle dichiarazioni di S. in quanto S. e G., presenti alla missione, non erano poi stati coinvolti nella strage di Capaci , la Corte di Assise di Appello ha osservato la irrilevanza del dato, poiché tale ultimo attentato era stato rimesso, sotto il profilo organizzativo, esclusivamente a uomini dei mandamenti palermitani, pur con l'apporto specialistico del R. pag. 387 . Il ricorrente ha ignorato la motivazione della Corte sul punto, riproponendo la stessa deduzione pag. 59 esattamente come formulata nell'atto di appello pag. 81 . La difesa ha altresì richiamato pag. 89 due sentenze emesse da questa Corte per censurare l'utilizzo del riscontro logico fatto dai giudici di merito nel presente processo la sentenza di annullamento con rinvio emessa nei confronti di T.F. per le stragi diverse da quella di Via dei Georgofili, in assenza di riscontri alla chiamata in correità da parte di S.G. Sez. 6, numero 8929 del 17/09/2014, dep. 2015, Rv. 263654 e quella emessa nei confronti di B.G. e C.C. oltre che di D.C., deceduto nelle more del ricorso nel procedimento parallelo celebratosi con rito abbreviato, nel quale a carico dei due, accusati anch'essi da S. di avere macinato l'esplosivo utilizzato per Capaci, quale riscontro logico è stata utilizzata la loro condanna per le stragi del 1993, alle quali è invece rimasto estraneo T. Sez. 1, numero 26048 del 28/09/2017, non mass. . Proprio questa ultima sentenza - così come anche la decisione qui impugnata pag. 402 - ha chiaramente evidenziato la differenza fra la posizione di T. e quella di B., al fine di disattendere un motivo di ricorso proposto dalla difesa di questo imputato la posizione di B. è differente da quella di T. S. aveva descritto positivamente la collaborazione di B. alla strage di Capaci la Corte territoriale, in sostanza, ha ritenuto che il contributo prestato per alcune stragi successive fosse indicativo della possibilità che egli lo avrebbe potuto prestare anche in quella di Capaci ma, trattandosi di elemento di riscontro - e non di elemento di prova della colpevolezza - la Corte doveva soltanto dimostrare che B. avrebbe potuto effettivamente comportarsi come descritto da S Quindi, in questo caso l'operazione richiesta era meno stringente di quella compiuta dai giudici di Firenze sconfessata dalla sentenza della Cassazione questi - senza che S. avesse descritto il consenso di T. alle singole stragi diverse da quella di Via omissis - avevano dedotto la prova del suo consenso dalle regole dell'associazione mafiosa la Corte nissena doveva, invece, valutare l'attendibilità delle dichiarazioni di S.G. sulla base dell'elemento di prova costituito dalla accertata partecipazione di B. ad alcuna delle stragi del 1993 . Le condivisibili osservazioni sono pertinenti anche per la posizione di T., addetto alla macinazione dell'esplosivo, al pari di B. e C Per T., poi, oltre al riscontro logico costituito dalla partecipazione alla missione romana, rispetto alla quale la strage di Capaci - come visto - si è posta in linea di continuità, vi è un ulteriore riscontro logico valorizzato nella sentenza di appello, costituito dall'accertata partecipazione del ricorrente alla strage di via D'Amelio, con sentenza divenuta irrevocabile, non oggetto di revisione proprio in ragione delle dichiarazioni di S.G La difesa, sul punto, ha sostenuto che l'eventuale dimostrazione dell'avvenuta partecipazione ad un fatto postumo rispetto ad uno antecedente, ossia la strage di via d'Amelio, non può sicuramente costituire - di per sé solo espressione della partecipazione a quello precedente sotto il profilo logico . Osserva il Collegio che il rilievo potrebbe essere condivisibile laddove si intendesse attribuire all'acclarata partecipazione di T. alla strage di via D'Amelio il valore di prova logica della sua responsabilità per la strage di Capaci, realizzata cinquantasette giorni prima non è questo, tuttavia, il percorso seguito dai giudici di merito, che hanno invece richiamato questo dato, così come quello della missione romana, come riscontro di natura logica alle dichiarazioni di S. si tratta di una radicale differenza, ben evidenziato nella sentenza di questa Corte resa nel parallelo giudizio abbreviato, richiamata dallo stesso ricorrente. 2.10. Anche le doglianze difensive in ordine alla insussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di strage sono in larga parte reiterative dei motivi di appello e generiche, in quanto difettano di specificità estrinseca. Sotto un primo profilo, il ricorrente, richiamando nella sostanza le censure proposte in appello pagg. 85-86, 93-95 , ribadisce che la decisione di uccidere F.G. non era una novità ma un progetto costante di Cosa Nostra e che comunque la interruzione della missione romana per cose più grosse rispetto alla eliminazione del magistrato, di M. e C. - come disse R.S. - ben potrebbe aver fatto sorgere la convinzione che il progetto omicidiario di F. fosse stato abbandonato. Con il riferimento a quelle cose più grosse si poteva intendere l'omicidio di L.S., avvenuto il omissis , cosicché vi sarebbe stata una cesura in termini di elemento psicologico , non considerata dai giudici di merito, i quali avrebbero così indebitamente operato una traslazione dell'elemento soggettivo della missione romana pagg. 65-67, 72-73 . La Corte ha disatteso le doglianze difensive pagg. 3'90-396 con logica motivazione, richiamando soprattutto le argomentazioni svolte esaminando la posizione di M. e rimarcando quindi l'unico filo conduttore, senza alcuna soluzione di continuità, che unì la riunione degli auguri del dicembre 1991, l'avvio della fase esecutiva della missione romana all'indomani della sentenza del maxiprocesso alla quale parteciparono direttamente anche personaggi di assoluto rilievo di Cosa Nostra quali M.D.M. e G.G. , l'esecuzione a Palermo secondo la iniziale volontà di R. di un attentato a F. con modalità ben più eclatanti le cose più grosse , la successiva strage di via D'Amelio. La difesa, poi, anche in questo caso riprendendo per lo più le medesime deduzioni svolte nell'atto di appello pagg. 95-106 e obliterando in buona parte le risposte della Corte territoriale, ha osservato che l'unica fonte di accusa, ossia il correo S., ha escluso ogni consapevolezza in capo a sé ed agli altri asseriti correi di macinare esplosivo destinato a una strage o a un omicidio , non essendo neppure stato informato della strage ne consegue che non vi sono elementi per inferire la consapevolezza di una specifica destinazione alla strage di Capaci dell'esplosivo da macinare pagg. 73-82 . Invero, proprio questa ultima affermazione del ricorrente dà ragione della infondatezza del motivo di ricorso sul punto. La sentenza impugnata, in ragione di quel filo conduttore di cui si è detto e, quindi, della continuità logica e cronologica fra la missione romana e la strage di Capaci, ha spiegato le ragioni per le quali per T., pur se non informato specificamente della destinazione dell'esplosivo come non lo furono lo stesso S. e gli altri addetti alla macinatura , una volta constatata la difficoltà di portare a compimento tale missione a Roma - per la d fficoltà riferita dai collaboratori di intercettare la stessa vittima e scoprirne le abitudini - doveva apparire naturale ed evidente collegare tale esplosivo al giudice F. in quanto nemico storico di cosa, nemico numero uno , e unico, peraltro, fra i possibili bersagli individuati in occasione della missione romana, a risiedere in Sicilia pag. 396 . Ciò premesso, la Corte territoriale si è poi soffermata pagg. 397-404 su un dato di fatto insuperabile e su un principio di diritto del tutto consolidato. Quanto al primo, con motivazione del tutto logica, la sentenza ha rimarcato che l'ingente quantitativo di tritolo prelevato da quattro ordigni neppure lontanamente paragonabile - ha osservato la Corte - a quello utilizzato in danno di negozi e magazzini negli attentati indicati dalla difesa , l'urgenza manifestata nel concludere le operazioni di macinatura occorreva fare in fretta e veloci , tanto da avere deciso di incrementare il lavoro degli addetti chiamando a rinforzo una quinta persona P.G. , la consapevolezza che fosse necessario fare una quadratura , dovendosi tener conto anche di altro esplosivo di diversa provenienza da utilizzare, sono tutte circostanze che non potevano che denotare la consapevolezza dell'imputato di concorrere all'esecuzione di un'azione delittuosa di dirompente portata, che non poteva che essere prefigurata in termini di strage pag. 400 . Quanto al principio di diritto, correttamente la sentenza ha ricordato che, pacificamente, nel reato di strage reato di pericolo il dolo consiste nella coscienza e volontà di porre in essere atti idonei a determinare pericolo per la vita e la integrità fisica della collettività mediante violenza evento di pericolo , con la possibilità che dal fatto derivi la morte di una o più persone evento di danno , allo scopo dolo specifico di cagionare la morte di un numero indeterminato di persone, e ha rimarcato - ciò che più rileva nel caso di specie che, ai fini del concorso nel delitto di strage, è sufficiente un contributo limitato alla sola fase preparatoria e di organizzazione logistica del reato materialmente commesso da altri concorrenti non è necessario, pertanto, essere informati sulla identità di chi agirà, sulle modalità esecutive della condotta e neppure sulla identità della vittima, purché vi sia la consapevolezza che la propria azione si iscriva in una più ampia progettazione delittuosa, finalizzata alla realizzazione di un omicidio di rilevante impatto sul territorio Sez. 1, numero 25846 del 30/11/2015, dep. 2016, T., Rv. 267297, emessa nei confronti di un imputato condannato per la strage di via D'Amelio nel processo B.-quater, celebratosi con rito abbreviato . Il medesimo principio è stato da ultimo ribadito nella sentenza di questa Corte che ha concluso il processo B.-quater svoltosi con rito ordinario ciò che deve essere oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell'agente - in ogni caso - è oltre alla finalità specifica di uccidere almeno una persona la consapevolezza di cagionare, in virtù delle modalità prescelte, un concreto pericolo per una pluralità di altri soggetti, il cui eventuale decesso non deve, pertanto, essere necessariamente coperto dal dolo Sez. 5, numero 40274 del 05/10/2021, MADONIA, Rv. 282090 in senso conforme cfr., ad es., Sez. 1, numero 43681 del 13/05/2015, Tornicchio, Rv. 264747 nonché Sez. 1, numero 42990 del 18/09/2008, Montalto, Rv. 241824, emessa nel primo processo per la strage di Capaci . 3. Ricorso L.N.C 3.1. Va premesso che anche il ricorso presentato nell'interesse di L.N.C. si caratterizza per la estrema genericità dei motivi, sotto il profilo del difetto di specificità estrinseca, in ragione della mancanza di confronto con la maggior parte delle considerazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché per la riproposizione di doglianze non consentite in sede di legittimità, in quanto di fatto intese a sollecitare una diversa valutazione delle risultanze probatorie. In proposito si richiama quanto già osservato esaminando il ricorso di T.L. sub 1. e 2. senza alcun fondamento il ricorrente ha dedotto che la Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare e far proprie, in maniera acritica, le medesime argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, trascurando dati difensivi rilevanti . 3.1.1. Seguendo i motivi del ricorso secondo un ordine logico, va in primo luogo rilevato che la difesa, in ordine alla credibilità di S.G., ha riproposto pedissequamente pagg. 13-16 le doglianze contenute nell'atto di appello a firma del medesimo difensore avv. Giovanna B. Araniti - pagg. 32-35 , senza alcun confronto con le risposte della sentenza che - diversamente da quanto asserito nell'impugnazione - ha specificamente affrortato il tema pagg. 451-458 . La Corte territoriale ha ricordato il lineare percorso seguito da S., anche attraverso una profonda maturazione morale e spirituale, prima di giungere alla collaborazione con l'autorità giudiziaria, rivelatasi sin dall'inizio giugno 2008 particolarmente rilevante, stante la sua costante progressione nella gerarchia di Cosa Nostra . La sentenza ha poi evidenziato che nel processo nei confronti di D. e C. le dichiarazioni a carico del primo, peraltro generiche avendo egli riferito di quanto in una occasione appreso da G.G. , non erano state utilizzate in quanto tardive. Pertanto, il mancato riscontro positivo sulla credibilità di S. in quel giudizio non era idoneo a inficiare la valutazione positiva sulla credibilità del collaboratore espresso nel presente processo, confermata anche in quelli per le stragi successive. La Corte di Assise di Appello, inoltre, ha rimarcato l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese da S., invero non specificamente contestata nel ricorso, alla luce della precisione, della coerenza e della costanza del racconto del collaboratore, che ha ben descritto il ruolo svolto nella vicenda da L.N.C. sin dal prelievo dei primi due ordigni a Porticello, con l'ausilio del cugino D.C Il ricorrente fu presente anche al prelievo alla Cala degli altri due ordigni perché, durante le operazioni di macinatura, ne era emersa la necessità, pur considerando che vi sarebbe stata la disponibilità anche di esplosivo di diversa provenienza. L.N. era considerato l'esperto di esplosivi nel gruppo di Brancaccio il professore , secondo S. . La sua competenza - come si dirà - sarebbe stata confermata anche successivamente alla strage di Capaci. 3.1.2. In ordine alla mancanza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di S., il ricorrente, quanto alla divergenza con quelle di D.C., ha nella sostanza reiterato a pagg. 21-23 il motivo di appello pagg. 43-54 . La Corte territoriale ha logicamente risposto con argomentazioni analoghe a quelle in precedenza richiamate sub 4.1. e ha comunque rimarcato la sostanziale irrilevanza delle dichiarazioni rese da D.C., alla luce di tutti gli altri riscontri che confermano l'attendibilità di quelle di S Sulla frequentazione del luogo Porticello ove furono caricati i primi due ordigni e sul mancato rinvenimento dell'esplosivo nei luoghi della macinatura la sentenza ha disatteso i rilievi difensivi con puntuali argomentazioni pagg. 460462 , obliterate dalla difesa. Anche in ordine all'assunto difensivo secondo il quale l'imputato, nel 1992, sarebbe stato uno sconosciuto nel contesto criminale mafioso di Brancaccio e i collaboratori avrebbero fatto risalire il coinvolgimento di L.N. solo alle stragi del 1993, in contrasto con quanto riferito da S.G., la motivazione è stata puntuale pagg. 462-464 , mentre il ricorso pagg. 11-12, 23-26 ha utilizzato anche in questo caso la tecnica del copia-incolla pagg. 810, 48-51 . 3.1.3. La Corte di Assise di Appello, poi, ha ampiamente motivato in ordine agi esiti dell'ampia rinnovazione dell'istruzione dibattimentale disposta anche in ragione delle spontanee dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso di quattro udienze del giudizio di secondo grado pagg. 446-451 , evidenziando plurimi elementi idonei a smentire il fatto che il giorno della strage di Capaci egli fosse imbarcato su un motopeschereccio, circostanza, peraltro, che comunque non avrebbe implicato l'impossibilità che lo stesso, sbarcato nel pomeriggio, avesse incontrato nel corso della serata S. . Alla luce di questa conclusione e delle altre valutazioni espresse dalla Corte territoriale risulta fondata la valutazione circa l'assenza della indispensabilità, ai fini della decisione, di ulteriori accertamenti, anche in forza dei principi di diritto in precedenza espressi in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale p. 3. esame ricorso T. . 3.2. Il ricorso pagg. 16-20 , riprendendo testualmente le argomentazioni dell'appello pagg. 35-42 , ha ribadito che S. conosceva gli elementi di riscontro utilizzati in altri processi a carico di L.N., cosicché si sarebbe in presenza di una circolarità dell'accusa , deduzione che non si confronta con le specifiche considerazioni della sentenza impugnata pagg. 441-443, 465-472 , quasi che il coinvolgimento del ricorrente nelle stragi del continente derivasse dalle dichiarazioni dello stesso collaboratore, e oblitera un dato fondamentale rimarcato dai giudici di merito per il concorso in tutti gli attentati a C.M., in via Fauro a Roma a Firenze in via omissis a Milano in via Palestro a Roma in piazza S. Giovanni in Laterano e in via del Velabro sempre a Roma nei pressi dello stadio Olimpico a Formello, con obiettivo il collaboratore di giustizia C.S. , realizzati nell'arco di undici mesi dal 14 maggio 1993 al 14 aprile 1994 , L.N.C. è stato condannato con sentenza irrevocabile, essendosi anche dimostrato che lo stesso, appartenente al mandamento di Brancaccio, ebbe un ruolo di rilievo per le sue competenze in materia esplosivistica. Considerati i principi in precedenza richiamati in tema di riscontro logico, esaminando il ricorso di T. p. 9. , con fondamento la Corte territoriale ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti che permettono agli elementi di riscontro esterno, direttamente attinenti al concorso del L.N. nelle ulteriori stragi commesse tra il maggio 1993 e l'aprile 1994, di fornire sul piano logico la necessaria integrazione probatoria nei confronti dello stesso della chiamata di correo di S. in ordine alla strage di Capaci , evidenziando il tratto comune della sua partecipazione espressa con un contributo riferito alla fornitura o al reperimento, alla lavorazione e al trasporto dell'esplosivo, nonché al successivo confezionamento degli ordigni poi fatti esplodere . Anche trattando della posizione di L.N., la sentenza ha fatto riferimento all'unico filo conduttore che legò le stragi di Capaci e di via D'Amelio a quelle del continente , in attuazione della strategia stragista deliberata a causa dell'insuccesso del maxiprocesso , alla quale si è in precedenza fatto più volte riferimento. Senza alcun fondamento, pertanto, il ricorrente, riprendendo letteralmente la deduzione svolta in appello pagg. 6-7 , ha sostenuto che L.N. sarebbe stato condannato per la strage di Capaci sulla base di un mero automatismo probatorio pagg. 9-10 . 3.3. La difesa, poi, evocando un travisamento delle risultanze istruttorie , che denuncia di fatto una valutazione delle prove asseritamente erronea, in contrasto con la funzione del ricorso e con il ruolo demandato a questa Corte vedi supra, p. 2. esame ricorso T. , ha sostenuto ancora pagg. 32-37 che mancherebbe la prova della destinazione dell'esplosivo alla strage di Capaci, ignorata dallo stesso S., riportando le argomentazioni svolte in appello sul punto pagg. 19-30 , anche sul sequestro dell'esplosivo rinvenuto nel 1995 su indicazione di R., sulle dichiarazioni di M. e sulle altre piste provenienti da diverse fonti dichiarative. La Corte territoriale ha fornito risposte specifiche a ogni deduzione difensiva pagg. 479-486, 491-492 , ragion per cui l'impugnazione è generica. In ogni caso, si è visto ampiamente, esaminando il ricorso di T. p. 4. nel quale sul tema sono affrontati gli stessi e anche ulteriori profili, che la motivazione è logica e incensurabile là dove ha confermato che l'esplosivo macinato da S., T., P., B. e C. fu utilizzato per la strage di Capaci. 3.4. In relazione alla questione della sussistenza dell'elemento psicologico del reato di strage, il ricorso pagg. 38-39 ha riprodotto la breve deduzione svolta in appello pagg. 52-53 , disattesa nella sentenza impugnata con specifiche e ampie argomentazioni pagg. 492-497 ignorate dalla difesa. Si tratta, dunque, di un motivo generico e comunque infondato, in ragione degli elementi di fatto richiamati in sentenza e dei principi di diritto dei quali si è dato conto esaminando il ricorso di T. p. 10. è sufficiente, dunque, qui ribadire che, in tema di concorso di persone nel reato, la responsabilità di chi coopera a un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica sull'evento finale perseguito da un altro concorrente, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla commissione del delitto carattere decisivo, infatti, riveste l'unitarietà del fatto collettivo realizzato, che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, con giudizio di prognosi postuma, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli agenti Sez. U, numero 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218525 Sez. 2, numero 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773 Sez. 3, numero 44097 del 03/05/2018, I., Rv. 274126 Sez. 1, numero 15860 del 09/12/2014, Crivellari, Rv. 263089 Sez. 2, numero 18745 del 15/01/2013, Ambrosiano, Rv. 255260 . 3.5. Sono manifestamente infondate, oltre che generiche, le censure del ricorrente in ordine alla sussistenza delle aggravanti della finalità di terrorismo e dell'agevolazione mafiosa, contestata sulla base di un presupposto ampiamente smentito la mancanza di conoscenza della finalizzazione della condotta e della destinazione dell'esplosivo a una strage , in presenza del quale non vi sarebbe potuta essere neppure l'affermazione di responsabilità. Correttamente la Corte territoriale ha rimarcato che nella strage di Capaci, organizzata anche per eliminare il nemico principale di Cosa Nostra , era sicuramente riscontrabile la finalità di incutere terrore nella collettività con un'azione criminosa diretta contro F.G. per tutto quello che egli rappresentava per la società italiana e volta a destabilizzare pesantemente le istituzioni, scuotendo la fiducia nell'ordinamento costituito, con conseguente sussistenza della finalità terroristica in proposito, di recente, cfr. Sez. 1, numero 36816 del 27/10/2020, Cropo, Rv. 280761 . Al riconoscimento dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa non osta il fatto che il reato di strage sia punito con l'ergastolo, come già osservato nella sentenza impugnata. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, in una pronuncia ormai risalente, chiarendo il senso della previsione iniziale del D.L. 13 maggio 1991, numero 152, articolo 7 convertito nella L. 12 luglio 1991, numero 203 , ora articolo 416-bis.1 c.p. Per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo , hanno affermato che detta circostanza è applicabile anche ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell'ergastolo e pertanto può essere validamente contestata anche con riferimento ad essi, ma opera in concreto solo se, di fatto, viene inflitta una pena detentiva diversa dall'ergastolo, mentre, se non esclusa all'esito del giudizio di cognizione, esplica comunque la sua efficacia a fini diversi da quelli di determinazione della pena Sez. U, numero 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, Rv. 241578 in senso conforme v. Sez. 1, numero 8802 del 18/11/2018, dep. 2019, Presta Rv. 276168 . Prima ancora che infondata, è inammissibile, perché non proposta in appello, la censura relativa alla pretesa insussistenza dell'aggravante ex articolo 61 c.p. , comma 1, numero 10 secondo il diritto vivente, alla luce di quanto disposto dall' articolo 609 c.p.p. , comma 2, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza Sez. 2, numero 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306 Sez. 3, numero 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903 Sez. 3, numero 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869 Sez. 2, numero 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 Sez. 2, numero 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368 . 3.6. Difetta del tutto di interesse il motivo con il qua e si è lamentata la individuazione del reato più grave nella strage di Capaci e non in quelle oggetto del processo celebratosi a Firenze, conclusosi con la condanna di L.N. alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per tre anni. Per la strage di Capaci e per i reati satellite, dunque, il ricorrente non ha avuto alcuna ulteriore sanzione, avendo la Corte territoriale fatto applicazione del principio statuito da questa Corte in tema di esecuzione di pene concorrenti, secondo il quale i limiti di durata massima dell'isolamento diurno, previsti dall' articolo 72 c.p. , possono in concreto essere superati soltanto nel caso di sopravvenienza di una condanna che comporti un ulteriore periodo di isolamento diurno per reati commessi dopo l'inizio dell'esecuzione, ma non anche per reati commessi anteriormente, in relazione ai quali opera il limite stabilito dalla norma suddetta, in ragione della natura dell'isolamento diurno, da considerarsi sanzione penale che si aggiunge all'ergastolo cfr., ad es., Sez. 1, numero 39393 del 24/11/2016, dep. 2017, Emmanuello, Rv. 270969 Sez. 1, numero 38491 del 20/09/2007, G., Rv. 237968 Sez. 1, numero 34564 del 12/06/2007, Catti, Rv. 237853 . Il ricorrente non ha dedotto quale interesse avrebbe nel caso in cui la disciplina della continuazione fosse applicata anche in relazione a reati oggetto di non meglio precisate ulteriori sentenze di condanna. In ogni caso, la sentenza impugnata ha osservato che la difesa, all'udienza del 19 marzo 2019, si è limitata a produrre due note contenenti una mera elencazione di condanna non supportata da alcuna argomentazione a supporto dell'invocata applicazione dell'istituto della continuazione . Sulla base di questa circostanza la Corte territoriale ha applicato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità largamente prevalente, condiviso dal Collegio, secondo il quale l'imputato che richiede, nel giudizio di cognizione, il riconoscimento della continuazione con reati già giudicati non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenze rilevanti a tal fine, ma ha l'onere di produrne la copia, non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui all' articolo 186 disp. att. c.p.p. dettata per la sola fase esecutiva, atteso che l'imputato è necessariamente assistito da un difensore, sul quale incombe l'onere di produrre gli elementi posti a fondamento dell'istanza e l'acquisizione di ufficio dei provvedimenti comporterebbe il rinvio del giudizio senza sospensione del decorso del termine di prescrizione Sez. 3, numero 41063 del 25/06/2019, Losco, Rv. 277977 Sez. 2, numero 49082 del 17/04/2018, Lipari, Rv. 274808 Sez. 6, numero 19487 del 06/02/2018, Brunitto, Rv. 273380 Sez. 6, numero 51689 del 13/10/2017, Gilardi, Rv. 271581 Sez. 5, numero 9277 del 17/12/2014, dep. 2C15, Infantolino, Rv. 262817 . 3.7. Non potendosi ovviamente irrogare una sanzione inferiore a quella inflitta per le altre stragi giudicate nel processo di Firenze, risulta chiaro il difetto di interesse anche in ordine al motivo riguardante la riduzione di pena in ragione del rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, ritenuto erroneo dalla difesa, che peraltro, nel ricorso, ha genericamente dedotto che detta istanza era stata subordinata all'acquisizione degli elementi necessari a riscontrare negativamente il narrato dello S. circa un suo concorso nel prelievo e nella successiva lavorazione dell'esplosivo , senza neppure indicare le prove alle quali era stata inizialmente condizionata la richiesta del rito alternativo. La motivazione sul punto della Corte territoriale è comunque corretta là dove ha ritenuto incensurabile la decisione del G.u.p. in assenza dei presupposti della necessità e della compatibilità con le finalità di economia processuale del rito, previsti dall' articolo 438 c.p.p. , comma 5, considerato che la compatibilità della integrazione probatoria con dette finalità, proprie del procedimento, va valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta del rito e non ex post, in base ai tempi del dibattimento tenutosi a seguito del rigetto della stessa Sez. 3, numero 3993 del 01/12/2020, dep. 2021, Trapanese, Rv. 280873 Sez. 2, numero 10235 del 10/11/2020, dep. 2021, Fragalà. Rv. 280990 , potendosi tenere conto, come criterio ausiliario, di per sé non risolutivo, anche delle indicazioni sopravvenute dall'istruttoria espletata Sez. 1, numero 20495 del 20/02/2019, Ziu, Rv. 276311 Sez. 6, numero 41695 del 14/07/2016, Bembi, Rv. 268327 . 4. Ricorso P.G 4.1. L'esame del ricorso di P.G. deve scontare le considerazioni di carattere generale già sviluppate in precedenza con riguardo alla modalità di redazione dell'atto di impugnazione con cui sono state di fatto replicate, in questa sede, le doglianze già avanzate con l'atto di appello cui la Corte territoriale ha risposto in maniera assolutamente puntuale con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. 4.1.1. Il primo motivo di ricorso è in gran parte incentrato sulla ricostruzione operata da S.G. che aveva riferito in ordine al compito assegnatogli da C.C. per il recupero di due ordigni bellici dai fondali della Cala di Ponticello, alla estrazione dell'esplosivo e alla sua lavorazione con la consegna finale a G.G. al piano di macinatura che era stato predisposto con la necessità sopravvenuta di procurarsi altro materiale, cui si era provveduto recuperando altri due ordigni presso la cala di Palermo, operazione quest'ultima cui aveva provveduto anche lo stesso P., nel frattempo chiamato a collaborare per accelerare i tempi. 4.1.2. La Corte di Assise di Appello ha invero vagliato i rilievi difensivi articolati nell'atto di gravame circa l'attendibilità dello S. cfr. pagg. 509 e segg. con argomentazioni su cui, tuttavia, il ricorso non si sofferma in alcun modo il ricorso non affronta nemmeno le considerazioni della Corte nissena circa il rapporto tra lo S. ed il P. che i giudici di merito hanno d'altra parte disegnato in termini positivi poiché lo S. aveva spiegato che il ricorrente non era malacarnato , era di Brancaccio e si era via via inserito nella famiglia dei G. sino a che, nel 1993, non gli era stata affidata la cassa con cui era stato rifornito il gruppo incaricato di eseguire le stragi di Firenze, Roma e Milano secondo lo S., il P. curava anche gli affari personali della famiglia dei G., della mamma dei due fratelli, la latitanza degli altri esponenti della famiglia e, in definitiva, svolgeva ruoli delicati e di fiducia non era invece inserito nel gruppo di fuoco . I giudici nisseni hanno argomentato in termini puntuali sui rilievi difensivi concernenti l'attendibilità dello S. circa la fase di lavorazione dell'esplosivo e hanno ripercorso le dichiarazioni del collaboratore sul recupero e trasporto degli ordigni in una casa di proprietà della zia, sul mancato riscontro della presenza del posto di blocco e sullo squillo del telefono per la chiamata del C. e, ancora, sulla presunta impossibilità di immaginare il recupero dei due primi ordigni secondo la difesa avvenuto di sabato sera in una località in cui vi erano molti locali. La Corte ha risposto, ancora, alle censure difensive con cui si era evidenziato come il P. fosse in realtà dipendente del Comune richiamando, sul punto, anche le dichiarazioni del T., approfondendo poi il tema della natura dell'esplosivo e della sua effettiva destinazione alla strage di Capaci anche alla luce delle precedenti consulenze. Si tratta, come accennato, di considerazioni e temi su cui la difesa del P. non si è in questa sede soffermata in alcun modo e che, nel contempo, sono stati affrontati nell'esame del ricorso proposto nell'interesse del T Allo stesso modo la Corte ha replicato ai rilievi difensivi sul movente di T.F. e sulla genuinità della sua collaborazione, oltre che sulla complessiva attendibilità delle relative dichiarazioni, come anche di quelle del F., sulle caratteristiche dei sacchi trasportati sulla vettura del C. condotta da G.G I giudici di secondo grado hanno ancora fornito risposte assolutamente puntuali e, ancora una volta, non oggetto di rilievi in questa sede alle considerazioni difensive sulla inidoneità del riscontro alle dichiarazioni di S. rappresentato dalle propalazioni di D.C. di cui tuttavia la Corte non si è avvalsa, stimando inoltre generico il rilievo concernente la conversazione intercettata nel carcere Opera tra R. e tale L. che finirebbe tuttavia per confermare la provenienza dell'esplosivo in termini coerenti con la ricostruzione acquisita nella sentenza impugnata. 4.1.3. In realtà, il ricorso - con il primo motivo - si sofferma sulla inidoneità dei riscontri esterni alla chiamata in correità di P. da parte di S. segnala, in particolare, che la responsabilità del ricorrente è stata affermata sulla scorta delle dichiarazioni dello S. riscontrate dalla partecipazione del ricorrente ai fatti di Firenze e di Formello che, secondo la ricostruzione condivisa dai giudici di merito, avrebbero rappresentato le tappe successive della medesima strategia stragista inaugurata proprio con l'attentato al Dott. F. denuncia, tuttavia, la contraddittorietà della sentenza che colloca al dicembre del 1991 la decisione di eliminare il Dott. F. sottoposta alla condizione sospensiva dell'esito del maxiprocesso mentre la strategia stragista messa in atto tra il 1993 ed il 1994 ed avente ad oggetto un attacco contro lo Stato rispondeva a finalità e logiche del tutto autonome rispetto a quella che aveva ispirato la eliminazione del magistrato simbolo della lotta alla mafia e reputato responsabile della definitiva certificazione del teorema B. la difesa evidenzia anzi che la stessa Corte di Assise di Firenze, sollecitata a pronunciarsi sull'eccezione di incompetenza per territorio, aveva marcato la soluzione di continuità tra le stragi di Capaci e di via D'Amelio rispetto agli eventi ivi giudicati conclude, quindi, nel senso della illogicità della sentenza per voler affermare la unitarietà della strategia stragista sulla scorta di una sentenza che afferma tutt'altro. Il motivo è tuttavia infondato non è necessario soffermarsi nuovamente sulla valenza del riscontro rappresentato dalla partecipazione del P. ad altri eventi tragici ritenuti riconducibili ad una medesima strategia, ad un medesimo gruppo criminale e realizzati con modalità analoghe, terna compiutamente trattato esaminando i ricorsi del T. e del L.N. con richiamo anche alla giurisprudenza di questa Corte elaborata proprio con riferimento alle vicende qui esaminate. Detto questo, quel che preme ancora ribadire, in primo luogo, è che la partecipazione del P., attestata dalle condanne definitive per i fatti di Firenze e di Formello, non è stata invocata al fine di provare, in via logica , la responsabilità del ricorrente per i fatti di Capaci per i quali a prova diretta è stata acquisita ed è rappresentata dalle dichiarazioni di S.G., ritenuto intrinsecamente attendibile sotto tutti i profili, e di cui il coinvolgimento del ricorrente nelle altre vicende non rappresenta altro che un riscontro estrinseco . La Corte di Assise di Appello, peraltro, ha spiegato che il P. era stato bensì condannato per i fatti di Firenze e di Formello ma con forti elementi di sospetto di cui si era dato atto nella stessa sentenza circa il suo coinvolgimento negli altri avvenimenti. Chiarito anche questo aspetto, si deve allora ribadire quanto già diffusamente esposto con riguardo al ricorso del M. circa la riconducibilità delle varie tragiche vicende sviluppatesi a partire dalla strage di Capaci e poi occorse nel 1993 dopo una battuta d'arresto dovuta alla cattura di R.S. nel gennaio di quell'anno ad una strategia di guerra allo Stato che, partendo dall'attentato al Dott. F. e passando a quello al Dott. B., aveva successivamente esportato il metodo sperimentato in quelle occasioni nel tentativo, riferito da qualche dichiarante, di cercare di indurre lo Stato a più miti consigli su una serie di questioni su cui i vertici di Cosa Nostra erano particolarmente attenti quali le condizioni carcerarie, il regime del 41-bis , le confische . D'altra parte, come risulta dal complesso della sentenza impugnata, al di là del carattere unitario e originario della decisione che aveva investito e avuto ad oggetto, sia pure in maniera evidentemente non specifica il che non ha peraltro impedito alla Corte di Assise di Appello di accogliere il motivo di gravame avanzato nell'interesse dell'imputato per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti qui giudicati e quelli già giudicati con la sentenza di Firenze , le varie tappe della strategia inaugurata a Capaci nel maggio del 1992, è pacificamente emerso che analoghi erano i protagonisti delle successive vicende, sostanzialmente riconducibili agli uomini del mandamento di Brancaccio cui, come si è detto, e come pure è incontroverso, il P. era intraneo e, anzi, di cui curava interessi particolarmente delicati. Per altro verso, la Corte ha chiarito che si era trattato di attentati dinamitardi eseguiti con modalità e mezzi analoghi laddove, come non ha mancato di notare, soltanto per l'attentato di Formello era stato utilizzato un esplosivo differente al fine di sviare l'attenzione sul reale obiettivo che nell'occasione era C.S Analogamente a quanto ritenuto da questa stessa Corte nel parallelo processo celebratosi nelle forme del giudizio abbreviato e, in particolare, per la posizione di B.G., si deve perciò concludere per la correttezza della decisione di merito che, per l'appunto, ha giudicato la partecipazione ed il coinvolgimento del P. in talune delle altre vicende sopra indicate come riscontro esterno alle parole dello S. con la opportuna precisazione secondo cui detto riscontro non doveva estendersi alla destinazione dell'esplosivo e all'obiettivo dell'attentato ma solo ed esclusivamente alla partecipazione del ricorrente alle operazioni di recupero e di lavorazione dell'esplosivo. 4.2. Quest'ultimo rilievo consente di introdurre l'esame del secondo motivo del ricorso in cui la difesa deduce violazione di legge con riferimento agli articolo 42 e 110 c.p. e vizio di motivazione con riguardo, per l'appunto, all'elemento soggettivo segnala, infatti, che la responsabilità del ricorrente sarebbe stata affermata sulla scorta esclusivamente delle condotte materiali che egli avrebbe tenuto laddove è pacifico che nessuna informazione era stata fornita, né a lui ma nemmeno allo stesso S., circa la destinazione dell'esplosivo e sulla decisione relativa al progetto di eliminazione del Dott. F. quale obiettivo dell'attentato dinamitardo. Il motivo è infondato anche in questo caso si rinvia alle considerazioni spese sui ricorsi del T. e del L.N. quanto all'elemento soggettivo del delitto di strage per la sussistenza del quale, come si è visto, è sufficiente la consapevole volontà di fornire un contributo ancorché limitato alla sola fase preparatoria e di organizzazione logistica del reato materialmente perfezionato, nella fase finale, da altri concorrenti, non occorrendo la conoscenza dell'identità di chi agirà, delle modalità esecutive della condotta e dell'identità della vittima, purché vi sia la consapevolezza dell'idoneità della propria azione a mettere in pericolo una pluralità di persone e del suo collegamento ad una più ampia progettazione delittuosa, finalizzata alla realizzazione di almeno un omicidio di rilevante impatto sul territorio v. la giurisprudenza citata esaminando il ricorso di T. - p. 10. . Detto questo, ed ancora una volta in termini simili a quanto già fatto con riferimento alla posizione del L.N., si deve dare atto della correttezza, sul piano logico, del procedimento inferenziale seguito dalla Corte di Assise di Appello che, per acquisire la prova dell'elemento soggettivo nei termini sopra delineati, ha valorizzato la considerevole quantità di tritolo accumulata mediante ben due successive operazioni di recupero di ordigni bellici, la fretta con cui si era proceduto alla sua lavorazione, tale da rendere necessario il coinvolgimento del P. per rimpolpare la squadra dei macinatori, tutti elementi che, nella stessa rappresentazione dei protagonisti, non potevano che essere associati alla predisposizione di una scorta da utilizzare in maniera parcellizzata o in più occasioni ed in un futuro indistinto quanto alla impellente necessità di utilizzo in un fatto particolarmente eclatante ed in tempi stretti le considerazioni svolte dalla Corte territoriale sono simili a quelle sviluppate per la posizione di B.G., giudicate corrette dalla sentenza che, in sede di legittimità, ne ha definito la vicenda processuale con la opportuna precisazione secondo cui il P. era stato presente anche quando era stata rappresentata la necessità di procurare altro esplosivo e alle operazioni di recupero presso la Cala di Palermo. 4.3. Il terzo motivo del ricorso del P. è anch'esso infondato per le medesime ragioni già esposte con riguardo alla stessa censura articolata nell'interesse del L.N., sulla base della giurisprudenza ivi citata. 5. Ricorso del Procuratore generale nei confronti di T.V 5.1. La trattazione del ricorso del P.G. presso la Corte di Appello di Caltanissetta impone una necessaria premessa la L. 23 giugno 2017, numero 103 , articolo 68, comma 1, cd. riforma Orlando ha inserito nell' articolo 608 c.p.p. , il comma 1-bis a mente del quale, se il giudice cli appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui all' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. a , b e c . In definitiva, a decorrere dal 3 agosto 2017, il P.G. non può impugnare la doppia conforme assolutoria per i vizi di motivazione contemplati all' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. e . Si è chiarito, peraltro, che ai fini dell'applicabilità del menzionato articolo 608 c.p.p. , comma 1-bis, in assenza di una disciplina transitoria, deve farsi riferimento alla data di presentazione del ricorso, che rappresenta il momento in cui matura l'aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilità dell'impugnazione, sicché la nuova disciplina è inapplicabile ai ricorsi presentati prima della sua entrata in vigore cfr. Sez. 3, numero 54693 del 04/10/2018, P., Rv. 274132 - 01 e che, in ogni caso, la norma di nuovo conio si riferisce esclusivamente al ricorso del pubblico ministero e non a quello della parte civile cfr. Sez. 5, numero 5697 del 18/01/2019, Cariglia, Rv. 275136 - 01 . Questa Corte ha inoltre ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della nuova disposizione in relazione agli articolo 111 e 112 Cost. , osservando che la limitazione alla sola violazione di legge della ricorribilità per cassazione, da parte del pubblico ministero, della sentenza d'appello confermativa della decisione di proscioglimento, trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore sotto diversi profili e, in particolare nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimità nell'ontologica differenza di posizione delle parti processuali giustificativa, nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, di un'asimmetrica distribuzione delle facoltà processuali e di una diversa modulazione dei rispettivi poteri d'impugnazione nella presunzione di non colpevolezza dell'imputato, che risulta stabilizzata dall'esito assolutorio di due gradi di giudizio nella pienezza del riesame del merito che è consentito dal giudizio di appello nell'esigenza di non dilatare i tempi di definizione del processo per l'imputato, assicurandone la ragionevole durata e la stabilizzazione del giudizio di non colpevolezza cfr. Sez. 6, numero 5621 del 11/12/2020, dep. 2021, Mannino, Rv. 280631 - 01 conforme Sez. 4, numero 53349 del 15/11/2018, Schuster, Rv. 274573 - 01 . 5.2. Tanto premesso, e avendo presente anche la stessa intitolazione del ricorso del P.G. di Caltanissetta cfr. pag. 4 dell'atto di impugnazione , è allora appena il caso di ribadire come sia inammissibile il motivo con cui venga dedotta, ai sensi dell' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. b o c la violazione dell' articolo 192 c.p.p. , anche se in relazione all'articolo 125 e articolo 546, comma 1, lett. e , per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. e , non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lett. c della medesima disposizione nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità cfr., in tal senso, Sez. U, numero 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 04 conf., in precedenza, Sez. 2, numero 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518 - 01 che, ribadendo il principio sopra richiamato, ha sottolineato l'inammissibilità del ricorso in cui si deduca la violazione dell' articolo 192 c.p.p. , ancorché in relazione all' articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p. , comma 1, lett. e , con il fine, tuttavia, di censurare l'omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica e indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio cfr., in tal senso, ancora, Sez. 6, numero 45249 del 08/11/2012, Cimini, Rv. 254274 - 01 cfr., ancora, tra le tante, Sez. 6, numero 4119 del 30/04/2019, Romeo Gestioni spa, Rv. 278196 - 02 Sez. 4, numero 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 - 02 Sez. 1, numero 42207 del 20/10/2016, Pecorelli, Rv. 271294 - 01 . Alla luce di questi principi è agevole constatare che gran parte dei rilievi articolati dal P.G. attengono a profili di legittimità non riconducibili a violazione di legge ma, semmai, a vizi di motivazione della sentenza impugnata. In realtà, la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta ha risposto in maniera sostanzialmente esaustiva e certamente non censurabile nei limiti del vizio deducibile in questa sede dal P.G. che, nel suo ricorso, ha finito per riproporre lo stesso schema già prospettato nell'atto di appello in cui, in definitiva, veniva rimproverato al primo giudice di aver aprioristicamente , ed in poche battute, optato per la soluzione più comoda e meno impegnativa, adagiandosi in maniera acritica sulle dichiarazioni di S.G. senza inquadrarle nel contesto della vicenda e, soprattutto, omettendo di valutarle alla luce della personalità del T. e della sua posizione e ruolo assunti all'interno del mandamento di Brancaccio. 5.3. Dalle dichiarazioni di S., infatti, era risultato pacificamente che il T. aveva preso parte e aiutato il predetto e C.C. a caricare l'esplosivo lavorato dai macinatori , poi utilizzato per l'attentato di Capaci, sulla VW Polo di quest'ultimo e che aveva fatto da staffetta Fino al Motel Agip in viale Regione Siciliana dopo che lo stesso S. aveva svolto il medesimo compito sino a via Ernesto Basile. La Corte di Assise, nel ritenere non provata la consapevolezza, da parte del T., di quanto fosse stato caricato sulla vettura del C., aveva evocato la pratica della compartimentazione delle informazioni nell'ambito dello stesso sodalizio e insistito sul fatto che lo S. aveva più volte ribadito di non poter affermare, anche alla luce della loro successiva frequentazione durante la latitanza, se il T. avesse contezza del contenuto dei sacchi. Per il giudice di primo grado, inoltre, nessun elemento ulteriore, per giungere a soluzioni diverse, poteva essere tratto dalla valutazione delle altre vicende giudiziarie interessanti il T. prima tra tutte, evidentemente, quella relativa alla sua partecipazione alla strage di via D'Amelio in quanto ancora sub iudice laddove la sentenza di Firenze non poteva essere considerata un utile riscontro perché in quella sede il T. era stato assolto per tutte le vicende successive tranne che per la strage di Formello che, tuttavia, si collocava in un momento temporale eccessivamente lontano senza che vi fosse la prova del suo coinvolgimento nelle tappe intermedie ovvero nelle altre vicende relative alle stragi di Firenze, Roma e Milano. 5.4. Gli appelli del P.G. e del P.M. avevano lamentato la omessa acquisizione di prove da assumere anche ai sensi dell' articolo 507 c.p.p. , l'omessa valutazione di prove invece acquisite, il travisamento dei fatti e la illogicità del ragionamento seguito dai giudici di primo grado con particolare riguardo alla mancata considerazione del riscontro rappresentato dal carattere unitario della strategia stragista e del conclamato coinvolgimento del T. nella strage di via D'Amelio già in quella sede, inoltre, era stata sottolineata la necessità di una rivalutazione degli stessi esiti assolutori alla luce delle sopravvenute dichiarazioni di S. e, inoltre, del ruolo cel T. in quanto appartenente al gruppo di fuoco di Brancaccio. In particolare, secondo il P.G. e il P.M., i giudici di primo grado non avevano considerato che la Corte di Assise di Firenze, pur avendo assolto il T., aveva stigmatizzato il costante coinvolgimento dell'imputato nella strategia stragista . alla luce delle dichiarazioni di G.S. e di D.F.P., acquisite ex articolo 238 c.p.p. secondo gli appellanti, la Corte di Assise non aveva inoltre valutato le dichiarazioni di S. soprattutto con riguardo al diretto coinvolgimento del T. nei fatti di Milano in cui, peraltro, l'imputato avrebbe avuto un ruolo operativo e di primo piano. Se non che, secondo la Corte di Assise di Appello, non era possibile calare le dichiarazioni di S. nel processo di Firenze ancorandole alla piattaforma probatoria acquisita poiché, a suo avviso, la valutazione delle prove deve essere necessariamente unitaria e operata dal giudice che procede laddove, per altro verso, l'elemento nuovo deve essere assunto nel contraddittorio delle parti soprattutto quando si tratti di circostanze ricostruite nell'ambito di vicende processuali, quali quella di via D'Amelio, non ancora in quel momento coperte dal giudicato. Il ricorso lamenta dunque che la Corte di Assise di Appello, come aveva fatto il giudice di primo grado, si sarebbe trincerata dietro la alterità della vicenda di via D'Amelio, pur risalente a qualche settimana dopo gli eventi di Capaci e nella quale il T. aveva avuto un ruolo indiscutibile laddove secondo la sentenza impugnata - nella preparazione dell'attentato al Dott. F. egli sarebbe stato, incredibilmente, un Carneade passato quasi per caso ed altrettanto per caso trovatosi a caricare 170 chilogrammi di esplosivo nella vettura di C.C. senza avere la minima idea di cosa stesse maneggiando in particolare stigmatizza l'errore di diritto in cui la Corte sarebbe incorsa confondendo il principio della intangibilità del giudicato assolutorio con la verifica in contraddittorio degli elementi acquisiti in quell'altro processo e che, invece, non sono affatto intangibili ovvero non suscettibili di rivalutazione in un diverso procedimento. In quest'ottica il P.G. ha rimproverato alla Corte di Assise di Appello di non aver verificato la persistente attualità degli esiti assolutori alla luce delle emergenze successive con particolare riguardo, si è già detto, alle dichiarazioni dello S. circa il ruolo centrale assunto dal mandarrento di Brancaccio nelle vicende di Capaci e di via D'Amelio come nelle stragi sul continente. La censura in diritto è in sé corretta l' articolo 238-bis c.p.p. , infatti, consente esplicitamente di dare rilievo alle sentenze definitive rese in altri processi ai fini della prova del fatto in esse accertato ben distinguendo, perciò, la portata probatoria degli elementi acquisiti in quella diversa sede e che proprio detta norma consente di ri valutare all'interno di un altro processo al fine di poter acquisire determinati la prova di eventi storici cfr. Sez. 6, numero 41766 del 13/06/2017, Laporta, Rv. 271096 - 01 rispetto alla loro valutazione finale sintetizzata nella decisione conclusiva su cui, esclusivamente, cade il giudicato intangibile. E' significativo, anzi, quanto più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente sottolineato che, mentre le sentenze irrevocabili, acquisite ai sensi dell' articolo 238-bis c.p.p. , costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici, le dichiarazioni in esse riportate restano sottoposte al regime di utilizzabilità nel diverso procedimento previsto dall' articolo 238 c.p.p. cfr. Sez. 6, numero 41766 del 13/06/2017, cit. Sez. 4, numero 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordona, Rv. 270384 - 01 Sez. 1, numero 11488 del 16/03/2010, Bisio, Rv. 246778 - 01 e, pertanto, ben possono ed anzi debbono essere oggetto di una valutazione autonoma e indipendente anche per quanto concerne il criterio di valutazione di volta in volta utilizzato rispetto all'esito decisorio consacrato nella sentenza passata in giudicato. Di qui, perciò, la opinabilità dell'affermazione della Corte di Assise di Appello che ha in prima battuta sostenuto di non poter valutare gli elementi acquisiti in altro processo non considerando, peraltro, come il T. fosse stato egli stesso imputato a Firenze e che, perciò, l'istruttoria si era svolta con la partecipazione del suo difensore indipendentemente dal fatto che si trattasse o meno della medesima persona fisica, cfr. Sez. 5, numero 32023 del 25/03/2019, M. A., Rv. 276997 - 01 . In definitiva, dunque, il giudicato fiorentino non poteva ostacolare o impedire la fisiologica e normativamente prevista riconsiderazione di quegli stessi elementi ai fini della prova del fatto storico pur alla luce di elementi sopravvenuti che avrebbero potuto giustificare una diversa e alternativa lettura in un ambito processuale diverso. 5.5. Si deve tuttavia prendere atto che i giudici nisseni, pur dopo una siffatta e non condivisibile proclamazione di principio, non si sono tuttavia affatto sottratti al confronto dialettico con il contenuto delle decisioni adottate altrove e, con specifico riguardo ai fatti giudicati a Firenze, hanno sostenuto cfr. pag. 426 della sentenza che - oltre alle riserve sulla possibilità di una rivalutazione degli elementi al di fuori del contraddittorio, di cui si è detto - in ogni caso nemmeno la considerazione dell'apporto dichiarativo fornito dallo S. avrebbe consentito di dimostrare il coinvolgimento di T. in tutti gli episodi ivi vagliati. Hanno infatti riportato cfr. pag. 417 le conclusioni della sentenza di Firenze sull'insufficienza degli elementi di preoccupazione del T. circa il suo coinvolgimento e le ragioni della assoluzione ivi maturata anche in considerazione degli elementi di c. relativi alla personalità dell'imputato e ai suoi strettissimi rapporti con i fratelli G Non mancando di ricordare che il P.M. aveva impugnato la sentenza di primo grado in cui la pubblica accusa - peraltro - aveva chiesto la condanna del T. esclusivamente per la strage di Formello, i giudici della Corte di Assise di Appello hanno sottolineato che la vicenda dell'attentato del 27 luglio 1993 in via Palestro a Milano era stata definita con l'assoluzione del fratello di T.V., F.M., ivi imputato, ed era intervenuta, da parte della Corte di Assise di Appello di Milano, scontando una valutazione positiva della attendibilità di S. le cui dichiarazioni si era ritenuto non fossero state tuttavia accompagnate da idonei riscontri esterni individualizzanti non hanno nemmeno mancato di prendere in esame elementi investigativi ulteriori non condividendo tuttavia l'assunto della pubblica accusa sulla identificazione di T.B. nominativo contenuto nel biglietto aereo acquisito nel corso delle indagini con la persona di T.V. piuttosto che con T.M.F. hanno infatti considerato quella conclusione come di natura ipotetica e di conseguenza evidenziato la sua inidoneità a rappresentare un riscontro esterno individualizzante per i fatti qui giudicati. In definitiva, la Corte di Assise di Appello, cui il P.G. ricorrente rimprovera un travisamento per omissione , non ha mancato di valutare nemmeno gli elementi nuovi ovvero sopravvenuti rispetto alla sentenza di Firenze, ma ha considerato che le dichiarazioni di S. non potevano a suo avviso portare a una complessiva rilettura dell'esito assolutorio cui si era pervenuti per le altre stragi, nemmeno coordinando le sue propalazioni con quelle degli altri collaboratori quali D.F.P., che aveva accennato alla preoccupazione sua e di T.V. che qualcuno potesse fotografarli ma che non era stato in grado di indicare a quale episodio stragista il T. avesse fatto riferimento non ha omesso nemmeno di considerare l'apporto del T. alla strage di Formello cui egli aveva dato il suo contributo con modalità esecutive simili a quelle che gli si ascrivono in questa sede. In tal modo ha potuto concludere nel senso che anche volendo ammettere la possibilità di rivalutare autonomamente le risultanze probatorie acquisite nel più volte richiamato procedimento di Firenze, indipendentemente cioè dall'esito assolutorio , tuttavia non pare possibile pervenire . al risultato sperato dall'organo di accusa appellante . 5.6. I giudici nisseni, quindi, non si sono affatto attestati su un pregiudizio di partenza ma hanno piuttosto sostenuto che, pur volendo utilizzare quale riscontro esterno alle dichiarazioni di S. le decisioni adottate in altra sede, ivi comprese quelle non definitive come la sentenza concernente la strage di via D'Amelio, rimarrebbe insuperabile il problema della prova dell'elemento soggettivo del reato, non colmabile alla luce delle dichiarazioni di S. che ha sempre dichiarato di non avere elementi per supporre che T. conoscesse il contenuto dei sacchi che aveva aiutato a caricare sulla autovettura del C Hanno convenuto nel senso che dovesse ritenersi fuor di dubbio che il T. avesse colto che essi non contenessero certamente della spazzatura , aggiungendo nel contempo che l'imputato non poteva necessariamente immaginare che vi fosse contenuto dell'esplosivo piuttosto che qualcosa di altrettanto illecito da giustificare la prudenza e circospezione con cui era stato predisposto il trasporto con un corteo di vetture e la scorta assicurata dallo S. e dallo stesso T Va pur rilevato che la Corte di Assise di Appello, ancora una volta non trascurando affatto questo aspetto fattuale, ha tuttavia ridimensionato la valenza significativa della funzione di scorta assegnata a T. sul rilievo, direttamente emergente dalla condivisa ricostruzione dell'episodio, che, dopo la consegna dell'esplosivo a G.G., quest'ultimo lo aveva trasportato dal Motel Agip sino a Capaci senza l'assistenza di alcuna scorta, semplicemente mettendosi egli stesso alla guida della vettura del C. ha concluso perciò, quanto alla scorta dello S. e del T., che . deve ritenersi essersi trattato . di una cautela studiata e voluta dal solo C. e non di una cautela riferibile ad un grado più elevato dell'organizzazione, non sussistendo peraltro elementi per ritenere che il C. fosse stato autorizzato a rivelare al T. il contenuto effettivo dei sacchi caricati sull'autovettura cfr. pag. 428 . La Corte nissena ha quindi riportato le considerazioni del P.G. e del P.M. appellanti sulla implausibilità che il T. fosse l'unico a ignorare il contenuto del carico, sottolineando la difficoltà di seguire l'idea di una rigida compartimentazione delle informazioni sino al punto da coinvolgere in un compito così delicato qualcuno che fosse del tutto estraneo al progetto e non di stretta fiducia dei G. i giudici della Corte di Assise di Appello hanno preso atto che quelle della pubblica accusa sono argomentazioni operanti sul piano della logica, spiegando tuttavia che non possono ritenersi equiparabili a massime di esperienza di natura generale, suscettibili di essere utilizzate per giungere induttivamente a conclusioni diverse da quelle restituite dagli elementi acquisiti. Ancora una volta non mancando di affrontare il tema sottoposto alla sua attenzione dal P.G. e dal P.M. appellanti, i giudici di secondo grado, argomentando in contrasto rispetto a quanto sostenuto per il singolo e puntuale contributo del T. nella vicenda di Capaci, hanno considerato la posizione e il ruolo rivestito dal medesimo imputato con riguardo alla strage di via D'Amelio, avvenuta ad appena 57 giorni di distanza dal primo tragico evento, in cui la stessa natura dell'incarico ricevuto il reperimento della Fiat 126, un modello di vettura già utilizzato in passato come autobomba, oltre che della batteria e dell'antennino serviti per l'attivazione della carica esplosiva era tale da consentire allo stesso T. di acquisire chiara e univoca consapevolezza delle finalità cui era funzionale l'incarico assegnatogli. Nel contempo, peraltro, hanno tuttavia sottolineato - in termini in sostanza non dissimili da quanto già evidenziato per la vicenda di Capaci - il carattere in qualche misura estemporaneo del suo coinvolgimento nella strage di via D'Amelio hanno fatto presente, infatti, che in quel caso era stato lo S. a chiedere di poter essere coadiuvato dal T., aggiungendo che la richiesta era stata inoltrata a C. che aveva dovuto ottenere da altri il permesso , intervenuto dopo una settimana. In definitiva, la Corte di Assise di Appello, pur segnalando che la sentenza di appello non era ancora definitiva lo sarebbe divenuta dopo la decisione qui impugnata , non ha affatto trascurato la valenza dimostrativa della partecipazione del T. a quella vicenda per valutarne la idoneità ad inferirne la prova della consapevolezza del contenuto dei sacchi caricati sulla vettura del C., ma ne ha fornito una lettura diversa da quella proposta dal P.G. ricorrente, sottolineando come, pur a fronte della pacifica vicinanza del T. ai fratelli G., dovesse prendersi atto del carattere estemporaneo del suo coinvolgimento nell'attentato di via D'Amelio, di per sé inidoneo a corroborare, sul piano logico, la perfetta consapevolezza della natura del materiale che egli aveva aiutato a collocare nel bagagliaio della Polo di C.C Per altro verso, hanno sottolineato i giudici nisseni, se è vero che nemmeno S. sapeva dell'incarico di reperire le batterie e l'antennino che sarebbe stato dato a T. al di là di quanto da lui inizialmente sollecitato di coadiuvarlo nel recuperare una Fiat 126 , rimaneva pur sempre il dato secondo cui era stata una sua iniziativa e non già conseguenza più c meno diretta della vicinanza del T. ai G. quella di chiedere l'autorizzazione a poterlo coinvolgere salvo che, una volta coinvolto, il T. era stato utilizzato anche oltre la richiesta iniziale dello S 5.7. Il ricorso del P.G. insiste - sotto il profilo del travisamento della prova - sul fatto che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare adeguatamente il materiale probatorio versato in atti sulle vicende giudiziarie che avevano toccato il T. per fatti analoghi e ha invece sempre ribadito il suo iniziale convincimento finendo per ritornare, in maniera circo are, sotto forma di conclusione, a quella che era stata in realtà la premessa iniziale della innocenza del T. sotto il profilo della aprioristica valutazione della impossibilità di dimostrare la consapevolezza, da parte sua, del contenuto di quanto era stato chiamato a caricare sulla vettura del C. in definitiva, secondo il P.G. ricorrente, i giudici nisseni sarebbero incorsi in un travisamento della prova sulla partecipazione del T. alle successive vicende suscettibile di essere denunziato in questa sede pur in presenza di una doppia conforme . E' allora il caso di ribadire che il travisamento della prova è riconducibile ad un vizio della motivazione e non è perciò denunciabile dal P.G. in caso di doppia conforme assolutoria e, tuttavia, come si è dato conto in precedenza, nel caso di specie non si è affatto in presenza di un travisamento della prova sotto il profilo della sua totale pretermissione ma di una valutazione che è stata peraltro oggetto di una motivazione che, per quel che rileva stante la impossibilità di denunziarne in questa sede la illogicità , non risulta nemmeno incongrua perché si fonda sul contenuto delle dichiarazioni di S. che, come meglio si dirà in seguito, rappresentano la prova diretta del fatto di cui gli episodi successivi dovrebbero essere il riscontro. Altri travisamenti denunciati dal P.G. ricorrente riguardano, poi, la omessa considerazione delle parole del G. e del C. ad avviso della pubblica accusa rivelatrici della conoscenza, da parte del T., del progetto relativo alla strage di via D'Amelio, che l'imputato avrebbe maturato appena dopo quella di Capaci con tempi così ristretti da rendere ancora una volta implausibile il suo ruolo meramente gregario e inconsapevole nell'occasione della consegna dell'esplosivo a G. e, tuttavia, è evidente che, operando sul piano della implausibilità, si tratta ancora una volta di censure non deducibili in questa sede sotto il profilo della violazione di legge, risolvendosi nel mancato apprezzamento di circostanze da cui evincere in via deduttiva il fatto da provare. Ancora più laterali rispetto al tema centrale del processo sono le dichiarazioni del R. di cui pure il ricorso denuncia l'avvenuto travisamento per omissione , perciò, con un vizio non deducibile. Certamente non riconducibile nemmeno ad un vizio di motivazione è il rilievo secondo cui la Corte nissena avrebbe travisato la giurisprudenza in punto di riscontri obiettivi alle propalazioni del collaboratore come recepita ed applicata nel troncone abbreviato del presente procedimento, in particolare quanto alla posizione di B.G Altrettanto precluse sono, ancora, le considerazioni pure diffusamente articolate nel ricorso sulla posizione di T.F., anch'esse tendenti ad evocare aspetti concernenti il diverso trattamento riservato al T. rispetto a quanto avvenuto per l'autista di G.G 5.8. Il P.G. insiste nel denunziare la sostanziale circolarità ravvisabile nel ragionamento della Corte nissena, che, ancora una volta, è certamente riconducibile al novero dei vizi di motivazione di cui all' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. e e non già, diversamente da quanto sostenuto nella discussione dal P.G. presso questa Corte, un profilo di radicale assenza o apparenza della motivazione, come tale riconducibile alla violazione di legge. Correttamente, infatti, la Corte di Assise di Appello cfr. pagg. 421-422 della sentenza ha dovuto più volte ribadire che i riscontri rappresentati dalla partecipazione del T. alle stragi di via D'Amelio, come a quelle del 1993, non potevano avere a oggetto altro che le parole del collaboratore che lo aveva coinvolto nella strage di Capaci il quale, tuttavia, non erano di per sé idonee a radicare un convincimento sulla soggettiva consapevolezza dell'imputato in ordine alla natura e alla finalità del contributo occasionalmente fornito. In sostanza, la Corte territoriale ha considerato, in termini che si sottraggono a una censura per violazione di legge sia pure sub specie di apparenza della motivazione, che la partecipazione del T. alle vicende successive non poteva rappresentare un riscontro che consentisse di andare al di là e di superare le stesse dichiarazioni dello S. ha in definitiva concluso nel senso che ritenere altrimenti, seguendo la impostazione del P.G., avrebbe portato ad attribuire al coinvolgimento del T. in quelle ulteriori vicende la valenza non già di un mero riscontro ma di una prova diretta su una circostanza - ovvero l'elemento soggettivo del delitto di strage - che era in realtà autonoma e indipendente rispetto a quanto era stato riferito dallo S In definitiva, nel momento in cui si rimprovera alla Corte di Assise di Appello di essere partita dal punto che avrebbe dovuto piuttosto rappresentare l'approdo del suo ragionamento probatorio, per un verso si evoca un vizio di motivazione e, per altro verso, non si tiene conto che le parole di S. integrano la prova della partecipazione materiale di T. ma non della sua consapevolezza sul contenuto dei sacchi, sicché l'errore in cui è incorso il P.G. è quello di non considerare che, al contrario, erano necessariamente proprio le parole di S. a rappresentare il punto di partenza da cui prendere le mosse ed oggetto del riscontro tali propalazioni potevano certamente essere superate ma alla luce di elementi ulteriori che fossero stati in grado di provare da soli - l'ulteriore aspetto consistente nell'elemento soggettivo. Da questo punto di vista replicando alle considerazioni del P.G. e del P.M. appellanti ribadite con il ricorso e ancora una volta tali da evocare semmai profili di criticità della motivazione , la Corte nissena ha potuto sottolineare la sostanziale differenza tra le situazione del T. rispetto alla posizione del P. o del T. o, ancora, del C., per i quali lo S. aveva descritto compiti che implicavano un diretto contatto con l'esplosivo di cui avevano sicura consapevolezza, di modo che il riscontro alle parole del collaboratore era riferibile anche a questo diverso aspetto nessuna disparità di trattamento , perciò, in quanto costoro, per l'attività materiale espletata, erano evidentemente a conoscenza della natura del materiale che avevano recuperato e lavorato. Per questa ragione, dunque, risultano prive di sostanziale rilievo le considerazioni del P.G. ricorrente, purtuttavia sempre riconducibili nell'alveo dei vizi di motivazione, circa l'ulteriore profilo di disparità di trattamento che la Corte avrebbe riservato al T. rispetto al P. in ordine alla diversa valenza dimostrativa della partecipazione di entrambi alla strage di Formello, ritenuta per quest'ultimo ma non per il primo stante la distanza tempo-ale in realtà unica per entrambi un utile riscontro alle parole di S. circa il loro rispettivo ma come si è appena detto radicalmente e pacificamente diverso coinvolgimento nella preparazione della strage di Capaci. 5.9. Altrettanto preclusi, in questa sede, sono i rilievi articolati in punto di travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni rese dallo S. il 19 settembre 2018, quando il collaboratore aveva riferito che, nel momento in cui il T. giunse sul posto, egli aveva avuto la certezza matematica del suo coinvolgimento nei meccanismi che avrebbero portato alla strage di Capaci ancora una volta viene evocato un vizio di motivazione per avere la Corte omesso di considerare un dato probatorio che tuttavia, come si rileva dalla lettura dei passi riportati nel ricorso, lungi dal fornire la prova diretta della consapevolezza del T. sul contenuto dei sacchi, avrebbe rappresentato, nella stessa prospettazione del P.G., la premessa per sostenere, sul piano logico, la implausibilità della soluzione cui erano approdati i giudici di merito. Altrettanto dicasi in ordine al denunziato travisamento delle parole di S. là dove il collaboratore ha riferito sulle conversazioni intercorse con il T. durante il periodo di comune latitanza ed il cui contenuto, pure riportato nel corpo del ricorso, si prestava obiettivamente ad interpretazioni diverse, la cui mancata considerazione finisce per configurare, ancora una volta, un vizio di motivazione non deducibile dal P.G. nel caso di doppia conforme assolutoria . Precluse, in questa sede, sono anche le considerazioni contenute nel ricorso relative alla omessa valutazione da parte della Corte territoriale del ruolo rivestito dal T. nella famiglia di Brancaccio, in quarto particolarmente vicino ai G. e appartenente anche al gruppo di fuoco si tratta, infatti, di rilievi che attengono a profili di eventuale carenza o di illogicità della motivazione, pur dovendo in ogni caso rilevarsi come la sentenza impugnata non abbia affatto trascurato tale profilo ma abbia ritenuto con argomentazione che non può essere censurata dal P.G., non rappresentando affatto una motivazione apparente o di stile , avendo dato conto di un apprezzamento al più opinabile nel merito che la consapevolezza dell'imputato sul reale contenuto dei sacchi caricati sulla vettura del C. non poteva derivare - di per sé - dalla considerazione del suo rapporto di vicinanza ai fratelli G Non consentito in quanto sempre riconducibile a profili di vizio motivazionale è il rilievo, su cui il P.G. ricorrente ha insistito, sulla illogicità della decisione di C. di chiamare in aiuto - per caricare l'esplosivo - un soggetto che, in virtù di una ritenuta compartimentazione delle informazioni, sarebbe stato in realtà l'unico dei presenti a ignorare di cosa si trattasse, con il rischio, in realtà, di ampliare e non invece limitare il numero delle persone potenzialmente a conoscenza della iniziativa delittuosa anche in tal caso, infatti, la replica della Corte di Assise di Appello all'omologo rilievo formulato negli atti di impugnazione della sentenza di primo grado non è mancata, avendo i giudici nisseni ricondotto le argomentazioni degli appellanti al novero delle supposizioni ma non delle prove poiché, come già evidenziato in precedenza, il rapporto di stretta fiducia del T. con i fratelli G. non era di per sé sufficiente a dimostrare la piena condivisione di tutti gli aspetti delle scelte e delle decisioni di costoro. 5.10. In definitiva il ricorso del P.G. propone una serie articolata e diffusamente argomentata di questioni non in grado, però, di evidenziare profili di violazione di legge nemmeno sub specie di motivazione apparente laddove, invece, effettivamente il P.G. ha colto aspetti riconducibili ai vizi di cui all' articolo 606 c.p.p. , comma 1, lett. c , si è visto come in realtà la Corte di Assise di Appello abbia comunque motivato la propria decisione in maniera alternativa e indipendentemente dalla pur discutibile argomentazione in diritto. 6. Al rigetto delle impugnazioni proposte dagli imputati segue la condanna degli stessi al pagamento delle spese del procedimento nonché, in solido, alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili intervenute nel presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti M.Salvatore M., L.N.C., P.G. e T.L. al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido, alla rifusione delle spese processuali sostenute nel grado dalle parti civili Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Ministero dell'interno, in persona del ministro pro tempore, Ministero della giustizia, in persona del ministro pro tempore, Regione Siciliana, in persona del Presidente della Regione pro tempore, e ANAS spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, che liquida in complessivi Euro 6.000,00 T.R., + ALTRI OMESSI che liquida in complessivi Euro 8.000,00 oltre accessori legge M.B. che liquida in complessivi Euro 3.510,00 oltre accessori di legge M.B.D. che liquida in complessivi Euro 3.510,00 oltre accessori di legge Centro studi ed iniziative culturali Pio La Torre onlus di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, che liquida in complessivi Euro 3.510,00 oltre accessori di legge.