Tentate lesioni: sì alla condanna anche in caso di atti preparatori

Nell’ambito del delitto tentato, un atto meramente preparatorio può ugualmente portare alla condanna qualora siano rispettati anche per esso i requisiti di idoneità e direzione univoca di cui all’art. 56 c.p.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in ambito di delitto tentato, sia irrilevante la distinzione fra atti preparatori ed esecutivi , dovendosi, invero, valutare direzione e idoneità degli stessi così come richieste dall' art. 56 c.p. , dovendosi ritenere suddetta distinzione ormai peraltro superata. I fatti in questione hanno visto tre ragazzi aggrediti per motivi politici da un gruppo di esponenti di un movimento politico di segno opposto. In un primo momento, l'aggressione venne interrotta dall'intervento della pubblica autorità presente sul luogo, tuttavia gli autori della stessa, inseguiti dall' agente che inizialmente li aveva allontanati, manifestarono verbalmente e con chiarezza l'intento di tornare e proseguire col pestaggio, dirigendosi nuovamente verso i ragazzi e indossando per l'occasione anche dei guanti neri che portavano con loro. L'ulteriore intervento del medesimo agente fece disperdere il gruppo prima che iniziasse l'opera di pestaggio. La sentenza di condanna per uno degli aggressori, confermata in appello, è giunta fino in Cassazione, sede in cui il ricorrente ha lamentato la violazione della disciplina del tentativo nella misura in cui la condotta posta in essere fosse da qualificarsi come mero atto preparatorio, irrilevante e con difetto dei requisiti di cui all' art. 56 c.p. . I giudici della Suprema Corte, al contrario, hanno ritenuto correttamente applicati i principi di diritto inerenti il delitto tentato. In primo luogo, l'espressione utilizzata ‹‹ora torniamo a picchiarli››, unitamente all'aver indossato i guanti e all'aver ripreso la marcia verso le vittime soddisfa pienamente il requisito di direzione univoca della condotta , così come quello di idoneità è ritenuto sussistente grazie ad un giudizio prognostico che, tenendo conto delle circostanze, mette in evidenza l'assoluta attitudine delle stesse a causare un'ulteriore lesione al bene protetto. Con chiarezza, la Corte afferma il principio per cui ‹‹per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, siano corrispondenti ai requisiti della direzione e univocità degli atti, richiesti dall' art. 56 c.p. […] in quanto i predetti requisiti garantiscono per un verso la verifica della reale messa in pericolo del bene tutelato e evitano, per altro verso, l'anticipazione della soglia del penalmente rilevante in violazione del principio di offensività››. Nell'affermare che la distinzione fra atti preparatori ed esecutivi non trova più cittadinanza nella previsione codicistica così come nella giurisprudenza maggioritaria Cass. Pen., sez. V, 22 febbraio 2017, n. 18981 , la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Presidente Sabeone – Relatore Cananzi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Firenze, in data 29 marzo 2021, confermava la sentenza del Tribunale di Firenze, che aveva accertato la responsabilità penale di D.G.S., condannato a pena di giustizia in ordine al delitto di tentate lesioni personali in concorso, aggravate dalla minorata difesa e dal numero delle persone superiore a cinque. La Corte ricostruisce l'accaduto evidenziando come il delitto di lesioni tentate presupponesse la ricostruzione dell'antefatto di un precedente pestaggio, in danno delle medesime persone offese, che non risulta oggetto di contestazione, avvenuto qualche attimo prima i fatti per cui è processo. Infatti V. e C., insieme all'amica I., transitarono dapprima dinanzi al bar omissis , ove era in corso la presentazione di un libro promossa dall'organizzazione omissis . V. indossava una felpa con scritte che evocavano un gruppo musicale dell'area di sinistra e i tre commentavano l'iniziativa di omissis . Tali circostanze attirarono l'attenzione di 5-8 persone poste all'esterno del bar che intimarono ai tre di non passare più dinanzi al bar. E però, mentre i tre si allontanano, furono raggiunti proprio dai predetti che avevano intimato loro di allontanarsi, V. e C. furono aggrediti da costoro fino a che, a seguito delle urla della I., intervennero due agenti della Digos G. e G., presenti in quanto servizio per l'ordine pubblico proprio per la manifestazione di omissis . Mentre G. prendeva cura dei feriti, G. seguiva invece il gruppetto che si stava allontanando e a distanza vide che allo stesso si erano aggiunte altre persone. Udì dal gruppo dire ora torniamo di là, ora torniamo a picchiarli e vide che, prima di muoversi nuovamente verso i due feriti, i componenti del gruppo intenti a calzare guanti di pelle nera, per poi dirigersi verso omissis , camminando sul marciapiede ove si erano verificati i fatti. G. aggiungeva che alla testa, come capi del gruppo , vi fossero D.G., attuale ricorrente, G. e S., che pure conosceva per ragioni di servizio, e a quel punto si qualificava, cosicché quei ragazzi si disperdevano . La scena veniva video ripresa, anche nella parte in cui G. si avvicina al gruppetto, che era composto oltre che dai predetti, anche da C., B. e R., riconosciuti in video da altro ispettore di polizia. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di D.G.S. consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. 3. Il primo motivo deduce vizio di motivazione per manifesta illogicità e contraddittorietà. In particolare rileva contraddittorietà della motivazione, che fondando sulle dichiarazioni del solo teste G., che riconosceva solo D.G., S. e G., e non anche gli altri indagati poi assolti dal Tribunale, non valutava che la frase ora torniamo di là, ora torniamo a picchiarli ben potesse essere attribuita a questi ultimi e non ai primi. Inoltre il ricorrente censura anche la circostanza che dalle videoriprese acquisite non risulti alcun atteggiamento minaccioso o violento, nè travisamenti dei componenti il gruppo, pure necessari, tenuto in conto che se D.G. era a capo del gruppo, lo stesso era responsabile del movimento omissis e già era stato candidato alle elezioni amministrative comunali, dunque era persona nota negli ambienti della sinistra politica fiorentina, area alla quale appartenevano le persone offese, e però dalle stesse non fu riconosciuto fra gli aggressori. Infine, la censura riguarda la manifesta illogicità della motivazione, quanto alla omessa valorizzazione delle dichiarazioni spontanee del D.G., che riferiva di essersi allontanato dal bar omissis nella direzione opposta a dove si trovavano le vittime. 4. Il secondo motivo deduce violazione della legge penale in relazione all' art. 56 c.p. . Lamenta il ricorrente la violazione della disciplina del tentativo, difettando la l'idoneità degli atti e l'univocità degli stessi, non avendo l'azione mai raggiunto un grado di sviluppo tale da potersi ritenere superata la soglia degli atti preparatori, tanto che le persone offese non si accorsero che un gruppo di persone si stava loro avvicinando. 5. In data 26 aprile 2022 il difensore del ricorrente chiedeva procedersi alla discussione orale, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2021 per effetto del D.L. n. 105 del 2021 art. 7, comma 1. 6. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, in quanto il primo motivo tende alla rivalutazione dei fatti non consentito, mentre il secondo motivo è manifestamente infondato. 7. Il difensore del ricorrente avv. omissis , per delega dell'avv. omissis , illustrava i motivi di ricorso e ne chiedeva l'accoglimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Quanto al primo motivo va premesso che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. doppia conforme quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 . Il che si verifica nel caso in esame. 2.1 Quanto al primo argomento di censura per contraddittorietà della motivazione, in quanto sarebbe stata accertata la sola responsabilità di D.G. - in vero con G. e S. - e non anche di B. e C., cosicché D.G. come questi ultimi doveva andare assolto, è manifestamente infondato. A ben vedere l'assoluzione in relazione a B. e C. è intervenuta in primo grado e non è stata oggetto di impugnazione da parte del Pubblico ministero. Ne consegue che alcuna valutazione di contraddittorietà sul punto può essere rivolta alla sentenza impugnata della Corte di appello, che ha deciso rispetto al tema introdotto dall'appello di D.G. - oltre che di S. e G. - non potendo certamente riconsiderare o rivalutare condotte di terzi, divenute già cosa giudicata. 2.2 Per il resto il motivo promuove una diversa lettura delle emergenze probatorie rispetto a quanto valutato da parte della Corte di appello. Va evidenziato che in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri. Sez. U, n. 12 del 31/05/2000 - dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 21626001 . Pertanto, non essendo possibile un sindacato su ipotesi alternative spetta a questa Corte solo la verifica della intrinseca logicità e non contraddittorietà della motivazione impugnata, che non è affetta da tali vizi. Riguardo alle censure, infatti, la circostanza che dalle video riprese non risulti un atteggiamento minaccioso o violento, nè travisamenti, non risulta in alcun modo significativa rispetto alla ricostruzione della Corte di appello anche perché comunque la sentenza di primo grado rende conto della circostanza che D.G. indossò con gli altri componenti del gruppo i guanti di pelle nera, circostanza riferita dal teste di polizia giudiziaria, indicativa della volontà di pestare, riparandosi le mani fol.5 della sentenza del Tribunale e fol. 7 della sentenza della Corte di appello . Dunque, se non vi erano atteggiamenti palesemente minacciosi, come logicamente ritenuto dai giudici di merito, il calzare i guanti fu un indice correttamente valutato quanto alla intenzione. Corretta e congrua è la valutazione della dichiarazione di G., che riferisce che D.G. e gli altri imputati erano alla testa del gruppo nel procedere verso le vittime. Si tratta non di una valutazione del teste, bensì di una constatazione fol. 6 sentenza della Corte di appello , per altro anche riscontrata dai filmati. Quanta alla circostanza che le persone offese non riferirono che D.G. fosse fra gli aggressori, nel senso che non lo riconobbero, pur essendo noto negli ambienti politici fiorentini, la Corte con motivazione congrua afferma che in merito all'episodio del pestaggio antecedente quello dell'attuale imputazione, lo stesso non è stato contestato dal Pubblico ministero, dunque non è oggetto di istruttoria specifica, e comunque è verosimile pensare che le persone offese aggredite alle spalle abbiano cercato di parare i colpi non riuscendo a guardare gli aggressori e dunque non riconoscendo D.G. fol. 6 . D'altro canto non è assolutamente certo che D.G. facesse parte anche del primo gruppo di aggressori. Pertanto, proprio perché a D.G. non è contestato il precedente episodio, rileva la sua presenza solo alla testa del gruppo che si stava dirigendo per reiterare il pestaggio. Nè la Corte di appello, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, omette di valorizzare le dichiarazioni spontanee di D.G Lo fa rilevando come sia più credibile la versione del teste G., che vide D.G. alla testa del gruppo avanzare in direzione delle persone offese, come anche riscontrata dalle riprese video, che smentiscono la tesi che D.G. si sia subito allontanato verso il lato opposto a quello del pestaggio cfr. fol. 6 . Acclarata la logicità e coerenza della sentenza in punto di ricostruzione del fatto, esente da vizi logici e giuridici, i motivi proposti tendono, quindi, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. Il primo motivo va dichiarato pertanto inammissibile. 3. Quanto al secondo motivo, la sentenza impugnata correttamente applica i principi di diritti inerenti al delitto tentato. 3.1 Quanto alla univocità degli atti rispetto alla finalità di procurare altre lesioni alle persone offese già colpite, la Corte richiama l'espressione ora torniamo di là, ora torniamo a picchiarli il contenuto della frase è inequivoco sulla direzione dell'azione posta in essere, la Corte osserva come l'espressione richiami quanto già avvenuto, cioè il precedente pestaggio, e come V. e C. fossero stati ritenuti meritevoli di un ulteriore supplemento di violenza e che il gruppo, con in testa il D.G. e il S. , decide di tornare indietro, calzando guanti per minimizzare le conseguenze dannose derivanti all'aggressore dall'atto di colpire la vittima . La ricostruzione della Corte pone dunque due elementi a riprova della direzione non equivoca degli atti, come richiesta dall' art. 56 c.p. per un verso l'espressione verbale, che letta congiuntamente a quanto accaduto poco prima, in occasione del pestaggio, certamente assume un significato univoco quanto a direzione degli atti in secondo luogo l'aver calzato i guanti, che ulteriormente corrobora, per le ragioni illustrate dalla Corte di appello, la direzione di procurare ulteriori lesioni, dimostrando come il primo pestaggio non fosse stato ritenuto sufficiente. Queste argomentazioni congrue e logiche della Corte di appello vengono estese anche a D.G. , che ne risponde come concorrente, correttamente rilevando la Corte territoriale come non fosse rilevante chi avesse pronunciato la frase che esprimeva la volontà dei componenti del gruppo, alla testa del quale c'era proprio il D.G. , che aveva indossato come gli altri i guanti e che in uno a S. e G. nella sostanza muovevano gli altri e li guidavano nuovamente nel punto in cui le due giovani vittime dell'aggressione ancora si trovavano esanimi a terra . D'altro canto tale delibazione della Corte di appello di […] ha in concreto seguito il metodo suggerito dalla Corte di cassazione, che in tema di tentativo rileva come il requisito dell'univocità degli atti va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell'agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo Sez. 1, n. 29101 del 18/06/2019, Musicò, Rv. 276401 - 02 Sez. 4, n. 7702 del 29/01/2007, Alasia, Rv. 236110 - 01 Sez. 1, n. 7938 del 03/02/1992, Lamari, Rv. 191241 - 01 . 3.2 Quanto all'ulteriore requisito, quello della idoneità degli atti, la Corte di appello ne trae la prova dalla circostanza che al qualificarsi del G., operante della Digos, il gruppo di giovani con in testa il D.G. arrestava la propria marcia, tornava sui propri passi e si disperdeva. Osserva la Corte come sia evidente che se non fosse intervenuto G. il gruppo avrebbe di nuovo aggredito i due giovani che erano ancora sul selciato. Tali considerazioni, assolutamente coerenti e logiche, e di fatto, seppur sinteticamente espresse dalla Corte territoriale e più diffusamente dalla sentenza del Tribunale fol. 6 , concretano l'accertamento della idoneità degli atti secondo il criterio di prognosi postuma, con riferimento alla situazione che si presentava all'imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni prevedibili del caso Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Raicevic, Rv. 277032 - 02 , tenendo conto delle circostanze in cui opera l'agente e delle modalità dell'azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice Sez. 1, n. 1365 del 02/10/1997, dep. 1998, Tundo, Rv. 209688 01 . Nel caso in esame le persone offese erano ancora in terra, accertata la direzione univoca degli atti, gli stessi risultavano idonei in quel momento storico, per la vicinanza delle vittime, per la circostanza che le stesse erano state ferite e si trovavano in terra, per il maggior numero di componenti il gruppo degli aggressori. 3.3 Per altro anche la distinzione che ill motivo di censura propone, volendo collocare la condotta in una fase penalmente irrilevante, riconducendo tali atti a quelli preparatori, per un verso risulta manifestamente infondata in quanto gli atti preparatori sono quelli che, appunto, ‘preparanò l'azione delittuosa senza ancora darvi inizio, il che nel caso in esame non è perché l'azione delittuosa aveva avuto inizio con i caratteri di univoca direzione e idoneità nel caso in esame correttamente riscontrati dalla Corte di merito per altro verso la distinzione fra atti preparatori e atti esecutivi non ha più cittadinanza nella attuale previsione codicistica e risulta anche abbandonata dalla migliore dottrina, oltre che dall'orientamento maggioritario di legittimità, al quale aderisce questo Collegio. In particolare, Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Macori, Rv. 269932 - 01 ha chiarito come di gran lunga maggioritario, nella giurisprudenza di legittimità, è l'orientamento secondo cui deve escludersi che la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi, recepita dal codice Zanardelli che all'art. 61 puniva colui che, a fine di commettere un delitto, ne comincia con mezzi idonei l'esecuzione . , rappresenti tuttora il discrimen per delimitare l'area del tentativo penalmente rilevante. Secondo l'indirizzo maggioritario, condiviso dal Collegio, l'atto preparatorio può integrare gli estremi del tentativo punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a I ale risultato sia univocamente diretto Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009 - dep. 12/11/2009, Alfuso, Rv. 245720 conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 28213 del 15/06/20 10 - dep. 20/07/2010, Michelizzi, Rv. 247680 Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011 - dep. 07/10/2011, Bellone, Rv. 250932 Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012 - dep. 04/12/2012, D'Angelo, Rv. 254106 Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015 - dep. 12/10/2015, Amatista, Rv. 264589 al di là del tradizionale discrimen tra atti preparatori e atti esecutivi, rileva, ai fini della punibilità del tentativo, l'idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell'obiettivo delittuoso, nonché l'univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015 - dep. 18/02/2015, Sciuto, Rv. 262768 per la configurabilità del tentativo, dunque, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà dei reo Sez. 2, n. 25264 del 10/03/2016 - dep. 17/06/2016, Colombo, Rv. 267006 . Anche ulteriori pronunce successive hanno consolidato l'orientamento maggioritario Sez. 2, n. 24302 del 04/05/2017 - dep. 16/05/2017, Gentile, Rv. 269963 - 01 Sez. 2, n. 11855 del 08/02/2017 - dep. 10/03/2017, Fincato, Rv. 269930 - 01 Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016 - dep. 07/12/2016, Gravina, Rv. 268644 - 01 . Per altro il venir meno della distinzione fra atti preparatori e atti esecutivi, oltre che dal dato letterale dell' art. 56 c.p. , che non la ricliama, emerge dalla considerazione che, alla distinzione configuratasi in costanza del codice Zanardelli del 1889, viene sostituito un criterio alternativo di valutazione della rilevanza penale della condotta, individuato proprio dai requisiti di idoneità e direzione non equivoca della stessa, dapprima elaborati da parte della dottrina in costanza del codice Zanardelli per distinguere fra atti preparatori e non, poi introdotti con l'attuale art. 56 c.p. con la seguente intentio legis si è voluto bensì abolire la distinzione, spesso inafferabile nella pratica, tra atti preparatori e atti esecutivi, ma se viene compiuto uno di quegli atti che, vigente il codice del 1889, dicevansi preparatori, e se esso non appare idoneo capace di produrre l'evento delittuoso , ovvero non risulta diretto in modo non equivoco a commettere un determinato delitto, l'atto medesimo non è punibile come tentativo. Se invece in esso si accerta il predetto valore causale e sintomatico, lo si punirà come delitto tentato Relazione al Re, n. 39 . Pertanto anche ai sensi dell'art. 12, comma 1, delle preleggi, oltre che per l'evidente lettera della legge, deve ritenersi del tutto superata la distinzione fra atti preparatori, irrilevanti, e atti esecutivi, invece penalmente rilevanti. L'indirizzo che ritiene ancora sussistente la distinzione dismessa dall' art. 56 c.p. , ritenendo esclusivamente gli atti esecutivi penalmente rilevanti in quanto diretti in modo non equivoco a commettere un reato, vale a dire gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata Sez. 1, n. 40058 del 24/09/2008, Cristello e altri, Rv. 241649 Sez. 1, n. 9411 del 07/01/2010, Musso e altro, Rv. 246620 , per un verso opera una un'interpretatio abrogans e, per altro, rischia di estendere oltre il dovuto il limite della punibilità degli atti idonei e univoci, con una anticipazione della soglia di rilevanza penale, il che deve essere scongiurato mediante un'interpretazione rispettosa, in particolare, del principio di offensività Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009 - dep. 12/11/2009, Alfuso, cit. . D'altro canto, se fondamento della punibilità del tentativo è l'esigenza di prevenire l'esposizione a pericolo di beni giuridicamente protetti, l'accertamento rigoroso dei requisiti della idoneità e univocità degli atti garantisce il principio di offensività e quindi la non punibilità di condotte che non mettano realmente in pericolo il bene protetto. Nel caso in esame, pertanto, la verifica delle univocità e idoneità degli atti sono stati compiuti in modo rigoroso dai Giudici del merito. Pertanto può affermarsi il principio per cui per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, siano rispondenti ai requisiti della direzione e univocità degli atti, richiesti dall' art. 56 c.p. , sia per la lettera della norma che per l'intentio legis, ai sensi dell'art. 12, comma 1, delle preleggi, in quanto i predetti requisiti garantiscono per un verso la verifica della reale messa in pericolo del bene tutelato e evitano, per altro verso, l'anticipazione della soglia del penalmente rilevante in violazione del principio di offensività. Il motivo è quindi manifestamente infondato per consolidato orientamento giurisprudenziale. 4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103 , al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. 13/6/2000 n. 186 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.