Lampeggiante blu sulla vettura: condannato il proprietario

Respinta la tesi difensiva, mirata a ridimensionare l’episodio e a sottolineare che il dispositivo è oggetto di libera vendita. Per la condanna è sufficiente la mera detenzione del lampeggiante blu collocato sul tettuccio dell’automobile.

Lampeggiante blu sul tettuccio dell'automobile e azionabile dall'interno del veicolo. Tutto regolare, tranne che per un dettaglio la vettura non appartiene alle forze dell'ordine. Sacrosanta perciò la condanna del proprietario dell'automobile, condannato a dodici mesi di reclusione Cass. pen., sez. V, ud. 9 maggio 2022 dep. 14 settembre 2022 n. 33912 . Lampeggiante. Fatale all'uomo sotto processo è un controllo stradale effettuato dalle forze dell'ordine. Nello specifico, egli viene fermato mentre circola a bordo di un veicolo, a lui intestato, su cui è installato e funzionante un dispositivo lampeggiante di colore blu, normalmente in uso alle forze in servizio di ordine pubblico . I dettagli sono sufficienti, secondo i giudici di merito, per ritenere palese la responsabilità penale del proprietario del veicolo. Così, sia in primo che in secondo grado, l'uomo viene ritenuto colpevole di possesso illecito di un oggetto che simula la funzione di un corpo di polizia e viene sanzionato con dodici mesi di reclusione. Per il legale che rappresenta l'uomo, però, la lettura dei fatti non è scontata. In questa ottica egli considera erroneo il presupposto, richiamato in secondo grado, secondo cui il lampeggiante sequestrato è ad uso esclusivo delle forze dell'ordine , poiché esso è oggetto di libera vendita . Il legale sottolinea poi che il veicolo su cui l'oggetto è stato rinvenuto era solo di rado usato dall'uomo e questo dettaglio, a suo dire, può portare a riconoscere l'esclusione della punibilità . Corpo di Polizia. Per i giudici della Cassazione, però, le obiezioni proposte dal difensore dell'uomo sotto processo sono assai fragili. Accertato che l'uomo è stato tratto a giudizio per aver installato a bordo del veicolo, a lui intestato e su cui viaggiava, lampeggianti stroboscopici, uguali a quelli in uso alle forze dell'ordine in servizio di scorta e azionabili dall'interno del veicolo , i giudici di terzo grado ribadiscono che il Codice Penale punisce, tra l'altro, chiunque illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione e quindi sono compresi sia la detenzione di oggetti che identificano un corpo di polizia o ne simulano la funzione, sia l'illiceità della detenzione . I giudici precisano poi che nel primo requisito rientrano i segni, contrassegni, documenti od oggetti che rimandano, inequivocabilmente, ai corpi di polizia, perché li identificano nel sociale o costituiscono strumenti attraverso cui si esplica la funzione ad essi demandata. Deve trattarsi, cioè, di elementi che conducono a identificare il portatore o detentore come soggetto appartenente a forze di polizia o esplicante una funzione di polizia , mentre il secondo requisito è integrato dall'illiceità della detenzione, che ricorre ogniqualvolta la detenzione non sia sorretta da un valido titolo di legittimazione. È illecita, quindi, non solo la detenzione acquisita attraverso la commissione di un reato, ma anche quella che avviene sine titulo , perché riservata a soggetti specificamente individuati dall'ordinamento . I giudici aggiungono poi che, sebbene il Codice Penale parli di possesso di segni distintivi contraffatti , non è l'autenticità degli oggetti che viene tutelata dall'ordinamento, ma la riserva alle forze di polizia dei segni e degli oggetti che le identificano, perché attraverso di essi avviene il riconoscimento del personale investito della funzione . Passando al caso in esame, è acclarato che l'uomo è stato fermato mentre circolava a bordo di un veicolo, a lui intestato, su cui era istallato e funzionante un dispositivo lampeggiante di colore blu, normalmente in uso alle forze in servizio di ordine pubblico che, allorché usato, esonera dall'osservanza degli obblighi, dei divieti e delle limitazioni relativi alla circolazione stradale e porta a identificare il suo detentore con un soggetto in servizio di ordine pubblico, idoneo, quindi, a trarre in inganno sulle qualità personali di chi lo detiene e sul potere connesso all'uso del dispositivo . Non vi sono dubbi che il dispositivo non era lecitamente detenuto , rilevano i giudici. Irrilevante, invece, la sottolineatura fatta dall'uomo in merito al fatto che si tratta di lampeggiante oggetto di libera vendita e che del veicolo egli faceva un uso solo saltuario, in quanto, di regola, utilizzato dal padre . Ciò perché a conta il fatto che l'uomo sia stato trovato a bordo del veicolo, peraltro a lui intestato, senza essere legittimato né all'uso né alla detenzione di un dispositivo in uso alle forze di polizia ma da lui acquistato privatamente , né rileva, osservano i giudici, che il dispositivo sia in uso, cioè acceso, perché ciò che conta è la sua detenzione , anche tenendo presente che il lampeggiante era attivabile dall'interno del veicolo . Sacrosanta, quindi, la condanna a fronte della mera mera collocazione del lampeggiante sul tettuccio dell'autovettura , chiosano i magistrati. Impossibile, infine, riconoscere la non punibilità prevista in caso di offesa di particolare tenuità e di comportamento non abituale . Ciò alla luce dei dettagli dell'episodio, ossia l'installazione permanente del lampeggiante sul tettuccio della vettura, il cui funzionamento era governabile dall'interno del veicolo e, dunque, il potenziale uso non infrequente cui il bene era destinato .

Presidente Sabeone – Relatore Carusilio Ritenuto in fatto 1. Il difensore di A.D.V.S., avv. A.R.A., ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Torino del 13 aprile 2021 che ha confermato la pronuncia con la quale il Giudice per le indagini preliminari di Vercelli, in data 04 giugno 2019, all'esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di cui all' art. 497-ter c.p. e, concesse le circostanze attenuanti generiche e operata la riduzione per il rito, lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione. 2. La difesa articola le proprie censure in due motivi. 2.1 Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, lett. b ed e , c.p.p. per violazione di legge in relazione all' art. 497-ter c.p. e per vizio di motivazione, lamenta che la corte di appello ha ritenuto la responsabilità dell'imputato sull'erroneo presupposto che il lampeggiante in sequestro fosse ad uso esclusivo delle Forze dell'Ordine, senza considerare che lo stesso era oggetto di libera vendita e che, in ogni caso, il veicolo sul quale l'oggetto era stato rinvenuto era solo di rado usato dall'imputato. 2.2 Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, lett. b ed e , c.p.p. per violazione di legge in relazione all' art. 131-bis c.p. e per vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale, senza motivare sul punto, non ha ritenuto la particolare tenuità del fatto sul presupposto che l'istallazione del lampeggiante sul veicolo fosse indicativo di un uso non infrequente. Considerato in diritto 1. Il ricorso, unitariamente considerato, presenta profili di inammissibilità. Le questioni giuridiche sollevate con i due motivi sono manifestamente infondate sia perché sviluppano censure replicanti i motivi di gravame, prive di concreti rilievi critici sul percorso decisorio della sentenza di appello, sia perché attinenti a profili di merito imperniati su una lettura alternativa e una reinterpretazione dei dati processuali e delle fonti di prova meramente fattuali, estranee al giudizio di legittimità, tenuto conto anche della coerenza logica e della corretta applicazione dei canoni di valutazione della prova che connotano sia la decisione di appello che la decisione di primo grado. Va anche osservato che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo cfr. Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baratti, Rv. 239735 Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061 . Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01 Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01 Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615 - 01 . 2. A.D.V.S. è stato tratto a giudizio per aver istallato a bordo del veicolo, a lui intestato, sul quale viaggiava, lampeggianti stroboscopici, uguali a quelli in uso alle Forze dell'Ordine in servizio di scorta, azionabili dall'interno del mezzo. 3. Condannato in primo grado, l'imputato è stato ritenuto responsabile del delitto ascrittogli anche in sede di giudizio di appello. 4. Privo di pregio è il primo motivo di ricorso. L' art. 497-ter c.p. , punisce, tra l'altro, chiunque illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione . Nella struttura della fattispecie sono compresi, quindi, sia la detenzione di oggetti che identificano un corpo di polizia o ne simulano la funzione, sia l'illiceità della detenzione. Nel primo requisito rientrano i segni, contrassegni, documenti od oggetti che rimandano, inequivocabilmente, ai corpi di polizia, perché li identificano nel sociale o costituiscono strumenti attraverso cui si esplica la funzione ad essi demandata. Deve trattarsi, cioè, di elementi che conducono a identificare il portatore o detentore come soggetto appartenente a Forze di polizia o esplicante una funzione di polizia. Il secondo requisito è integrato dall'illiceità della detenzione, che ricorre ogniqualvolta la detenzione non sia sorretta da un valido titolo di legittimazione. È illecita, quindi, non solo la detenzione acquisita attraverso la commissione di un reato, ma anche quella che avviene sine titulo, perché riservata a soggetti specificamente individuati dall'ordinamento. Sebbene, infatti, la rubrica dell'articolo parli di possesso di segni distintivi contraffatti , non è l'autenticità degli oggetti che viene tutelata dall'ordinamento, ma la riserva alle Forze di polizia dei segni e degli oggetti che identificano le stesse, perché attraverso di essi avviene il riconoscimento del personale investito della funzione Sez. 5, n. 6784 del 16/01/2015, Arba, Rv. 262321 . Orbene, nel caso di specie, A.D.V.S. è stato fermato mentre circolava a bordo di un veicolo, a lui intestato, sul quale era istallato e funzionante un dispositivo lampeggiante di colore blu, normalmente in uso alle forze in servizio di ordine pubblico che, allorché usato, esonera dall'osservanza degli obblighi, dei divieti e delle limitazioni relativi alla circolazione stradale e porta a identificare il suo detentore con un soggetto in servizio di ordine pubblico, idoneo, quindi, a trarre in inganno sulle qualità personali di chi lo detiene e sul potere connesso all'uso dello stesso, l'accertamento della cui idoneità ingannatrice rappresenta un giudizio di merito che - per essere sorretto da logica motivazione - non è censurabile in cassazione. 3. Nella specie, il dispositivo non era lecitamente detenuto. Il ricorrente insiste sul fatto che si tratta di lampeggiante oggetto di libera vendita e che del veicolo egli faceva un uso se +e solo saltuario, in quanto, di regola, utilizzato dal padre. Ciò non toglie che, come correttamente argomentato dai giudici di merito, il ricorrente sia stato trovato a bordo del veicolo, peraltro a lui intestato,senza essere legittimato nè all'uso, nè alla detenzione di un dispositivo in uso alle Forze di polizia, acquistato privatamente. Nè, ai fini della configurabilità, rileva che il dispositivo sia in uso, cioè acceso, perché ciò che conta è la sua detenzione. Peraltro, la corte territoriale ha sottolineato che il lampeggiante era attivabile dall'interno del mezzo, da cui la sufficienza, ai fini dell'integrazione del delitto, della mera collocazione sul tettuccio dell'autovettura. Priva di vizi logici e conforme al diritto è la motivazione relativa all'elemento soggettivo integrato dal dolo generico, a nulla rilevando l'errore circa la liceità della detenzione che si risolve in errore di diritto, la cui scusabilità non è nemmeno argomentata dal ricorrente. t. Nè opera, nella specie, il principio di specialità posto dall' art. 9, L. n. 689 del 1981 , astrattamente invocabile sul rilievo che l' art. 177, comma 4, D.Lgs. n. 285 del 1992 punisce l'uso del lampeggiante fuori dei casi previsti dal comma 1 dello stesso articolo. La norma si riferisce, infatti, ai casi di uso improprio da parte di un soggetto legittimato, quindi all'uso improprio che ne faccia un appartenente alle forze dell'ordine o uno degli altri soggetti indicati nell'art. 177 cit., ma non anche alla detenzione illegittimamente acquisita da un soggetto, appartenente o meno ad uno dei Corpi specificati dalla norma. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso. Nel corpo motivazionale del provvedimento in verifica, con sufficienza argomentativa, la corte di appello ha individuato nella istallazione permanente del lampeggiante sul tettuccio del mezzo, il cui funzionamento era governabile dall'interno, e, dunque, nel potenziale uso non infrequente cui il bene era destinato, le ragioni per le quali la vicenda non è inquadrabile nella previsione normativa di cui all' art. 131-bis c.p. . Dalle ragioni esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, ex art. 606 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.