Prescrizione sanzione disciplinare avvocati: rileva la natura permanente delle condotte disciplinari

Ai fini dell’irrogazione di una sanzione disciplinare non si deve guardare alla sola condotta oggetto dell’incolpazione ed alla sua rilevanza penale, inquadrabile nella categoria dei reati istantanei, bensì anche alla natura permanente che va ascritta alle analoghe condotte rilevanti disciplinarmente.

Premessa . Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 26991, depositata il 14 settembre 2022, si sono pronunciate in ordine alla richiesta di cassazione della sentenza pronunciata dal Consiglio Nazionale Forense, in sede disciplinare, con la quale è stata irrogata la sanzione della radiazione dall'albo degli avvocati di un professionista. Il fatto. La vicenda riguardava un avvocato accusato dal cliente di aver incassato delle somme, da taluni acquirenti ed a titolo di caparra, per la vendita di taluni box auto in fase di realizzazione, presentandosi quale falso mandatario. La decisione del Consiglio di disciplina territorialmente competente era stata impugnata dinanzi al Consiglio Nazionale Forense il quale aveva respinto l'eccezione di prescrizione sollevata dall'avvocato questi a sua volta si doleva della circostanza che i fatti risalissero al 2005 mentre il procedimento disciplinare era stato iniziato nel 2015. Il CNF sosteneva la natura permanente dell'illecito consumato nonché la mancata cessazione del comportamento oggetto dell'incolpazione, stante la mancata restituzione delle somme incassate da parte dell'avvocato al cliente segnalante. Anche l'ulteriore eccezione di nullità del procedimento disciplinare sollevata e relativa alla mancata audizione dell'incolpato dinanzi al consigliere istruttore era stata respinta, nella misura in cui l'avvocato non era comparso senza addurre alcun valido impedimento. L'eccezione di prescrizione. La pronuncia era dunque impugnata dinanzi alle Sezioni Unite. Delle quattro doglianze proposte la Cassazione analizza i motivi di ricorsi aventi natura assorbente e prioritaria. La prima disamina concerne l'eccezione di prescrizione sollevata. In primo luogo, il ricorrente sosteneva che il presunto illecito fosse prescritto risalendo al 2005 mentre il primo atto interruttivo della prescrizione si sarebbe verificato nel 2015, quando a suo dire la prescrizione era decorsa. Inoltre, egli lamentava l'erronea applicazione dell' art. 56, l. n. 247/2012 invece che l'articolo 51, r.d. n. 1578/1933. Le Sezioni Unite su questo primo punto hanno statuito che al caso, differentemente da quanto affermato, non fosse stata applicata la l. n. 247/2012 art. 56, in ragione dell'irretroattività della Legge in materia di sanzioni amministrative sicché la norma non poteva trovare applicazione per i fatti anteriori rispetto alla sua entrata in vigore e quindi alla fattispecie in esame iniziata nell'anno 2005. Inoltre, l'illecito disciplinare contestato al ricorrente presentava i caratteri della permanenza, con conseguente decorso del termine prescrizionale dal momento della cessazione della permanenza. Tanto anche in ragione della mancata restituzione delle somme incassate al cliente, circostanza questa accertata dal Tribunale civile e per la quale l'avvocato aveva subito una condanna. I Giudici di nomofilachia, richiamando un proprio precedente e recente indirizzo, precisavano anche che la condotta dell'avvocato si collocasse in un rapporto contrattuale di durata, confortato dai principi ispiratori della deontologia forense che non hanno rilevanza momentanea ma persistono nel tempo. Inoltre, ai fini della decisione, a parere della Corte, non assume valore la sola rilevanza penale dei primi fatti oggetto dell'incolpazione l'aver incassato delle somme di denaro indebitamente che in quanto tali sono ascritti nell'alveo dei reati istantanei, bensì anche gli obblighi di condotta successivi del professionista mancata restituzione delle somme di denaro , rilevanti disciplinarmente che si protraggono ben oltre il momento commissivo del primo fatto penalmente rilevante. La mancata audizione dell'incolpato nel procedimento disciplinare. Anche la motivazione relativa alla nullità del procedimento disciplinare per mancata audizione dell'avvocato prima dell'irrogazione della sanzione disciplinare viene censurata dalla Cassazione. Se da un lato infatti quello di essere ascoltato è un diritto dell'incolpato e la sua mancata convocazione è causa di nullità della sanzione disciplinare irrogata, per mancata corretta instaurazione del contradditorio e conseguente lesione del diritto di difesa, dall'altro la mancata comparizione dell'avvocato per l'audizione è frutto di una scelta personale. Sicché ove egli, pur convocato, non dia tempestiva comunicazione del suo impedimento ovvero non dimostri di essere stato impossibilitato a comparire per causa di forza maggiore, il procedimento disciplinare e la conseguente sanzione eventualmente irrogate restano validi. Anche sotto questo profilo pertanto le Sezioni Unite concludono per affermare l'infondatezza del ricorso ed il suo conseguente rigetto.

Presidente Cassano Relatore Marulli Fatti di causa 1. Con ricorso ai sensi del L. b. 247 del 31 dicembre 2012, art. 36, comma 6, l'avvocato D.D.M. impugna avanti a queste Sezioni Unite, reclamandone la cassazione, l'epigrafata sentenza con la quale il Consiglio Nazionale Forense, adito dal medesimo in sede disciplinare, ne ha respinto il ricorso avverso la decisione in data 27.4.2021 del CDDF di Roma che, a definizione del procedimento disciplinare aperto a suo carico per la violazione degli artt. 9, 12, 30 e 31 del Codice deontologico forense approvato con Regolamento CNF 21 febbraio 2014, n. 2, gli aveva irrogato la sanzione della radiazione dall'albo professionale. I fatti oggetto di incolpazione disciplinare traevano origine da un esposto al COA di Roma di L.V. che, per quanto qui ancora rileva, si era segnatamente doluto della condotta del professionista che, presentandosi falsamente quale suo mandatario e profittando dell'affidamento ingenerato dall'aver speso nell'occasione la propria qualifica professionale, aveva incassato da terzi svariate somme di denaro corrisposte da costoro a titolo di caparra per l'acquisto di box di proprietà V. in corso di ultimazione. Nel respingere il gravame avverso la decisione di prima istanza, il CNF, con l'impugnata sentenza, ha ritenuto di respingere l'eccezione di prescrizione sollevata dall'impugnante sul rilievo che i fatti in questione risalissero al 2005 mentre l'azione disciplinare era stata esercitata nel 2015, stante la natura permanente dell'illecito oggetto di contestazione e la sua mancata cessazione, non avendo il D.D. mai offerto la restituzione delle somme indebitamente incamerate, e l'intervenuta sospensione della prescrizione a seguito del procedimento penale cui il D.D. era stato sottoposto per i medesimi fatti chiusosi nel 2016. Ha inoltre rigettato l'eccezione di nullità del procedimento per non essere stato convocato nella fase predibattimentale, al contrario constando che il D.D. era stato convocato a comparire avanti al consigliere istruttore, ma aveva omesso di farlo senza addurre alcun giustificato impedimento. Nel merito, la sentenza in gravame ha poi inteso far propri gli assunti probatori trasfusi nella sentenza di primo grado pronunciata in sede penale - e fatti esplicitamente salvi dal giudice di legittimità che, pur dichiarando la prescrizione dei reati ascritti all'impugnante, aveva tuttavia argomentato che non erano riconoscibili ragioni per escludere che la fattispecie delittuosa si fosse determinata nei termini acclarati dal Tribunale - ed ha quindi ribadito il convincimento, non senza comunque confutare funditus le doglianze interposte dall'impugnante, che l'accertamento esperito in quella sede sgombra il campo da qualsiasi ombra, visto e considerato che nessuna prova liberatoria pertinente e puntuale è stata offerta dal ricorrente a discarico in merito alle modalità ed al titolo che giustificava l'incasso delle somme, della loro rendicontazione, dell'autorizzazione del cliente a trattenere le stesse in pagamento del compenso, in ipotesi spettante, ed infine alla restituzione di esse al sig. V. . La cassazione di detta sentenza è ora domandata dal soccombente con ricorso a questa Corte fondato su sei motivi non resistito dagli intimati. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 2. Con il primo motivo di ricorso, l'impugnante deduce la nullità dell'impugnata sentenza per violazione dell' art. 132 c.p.c. , comma 2, n. 4 dell'art. 118 disp. att. c.p.c. e dell'art. 111 Cost., nonché per violazione dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5 per l'avvenuto travisamento dei fatti di causa quantunque fossero documentati da fonti scritte. Ed invero le somme da esso asseritamente trattenute erano di pertinenza del socio del V. , il OMISSIS che ne aveva autorizzato la compensazione a fronte dei compensi spettantigli per l'opera professionale prestata. Con il secondo motivo di ricorso, l'impugnante si duole del mancato riconoscimento della prescrizione che il decidente avrebbe denegato applicando erroneamente il termine del L. n. 247 del 31 dicembre 2012, art. 56, benché la specie si dovesse ritenere regolata dall'art. 51 R.D. 27 novembre 1933, n. 1578. Peraltro i fatti contestati risalgono al 2005 ed il primo atto interruttivo sarebbe avvenuto nel 2014 e, quindi, a termine di prescrizione già largamente maturato. Con il terzo motivo di ricorso, l'impugnante deduce la nullità dell'impugnata sentenza, perché basata su un fatto inesistente e quindi affetta da illogicità della motivazione. Se il giudice disciplinare avesse aperto il brogliaccio delle corpose fonti documentali di prova scritta depositate dall'impugnante si sarebbe accorto che i fatti per cui ne era stata accertata la responsabilità disciplinare avevano avuto tutta un'altra storia e che la sentenza penale pronunciata in primo grado era stata cassata in sede di legittimità. Con il quarto motivo di ricorso, l'impugnante si duole che la sentenza impugnata, che per questo sarebbe perciò inficiata di nullità, avrebbe dato atto del suo disinteresse alla trattazione del procedimento nella fase predibattimentale. Al contrario la corrispondenza per e-mail intercorsa con il consigliere incaricato dell'istruttoria attesterebbe la di lui presenza nella sede del COA il giorno della convocazione, mentre la mancata comparizione alla successiva convocazione era da porsi in correlazione alle restrizione imposte per il contenimento della pandemia da Covid 19. Con il quinto motivo, l'impugnante lamenta la violazione degli art. 40 e 41 R.D. 1578/1933 avendo il giudice disciplinare regolato il caso al suo esame applicando le disposizioni della L. 247/2012 . Diversamente, stante peraltro la provata insussistenza del fatto, si sarebbe semmai dovuta applicare una sanzione più lieve di quella concretamente irrogata. Con il sesto motivo di ricorso, l'impugnante sollecita la sospensione cautelare della decisione disciplinare adottata nei suoi confronti. 3. È prioritario, in ragione della loro assorbenza logica se fondati, l'esame del secondo e del quarto motivo di ricorso. 4.1. Entrambi non meritano alcuna condivisione. 4.2.1. Il secondo motivo di ricorso, come detto, lamenta che la sentenza impugnata non abbia dichiarato l'illecito prescritto e lo fa sulla base di un duplice argomento ovvero sostenendo che sarebbe stato erroneamente applicato L. 247 del 2012 art. 56 in luogo del R.D. 1578 del 1933 art. 51, malgrado i fatti oggetto di contestazione fossero avvenuti nel 2005 e che in ogni caso, attesa appunto la consumazione del preteso illecito nel 2005, il primo atto d'interruzione era intervenuto a prescrizione già ampiamente decorsa. 4.2.2. Il primo argomento non trova rispondenza nella realtà processuale, dato che il giudice del gravame ha esattamente affermato il contrario di quanto allega il deducente osservando a pagina 8 della propria motivazione che, poiché la prescrizione ha fonte nella legge, resta operante il criterio generale della irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, con la conseguenza che il tenore del L. 247 del 2012 art. 56 è inapplicabile ai fatti antecedenti rispetto alla sua entrata in vigore . Ne discende di conseguenza che, non allineandosi al tenore del decisum, come più volte questa Corte ha avuto occasione di notare, il motivo infrange il principio di specificità del ricorso per cassazione di cui all' art. 366 c.p.p. , comma 1, n. 4, e si sottrae perciò allo scrutinio qui richiesto Cass., Sez. VI-III, 3/07/2020, n. 13375 . 4.2.3. Il secondo argomento incorre nel medesimo vizio, poiché non si confronta con le ragioni della decisione e reitera passivamente ragioni di contestazione già disattese dal decidente. Come ha infatti ricordato il Procuratore Generale, l'illecito ascritto nella specie al D.D. ha carattere permanente, di talché il termine di prescrizione decorre dalla cessazione della permanenza Cass., Sez. U, 8/07/2020, n. 14233 Cass., Sez. U, 21/02/2019, n. 5200 Cass., Sez. U, 30/06/2016, n. 13379 . Di questo ha dato puntualmente conto la decisione in esame osservando non a caso che appare dirimente considerare che la condotta contestata al ricorrente assume i profili dell'illecito permanente ed infatti si tratta di mancata restituzione di somme di denaro al cliente, condotta per la quale l'avv. D.D. è stato condannato dal Tribunale di Roma. Inoltre neppure risulta che sia mai avvenuta la riconsegna da parte del ricorrente delle somme di denaro spettanti all'esponente . Il motivo dunque non tiene conto di queste osservazioni, onde torna nuovamente a scontrarsi con il predetto principio della specificità Cass., Sez. I, 24/09/2018, n. 22478 . 4.2.4. È poi appena il caso di osservare - come queste SS.UU. hanno già avuto occasione di affermare con sentenza n. 23239/2022 in relazione a vicende del tutto analoghe a quella in scrutinio - che la condotta ascritta disciplinarmente al D.D. si inserisce nel contesto di un rapporto contrattuale di durata, la cui disciplina, oltre ad ubbidire più in generale ai principi della correttezza e della diligenza professionale, trova principalmente regolazione nelle norme della deontologia forense, che non hanno, per la particolare natura del rapporto a cui ineriscono, rilevanza puramente momentanea, ma ne permeano ogni singolo momento ed uniformano in modo costante e duraturo nel tempo il contenuto precettivo degli obblighi di condotta a cui il professionista è tenuto. Il che, intuitivamente, colloca la vicenda in esame in una luce diversa da quella a cui la condotta oggetto qui di incolpazione potrebbe venirsi a trovare se si guardasse solo alla rilevanza penale di essa e si evocassero semplicemente le categorie in quell'ambito corrispondenti truffa/appropriazione indebita , che sicuramente integrano reati istantanei, non permanenti, di contro, per vero, alla natura permanente che va invece ascritta alle analoghe condotte rilevanti in punto disciplinare. Onde anche per questa via non è dubitabile il carattere permanente dell'illecito ascritto al D.D. . 4.3. Va peraltro ancora notato, in ciò profilandosi un'ulteriore ragione di preclusione, giacché le considerazioni spese al riguardo sono rimaste lettera morta nelle difese sul punto del ricorrente Cass., Sez. I, 18/09/2006, n. 20118 , che l'assunto decisorio in parte qua, oltre a fregiarsi del rilievo in ordine al carattere permanente dell'illecito oggetto di contestazione, si vale a proprio conforto di altri due rilievi parimenti decisivi da un lato la decisione sottolinea che, poiché il D.D. per i fatti in parola era stato sottoposto a giudizio penale, la prescrizione era rimasta sospesa per tutto l'arco di durata del relativo procedimento chiusosi nel 2016 mentre, dall'altro, si richiama l'attenzione sul fatto che la prescrizione era stata interrotta in più occasioni, onde essa al momento della decisione non era ancora maturata. 4.4. Ne discende, dunque, nel complesso l'inattaccabilità su questo punto del ragionamento decisorio sviluppato dalla decisione impugnata. 5. Il quarto motivo di ricorso, come visto, lamenta la nullità del procedimento disciplinare, perché il consigliere incaricato dell'istruttoria non avrebbe proceduto all'audizione dell'incolpato. La doglianza sfrondata di ogni connotazione fattuale giacché, come si dirà innanzi, il contrario opinamento operato in fatto dalla sentenza negli atti processuali non v'è traccia del legittimo impedimento che avrebbe potuto giustificare il rinvio dell'audizione dell'incolpato sfugge al sindacato di questa Corte, è per il resto priva di totale fondamento. Questa Corte ha più volte ribadito il convincimento che il principio secondo cui nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati non può essere inflitta alcuna sanzione senza che l'incolpato sia stato citato a comparire davanti all'organo disciplinare assume valenza di principio generale, volto a garantire il rispetto del contraddittorio e il diritto di difesa e da ciò ha tratto ragione per ritenere inficiato da nullità, con conseguente caducazione della sanzione irrogata a conclusione di esso, il giudizio disciplinare in cui l'incolpato non sia stato invitato a comparire Cass., Sez. U, 17/03/2017, n. 6963 Cass., Sez. U, 21/07/2016, n. 15042 Cass., Sez. U, 1/03/2012, n. 3182 . Ma poiché questo è un diritto e non un dovere, si è anche precisato che, ove l'incolpato non compaia, egli non ha titolo per chiedere una nuova audizione salvo che non provi di aver tempestivamente comunicato l'impedimento o di esservi stato impossibilitato per un caso di forza maggiore Cass., Sez. U, 24/02/2015, n. 3670 . Nella specie, come la sentenza si dà premura di annotare, con accertamento di fatto non riesaminabile in questa sede, rilevando che nessun impedimento era stato allegato agli atti, la mancata comparizione del D.D. è conseguenza solo di una sua scelta personale, di modo che il motivo declina una censura che non infirma la legittimità della decisione impugnata e come tale va appunto ritenuto infondato. 6. Il primo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso formulano censure che impingono nella valutazione di aspetti meritali della vicenda scrutinata dal giudice disciplinare, sicché essi sfuggono pregiudizialmente alla richiesta disamina di questa Corte. Secondo il costante orientamento di questa Corte le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle SS.UU. ai sensi del R.D.l. 1578 del 1933 art. 56, comma 3, e del L. 247 del 2012 art. 36, comma 6, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell' art. 111 Cost. , per vizio di motivazione. Pertanto l'accertamento del fatto e l'apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell'adeguatezza della sanzione irrogata costituiscono attività riservate in via esclusiva al giudice del merito e si intendono perciò sottratte al controllo di legittimità demandato a questa Corte Cass., Sez. U, 31/07/2018, n. 20344 , sempreché, in ragione della motivazione adottata, non si rivelino affette da un'anomalia motivazionale costituente violazione di legge costituzionalmente rilevante. Le determinazioni assunte dall'impugnata decisione risultano assistite da congrua ed adeguata motivazione, di guisa che le declinate censure si sostanziano soltanto in un'istanza di rivalutazione del quadro istruttorio e delle risultanze fattuali poste alla base della contestata condanna. Ne consegue che l'esame di esse deve ritenersi precluso a questa Corte e che i motivi in giudizio sono inammissibili. 7. Il ricorso va dunque conclusivamente respinto con conseguente assorbimento anche dell'istanza sospensiva. 8. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell' art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 . P.Q.M. Respinge il ricorso, assorbita l'istanza di sospensione. Ai sensi del del D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002, art. 13 , comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello riscosso per il ricorso.