Respinte le obiezioni proposte dall’uomo e mirate a sostenere che la donna abbia colpevolmente evitato di attenuare le ripercussioni economiche causate dalla malattia e dalla successiva contrazione del reddito da lavoro.
Assegno divorzile all'ex moglie che a causa di seri problemi di salute vede ridotto il reddito lavorativo. Confermato anche il suo diritto ad ottenere dall'ex marito un contributo per riuscire a sostenere il peso del canone relativo alla casa che ha dovuto prendere in locazione per sé e per i figli. Dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, viene fissato in «1.200 euro il contributo del padre al mantenimento dei tre figli che convivono con la madre» e, in aggiunta, viene imposto all'uomo di versare «un contributo di 700 euro mensili» all'ex moglie che «non risiede più nella casa familiare e ha dovuto locare un appartamento per sé e per i figli». In Tribunale, poi, viene riconosciuto il diritto della donna a percepire ogni mese «un assegno divorzile di 500 euro». E in Appello viene portato a 2.000 euro mensili «il contributo dovuto dall'uomo per il mantenimento dei tre figli, maggiorenni ma non ancora autosufficienti economicamente». In Cassazione, però, l'uomo ribadisce le sue richieste, cioè «revoca dell'assegno divorzile e del contributo mensile» per il canone di locazione dell'abitazione in cui vivono l'ex moglie e i tre figli. In questa ottica egli sostiene che l'ex moglie, pur essendo stata colpita da una patologia oncologica e dovendo far fronte a una «riduzione dell'orario lavorativo», si è mostrata inerte nel «richiedere le prestazioni previdenziali e assistenziali che avrebbero attenuato o eliso le conseguenze negative sul suo reddito» provocate dalla «riduzione dell'orario di lavoro». I giudici ribattono sottolineando la malattia oncologica che ha colpito la donna e la conseguente «riduzione dell'orario di lavoro». Questi due dati di fatto rendono non decisivo «l'accertare se la donna si sia vista ridurre l'orario di lavoro in conseguenza del peggioramento del suo stato di salute o, diversamente, in conseguenza delle esigenze di riorganizzazione aziendale del datore di lavoro». In primo piano, difatti, è la circostanza per cui la donna, «in seguito alla diagnosticata patologia neoplasica del sangue», «non ha mancato di presentare domanda di riconoscimento di invalidità civile, domanda tuttavia disattesa, essendo stata accertata una riduzione permanente della sua capacità lavorativa inferiore al 74%». Tirando le somme, è acclarato che «la riduzione dell'orario lavorativo – e, quindi, del reddito da lavoro – della donna» è connessa alle sue «condizioni di salute».
Presidente e Relatore Bisogni Rilevato in fatto Il sig. P.A. ricorre per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Catania numero 2150/2019 che ha accolto parzialmente il reclamo incidentale della sig.ra S.M.L. e ha confermato la statuizione emessa in primo grado dal Tribunale di Catania con la quale era stato rigettato il ricorso del sig. P. ex L. numero 898 del 1970 articolo 9 e accolto parzialmente il ricorso incidentale della sig.ra S.M.L. In sede di giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio era stato fissato in 1.200 Euro il contributo del padre al mantenimento dei tre figli conviventi con la madre ed era stato imposto al P. un contributo di 700 Euro mensili a favore della S. che, non risiedendo più nella casa familiare, aveva dovuto locare un appartamento per sé e per i figli. Con il ricorso ex articolo 9 P.A. aveva chiesto la revoca del contributo mensile di 700 Euro e la riduzione a 900 Euro mensili del contributo al mantenimento dei figli. S.M.L. aveva chiesto il rigetto di tali richieste e, con ricorso incidentale, l'imposizione di un assegno divorzile a carico del P. e l'aumento sino a 2.000 Euro del contributo mensile al mantenimento dei figli. Il Tribunale aveva respinto il ricorso del sig. P. e accolto parzialmente il ricorso della sig.ra S. riconoscendole il diritto a un assegno divorzile di 500 Euro mensili. La Corte di appello di Catania ha accolto la richiesta proposta con reclamo incidentale da S.M.L. di aumento a 2.000 Euro mensili del contributo dovuto per il mantenimento dei tre figli maggiorenni ma non ancora autosufficienti economicamente e ha confermato nel resto la decisione del Tribunale. Il ricorso per cassazione di P.A. è fondato su un solo motivo con il quale si deduce la nullità della sentenza in relazione all' articolo 360 c.p.comma , numero 4 per violazione dell' articolo 112 c.p.comma e dell'articolo 132 comma 2 numero 4 c.p.comma Il ricorrente lamenta l'omessa pronuncia nonché la carenza assoluta di motivazione della Corte di appello sulla sua richiesta di revoca dell'assegno divorzile e del contributo mensile alla locazione della abitazione nella quale risiede la S. con i figli. Si difende con controricorso S.M.L. eccependo l'improcedibilità, inammissibilità e infondatezza del ricorso. Ritenuto in diritto La Corte rileva la tempestività dell'iscrizione a ruolo e del deposito del ricorso notificato nella sua interezza il 15 gennaio 2020. Nel sintetizzare i motivi del reclamo di P.A. la Corte di appello ha rilevato che esso si basava sulla inadeguata considerazione della istanza di riduzione del contributo mensile al mantenimento dei figli e sulla assoluta non considerazione delle eccezioni sollevate e delle prove prodotte a sostegno della richiesta di revoca del contributo al pagamento del canone dell'abitazione condotta in locazione dalla S. ronché del riconoscimento dell'assegno divorzile giustificati l'uno e l'altro dal Tribunale in ragione della sopravvenuta malattia oncologica dell'odierna reclamata e della conseguente riduzione dell'orario di lavoro . Vi è stata pertanto una corretta identificazione, da parte della Corte di appello, dei due motivi di reclamo proposti dal P. Identificazione che peraltro non viene contestata con il ricorso per cassazione. Il giudice del reclamo ha riscontrato esplicitamente la infondatezza di entrambi i motivi. Quanto al secondo, relativo alla richiesta revoca dell'assegno divorzile e del contributo mensile di 700 Euro alla locazione dell'abitazione della S. e dei figli, la Corte distrettuale ha ritenuto non decisivo accertare se la S. si sia vista ridurre l'orario df lavoro in conseguenza del peggioramento del suo stato di salute o, diversamente, in conseguenza delle esigenze di riorganizzazione aziendale del datore di lavoro in quanto ha attribuito valenza troncante alla circostanza per cui la sig.ra S., in seguito alla diagnosticata patologia neoplasica del sangue, non ha mancato di presentare domanda di riconoscimento di invalidità civile, domanda tuttavia disattesa, - per ciò che rileva ai fini della disamina della difesa svolta sul punto con il reclamo dal sig. P.-, essendo stata accertata una riduzione permanente della capacità lavorativa inferiore al 74%. La Corte di appello ha in tal modo analizzato e respinto le difese del P. che erano incentrate nel contestare la rilevanza della riduzione dell'orario lavorativo - e quindi del reddito da lavoro della P.- attribuendo tale riduzione alle condizioni di salute intervenute e rilevando l'inerzia della beneficiaria dell'assegno e del contributo nel richiedere le prestazioni previdenziali e assistenziali che avrebbero attenuato o eliso le conseguenze negative della riduzione dell'orario di lavoro sul suo reddito. Deve pertanto rilevarsi che la Corte di appello ha esplicitamente statuito sui motivi di reclamo proposti dal sig. P. e ha motivato unitariamente in rapporto speculare con la motivazione del giudice di primo grado e con la stessa prospettazione del reclamante respingendo sia la richiesta di revoca dell'assegno che del contributo alla locazione per le citate ragioni che devono ritenersi chiare ed esausl ive. Nè il ricorrente deduce ulteriori difese o eccezioni prospettate nel giudizio sul reclamo che non sarebbero state esaminate dalla Corte di appello. Non può non ribadirsi quanto al vizio di omessa pronuncia la giurisprudenza di legittimità che impone la specificazione nel ricorso per cassazione del contenuto della censura che non sarebbe stata esaminata nel giudizio di secondo grado e la dimostrazione dell'attualità della sua deduzione al momento della precisazione delle conclusioni cfr. Cass. civ. sez. III numero 41205 del 22 dicembre 2021 La parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell' articolo 112 c.p.comma per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell'atto di appello, è tenuta, ai fini dell'astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, e a precisare - a pena di inammissibilità - che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni . Per quanto riguarda la lamentata carenza della motivazione la giurisprudenza di questa Corte è costante sin dal 2014 Cass. Civ. S.U. numero 8053 del 7 aprile 2014 nel rilevare come, in seguito alla novellazione dell' articolo 360 c.p.comma , numero 5 l'impugnazione per cassazione è limitata alla deduzione dell'omesso esame da parte del giudice del merito di un fatto specifico, rilevante e che ha costituito oggetto del contraddittorio nel giudizio di merito ovvero alla denuncia di una anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé,, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione . Evidente per le ragioni sin qui esposte che nessuna di queste due ipotesi residue del sindacato di legittimità sulla motivazione può ritenersi esistente nel caso in esame Ne deriva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui 200 per spese. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002 articolo 1 3 comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell 'articolo 13 comma 1 bis dello stesso D.P.R. numero 115 del 200 2. Dispone che in caso di pubblicazione o diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.