Centralità e autonomia del consenso informato rispetto al trattamento medico: la responsabilità medica in caso di decesso

Interessante questione sui legami tra la centralità del consenso informato, l’alterazione della cartella sanitaria e il nesso di causa con il decesso poi avvenuto del paziente. Si pone, in particolare, la questione se il medico è responsabile, anche quando la terapia è conforme al protocollo sanitario e quando i farmaci così somministrati non hanno portato al decesso del paziente, ossia la rilevanza della violazione degli obblighi informativi da parte del medico in relazione all’esito della terapia.

La Suprema Corte interviene sul punto cassando la decisione di merito e ponendo al centro la centralità e l'autonomia del consenso informato rispetto al trattamento medico, stante la violazione di due distinti diritti l'autodeterminazione e la salute . In una complessa vicenda processuale vede alcuni medici condannati per falsificazione della data e della scheda relativa ad analisi su prelievi per la coagulazione del sangue. La vicenda assume contorni ancor più gravi perché il paziente era un bambino ricoverato affetto da leucemia linfoblastica acuta, alla fine deceduto . Dal punto di vista civilistico, la Corte territoriale riteneva, a seguito di CTU, la conformità della terapia seguita ai protocolli sanitari non altrimenti sostituibile per la cura della leucemia linfoblastica acuta ed escludeva che i farmaci somministrati e il negligente monitoraggio del medico sull'assetto di coagulazione del sangue avessero influito sul decesso, da attribuirsi con elevato grado di probabilità alla comparsa improvvisa di sepsi dovuta ad infezione da stafilococco seguita da neutropenia. La Corte territoriale escludeva, altresì che la violazione degli obblighi informativi in quanto deficit conoscitivo irrilevante rispetto all'epilogo fatale . Le questioni sono due La violazione degli obblighi informativi determina il mancato coinvolgimento nella scelta terapeutica, vieppiù in presenza di un protocollo sperimentale, e una responsabilità medica omissiva? La mancata informativa lede il diritto all'autodeterminazione nella cura? La falsificazione della documentazione sanitaria costituisce un fatto lesivo di un generico interesse alla genuinità e veridicità dei documenti, non produttivo di danno non patrimoniale? Oppure ha leso un interesse specifico a conoscere il contesto storico in cui il paziente è deceduto? Per il Giudice di merito aveva dato risposta positiva alle prime domande. Dunque il medico è esente da responsabilità? Niente affatto. La Cassazione cassa con rinvio il punto focale non è la natura sperimentale del protocollo terapeutico, ma le modalità di esecuzione dello stesso protocollo con riferimento al negligente monitoraggio dell'assetto coagulativo del sangue, l'utilizzo di farmaci alternativi, il doveroso coinvolgimento dei genitori nella scelta della sperimentazione terapeutica per offrire loro la possibilità di optare tra farmaci alternativi peraltro la Cassazione censura la sentenza impugnata anche perché, provenendo da un giudizi di rinvio, non aveva neppure seguito le indicazioni della Cassazione non risulta agli atti alcun consenso informato completo ed adeguato se non un modulo sottoscritto solo dalla madre e relativo solo alla somministrazione di un farmaco diverso manca una valida documentazione scritta attestante un'idonea informativa per un percorso farmacologico sperimentale che era doverosa si è violato il diritto all'autodeterminazione dei genitori . Così la Suprema Corte conferma i seguenti principi di diritto già espressi in passato la manifestazione del consenso del paziente o dei genitori in caso di minorenne alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del fondamentale diritto all'autodeterminazione in ordine al trattamento medico e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento negli artt. 2, 13 e 32 comma 2 Cost. sebbene l'inadempito all'obbligo di acquisire il consenso informato sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico comportando la violazione di distinti diritti, ossia all'autodeterminazione e alla salute , in ragione dell'unitarietà del rapporto medico-paziente che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali alla cura e risanamento del paziente , non può affermarsi una assoluta autonomia delle fattispecie illecite - per omessa informazione e per errata esecuzione del trattamento terapeutico - tale da escludere ogni interferenza delle stesse nella produzione del medesimo danno-conseguenza, bene essendo - invece - possibile che anche l'inadempimento della obbligazione avente a oggetto la corretta informazione sui rischi benefici della terapia venga a inserirsi tra i fattori concomitanti della stessa serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo pertanto riconoscersi alla omissione informativa una astratta capacità plurioffensiva , in quanto potenzialmente idonea a ledere distinti interessi sostanziali, rispettivamente il diritto alla autodeterminazione e il diritto alla salute entrambi - quindi - suscettibili di reintegrazione risarcitoria, laddove sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di tali diritto siano derivate conseguenze dannose Cass. civ., sez. III, 11.11.2019 n. 28985 Cass. civ. sez. III, 25.6.2019, n. 16892 in materia di responsabilità sanitaria, qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, un danno cosiddetto biologico , ai fini dell'individuazione della causa immediata e diretta ex art. 1223 c.c. di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale , quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute determinata dalla successiva errata esecuzione della prestazione professionale, mentre, se egli avesse negato il consenso, il danno cosiddetto biologico scaturente dall'inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile ab origine alla violazione dell'obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all'errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza Cass. civ., sez. III, 16.11.2020, n. 25878 Cass. civ., sez. III, 11.11.2019, n. 28985 le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all'autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l'onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva criterio della cd. vicinanza della prova , essendo, il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico, eventualità non rientrante nell'i d quod plerumque accidit al riguardo la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall'omessa informazione. In tema di attività medico-chirurgica i confini entro cui ci si deve muovere ai fini del risarcimento in tema di consenso informato sono i seguenti nell'ipotesi di omessa o insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale è egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun risarcimento sarà dovuto nell'ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli ha impedito tuttavia di accedere a più accurati attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto costituzionalmente tutelato all'autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici Cass. civ., sez. III, 7.10.2021, n. 27268 . Sicuramente la sentenza in esame evidenzia traccia le coordinate su una materia molto complessa.

Presidente Travaglino Relatore Pellecchia Fatti di causa 1. La vicenda processuale trae origine dal decesso del piccolo P.G. avvenuto in data omissis presso il omissis , nosocomio in cui era ricoverato in quanto affetto da leucemia linfoblastica acuta. In particolare, a seguito del decesso, i genitori P.M. e P.T. presentavano diverse denunce all fine di far accertare la diligenza della condotta serbata dai sanitari S.N. e A.M. che, nel periodo compreso tra il 25 gennaio e la data del decesso, avevano avuto in cura il proprio figlio. Dopo l'espletamento delle indagini preliminari e la formulazione dei capi di imputazione da parte del il G.U.P. del Tribunale di Bari, con la sentenza del 28 novembre 2003, all'esito del giudizio abbreviato, dichiarava il S. e la A. colpevoli dei reati di cui agli artt. 110, 81 e 476 c.p. per avere, in concorso tra loro, falsificato la cartella clinica di P.G. facendo risultare come avvenute delle analisi dei valori della coagulazione del sangue in realtà mai effettuate assolveva il S. dal reato di cui all' art. 589 c.p. perché il fatto non sussiste rigettava l'istanza di risarcimento danni avanzata dalle parti civili costituite. 2. La Corte d'Appello di Bari, con la sentenza del 25 novembre 2005, in parziale riforma della decisione impugnata, limitava la colpevolezza del S. e della A. per i reati di cui agli artt. 110, 81 e 476 c.p. alla falsifica.zione della data riportata sul report di stampa e sulla scheda cartonata relativa alle analisi effettuate sui prelievi del 20 agosto assolvendoli - in quanto il fatto non sussiste - dalle residuali ipotesi di falsità accertate in primo grado e confermando nel resto l'impugnata sentenza. 3. Avverso tale decisione ricorrevano in Cassazione gli imputati S. e A. , le parti civili e il Pubblico Ministero, che chiedeva la condanna per omicidio colposo. La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 22192/08 , depositata il 3 giugno 2008, rigettava i ricorsi degli imputati, accoglieva le doglianze dei coniugi P. ed annullava la sentenza impugnata agli effetti civili, rinviando, ai sensi dell' art. 622 c.p.p. , al Giudice civile competente per valore in grado di Appello. In particolare, la Corte accertava un evidente difetto di motivazione della sentenza impugnata per vizi di preterizione, non essendosi la Corte territoriale pronunciata su decisive deduzioni svolte dalle parti civili nei motivi di appello, deduzioni con cui erano state avanzate specifiche e rigorose censure nei confronti della decisione di primo grado. 4. Riassunto il giudizio ex artt. 622 c.p.p. e 392 c.p.c. dai coniugi P. , la Corte d'Appello civile di Bari, con la sentenza n. 2090/2018, pubblicata in data 21 novembre 2018, rigettava la domanda di risarcimento del danno formulata dagli attori in riassunzione e disponeva l'integrale compensazione delle spese di lite. In particolare il Giudice territoriale, pronunciandosi limitatamente al Menta decidendum delineato dalla Corte di Cassazione e sulla base della consulenza tecnica collegiale espletata nel corso del giudizio di riassunzione, accertava la conformità della terapia seguita dai sanitari al protocollo AIEOP-95.02 - non altrimenti sostituibile per la cura della leucemia linfoblastica acuta escludendo che i farmaci somministrati al paziente e il negligente monitoraggio dell'assetto coaugulativo del sangue da parte del Dott. S. avessero influito sul decesso, che era da ricondursi con elevato grado di probabilità alla comparsa improvvisa di sepsi dovuta ad infezione da Staphyloccus seguita da grave neutropenia . Escludeva altresì che potesse costituire oggetto di accertamento - in quanto mai messa in discussione dalla Suprema Corte - la violazione degli obblighi informativi da parte del S. , trattandosi di un deficit conoscitivo in ogni caso irrilevante rispetto all'exitus del piccolo paziente. 5. Avverso tale sentenza, propone ricorso per Cassazione P.M. sulla base di tre motivi di ricorso. 5.1. Resistono con controricorso S.N. e A.M. . 5.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 5.1. Con il primo À primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , I comma, n. 3, degli artt. 32, II comma, Cost. , art. 651, I comma, c.p.p. , art. 324 c.p.c. , nonché degli artt. 1176, 1218 e 2729 c.c. con riferimento alle norme legislative e regolamentari in materia di consenso informato e obblighi informativi. La Corte, nel ritenere che non costituisse oggetto di accertamento in sede di rinvio la violazione degli obblighi informativi da parte del S. , avrebbe interpretato in maniera errata il contenuto della sentenza della Suprema Corte nonché ritenuto sussistente un giudicato in realtà mai formatosi. giudizio del ricorrente, infatti, il mancato coinvolgimento dei genitori nelle scelte della sperimentazione terapeutica - che avrebbe consentito loro di optare tra farmaci alternativi - rappresenta uno de i presupposti per valutare la responsabilità della condotta omissiva dei sanitari, non potendosi affermare la formazione di un giudicato sul punto atteso che la censura era stata più volte riproposta nel. corso del giudizio. In particolare, sulla scorta di tale errore., la Corte avrebbe poi omesso di considerare che, essendosi fatto ricorso all'utilizzo di un protocollo sperimentale su minore, la cogenza dell'obbligo informativo diveniva ancora più stringente, richiedendosi un consenso acquisito in forma scritta. Lamenta inoltre che la mancanza di informativa abbia leso il loro diritto all'autodeterminazione nella cure. 6.1. Con il secondo motivo di ricorso articolato in più censure, il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111, VI comma, Cost. , degli artt. 1176 e 2059 c.c., art. 185 c.p., nonché degli artt. 2729 e 2697 c.c. in relazione all' art. 360, I comma, n. 3 c.p.c. e la nullità della sentenza e/p del procedimento ai sensi dell' art. 360, I comma, n. 4, c.p.c. , per violazione e falsa applicazione dell' art. 111, VI comma, Cost. e art. 112 c.p.c. per mancanza assoluta di motivazione su domanda ritualmente proposta. La Corte avrebbe erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno subito dai coniugi P. a. causa della falsificazione della documentazione sanitaria, ritenendolo un fatto lesivo di un generico interesse alla genuinità e veridicità dei documenti falsificati e non produttivo di un danno non patrimoniale. Il ricorrente evidenzia al riguardo come il'L delitto di falso abbia invece leso non soltanto l'interesse alla veridicità e genuinità dei mezzi probatori documentali ex artt. 24 e 111 Cost. , ma altresì lo specifico interesse a poter conoscere il contesto storico in cui si è verificata la morte del proprio figlio. Così facendo il Giudice del rinvio avrebbe emesso una sentenza con una motivazione apparente ma in realtà inesistente, con una grave violazione dei principi consolidati presso la Suprema Corte di Cassazione. 6.2. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell' art. 360, I comma, n. 3 c.p.c. la violazione e/o la falsa applica.zione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2729 c.c. , nonché degli arti. 1176, 2043 e 2059 c.c. La Corte d'Appello di Bari avrebbe erroneamente considerato come fungibili i farmaci somministrati al piccolo P. a fronte dell'evidente maggiore tossicità dell'Asparaginasi in forma Medac rispetto all'Erwinase avrebbe altresì omesso di valutare le consulenze tecniche attestanti la falsità della documentazione sanitaria nonché il mancato monitoraggio del paziente da parte dei sanitari si sarebbe, infine, riportata acriticamente a quanto affermato dal collegio peritale nominato nel giudizio di rinvio. Inoltre, il ricorrente censura il nesso eziologico fra condotta ed evento, affermando che, in applicazione del principi sussistenti in tema di responsabilità civile da colpa medica, è indubbio che, anche sulla scorta di un ragionamento presuntivo e controVattuale, la violazione degli obblighi informativi, l'omessa esecuzione delle analisi dei valori della coagulazione e il conseguente utilizzo di farmaci di elevata tossicità abbiano cagionato la C.I.D. coagulazione intravasale diffusa e, quindi, il prematuro decesso del paziente. 7. Il primo e secondo motivo, congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione, sono fondati. 7.1. Occorre, innanzitutto, verificare se la Corte Territoriale si pronunciata nei limiti del thema decidendum delineato dalla Corte di Cassazione. Sia pagina 5 del ricorso e sia a pag. 14, ultimo capoverso, della sentenza impugnata, viene riportata la motivazione della sentenza di rinvio della cassazione pag. 7 dove viene specificato che in ordine al protocollo Aieop, adottato dal S. , il punto focale, rimarcato dalle parti civili e completamente sfuggito nell'iter logico seguito dei giudici d'appello, non concerne la natura sperimentale o terapeutica di tale protocollo, ma riguarda le modalità di esecuzione dello stesso protocollo con riferimento alle censure delle parti civili circa il negligente monitoraggio dell'assetto coagulativo del sangue, l'utilizzo arbitrario di farmaci alternativi, il doveroso coinvolgimento dei genitori nella scelta della sperimentazione terapeutica, per offrire loro la possibilità di optare tra farmaci alternativi . 7.2. Ebbene la sentenza impugnata a pag.13 riporta le conclusioni del collegio peritale dove hanno stabilito che nella documentazione in atti non risulta allegato alcun consenso informato sottoscritto da entrambi genitori del piccolo P. relativo alla terapia sperimentale messo in atto, risulta unicamente allegato un modulo di consenso informato sottoscritto dalla madre, relativo alla somministrazione di una variante dell'L-Asparaginasi, che per i contenuti e le modalità di presentazione appare carente ed inadeguato. La mancanza di una valida documentazione scritta atte stante l'effettuazione di una idonea informazione ai genitori rappresenta un elemento che contraddice una doverosa responsabilità di comportamento dei sanitari dell'ospedale omissis il riferimento ad un percorso farmacologico sperimentale che esplicitamente lo richiedeva. 7.3. Pertanto, erra la Corte d'appello dove ritiene, con una motivazione apparente, a pagina 15 della sentenza che tale inciso, dunque non pone in discussione nella forma, nè tantomeno l'esistenza del consenso dei genitori del piccolo G. alla cura praticata e ai farmaci specificatamente utilizzati, ponendo all'attenzione di questa Corte d'appello, quale giudice del rinvio unicamente il problema della possibilità di optare tra farmaci alternativi. E conclude affermando all'evidenza esula dal ben diverso e più ampio tema del consenso informato sul quale lo stesso collegio peritale ha ritenuto di esprimersi. Infine, conclude la sentenza impugnata che la sentenza della Corte di Cassazione ha affidato al giudice di rinvio l'accertamento sulla corretta esecuzione del protocollo non che l'accertamento del nesso causale tra le scelte terapeutiche effettuate l'evento lesivo. Ebbene il giudice del rinvio con tale motivazione, al contrario di quanto afferma, ha violato i parametri del thema decidendum indicato dalla Suprema Corte che riguarda le modalità di esecuzione dello stesso protocollo con riferimento alle censure delle parti civili circa il negligente monitoraggio dell'assetto coagulativo del sangue, l'utilizzo arbitrario di farmaci alternativi, il doveroso coinvolgimento dei genitori nella scelta della sperimentazione terapeutica, per offrire loro la possibilità di optare tra farmaci alternativì. 7.4. Pertanto, si è violato con la sentenza impugnata il diritto all'autodeterminazione dei genitori. In tema di responsabilità sanitaria, questa Corte, con la sentenza n. 28985/2019, confermata da Cass. n. 9706/2020 e Cass. n. 24471/2020 , ha affermato i seguenti principi cui il collegio intende dare seguito 1 la manifestazione del consenso del paziente o genitori se il paziente è minorenne alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all'autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento diretto nei principi degli artt. 2, 13 e 32, comma 2, Cost. 2 sebbene l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico comportando la violazione dei distinti diritti alla libertà di autodeterminazione e alla salute , in ragione dell'unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente - che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura o del risanamento del soggetto - non può affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno è possibile, invece, che anche l'inadempimento dell'obbligazione relativa alla corretta informazione sui rischi e benefici della terapia si inserisca tra i fattori concorrenti della serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo quindi riconoscersi all'omissione del medico una astratta capacità plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi interessi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche conseguenze dannose 3 qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, unicamente un danno biologico, ai fini dell'individuazione della causa immediata e diretta ex art. 1223 c.c. di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento o di cure , la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dalla errata esecuzione della prestazione professionale mentre, se egli avrebbe negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile ab origine alla violazione dell'obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all'errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza 4 le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all'autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l'onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva criterio della cd. vicinanza della prova , essendo il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico eventualità non rientrante nell'id quod plemmque accidit Cass. 2847/2010 e successive conformi al riguardo, la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall'omessa informazione. Pertanto, i confini entro cui ci si deve muovere ai fini del risarcimento in tema di consenso informato sono i seguenti a nell'ipotesi di omessa o insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale è egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun risarcimento sarà dovuto b nell'ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli ha impedito tuttavia di accedere a più accurati attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto costituzionalmente tutelato all'autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici. Ebbene nel caso di specie il ricorrente ha correttamente censurato la sentenza impugnata in quanto con i motivi di ricorso ha riproposto che la mancanza di informativa abbia leso il loro diritto all'autodeterminazione nella cure. 7.1. 11 terzo motivo è infondato. In particolare, in materia di responsabilità sanitaria, atteso che la consulenza tecnica è di norma consulenza percipiente a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche e che, proprio gli accertamenti in sede di consulenza offrono al giudice il quadro dei fattori causali entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale, ne consegue che, dato che la consulenza ha concluso per la esclusione del nesso causale, il giudice ha applicato correttamente il criterio della regolarità causale là dove ha affermato che la condotta dei sanitari non è stata la causa del decesso del piccolo paziente. Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, facendole proprie, affinché i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera progettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l'entità e l'incidenza del dato patologico al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice Corte di Cass., Sez. L, sent. n. 7341/2004 . Nel caso di specie, la Corte Territoriale in punto di nesso causale, con una motivazione logica ed esaustiva, ha escluso che la condotta dei sanitari abbia contribuito alla serie causale culminata col decesso. 8. Pertanto la Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, come motivazione, rigetta il terzo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio alla corte d'appello di Bari in diversa composizione personale. P.Q.M. la Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, come motivazione, rigetta il terzo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio alla corte d'appello di Bari in diversa composizione personale.