COVID-19 come infortunio sul lavoro per i medici: ok all’operatività della polizza infortuni

L’assicurazione privata che garantisce gli infortuni da lavoro è operativa in favore degli eredi del medico deceduto per COVID-19 il quale, nel periodo di presumibile contagio, operava in una RSA che rappresentava un focolaio di contagi. Dalle prove si è infatti evinto che il sanitario avesse lavorato nella RSA dove vi era un’altissima concentrazione di casi, pertanto è risultato provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che contrasse il COVID-19 sul luogo di lavoro e in occasione dello stesso.

L'azione degli eredi del medico deceduto per COVID. Alcuni eredi di un medico hanno agito avverso una compagnia di assicurazione chiedendo al Tribunale, previo riconoscimento dell'infezione da COVID-19, e quale infortunio sul lavoro, o comunque causa rientrante tra quelle coperte dalla polizza attivata, di condannare la medesima convenuta all'esborso di euro 130.000 in favore dei medesimi eredi, a seguito del decesso del sanitario per infortunio dopo aver contratto il virus sul luogo di lavoro. Per l'effetto, la difesa degli attori ha sostenuto la tesi che il COVID-19 rappresentasse causa di un infortunio e non di una malattia. La compagnia si costituiva in giudizio sostenendo che il pagamento non era dovuto in quanto la polizza prevedeva il pagamento causa morte solo per infortunio e, inoltre, che l'infezione da COVID non rientrasse tra tale categoria. Veniva altresì contestato che il dottore avesse contratto l'infezione nel corso del lavoro. L'occasione dello svolgimento della prestazione lavorativa. Secondo il Tribunale, occorre verificare anzitutto se il medico abbia contratto il COVID-19 in occasione del proprio lavoro, rivestendo presupposto per l'operatività della polizza. La Circolare Inail numero 13 del 2020 statuisce che i casi di malattie infettive e parassitarie sono collocate dall'ente nella categoria degli infortuni sul lavoro e, nella precedente Circolare numero 8, aveva sostenuto, per tali eventi, la sussistenza di una presunzione semplice di contagio previo accertamento di alcune circostanze di fatto, come la qualificazione del livello di rischio dell'attività lavorativa svolta, la corrispondenza tra lo svolgimento dell'attività lavorativa e la categoria generale richiamata, la coincidenza tra dato epidemiologico territoriale, picco pandemico, e contagio. Tali Circolari pongono una presunzione semplice di natura professionale, a favore degli operatori sanitari. Al contempo, è stato osservato che il medico stava svolgendo la sua attività visitando pazienti in strutture RSA e a domicilio, anche se affetti da COVID-19, come confermato in istruttoria sia dalle testimonianze che dalla documentazione prodotta dagli eredi. Nel periodo di presumibile contagio, la struttura dove operava rappresentava un focolaio di contagi. Dalle prove si è infatti evinto che il medico avesse lavorato nelle RSA dove vi era un'altissima concentrazione di casi, pertanto è risultato provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che contrasse il COVID-19 sul luogo di lavoro e in occasione dello stesso. In linea con le raccomandazioni Inail numero 8 e numero 20 in tema di coincidenza tra dato epidemiologico territoriale, picco pandemico e contagio, il contagio del medico era avvenuto proprio nella fase in cui la diffusione del virus aveva iniziato ad avere un'ulteriore crescita a causa dei contagi all'interno delle RSA dove operava. Per l'effetto, applicando, a seguito dell'interpretazione del contratto, la richiamata Circolare Inail, l'appartenenza del lavoratore alle categorie a elevato il rischio professionale determina, quindi, il riconoscimento medico-legale e del nesso causale. Pertanto, secondo il Tribunale è ritenuta raggiunta la prova del nesso causale tra l'attività lavorativa e l'infezione, essendosi l'infortunio verificato sul lavoro e in occasione di esso. La configurazione del contagio da COVID come infortunio. L'interpretazione del contratto da parte del giudice ha fatto riferimento all' articolo 42, comma 2, d.l. numero 18 del 2020 , il quale ha stabilito che nelle ipotesi accertate di infezione da coronavirus in occasione di lavoro, il medico certificatore deve redigere il consueto certificato di infortunio e inviarlo telematicamente all'Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato. Inoltre, la norma richiamata precisava che le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell'oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articolo 19 e seguenti del decreto interministeriale 27 febbraio 2019. Detta disposizione, per esplicito dettato, trova applicazione ai datori di lavoro sia pubblici che privati. Le occasioni di lavoro. A seguito dell'introduzione della richiamata norma, l'infezione da coronavirus avvenuta in occasione di lavoro è risultata considerata infortunio a tutti gli effetti e non malattia professionale. Il Tribunale ha inoltre precisato che per occasioni di lavoro l'ente fa riferimento a tutte le situazioni, incluse quelle ambientali, nelle quali si svolge l'attività lavorativa, ove è imminente il rischio per il lavoratore. Nella specie, il Tribunale ha ulteriormente osservato che al fine di escludere la operatività di una polizza privata contro gli infortuni per gli effetti da COVID-19, si potrebbe ritenere che, mentre l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro deve sopperire a peculiari necessità anche di carattere sociale, l'assicurazione privata non ha tali presupposti. Tuttavia, l'assicurazione si è limitata a mantenere la classificazione di infortunio, senza ulteriori delimitazioni di rischio pertanto, intendeva assicurare anche gli infortuni conseguenti a infezioni microbiche virali, come si è dimostrato il coronavirus e la conseguente pandemia. In definitiva, è stato ritenuto provato che l'infezione intervenuta sia risultata fortuita, poiché non ha rappresentato il frutto di un atto volontario e non vi è stato, e neppure è stato provato, un comportamento imprudente del medico. La polizza, stipulata dallo stesso sanitario deceduto, è stata quindi considerata pienamente operativa per l'infortunio dal medesimo patito a causa dell'infezione da Covid-19 contratta in occasione dell'attività lavorativa. Per l'effetto, in adempimento degli obblighi assunti con il contratto di assicurazione, la compagnia è stata condannata al pagamento in favore degli eredi, in parti uguali, del complessivo importo di euro 130.000, di cui euro 125.000 a titolo di indennizzo, euro 5.000 per il ritardo nella liquidazione, come contrattualmente previsto.

Giudice Paladino Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato, omissis quali eredi legittimi di omissis di omissis agivano in giudizio contro la omissis al fine di veder condannare la convenuta al pagamento della complessiva somma di € 130.000,00 in loro favore, in adempimento della polizza di cui era contraente lo stesso dott. omissis a seguito di infortunio dovuto a contrazione del virus COVID-19 sul luogo di lavoro. Con comparsa di costituzione e risposta la compagnia di assicurazioni ha sostenuto che il pagamento non è dovuto, in quanto la polizza prevedrebbe il pagamento causa morte solo per infortunio e che l'infezione da COVID-19, non rientrando in tale categoria, non consente il pagamento dell'indennizzo, sostenendo, altresì, l'inapplicabilità della normativa emergenziale alle assicurazioni private. La compagnia ha contestato, inoltre, che il Dott. omissis abbia contratto l'infezione durante il lavoro. Ha eccepito, inoltre, la tardività della denuncia del sinistro. Concessi i termini di cui all' articolo 183, comma 6, c.p.comma , venivano depositate le rispettive memorie. Ammesse le prove richieste, sono stati escussi i testi indicati e a seguito dell'udienza di precisazione delle conclusioni, concessi i termini di cui all' articolo 190 c.p.comma , la causa è stata trattenuta in decisione. Motivi in fatto ed in diritto della decisione Gli attori, quali eredi del Dott. omissis , Medico di Medicina Generale sostengono che la polizza collettiva, sottoscritta dall'EMPAM a beneficio dei medici di medicina generale che includerebbe la garanzia morte per infortunio , sia operativa anche per la morte a causa di contagio da COVID-19. Gli eredi del Dott. omissis morto dopo aver contratto il COVID-19, assumono quindi di vantare un diritto al pagamento dell'indennizzo nei confronti della convenuta, assumendo che il COVID-19 sia un infortunio e non una malattia. Gli attori sostengono che - il dott. omissis nello svolgimento della propria attività di Medico assisteva privati e soggetti ricoverati presso le RSA di Vercelli e conseguentemente avrebbe contratto il COVID-19 SARS-Cov-2 , come da certificato del dott. omissis , presso la RSA di Vercelli e Villata, in ragione di un'alta concentrazione di soggetti COVID-19 positivi - il dott. omissis avrebbe quindi contratto il COVID-19 proprio sul luogo di lavoro - in caso di morte per infortunio la polizza ENPAM prevede un indennizzo pari ad € 125.000,00 - la Compagnia convenuta, intimata a adempiere con lettera datata 21.12.2020, ha respinto la richiesta evidenziando che il COVID-19 non è un infortuno, ma una malattia e la polizza non indennizza il decesso in conseguenza di una malattia - l'infezione da COVID-19 deve essere qualificata un infortuno sul lavoro ai sensi dell' articolo 42 del D.L. 18/2020 , convertito in legge 27/2020 - l'INAIL con circolare datata 03.04.2020, stabilisce che l'infezione COVID-19, contratta in occasione dello svolgimento dell'attività medico-sanitaria, deve equipararsi, a tutti gli effetti di legge, ad infortunio sul lavoro Sulla base di tali argomentazioni gli attori hanno chiesto il pagamento dell'indennizzo per morte da COVID-19 titolando la richiesta come indennizzo per infortunio e, precisando, in particolare che - il dott. omissis si sarebbe contagiato sul luogo di lavoro ed è quindi da considerarsi infortunio sul lavoro - secondo i principi generali delle polizze infortuni che prevedono la risarcibilità in caso di morte dell'assicurato, vi rientrano tutti i tipi di infezioni e quindi anche l'infezione da COVID-19 - sussisterebbe anche la risarcibilità ai sensi del punto F dell'articolo 1 della sezione delle condizioni di assicurazione comuni a tutti i settori che vangano considerati infortuni per cui è risarcibile il danno da morte per tutte le conseguenze delle infezioni - sarebbero inoltre decorsi 70 giorni dall'invio alla Compagnia della documentazione richiesta e pertanto, ai sensi dell'articolo 3 sez. II paragrafo garanzie di polizza , la convenuta dovrebbe essere tenuta altresì al pagamento di una penale pari a 5.000,00 euro per ritardata liquidazione - in data 04.03.2021 il difensore degli attori invitava omissis ad adempiere - la convenuta, in data 22.03.2021, confermava di non poter indennizzare il sinistro perché infortunio e malattia non sono assimilabili, ribadendo comunque che l' articolo 42 del D.L. 18/2020 non si applica alle assicurazioni private e che il punto f dell'articolo 1 della garanzia contratta dal de cuius limiterebbe l'indennizzo alle infezioni causate da morsi di animali o punture d'insetti che presuppongono sempre un traumatismo La omissis si è costituita in giudizio, eccependo la scopertura del sinistro sostenendo che 1 La polizza, posta a fondamento della domanda, è una collettiva contratta dall'ENPAM a beneficio dei medici di continuità assistenziale per i seguenti rischi i Copertura primi trenta giorni di malattia e conseguenze economiche di lungo periodo ii Invalidità permanente e caso morte in conseguenza di infortunio iii Invalidità permanente da malattia. 2 La polizza non è stata predisposta da omissis ma dall'ENAPM la quale ha indetto un bando pubblico di gara con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. 3 La polizza predisposta dall'Enpam distingue tra le garanzie per malattia da quelle per infortunio e tra le prime non c'è la morte per malattia. 4 Il COVID-19 è una malattia e quindi l'evento non è in copertura. 5 L' articolo 42 del DL 18/2020 è norma di comparto indirizzata all'assicuratore sociale ovvero all'INAIL a protezione di lavoratori dipendenti e a quelli assimilati che - in ogni caso - beneficiano della tutela INAIL. 6 I medici di continuità assistenziale non beneficiano della tutela INAIL e omissis non è un assicuratore sociale e, quindi, l'articolo 42 del Cura Italia non si applica al caso in esame. 7 Tutta la giurisprudenza che si è pronunciata sul punto ha confermato che malattia e infortunio sono rischi diversi e che il COVID-19 è una malattia e, quindi, ove 1 evento morte sia indennizzato solo in conseguenza di infortunio la morte per COVID-19 non è evento in copertura v. fascicolo Cattolica docomma nnumero 8-10-11 . Fin qui le posizioni delle parti che si sono ulteriormente arricchite di altre argomentazioni ed eccezioni che vanno, preliminarmente, risolte. La prova della qualità di eredi degli attori Soltanto in sede di comparsa conclusionale la convenuta ha eccepito la mancanza della prova dello status di eredi da parte degli attori, pur risultando che la stessa ha ricevuto il pertinente atto notorio, peraltro prodotto dagli attori, indubbiamente eredi legittimi del de cuius. L'eccezione è del tutto tardiva, formulata ben oltre la instaurazione del contraddittorio tra le parti, senza che nella fase di costituzione in giudizio o istruttoria o alla precisazione delle conclusioni la convenuta abbia eccepito alcunché, pur trattandosi di questione inerente la legittimazione ad agire degli attori e, come tale, non può che essere respinta. Nessun dubbio sussiste, peraltro, sulla qualità di eredi legittimi degli attori, condizione necessaria per ottenere l'indennizzo. La questione della tardività della denuncia di infortunio La convenuta assicurazione eccepisce, altresì, la tardività della denuncia di sinistro. Muovendo dalla premessa - tutta da dimostrare - che il COVID-19 rientri, sotto il profilo assicurativo nel novero delle malattie e non sia considerabile un infortunio, la convenuta sostiene, pertanto, che è ontologicamente indimostrabile l'epoca del contagio e, pertanto, che sarebbero ampiamente superati i trenta giorni contrattualmente previsti, quale termine per l'assicurato per denunciare l'infortunio, non essendo possibile stabilire l'epoca del contagio. Va preliminarmente osservato che l'articolo 2 delle Garanzie Sezioni Infortuni pag. 24 all. 1 di parte attrice dispone che La denuncia dell'infortunio - con l'indicazione del luogo, giorno ed ora dell'evento e delle cause che lo hanno determinato - corredata di referto del pronto soccorso o del medico che ha prestato il primo soccorso, deve essere fatta entro 30 giorni dall'infortunio o dal momento in cui l'Assicurato od i suoi aventi diritto ne abbiano avuto la possibilità . Applicando la clausola in questione agli aventi diritto dell'Assicurato, occorre stabilire da quale momento gli stessi dovessero denunciare l'accaduto. Senonché, solo la morte del dott. omissis costituiva l'evento dal quale poteva sorgere in capo agli eredi il diritto a beneficiare del premio, pertanto la concreta possibilità di farlo va collocata alla data di detto evento, quindi da individuarsi il 18 novembre 2020. La denuncia è stata fatta dagli eredi il 2 dicembre 2020 e, dunque, risultano ampiamente rispettati i trenta giorni dal momento in cui gli aventi diritto dell'Assicurato ne abbiano avuto la possibilità . Il dott. omissis ha contratto il COVID-19 in occasione del proprio lavoro? La risposta positiva al quesito costituisce, indubbiamente, un presupposto per l'operatività della polizza. Come ha anche chiarito autorevole dottrina, un contagio di per sè non è certo facilmente identificabile, nel senso che sussiste una naturale difficoltà nello stabilire, se non con una certa approssimazione, quando ed in quali occasioni si sia verificato, proprio nelle fattispecie, quali quella di cui ci occupiamo, in cui sono plurime le possibilità di contagio. In proposito, e richiamando quanto previsto, in via generale, per tutti i lavoratori di determinati settori, va anche osservato che, con Circolare INAIL numero 13 del 3/4/2020 i casi di malattie infettive e parassitane sono state collocate dall'Ente nella categoria degli infortuni sul lavoro. Peraltro, la stessa INAIL, nella precedente circolare numero 8-20 all. 1 alla prima memoria ex articolo 183, comma 6, c.p.comma degli attori aveva già sostenuto, per detti eventi, l'esistenza di una presunzione semplice di contagio, previo il concreto accertamento di alcune circostanze fattuali a qualificazione del livello di rischio dell'attività lavorativa effettivamente svolta. b Corrispondenza tra lo svolgimento in concreto dell'attività lavorativa e la categoria generale richiamata c Coincidenza tra dato epidemiologico territoriale e picco epidemico/pandemico e contagio. E', quindi, evidente che la predetta Circolare pone una presunzione semplice, di natura professionale, a favore degli operatori sanitari che risultano, appunto, esposti ad un elevato rischio di contagio aggravato fino a diventare specifico. Viene in tal modo giustamente agevolata la prova che può essere richiesta all'infortunato. Tale presunzione semplice, valida per gli operatori sanitari, viene poi estesa anche a favore di soggetti che esercitano altre attività lavorative, che comportano il costante contatto con il pubblico o, comunque, a vantaggio di chi utilizza i servizi sanitari, ovvero coloro che lavorano alle casse o sono addetti alle vendite, fino al personale non sanitario operante all'interno degli ospedali, con varie mansioni. Nei casi in cui l'episodio che ha determinato il contagio non sia chiaramente noto o non possa essere provato dal lavoratore, né si possa presumere che il contagio sia avvenuto in considerazione dell'attività svolta dal lavoratore stesso, l'accertamento medico legale, pur seguendo l'ordinaria procedura, privilegerà essenzialmente gli elementi epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale. Si tratta, quindi, di muovere dal contratto assicurativo stipulato tra le parti docomma 1 dell'atto di citazione , per verificare in sede di interpretazione dello stesso se siano operativi, nella specie, i principi generali dettati dalla vigente normativa e dalle circolari integrative degli Enti previdenziali. Va, dunque, stabilito se ad esso siano applicabili, ai fini della ricostruzione del nesso causale tra attività lavorativa e infortunio o malattia, le disposizioni sopra indicate, quantomeno sotto il profilo dei criteri indicati in mancanza di prova diretta. Orbene, a pag. 35 del contratto prodotto dagli attori è dato leggere articolo 22 - INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO Si conviene fra le Parti che, in caso di dubbio nell'interpretazione anche di una delle condizioni di polizza, si dovrà intendere che le stesse devono interpretarsi in senso conforme a quello in cui tali condizioni possano essere ritenute legittime e non contrarie a disposizione di legge e all'A.C.N. in ogni caso, verrà data l'interpretazione più estensiva e più favorevole all'Assicurato su quanto contemplato dalle condizioni tutte di polizza. Muovendo da questa clausola, di per sé chiarissima e facendo applicazione del principio posto dall' articolo 1370 c.comma , è del tutto evidente che l'applicazione dei criteri dettati dall'INAIL sopra ricordati non appare contraria ad alcuna disposizione di legge o possa essere considerata illegittima. E nessun dubbio può sorgere sul fatto che l'applicazione di detti criteri possa essere il frutto di una interpretazione più estensiva e favorevole all'assicurato, comprese le disposizioni delle leggi speciali in materia. Ciò premesso va, quindi, osservato che A il dott. omissis ha svolto la sua attività di medico visitando pazienti in struttura e a domicilio anche se affetti da COVID-19. La circostanza ha trovato ampia conferma anche in istruttoria nelle testimonianze omissis e nella documentazione prodotta dagli attori. Pacifico che nel periodo presumibile di contagio del dott. omissis certamente avvenuto non oltre 10 giorni l'accertamento della positività al COVID-19, la struttura di omissis era un focolaio di contagi. Basterebbe la vicenda della struttura per ritenere raggiunta la prova che il Dott. omissis svolgesse un'attività ad alto rischio medico . B E, quindi, dimostrato come in quel periodo il dott. omissis stesse svolgendo effettivamente ed in concreto la propria attività professionale in un contesto di rischio elevato fino al momento del contagio, attività di Medico di Medicina Generale assistendo privati e soggetti ricoverati alle RSA di Vercelli, o presso la omissis . Dal certificato redatto dal dott. omissis e dalla sua testimonianza si evince con chiarezza che il Dott. omissis abbia lavorato proprio nelle RSA di Vercelli e Villata dove vi era un altissima concentrazione di casi e pertanto è provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che ebbe a contrarre il COVID-19 proprio sul luogo di lavoro ed in occasione dello stesso, con buona pace della dott.sa omissis che la convenuta, con una decisa caduta di stile, ha ritenuto quale possibile fonte del contagio, essendo provato che fu infettata solo dopo il marito. I testimoni sentiti all'udienza del 21.3.22 hanno ampiamente confermato che il Dott. omissis faceva visite a domicilio anche per altri pazienti affetti da COVID-19 ed ai propri pazienti ricoverati in RSA ed è provato che, per tali visite a domicilio e le visite in RSA, riceveva in busta paga gli ADP e l'emolumento per l'ADI v. doc 1 allegato alla II memoria ex articolo 183, comma 6, c.p.comma degli attori . I testi hanno precisato che Dott. omissis aveva vari mutuati all'interno della omissis e che, nel periodo del settembre-ottobre 2020, vi furono più di 30 casi di COVID-19. Sempre in conformità con la raccomandazione INAIL ssc n 8-20, sulla coincidenza tra dato epidemiologico territoriale e picco epidemico/pandemico e contagio v. allegati 5 e 6 dell'atto di citazione , il contagio del Dott. omissis è avvenuto proprio nella fase in cui la diffusione del Virus ha iniziato ad avere una ulteriore crescita a causa dei contagi all'interno delle RSA dove lavorava. E, dunque, facendo applicazione, a seguito della interpretazione del contratto, della circolare INAIL citata L'appartenenza del lavoratore alle categorie a elevato rischio professionale determina, quindi, il riconoscimento medico-legale del nesso causale. Sulla base delle argomentazioni sin qui svolte, va, pertanto, ritenuta raggiunta la prova del nesso causale tra l'attività lavorativa del dott. omissis l'infezione da COVID-19, essendosi l'infortunio verificato sul lavoro ed in occasione di esso. Sulla questione se il dott. omissis abbia dato causa alla propria infezione con comportamenti superficiali o negligenti. La convenuta assicurazione ha ipotizzato un concorso di colpa del dott. omissis , consistito nel non seguire le linee guida, senza prestare le dovute attenzioni al possibile contagio. Nella seconda memoria ex articolo 183, comma 6, c.p.comma la compagnia assicuratrice ha prodotto il protocollo dell'ASL Toscana centro, che, peraltro, non è dato sapere come sia applicabile al Dott. omissis medico di medicina generale di Vercelli, protocollo che comunque disponeva che i medici di medicina generale MMG dovessero effettuare la sorveglianza dei pazienti COVID-19 e che i pazienti COVID-19 asintomatici o con sintomi lievi potessero essere trattati e sorvegliati dal MMG. In proposito, la omissis nella sua testimonianza del 21.3.22, ha precisato che molti dei pazienti della sua RSA erano asintomatici e che erano seguiti anche dal Dott. omissis . Non è stato in alcun modo provato che il dott. omissis nello svolgimento della propria attività professionale non abbia rispettato o, addirittura, eluso i doveri di sicurezza che le disposizioni vigenti, ma, ancor prima, il buon senso ed il rispetto della propria persona e del paziente, impongono al medico tanto che i testi escussi all'udienza del 21.3.22 hanno confermato che il dott. omissis ha sempre indossato la mascherina durante le visite il dott. omissis ha sempre preteso che il paziente indossasse a sua volta correttamente la mascherina il dott. omissis indossava i guanti protettivi il dott. omissis prestava particolare attenzione e prudenza nell'eseguire le visite il dott. omissis si disinfettava prima e dopo la visita ed esigeva che lo facesse anche il paziente. Non è, pertanto, ipotizzabile alcun concorso di colpa dello sfortunato dott. omissis nella causazione del sinistro. La questione della configurazione del contagio da COVID-19 quale infortunio Si tratta, infine, di stabilire se la domanda attorea sia fondata e, pertanto, se, facendo applicazione della polizza di cui è causa, il COVID-19, contratto incolpevolmente sul luogo ed in occasione del lavoro dal dott. omissis sia infortunio o malattia. Le vittime e le invalidità provocate dalla pandemia di coronavirus, hanno posto immediatamente il quesito relativo alla loro indennizzabilità da parte delle assicurazioni private contro gli infortuni, riconosciuta, invece, dall'INAIL per quegli eventi che risultino riconducibili ad una causa di lavoro. Si sono subito delineate opposte posizioni che conseguono, talora, alla presenza di interessi contrapposti, tanto che nella prima memoria ex articolo 190 c.p.comma la compagnia convenuta giunge a precisare che La particolare delicatezza dell'oggetto della presente controversia ha riflessi significativi sull'intero mercato assicurativo italiano , precisazione inutile, ancorché fuori luogo, se fatta a chi deve decidere la causa, essendo perfettamente in grado questo Giudice di cogliere la valenza delle proprie decisioni, siano esse sulla richiesta di un decreto ingiuntivo o su cause di questa natura. Detto questo, si condivide l'opinione della convenuta secondo la quale il cuore del problema sia rappresentato dall'inquadramento o meno nell'ambito dell'infortunio delle conseguenze dannose riconducibili ad infezioni virali, tra le quali rientra quella da COVID-19. A pag. 16 del contratto di assicurazione di cui è causa è dato leggere Infortunio evento occorso all'assicurato dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche obiettivamente constatabili, che abbiano per conseguenza l'effettivo impedimento per 1'assicurato a prestare servizio di medicina generale o del figlio/a minore di anni 18. Malattia ogni alterazione patologica dello stato di salute, dell'Assicurato o del figlio/a minore di anni 18 che causi l'impossibilità dell'Assicurato di prestare la propria opera . Muovendo dai dati normativi ai quali, come chiarito, l'interpretazione del contratto da parte del Giudice deve necessariamente fare riferimento, l' articolo 42 comma 2 del d.l. 17/3/2020 numero 18 Misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 19 convertito con modificazioni con la 1. 24/4/2020 numero 27 in G.U. 29/4/2020 numero 110. Supp. Ordinario numero 16 stabilisce espressamente che Nei casi accertati di infezione da coronavirus SARS-Cov-2 in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell'oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati. A seguito dell'introduzione di tale norma, l'infezione da coronavirus avvenuta in occasione di lavoro è quindi considerata infortunio a tutti gli effetti e non malattia professionale. E l'art 2 del d.p.r. 23/6/1965 numero 1124, dispone che sia qualificato quale infortunio sul lavoro l'evento avvenuto per causa violenta, in occasione di lavoro, dal quale sia derivata la morte o l'inabilità permanente al lavoro assoluta o parziale o l'inabilità temporanea assoluta per più di tre giorni. In questo contesto di riferimento normativo, l'infortunio sul lavoro sussiste se provocato da una causa violenta in occasione di lavoro ed il carattere esterno della causa dell'infortunio non è espressamente richiesto dalla norma, in quanto la dipendenza dell'ambiente esterno si deduce dall'occasione di lavoro. Con Circolare INAIL numero 13 del 3/4/2020 l'Ente tratta i casi di malattie infettive e parassitane, inquadrandole nella categoria degli infortuni sul lavoro precisando che in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta. Nella circolare INAIL ssc n 8-20 si precisa, altresì, che in definitiva, dunque, gli infortuni da agenti biologici il coronavirus è uno di questi restano saldamente ancorati alla tutela infortunistica Inail. Le norme, la medicina legale e la giurisprudenza hanno contribuito a consolidare tale inquadramento asseverando, con costanza e sistematicità - la natura infortunistica delle infezioni il rapporto tra l'infezione e l'attività lavorativa, sulla base di conoscenze scientifiche, dati statistico-casistici, caratteristiche dell'ambiente lavorativo, mansioni e compiti espletati in concreto, esclusione di altre cause. Tali principi, di estrema complessità applicativa, guidano saldamente anche i riconoscimenti degli infortuni da virus SARSCoV . Con riferimento alla definizione della causa violenta, secondo l'INAIL la causa violenta è un fattore che opera dall'esterno nell'ambiente di lavoro con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche. Pertanto, una causa violenta è ogni aggressione che, dall'esterno, danneggia l'integrità psico-fisica del lavoratore. Inoltre, per occasione di lavoro l'Ente fa riferimento a tutte le situazioni, comprese quelle ambientali, nelle quali si svolge l'attività lavorativa, nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore. In proposito, la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che nell'occasione di lavoro rientrano tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine, alle persone, al comportamento dello stesso lavoratore, purché attinenti alle condizioni di svolgimento della prestazione con l'unico limite del rischio elettivo. Cass. Civ. Sez. Lavoro Ord. 19/3/2019 numero 7649 La malattia professionale è invece inquadrata dall'INAIL come una patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull'organismo causa diluita e non causa violenta e concentrata nel tempo . La linea di demarcazione tra infortunio e malattia viene così individuata nel fatto che la causa ha nel primo le caratteristiche della rapidità e concentrazione, mentre nella seconda ha la caratteristica della non rapidità dell'evolversi, basta pensare, in proposito, ai danni derivanti dalla lavorazione dell'amianto che possono manifestarsi ad anni di distanza dal contatto. Gli elementi costitutivi della causa violenta sono individuati nella rapidità e concentrazione e nella esteriorità. In proposito la Corte di Cassazione ha rilevato che l'esteriorità si può atteggiare in due maniere diverse. Dal catalogo delle attività protette di cui al D.P.R. 30 giugno 1965 numero 1124, art 1, la dottrina ha derivato un elenco scolastico di cause violente, distinguendole in a cause da energia meccanica b cause da energia elettrica od elettromagnetica c cause da energia atomica e nucleare d cause da energia termica e cause da sostanze tossiche f cause di natura microbica e virale g cause di natura psichica. Come risulta da tale elenco, alcune cause comportano un rapporto binomio, diretto e personale tra fattore causale e persona del lavoratore ad es. macchina operatrice, oggetto da sollevare nello sforzo , altre sono di carattere diffusivo, ambientale ad es. energia elettrica, nucleare, termica, sostanze tossiche Un agente lesivo, presente nell'ambiente dì lavoro in modo esclusivo o in misura significativamente superiore che nell'ambiente esterno, il quale produce un abbassamento delle difese immunitarie, rientra nella nozione attuale di causa violenta. Dal suo meccanismo dazione, se rapido e concentrato, oppure lento, deriva poi la collocazione dell'evento tra gli infortuni o le malattie professionali. Sentenza numero 12559/2010 . A seguito della devastante ed imprevista epidemia che stiamo tutt'ora soffrendo, si è, quindi, aperta la questione se per le assicurazioni private l'infezione da coronavirus sia infortunio, come tale indennizzabile, od invece malattia eventualmente indennizzabile con una polizza sanitaria. Quanto alla applicabilità dell' articolo 42 del d.l. numero 18/2020 e succomma mod. abbiamo chiarito che in sede di interpretazione del contratto di cui è causa l'articolo 22 ne consente, indubbiamente, 1 applicazione. Del resto, la definizione di infortunio, quale adottata dalla polizza in questione, ha un carattere del tutto generico e non è precisato cosa si intenda esattamente per causa violenta, con la conseguenza che la relativa definizione, in sede di interpretazione del contratto è ricavabile da altri elementi. Le polizze, come quella che ci occupa, che si limitano a descrivere l'infortunio con la definizione riportata, comprendono certamente le conseguenze lesive da coronavirus, mentre tali conseguenze sarebbero escluse solo nei casi in cui esistano espresse esclusioni della tipologia di infortunio. E tali delimitazioni possono essere costituite sia da specificazioni del tipo di lesione che si intende prendere in considerazione, richiedendo, ad esempio, che la stessa sia solo di origine traumatica, escludendo, in questo modo, tutte le malattie microbiche o virali, oppure prevedendo apposita esclusione come viene fatto in certi casi per l'HIV. Per escludere la possibilità di operatività di una polizza privata contro gli infortuni per le conseguenze da coronavirus, si potrebbe ritenere che, mentre l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro deve sopperire a particolari necessità anche di carattere sociale, l'assicurazione privata non ha tali presupposti. In buona sostanza, si può prospettare l'ipotesi che l'assicuratore privato, quando ha accettato di coprire ad esempio gli infortuni extraprofessionali ha pensato ad un rischio tipico della vita normale come il cadere dalle scale od il subire un incidente stradale e non ad una malattia virale. Ma laddove, come nella specie è accaduto, l'assicuratore si è limitato a mantenere la stringata e reiterata nel tempo classificazione di infortunio, senza ulteriori delimitazioni di rischio, può tranquillamente sostenersi che intendeva chiaramente assicurare anche gli infortuni conseguenti ad infezioni microbiche o virali, come si è prepotentemente dimostrato il COVID-19 e la conseguente pandemia. Tornando al caso di specie, può darsi provato che l'infezione intervenuta è stata fortuita, in quanto non è stata in alcun modo frutto di un atto volontario e non vi è stato, né è stato provato, un comportamento imprudente del dott. omissis . L'infezione virale è stata pacificamente esterna - contratta in occasione dell'attività professionale visitando i pazienti - in quanto il virus è, certamente, un organismo estraneo al nostro corpo, che si introduce nello stesso senza che la vittima ne abbia consapevolezza, tanto che, nelle varie fasi della pandemia, l'uso della mascherina protettiva è sempre stato imposto agli esercenti le professioni sanitarie, esposte maggiormente a queste aggressioni. L'infezione è anche stata una causa violenta perché il contatto che ha trasmesso il COVID-19 al dott. omissis è stato di effetto immediato - con una brevissima incubazione che comunemente non può superare i dieci giorni, ma che costituisce la fase successiva dell'infortunio - e devastante, portatore di una patologia di quasi immediata manifestazione che ha distrutto in pochi giorni il sistema immunitario della vittima, portandola in breve alla morte. Il requisito di causa violenta ed il trauma che ne è conseguito, alla luce di quanto sopra precisato, non è configurabile, ai fini dell'operatività della polizza, solo in presenza di eventi di natura meccanica , ma comprende qualsiasi altra condizione lesiva che presenti una efficienza causale lesiva unica, idonea a determinare lesioni corporali obiettivabili, come espressamente previsto dal contratto. In questa prospettiva, il concetto di violenza per l'infezione da COVID-19 deve essere riconosciuto nelle fattispecie, come quella in esame, in cui l'agente infettante esterno abbia avuto una carica infettiva di efficienza causale di per sé idonea determinare, nei termini di rilevanza contrattuale, conseguenze di lesioni corporali obiettivabili, che possano tradursi in un danno alla capacità lavorativa dell'Assicurato, portandolo addirittura al decesso. La polizza di cui è causa, stipulata dal dott. omissis è dunque pienamente operativa per l'infortunio dallo stesso patito a causa della infezione da COVID-19 contratta in occasione della sua attività lavorativa. La liquidazione dell'indennizzo A pag. 21 della polizza di cui è causa è previsto che Qualora l'Infortunio avesse per conseguenza la morte dell'Assicurato e questa si verifichi entro 2 anni dal giorno nel quale l'infortunio è avvenuto, la Società liquida la somma assicurata per il caso di morte in parti uguali agli eredi legittimi o testamentari . Pertanto, la omissis in adempimento degli obblighi assunti con il contratto in atti, va condannata al pagamento in favore degli attori in parti uguali, quali eredi legittimi del dott. omissis del complessivo importo di euro 130.000, di cui euro 125.000 a titolo di indennizzo ed euro 5.000 per il ritardo nella liquidazione, come contrattualmente previsto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, stante la complessità della causa, in complessivi euro 9.023,00, oltre spese come per legge, I.V.A. e C.P.A . Sentenza immediatamente esecutiva ai sensi dell' articolo 282 c.p.comma , così come modificato dall' articolo 33, l. 353/90 . P.Q.M. Il Tribunale di Vercelli, definitivamente pronunciando, ogni altra questione, eccezione o deduzione disattesa accoglie la domanda degli attori e, per l'effetto, condanna la Società omissis S.p.A. al pagamento in parti uguali in favore di omissis quali eredi legittimi di omissis del complessivo importo di euro 130.000,00 per le ragioni di cui in motivazione. Condanna la omissis al pagamento in favore degli attori delle spese di lite che si liquidano in complessivi euro 9.023,00, oltre spese come per legge, I.V.A. e C.P. A