Carcere degradante in patria, protezione possibile in Italia per lo straniero

L’accertamento del rischio di sottoposizione alla pena di morte o di subire trattamenti inumani o degradanti nelle carceri non può essere ignorato dal giudice nazionale. Necessario perciò valutare con attenzione la sicurezza socio-politica e lo stato del sistema giudiziario e carcerario presente in Ghana, paese d'origine del richiedente.

Protezione umanitaria possibile in Italia se lo straniero è stato in patria un minatore illegale e per questo rischia di subire lì un trattamento carcerario disumano e degradante. Riflettori puntati sulla storia raccontata da un cittadino ghanese che è approdato in Italia. I giudici di merito ritengono priva di fondamento la sua domanda di protezione. In Appello, in particolare, viene sottolineato che lo straniero ha riferito di «avere lasciato il proprio Paese ed il figlio piccolo per il timore di essere incarcerato per l'attività di estrazione illegale di oro, che svolgeva, e di essere ucciso dai familiari di un suo amico, deceduto in miniera, i quali nutrivano su di lui il sospetto di avergli fatto un sortilegio» e ha anche specificato di «non avere avuto un regolare contratto di lavoro e che la Polizia ha arrestato, nell'ambito del processo a suo carico, il padre al suo posto», padre destinato a rimanere in prigione fino al ritorno del figlio. Per i giudici di secondo grado, però, è palese «l'inattendibilità del racconto dello straniero, poiché contraddittorio e privo di riscontri». Inoltre, essi hanno precisato che «il Ghana non può essere ritenuto Paese ‘insicuro'» e che «non è concedibile neanche la protezione umanitaria per la mancanza di condizioni di vulnerabilità oggettive e soggettive». La linea tracciata in Appello viene però fortemente messa in discussione in Cassazione. I Giudici di terzo grado ribadiscono che «ai fini del riconoscimento della misura della protezione sussidiaria, il grave danno alla persona può essere determinato dalla sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti con riferimento alle condizioni carcerarie». Inoltre, «il giudice è tenuto a fare uso del potere-dovere d'indagine, che impone di procedere officiosamente all'integrazione istruttoria necessaria al fine di ottenere informazioni precise sull'attuale condizione generale e specifica del Paese di origine», e «il grave danno alla persona può essere determinato dalla sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti con riferimento alle condizioni carcerarie». In questa vicenda, però, è emerso che i giudici di secondo grado, pur avendo evidenziato che « la causa dell'allontanamento del richiedente avrebbe potuto essere indicata nel solo rischio di essere sottoposto a regime di detenzione in carcere per l'attività illegale di estrazione di oro , non risulta però avere svolto, in osservanza del suddetto dovere di cooperazione istruttoria, alcuna indagine specifica sullo stato del sistema giudiziario e carcerario del Paese di provenienza dello straniero, nonché sulle condizioni degradanti cui sono sottoposti coloro che svolgono l'attività di minatore illegale». In questa ottica, «l'accertamento del rischio di sottoposizione alla pena di morte o quello di subire trattamenti inumani o degradanti nelle carceri non può essere ignorato dal giudice nazionale», anche tenendo presente che «l'eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il Paese di appartenenza può costituire violazione della normativa relativa al divieto di tortura, quando non vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca nel Paese di origine trattamenti non accettabili», essendo invece «irrilevante il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile», anche per «l'impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti ed il motivo invocato per l'espulsione». Necessario, quindi, un nuovo processo d'Appello per poter valutare la sicurezza socio-politica e lo stato del sistema giudiziario e carcerario presente in Ghana.

Presidente Tria – Relatore Cinque Rilevato che 1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza numero 1406 del 2019, ha confermato l'ordinanza con cui il Tribunale della stessa sede aveva respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria, proposta dal richiedente, cittadino del Ghana. 2. Nella gravata sentenza si legge che il richiedente, in sede di audizione, aveva riferito di avere lasciato il proprio paese ed il figlio piccolo per il timore di essere incarcerato per l'attività di estrazione illegale di oro, che svolgeva, e di essere ucciso dai familiari di un suo amico, deceduto in miniera, i quali nutrivano su di lui il sospetto di avergli fatto un sortilegio aveva specificato, altresì, di non avere avuto un regolare contratto di lavoro e che la Polizia aveva arrestato, nell'ambito del processo a suo carico, il padre al suo posto, il quale sarebbe rimasto in prigione fino a quando egli non sarebbe tornato. 3. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha rilevato la inattendibilità del racconto del richiedente perché contraddittorio e perché privo di riscontri ha precisato che il Ghana non poteva essere ritenuto paese insicuro ai sensi dell'articolo 14 lett. c D.Lgs. numero citato infine, ha reputato che non era concedibile neanche la protezione umanitaria per la mancanza di condizioni di vulnerabilità oggettive e soggettive. 4. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo. 5. Il Ministero dell'Interno si è costituito ai soli fini della partecipazione all'udienza di discussione. Considerato che 1. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c. numero 1 e numero 3, la violazione e/o erronea applicazione degli D.Lgs. numero 286 del 1998 articolo 5 comma 6, articolo 19, in relazione all'articolo 10 comma 3 della Costituzione. Contesta la sintetica motivazione della gravata sentenza, lì dove era stata negata la protezione umanitaria in quanto a nulla ostava al rientro nel proprio paese di origine, non essendo il Ghana interessato da atti di violenza indiscriminata da conflitto armato b non erano state allegate situazioni di vulnerabilità soggettiva nonché elementi idonei a dimostrare una ipotetica integrazione sociale e lavorativa, se non meri corsi scolastici o stage formativi. 2. Il ricorso è fondato. 3. Va preliminarmente sottolineato che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto, da parte del richiedente asilo, il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale che evidenzi aspetti contraddittori idonei a metterne in discussione la credibilità, poiché è finalizzato al necessario chiarimento di realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle di altri Paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione. Cass. numero 24010/2020 . 4. Inoltre, deve specificarsi che, ai fini del riconoscimento della misura della protezione sussidiaria, il grave danno alla persona, ai sensi del D.Lgs. numero 251 del 2007 articolo 14, lett. b , può essere determinato dalla sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti con riferimento alle condizioni carcerarie e, al riguardo, il giudice è tenuto a fare uso del potere-dovere d'indagine previsto dall'articolo 8, comma 3, del D.Lgs. numero 25 del 2008, che impone di procedere officiosamente all'integrazione istruttoria necessaria al fine di ottenere informazioni precise sull'attuale condizione generale e specifica del Paese di origine Cass. numero 16411/2019 . 5. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, sebbene abbia evidenziato che la causa dell'allontanamento del richiedente avrebbe potuto essere indicata nel solo rischio di essere sottoposto a regime di detenzione in carcere per l'attività illegale di estrazione di oro , non risulta però avere svolto, in osservanza del suddetto dovere di cooperazione istruttoria, alcuna indagine specifica sullo stato del sistema giudiziario e carcerario del Paese di provenienza del richiedente nonché sulle condizioni degradanti cui sono sottoposti coloro che svolgono l'attività di minatore illegale galamseyer ciò a prescindere dai dubbi nutriti sulla veridicità della circostanza che il padre fosse stato arrestato, o meno, al posto suo. 6. L'accertamento del rischio di sottoposizione alla pena di morte o quello di subire trattamenti inumani o degradanti nelle carceri non può essere, infatti, ignorato dal giudice nazionale cfr. Cass. 20.9.2013 numero 21667 in conformità con la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale l'eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell'articolo 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando non vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel Paese trattamenti contrari proprio all'articolo 3 della Convenzione, essendo irrilevante il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiché dal carattere assoluto del principio affermato dal citato articolo 3 deriva l'impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti ed il motivo invocato per l'espulsione per tutte Corte CEDU sent. 28.2.2008 e Cass. 22.2.2019 numero 5358 . 7. La suddetta questione può rilevare anche sotto l'aspetto della protezione umanitaria la quale, infatti, quale prevista dal del D.Lgs. numero . numero 286 articolo 5 comma 6 applicabile ratione tempons Cass. Sez. Unumero 13.11.2019 numero 29460 , è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuarsi caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica status di rifugiato o protezione sussidiaria , tuttavia non possa disporsi l'espulsione o debba provvedersi all'accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità Cass. numero 32044 del 2018 Cass. numero 23604 del 2017 . 8. La Corte di merito avrebbe dovuto procedere, pertanto, avvalendosi dei propri poteri di accertamento di ufficio, alla verifica, oltre che della sicurezza socio-politica, anche dello stato del sistema giudiziario e carcerario presente in Ghana. 9. In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione che, attenendosi ai principi sopra esposti, procederà all'ulteriore esame del merito della controversia, provvedendo, altresì, anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. PQM La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.