STP al banco di prova: tra voglia di cambiamento, dubbi interpretativi e resistenze culturali

L’entrata in vigore del d.m. 34/2013 e, cioè, del regolamento in materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico rappresenta il punto di arrivo, sebbene non ancora completato specialmente con riferimento alla professione forense, di un percorso che recentemente ha interessato tutto il mondo delle professioni.

Un mondo rappresentato non soltanto dalle professioni ordinistiche, ma anche dalle professioni non regolamentate in ordini recentemente oggetto di un intervento legislativo con la Legge n. 4 del 2013, che ha visto modifiche importanti e discusse dal tema delle liberalizzazioni al tema delle tariffe professionali passando per la riforma degli ordini professionali e senza trascurare il punto centrale relativo alla qualità del servizio. Ma lo speciale che www.dirittoegiustizia.it propone ai suoi lettori, nella speranza che possa rappresentare la base per suscitare il più ampio dibattito, è dedicato ad uno degli aspetti più significativi del mondo delle libere professioni, e, cioè, la possibilità di costituire società tra professionisti e società multidisciplinari con la presenza anche di soci di capitali. Ecco allora che il percorso che proponiamo muoverà proprio dall’analisi dell’evoluzione normativa che consente di passare dallo studio associato alla società tra professionisti superando definitivamente l’anacronistico divieto del 1939. L’esame delle norme proseguirà mettendo in evidenza alcuni snodi fondamentali dell’intersezione dei modelli societari con l’esercizio delle professioni intellettuali soffermandoci su alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo, il ruolo dei soci di investimento nell’ambito delle società tra professionisti e, in secondo luogo, le modalità di coniugare l’attribuzione dell’incarico professionale alla società con la necessario svolgimento dell’attività da parte di un professionista iscritto all’albo. Proprio in questa direzione richiameremo le norme dedicate alla tutela del cliente di una società tra professionisti fondate sulla previsione di obblighi informativi sin dal momento del conferimento dell’incarico e su un sistema di responsabilità anche disciplinare che non esclude certamente la responsabilità della società tra professionisti né dei singoli professionisti. Da ultimo, approfondiremo le norme dedicate agli effetti tributari, previdenziali e di diritto fallimentare della società tra professionisti dedicando una speciale attenzione, anche e soprattutto in considerazione delle deroghe alla disciplina comune, alle società tra professionisti che coinvolgono gli avvocati.

Il 21 aprile è entrato in vigore il d.m. 34/2013 e, cioè, il regolamento in materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico il percorso volto a consentire una maggiore autonomia nella scelta delle modalità di esercizio delle professioni intellettuali è, quindi, giunto ad un punto importante con la riconosciuta possibilità di costituire società tra professionisti e società multidisciplinari con la presenza anche di soci di capitali, ma soprattutto è operativo. Un percorso che si è intersecato anche, da un lato, con le c.d. liberalizzazioni e con la riforma degli ordini professionali e la recentissima approvazione della nuova disciplina dell’ordinamento forense nonché delle tariffe professionali e, dall’altro lato, con la tendenza a favorire sempre la costituzione di nuove forme societaria si pensi alla s.r.l. semplificata per non fare che un esempio e consentire sempre più forme di organizzazione tra imprese come testimoniato, da ultimo, dalla nuova disciplina del contratto di rete . Ecco allora che il quadro normativo - che è, però, ancora in attesa del decreto legislativo sulle società tra avvocati - oggi consente anche ai professionisti di avere a disposizione sempre più strumenti da utilizzare per conseguire nuove potenzialità e nuovi settori di mercato. Lo studio associato . In principio, infatti, l’esercizio in forma organizzata delle professioni intellettuali - che il codice civile all’art. 2238 ha, però, sempre ipotizzato potesse anche essere elemento di un’attività organizzata in forma di impresa - ha conosciuto il divieto contenuto nella legge 23 novembre 1939, n. 1815 volta, per l’appunto, alla disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza. Ebbene, in base all’art. 2 di quella legge era vietato costituire, esercitare o dirigere società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria sotto qualsiasi forma diversa ” da quella di uno studio associato e che recasse la dizione di studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario , seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati. La società tra avvocati . Progressivamente, però, si è andata avvertendo sempre più la necessità che un sistema così strutturato non fosse al passo coi tempi e non consentisse - a chi lo volesse - di avvalersi di forma diverse e anche ben più strutturate del semplice studio professionale associato alla cui figura, naturalmente, si può ancora ricorrere . Ecco allora che la nostra storia - rimanendo concentrati al settore legale - conosce uno sviluppo anche sotto l’influenza del diritto comunitario. Ed infatti, per effetto del d.lgs. 96/2001 il legislatore ha reso possibile l’esercizio della professione di avvocato in forma societaria esclusivamente, però, secondo il tipo della società tra professionisti STP la cui disciplina sussidiaria deve essere rinvenuta nella disciplina della società in nome collettivo. Due le caratteristiche principali di questo tipo societario che meritano di essere sottolineate per cogliere, tra poco, le novità della legge n. 183/2011 i soci della s.t.p. possono essere soltanto avvocati e l’amministrazione della s.t.p. può essere affidata soltanto a soci e, quindi, ad avvocati . La società tra professionisti. Ma l’abrogazione del divieto di cui alla legge n. 1815/1939 arriverà soltanto con il comma 11 dell’art. 10 della legge di Stabilità per il 2012 e, cioè, la legge 12 novembre 2011, n. 183 . Ed infatti, nell’ambito della riforma degli ordini professionali il legislatore afferma testualmente che è senz’altro consentita la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile purché la denominazione sociale, in qualunque modo formata, contenga l'indicazione di società tra professionisti . Ond’è che non vi è più alcuna possibilità di impedire - direttamente o indirettamente - che l’esercizio delle attività professionali c.d. ordinistiche avvenga con forme anche delle società commerciali . Per quanto, poi, riguarda l’esercizio delle attività professionali non organizzate in ordini o collegi la recentissima legge 14 gennaio 2013 n. 4 sulle professioni non organizzate prevede espressamente, a scanso di equivoci, che la professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente . Il socio di capitale. Ma v’è di più in quella liberalizzazione ed infatti, la possibilità di costituire società tra professionisti apre all’entrata in quelle società di soci di capitali interessati a remunerare il proprio investimento. Una presenza - quella dei soci di solo capitale - che da subito è apparsa essere un po’ scomoda per il mondo delle professioni organizzate perché ritenuto - a torto o a ragione in questo momento non rileva - possibile elemento in grado di turbare - specialmente con riferimento a talune professioni quell’indipendenza e libertà di giudizio che caratterizzano l’esercizio della professione intellettuale. Ma oramai e per fortuna la legge è operativa e il problema delle possibili interferenze tra socio di capitale ed esercizio della professione è stato risolto - come vedremo - nell’interesse nel cliente attraverso la predisposizione di specifici obblighi informativi previsti dal regolamento attuativo n. 34/2013 e che analizzeremo nei suoi principali aspetti anche problematici.

Uno degli aspetti più importanti e più delicati dell’esercizio in forma societaria delle professioni intellettuali - specialmente quelle per il cui esercizio è richiesto il possesso di un titolo abilitante - è senz’altro rappresentato dal rapporto tra il cliente, la società tra professionisti e il singolo professionista che eseguirà l’incarico. L’esercizio individuale ed associato della professione. Orbene, se l’attività professionale è svolta individualmente il rapporto tra cliente e professionista non assume particolari criticità ed infatti, il cliente conferirà l’incarico al singolo professionista e verserà a lui il compenso per l’attività svolta che rappresenterà, per il professionista, reddito da lavoro autonomo e tendenzialmente sarà soggetto alla contribuzione previdenziale. Resta, poi, che l’art. 2232 c.c. - fermo restando che il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto - il professionista potrà generalmente valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari . La stessa situazione si verifica, con riferimento al conferimento dell’incarico, anche con riferimento all’esercizio in forma associata della professione intellettuale del resto l'associazione non può assumere incarichi in proprio. L’assunzione dell’incarico. Viceversa - e qui sta un aspetto importante della nuova disciplina delle società tra professionisti - l’incarico può essere attribuito alla società, salvo poi individuare - come vedremo subito dopo - chi potrà e dovrà eseguire l’incarico conferito. L’esercizio dell’attività professionale . Ed allora, se passiamo ad esaminare le modalità di esecuzione dell’incarico ricevuto vi sono due norme precise e chiarissime che rappresentano la cornice entro cui si potrà scegliere il singolo professionista o più professionisti . La prima è quella in base alla quale lo statuto della società deve prevedere l'esercizio in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci art. 10, comma 4, lett. a , l. 183/2011 . La seconda, che ovviamente va letta in combinato disposto con la prima, è quella in base alla quale il socio che è incaricato di svolgere quella specifica prestazione deve essere in possesso dei requisiti per l'esercizio della prestazione professionale richiesta art. 10, comma 4, lett. c , l. n. 183/2011 . Ad esempio. Se un cliente si rivolgerà per un ricorso per cassazione ad una società tra avvocati una volta che sarà emanato il d.lgs. attuativo che ha quattro avvocati soci di cui uno soltanto abilitato a difendere davanti alle magistrature superiori, soltanto quest’ultimo potrà svolgere l’incarico. Viceversa, tutti e quattro potranno svolgere, ad esempio, la rappresentanza in giudizio davanti al Tribunale piuttosto che una consulenza stragiudiziale. E’ il cliente che sceglie il professionista . All’interno di questa cornice, chi è che sceglie il professionista che dovrà eseguire l’incarico? La legge è precisa e risponde ad un elementare principio di libertà contrattuale e di fiducia è il cliente che sceglie. Ed infatti, l’art. 10, comma 4, lett. c prevede che la designazione del socio professionista sia compiuta dall'utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all'utente . La chiara previsione normativa è specificata poi dal d.m. 34/2013 che prevede specifici obblighi informativi per garantire che quella libertà di scelta sia sempre garantita. In tal senso l’art. 4 prevede che la società professionale, al momento del primo contatto con il cliente, deve fornire, anche tramite il socio professionista , alcune informazioni come il diritto del cliente di chiedere che l'esecuzione dell'incarico conferito alla società sia affidata ad uno o più professionisti da lui scelti. Inoltre, per far sì che il cliente possa esercitare la sua scelta ovviamente nei casi in cui il conferimento dell’incarico alla società non sia il risultato della fiducia ch’egli nutre nei confronti di un socio la società professionale deve consegnare al cliente l'elenco scritto dei singoli soci professionisti, con l'indicazione dei titoli o delle qualifiche professionali di ciascuno di essi, nonchè l'elenco dei soci con finalità d'investimento . Una volta effettuata la scelta, il cliente confermerà quella scelta per iscritto indicando specificamente il nominativo del professionista o dei professionisti. La società può scegliere il professionista? Può anche accadere, però, che il cliente non individui il professionista e non abbia preferenze. A questo punto, ovviamente, la scelta del professionista non potrà che cadere sulla società che ha ricevuto l’incarico. Società che dovrà comunque informare il cliente, tra l’altro, della possibilità che l'incarico professionale conferito alla società sia eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale e, soprattutto, del nominativo del professionista così scelto che potrà anche non essere, però, di gradimento del cliente al quale spetta l’ultima parola. Ausiliari e sostituti. Con riferimento all’esecuzione della prestazione l’art. 5 del Regolamento attuativo, da un lato, conferma la facoltà riconosciuta al professionista dall’art. 2232 c.c. di nominare ausiliari. Dall’altro, però, innova parzialmente quell’articolo consentendo la sostituzione soltanto in presenza di particolari attività, caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili . In ogni caso, i nomi degli ausiliari e dei sostituti devono essere comunicati al cliente il quale ha la facoltà comunicare per iscritto il proprio dissenso, entro tre giorni da quella comunicazione. Flusso informativo e documentazione . Già queste notazioni fatte con riferimento al conferimento dell’incarico dimostrano chiaramente che la scelta del Regolamento attuativo è stata quella di puntare sull’esistenza di preciso flusso di informazioni, da e verso il cliente, documentate per iscritto. Manca, però, è appena il caso di rilevarlo, la sanzione per la mancata informazione da parte della società delle informazioni che il Regolamento ha espressamente individuato come oggetto di doverosa informazione. A tal proposito si potrebbe affermare che la mancata informazione, trattandosi di violazione di specifici obblighi di comportamento non attenga alla validità del contratto stipulato, potrebbe avere effetto sull’adempimento e, quindi, esclusivamente sul piano eventualmente risarcitorio tramite l’azione di inadempimento. La sostenibilità di questa conclusione che fa leva su quanto ritenuto dalla Corte di Cassazione con riferimento alla violazione degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari , però, deve tener conto che con riferimento all’obbligo informativo in materia di mediazione civile e commerciale, il d.lgs. 28/2010 ha previsto e, soprattutto, prevede tuttora la più grave sanzione dell’annullamento del contratto. Inoltre, occorre sottolineare - anche tenendo presente quanto previsto dall’art. 1, comma 3, legge n. 4/2013 relativa alla professioni non organizzate - che la mancata informazione potrebbe integrare una prassi commerciale scorretta e, quindi, ancora una volta essere - per questa via - fonte di responsabilità civile. Certo è che il mancato assolvimento degli obblighi informativi - sicuramente rilevante a livello disciplinare - potrà rappresentare una giusta causa di recesso dal contratto professionale.

La possibilità per i professionisti di ricorrere alle varie tipologie di società e, quindi, anche a quelle di capitali nonché la possibilità per la società di assumere direttamente incarichi professionali nell’ambito di professioni organizzate in ordini e collegi determina la necessità di approfondire un aspetto fondamentale e, cioè, quello della responsabilità della società e dei professionisti. A tal proposito è bene, però, delimitare il campo di indagine alla responsabilità civile e disciplinare della società e dei singoli professionisti in dipendenza o in occasione dell’incarico ricevuto. Rimane, quindi, esclusa da questo approfondimento la responsabilità della società e dei soci per le obbligazioni sociali assunte diverse dall’esecuzione dell’incarico ricevuto poiché questo profilo rientra nell’ambito della normale disciplina codicistica. La responsabilità civile Ed allora la questione alla quale vorrei cercare di fornire una possibile risposta può essere individuata ricorrendo al dubbio interpretativo sollevato in questi giorni da Angelo Busani sul Sole 24 ore Società di persone, di capitali e coop tutte le strade che portano alla STP” , aprile 2013, p. 6 non è chiaro ad esempio se il professionista socio di una società di capitali, che provochi un danno al cliente, ne risponderà personalmente e illimitatamente con il suo patrimonio oppure se la responsabilità sarà ascrivibile anche o solo alla società, cosicché lo schermo societario farà da riparo al patrimonio individuale del professionista . Orbene, per tentare di rispondere al quesito occorre muovere da una premessa se l’incarico viene affidato alla società, è la società che ne risponde civilmente nei confronti del cliente non foss’altro perché è lei la controparte contrattuale. Riprova se ne ha laddove, in assenza di una scelta da parte del cliente, è la società a designare il professionista munito dei necessari requisiti che svolgerà la prestazione. della società nei confronti del cliente . Ferma la responsabilità civile contrattuale della società nei confronti del cliente, resta la possibilità che l’inadempimento al contratto sia ascrivibile al comportamento del singolo socio professionista immaginiamo, ad esempio, che il professionista dimentichi di proporre appello avverso la sentenza di condanna nonostante le buone chance di successo del gravame. La società e i singoli soci risponderanno dell’obbligazione come obbligazione sociale e, quindi, se del caso a seconda della particolare forma societaria prescelta anche eventualmente illimitatamente. del professionista nei confronti della società . Qui non v’è dubbio, che in presenza di tutti gli altri presupposti della responsabilità nell’esecuzione del contratto d’opera professionale che rimangono immutati il professionista-socio sia responsabile nei confronti della società che quindi potrà rivalersi nei suoi confronti tenendo conto di eventuali norme sulla gradazione della responsabilità contrattate tra socio e società . Del resto, la specifica previsione prevista dall’art. 10, legge n. 183/2011 che la società deve stipulare una polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti nell'esercizio dell'attività professionale serve a garantire i clienti e non già il singolo professionista dall’eventuale regresso della società nei suoi confronti. del professionista nei confronti del cliente . Il punto è che, se non mi inganno, potrebbe trovare applicazione anche il principio della responsabilità da contatto sociale che da un lato ci consente in questa sede di superare qualsiasi dubbio se si crei sempre e comunque oppure no un rapporto contrattuale tra cliente e singolo socio professionista. Dall’altro lato consente di predicare la responsabilità anche del professionista nei confronti del cliente anche in considerazione che per espressa previsione normativa il professionista incaricato della prestazione è soggetto che, in quanto iscritto in un albo professionale o collegio e, quindi, un soggetto particolarmente qualificato. Un’interpretazione questa che risulta avallata anche da uno dei criteri e principi direttivi contenuti nella delega al Governo per l’esercizio in forma societaria della professione forense la lett. f dell’art. 5, comma 2, legge n. 247/2012 prevede che la responsabilità della società e quella dei soci non escludano la responsabilità del professionista che ha eseguito la prestazione . La responsabilità disciplinare L’esercizio dell’attività professionale, oltre ad esporre a responsabilità civile, potrebbe rilevare anche sul piano disciplinare. Conviene, allora, individuare quali sono le conseguenze disciplinari di eventuali violazioni dei codici deontologici applicabili nelle singole fattispecie. del professionista. Innanzitutto, è fuori discussione che il singolo professionista che commetta una violazione al Codice deontologico dell’ordine di appartenenza e al quale deve necessariamente essere iscritto per esercitare le attività riservate ne risponda personalmente tanto prevede espressamente il comma 7 dell’art. 10, legge n. 183/2011 e tanto è ribadito dall’art. 12 d.m. 34/2011. Ma v’è di più. L’eventuale irrogazione delle sanzioni disciplinari più importanti, e cioè, la sospensione e la radiazione dall’albo non possono che avere conseguenze sulla vita della società. Quanto alla sospensione essa determinerà l’impossibilità per il cliente o per la società di individuare il professionista sospeso come professionista incaricato di seguire quello specifico affare. Quanto alla radiazione, provvede direttamente la legge in quanto individua nella previsione delle modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo sebbene non necessariamente disciplinare uno dei requisiti per poter esercitare la professione in forma societaria. della società . Ma oltre alla responsabilità disciplinare del singolo professionista, il comma 7 dell’art. 10 prevede anche che la società e' soggetta al regime disciplinare dell'ordine al quale risulti iscritta . Ed infatti, alla società tra professionisti è fatto obbligo di iscriversi in una sezione speciale degli albi o dei registri tenuti presso l'ordine o il collegio professionale di appartenenza dei soci professionisti ovvero, nel caso di società multidisciplinare, presso l'albo o il registro dell'ordine o collegio professionale relativo all'attività individuata come prevalente nello statuto o nell'atto costitutivo art. 8, d.m. 34/2013 . Orbene, gli aspetti disciplinari sono affidati principalmente all’art. 12 del Regolamento attuativo che, però, non dice molto. Del resto già il Consiglio di Stato nel suo parere del 5 luglio 2012, n. 3127 aveva sottolineato che sarebbe opportuno chiarire se, si intenda affermare la regola secondo cui la società risponde soltanto nei casi in cui abbia adottato precisi atti di indirizzo, eseguiti dal singolo professionista, mentre, al contrario, andrebbe sempre esclusa la responsabilità disciplinare della società, in tutti i casi di violazioni commesse materialmente dai singoli soci e sia configurabile una mera omissione di controllo o di vigilanza . per fatto proprio. Orbene,dall’iscrizione presso l’albo e il collegio discende la necessità che anche la società rispetti le regole deontologiche dell’ordine al quale risulta iscritta con la conseguenza che la società professionale risponde disciplinarmente delle violazioni delle norme deontologiche dell'ordine al quale risulti iscritta art. 12, comma 1, d.m. n. 34/2013 . per direttiva impartita . Ma oltre a quest’ipotesi il comma 2 dell’art. 12, d.m. 34/2013 prevede anche un’ipotesi di responsabilità disciplinare concorrente nel caso in cui la violazione deontologica commessa dal socio professionista, anche iscritto ad un ordine o collegio diverso da quello della società, è ricollegabile a direttive impartite dalla società . Ad esempio. Potrebbe accadere che la società inviti secondo una direttiva interna non pubblica i propri soci a non divulgare nonostante l’obbligo informativo previsto dal d.m. 34/2013 una certa situazione di conflitto di interessi oppure voglia far uso delle informazioni confidenziali ricevute da un professionista per finalità diverse dall’esecuzione di quell’incarico. Nulla si dice, quindi, e soprattutto nulla di certo è possibile trarre dall’art. 12 in ordine al quesito posto a suo tempo dal Consiglio di Stato con riferimento al primo testo del Regolamento e, cioè, se in presenza di una violazione del singolo professionista la società, pure in assenza di una qualche direttiva, possa essere chiamata a rispondere.

Le professioni intellettuali sono sempre state ritenute cosa distinta e separata dall’esercizio di un’attività di impresa nonostante l’art. 2238 c.c. avesse ipotizzato che lo svolgimento di una professione intellettuale potesse anche essere elemento di un’attività organizzata in forma di impresa . Una convinzione radicata anche in considerazione del divieto di esercizio in forma societaria delle professioni intellettuali che soltanto nel 2011 è stato espressamente abrogato e di cui un’espressione è senz’altro rappresentata dalla diffidenza nei confronti dei soci di capitali nelle società tra professionisti. Una presenza per la quale già il legislatore prevede una misura che deve essere rispettata per l’art. 10, legge n. 183/2011 il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci pena lo scioglimento della società. Inoltre, l’art. 5, legge n. 247/2012 esclude la presenza di soci non professionisti nell’ambito delle società tra avvocati. Ma oggi la possibilità che i professionisti possano ricorrere a tutte le forme societarie, sia di persone che di capitali comprensive del tipo cooperativo inizia a rafforzare l’idea - absit iniuria verbis ! - che sostanzialmente il professionista anche individuale sia un imprenditore che esercita attività commerciale . La provocazione di cui sopra serve a mettere in luce quelle che sono gli aspetti oltre alla presenza del socio di capitali sui quali il mondo delle professioni organizzate ha mostrato le maggiori perplessità tanto che, per evitare che la provocazione possa divenire realtà l’art. 5, legge n. 247/2012 invita il Governo a specificare che, quantomeno con riferimento agli avvocati, l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisce attività d'impresa . Preoccupazione recentemente ribadita anche dal Presidente Guido Alpa secondo il quale l’assimilazione tra professioni e imprese, perorata dalla Commissione Ue e avvallata a volte dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, contrasta con le Carte fondamentali . Del resto, prosegue Alpa non solo la Costituzione italiana tutela il lavoro e la libera iniziativa economica ma anche la Carta dei diritti fondamentali della Ue garantisce la libertà professionale in una disposizione autonoma articolo 15 da quella che tutela la libertà di impresa articolo 16 . Reddito di lavoro autonomo o di impresa? Il primo aspetto che un’assimilazione tra esercizio della professione in forma societaria e impresa impone di affrontare è quello della natura del reddito prodotto dalle società tra professionisti e conseguito dai singoli soci professionisti reddito di lavoro autonomo oppure reddito di impresa con tutto quel che la distinzione comporta a livello tributario? Ma la qualificazione del reddito in un senso piuttosto che nell’altro non è priva di effetti anche su un altro versante decisamente problematico e, cioè, su quello previdenziale. In molti, infatti, hanno rappresentato le proprie perplessità gli effetti che una mancata assimilazione del reddito prodotto dalla società tra professionisti al reddito professionale soggetto a contribuzione potrebbe avere sull’attuale sistema di previdenza dei professionisti. Del resto è lo stesso legislatore a rendersi conto del problema degli effetti previdenziali del reddito delle società tra professionisti in almeno due occasioni. La prima occasione è stata quella del Codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163/2006 il cui art. 90, comma 2, con riferimento alle società tra professionisti e alle società di ingegneria dove è specificato che ai corrispettivi delle società si applica il contributo integrativo previsto dalle norme che disciplinano le rispettive Casse di previdenza di categoria cui ciascun firmatario del progetto fa riferimento in forza della iscrizione obbligatoria al relativo albo professionale. Detto contributo dovrà essere versato pro quota alle rispettive Casse secondo gli ordinamenti statutari e i regolamenti vigenti . La seconda occasione è rappresentata dalla legge di riforma della professione forense dove il Governo è stato delegato a emanare un decreto legislativo nel quale dovrà essere previsto che i redditi prodotti dalla società tra avvocati sono considerati redditi di lavoro autonomo, anche ai fini previdenziali. E il fallimento? Il secondo aspetto sul quale l’attenzione si è concentrata è che la assimilazione tra esercizio della professione in forma societaria e attività di impresa potrebbe portare alla soggezione della società tra professionisti e, quindi, anche dei soci professionisti alla disciplina fallimentare. Per evitare questo, l’art. 5, legge n. 247/2012 prevede che la società tra avvocati non sarà soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Professioni e attività commerciali. Certo è che la qualificazione dell’attività professionale come attività commercial e, viceversa, non credo possa far dispiacere a nessun professionista nel momento in cui quella qualificazione comporta - come in effetti comporta - la possibilità per lo stesso di rivendicare in caso di inadempimento del cliente all’obbligo di pagare il corrispettivo delle prestazioni gli interessi moratori di cui al d.lgs. n. 231/2002. Infine, che l’esercizio di un’attività professionale possa rappresentare un’attività commerciale è confermato dal fatto che quell’esercizio è soggetto anche alle norme del Codice del Consumo ond’è che l’esercizio dell’attività professionale potrà pacificamente dar luogo anche ad una pratica commerciale scorretta con le conseguenti sanzioni dell’AGCM che recentemente, del resto, ha significativamente e correttamente qualificato come pratica commerciale scorretta anche l’esercizio di un’azione giudiziaria con modalità abusive . Ciò è confermato anche, con riferimento alla professioni non regolamentate, dall’art. 1, legge n. 4/2013 che qualifica proprio come prassi commerciale scorretta la mancata informazione della fonte normativa che regolamenta l’esercizio della professione stessa.

Un particolare approfondimento deve essere riservato alle società tra avvocati e ciò non soltanto perché i nostri Lettori operano prevalentemente in quest’ambito, ma perché la legge 31 dicembre 2012, n. 247 di riforma dell’ordinamento forense sembra voler giustificare deroghe alla disciplina generale sul presupposto della rilevanza costituzionale del diritto di difesa. Una rilevanza che ai sensi dell’art. 5, comma 1, di quella legge giustifica la previsione di una disciplina ad hoc delle società tra avvocati che dovrà trovare la sua fonte in un apposito decreto legislativo e non già - come avvenuto per le altre professioni - in un decreto ministeriale allo stato ,però, non ancora emanato. Essendo, oramai, ben chiari gli elementi fondamentali sui quali poggia la disciplina generale delle società tra professionisti sarà più facile a questi punti mettere in evidenza quali sono i principali aspetti sui quali il Governo dovrà intervenire di qui a poco alla luce dei principi e criteri direttivi. Compagine sociale. Il primo aspetto degno di nota è senz’altro rappresentato dalla limitazione dei soggetti che potranno acquisire la qualità di socio di una società tra professionisti la lettera a del comma 2, infatti, ha previsto che l'esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative, i cui soci siano avvocati iscritti all'albo”. Una norma che ha portato Ubaldo Perfetti, vicepresidente del Consiglio nazionale forense, in un intervento pubblicato sul Sole 24 ore del 27 maggio scorso ad affermare che la professione forense non può essere esercitata da una società tra professionisti multidisciplinare, nella quale, cioè, siano presenti anche soci non avvocati”. Quest’indicazione normativa, però, sembra stridere apertamente e francamente non mi sembra neppure giustificata dalla rilevanza costituzionale del diritto di difesa con la massima apertura voluta dal legislatore in materia di esercizio in forma societaria consacrata dall’ottavo comma dell’art. 10, l. n. 183/2011 e, cioè, che la società tra professionisti può essere costituita anche per l'esercizio di più attività professionali . Amministrazione . Il secondo aspetto degno di nota, poi, è quello previsto dalla lettera d in base al quale il Governo dovrà disciplinare l'organo di gestione della società tra avvocati prevedendo che i suoi componenti non possano essere estranei alla compagine sociale . Ne deriva - sia per quanto riguarda la compagine sociale che per l’amministrazione - una scelta di sostanziale continuità con la previsione di cui al d.lgs. n. 96/2001 relativo alla società tra avvocati STP che abbiamo richiamato nella nostra Introduzione . Previdenza forense . I criteri e i principi previsti dalle lettere l , m e n tengono conto di quelle preoccupazioni alle quali avevamo anticipato e, cioè, quelle in ordine agli aspetti tributari e previdenziali del reddito prodotto in forma societaria e l’assoggettamento alle procedure concorsuali. Quanto al primo aspetto, il Governo dovrà qualificare i redditi prodotti dalla società tra avvocati quali redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali. Fallimento . Quanto, invece, al secondo aspetto, secondo la legge delega il Governo dovrà stabilire che l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisce attività d'impresa sic ! e che, conseguentemente, la società tra avvocati non è soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento . C’è, infine, un rinvio espresso alle disposizioni sull'esercizio della professione di avvocato in forma societaria di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 salva, ovviamente, la compatibilità con il mutato quadro normativo all’epoca - come si ricorderà - era ancora vigente il divieto di cui alla legge n. 1815/1939 .

La possibilità di esercitare professioni intellettuali in forma associata e multidisciplinare rappresenta una tappa importante nell’evoluzione dei servizi professionali per conquistare quote di mercato rispondendo alla richieste, sempre più complesse, del mercato. Ebbene, con l’entrata in vigore del d.m. 34/2013 e, cioè, del regolamento in materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, l’avvocato Fabio Valerini risponde alle domande più frequenti così da poter sfruttare al massimo le potenzialità della legislazione vigente. Qui di seguito potete trovare le risposte alle prime domande più significativee se avete ulteriori quesiti, potete continuare a scriverci all'indirizzo redazione@dirittoegiustizia.it La società tra professionisti deve iscriversi ad un Ordine o Collegio professionale? Sì, la società tra professionisti dovrà essere iscritta in una sezione speciale degli albi o dei registri tenuti presso l'ordine o il collegio professionale di appartenenza dei soci professionisti. La società multidisciplinare dovrà essere iscritta presso l'albo o il registro dell'ordine o collegio professionale relativo all'attività individuata come prevalente nello statuto o nell'atto costitutivo. La società tra professionisti può essere iscritta al Registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio? Sì, la società tra professionisti può essere iscritta nella sezione speciale istituita ai sensi dell'articolo 16, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 con funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia su richiesta di chi ha la rappresentanza della società. L’iscrizione eseguita secondo le modalità di cui al d.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581. Il cliente di una società tra professionisti può scegliere il professionista che seguirà la sua posizione o subirà la scelta della società? Il cliente che conferisce l’incarico a una società tra professionisti potrà sempre scegliere il professionista che eseguirà l’incarico affidato purché questi abbia tutti i requisiti necessari per svolgere la specifica prestazione richiesta. Il legislatore garantisce la libertà di scelta del professionista da parte del cliente? Assolutamente sì in almeno due fasi. In primo luogo, la società è gravata da un obbligo informativo specifico, da documentare per iscritto, consistente nell’informare il cliente che la designazione del socio professionista sia compiuta dall'utente. In secondo luogo, in mancanza di tale designazione, il professionista sarà individuato dalla società, ma il nominativo dovrà essere previamente comunicato per iscritto all'utente. Il cliente può stare tranquillo che non esistono conflitti tra l’interesse dei soci, anche di investimento, della società e il proprio interesse? L’assenza di conflitti di interesse tra professionista e società, da un lato, e cliente, dall’altro, rappresenta un presupposto per poter esercitare l’attività a favore del cliente. Ed infatti, in tale direzione la società deve informare in ordine all’eventuale esistenza di situazioni di conflitto d'interesse tra cliente e società, che siano anche determinate dalla presenza di soci con finalità d'investimento. Nel caso di illecito disciplinare commesso dal professionista iscritto ne risponde anche la società? La responsabilità per l’illecito disciplinare ricade senz’altro sul professionista autore della violazione al Codice deontologico dell’ordine di appartenenza. Tuttavia, laddove la violazione deontologica commessa dal socio professionista, anche iscritto ad un ordine o collegio diverso da quello della società, sia ricollegabile a direttive impartite dalla società, la responsabilità disciplinare del socio concorrerà con quella della società. Resta fermo, poi, che la società professionale risponde disciplinarmente delle violazioni delle norme deontologiche dell'ordine al quale risulti iscritta. I redditi della società tra professionisti tra avvocati sono redditi di impresa o redditi da lavoro autonomo? E, soprattutto, sono soggetti alla contribuzione previdenziale? La questione è affrontata espressamente e chiaramente con riferimento agli avvocati dove nella legge di riforma della professione forense il Governo è stato delegato a emanare un decreto legislativo nel quale dovrà essere previsto che i redditi prodotti dalla società tra avvocati sono considerati redditi di lavoro autonomo, anche ai fini previdenziali. In precedenza alcune norme, in particolare con riferimento alle società di ingegneria, esprimevano la stessa linea di tendenza. La società tra professionisti è soggetta alle procedure concorsuali previste dal diritto fallimentare? La questione è affrontata espressamente con riferimento agli avvocati ove è previsto che la società tra professionisti non è soggetta alle procedure concorsuali. Tuttavia, la società tra professionisti potrà accedere alla procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento prevista dalla Legge n. 3 del 2012.