La nuova conferenza di servizi nel decreto Sblocca Italia: croce e delizia dell’azione amministrativa

E dopo un’estate di annunci, arrivò l’autunno delle riforme! Peccato, però, che non è tutto oro quello che luccica A poco più di un mese dall’emanazione del decreto Sblocca Italia Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133 , questo Speciale si propone di analizzare le novità proposte in materia di conferenza di servizi.

Sono due gli articoli della L. numero 241/1990 che il decreto Sblocca Italia concretamente intende modificare l’art. 14- ter , per il quale si aggiunge, dopo il comma 8, il seguente 8- bis . I termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della Conferenza di Servizi, decorrono a far data dall'adozione del provvedimento finale. l’art. 14- quater , al cui comma 3, dopo le parole rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che sono inserite le seguenti ha natura di atto di alta amministrazione. Il Consiglio dei Ministri . Come si avrà modo di spiegare, i buoni propositi di semplificazione nutriti dal Governo sembra che a volte non tengano conto della necessaria qualità che dovrebbe assistere gli interventi normativi di riforma. Conferenza di servizi, croce e delizia dell’azione amministrativa. In altri termini, l’analisi delle novità proposte dal decreto Sblocca Italia specialmente con riferimento al novello comma 8- bis dell’art. 14- ter , relativo ai termini di validità” di tutti gli atti endoprocedimentali acquisiti nell'ambito della Conferenza di Servizi solleva il sospetto che, talvolta, il Governo sia caduto nella trappola della riformite”, giungendo così a concepire degli autentici pasticci normativi. In un’indagine tra i pregi e i difetti del nuovo Decreto Sblocca Italia, il presente lavoro consegna al lettore una panoramica completa degli aspetti innovativi della tanto discussa conferenza di servizi, croce e delizia dell’azione amministrativa. Inquadriamo il problema. Dopo tanti annunci riformisti, il Governo Renzi inizia a fare davvero sul serio. Rilancio dell'economia, riorganizzazione del sistema giustiziale e snellimento delle procedure in materia di appalti pubblici sono queste le tre pedine mosse dal Governo per il rilancio della Nazione e sono questi i temi posti all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri nella seduta convocata in data 29 agosto 2014. Il programma per il rilancio dell’economia si muove attraverso le 45 disposizioni recate dal c.d. Decreto Sblocca Italia si tratta del d.l. numero 133/2014 , recante Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 212 del 12 settembre 2014. La riforma della giustizia, invece, passa attraverso l’approvazione degli ambiziosi provvedimenti proposti dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, che in sette mosse – tra decreti legge e disegni di legge – aspira a dare un nuovo volto all’intero sistema giustiziale, toccando così i delicati” argomenti della rapidità ed efficienza del processo civile, della responsabilità civile dei magistrati, della riforma dello statuto della magistratura onoraria e dei giudici di pace, dell’estradizione, del rafforzamento delle garanzie nel processo penale e del contrasto ai patrimoni illeciti. Lo snellimento delle procedure in materia di appalti pubblici, infine, cavalca l’onda riformista europea e si concreta nell’approvazione di disegno di legge per il conferimento al Governo della delega per l’attuazione della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE. Nel complesso delle riforme proposte dal Governo Renzi, il presente Speciale si sofferma sulle novità proposte dal decreto Sblocca Italia, studiando in particolare lo strumento procedimentale che, più di tutti, sembra sia stato individuato quale autentico catalizzatore del processo di rilancio dell’economia la conferenza di servizi. Struttura del Decreto Sblocca Italia. Il Decreto Legge numero 133/2014 c.d. Decreto Sblocca Italia è ispirato da ben 7 ragioni di straordinaria necessità e urgenza 1. accelerare e semplificare la realizzazione di opere infrastrutturali strategiche, indifferibili e urgenti 2. favorire il potenziamento delle reti autostradali e di telecomunicazioni e migliorare la funzionalità aeroportuale 3. tutelare l’ambiente attraverso la mitigazione del rischio idrogeologico, la salvaguardia degli ecosistemi, l'adeguamento delle infrastrutture idriche e il superamento di eccezionali situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti 4. garantire l'approvvigionamento energetico e favorire la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali 5. attendere alla semplificazione burocratica 6. rilanciare i settori dell'edilizia e immobiliare, il sostegno alle produzioni nazionali attraverso misure di attrazione degli investimenti esteri e di promozione del Made in Italy 7. rifinanziare e concedere gli ammortizzatori sociali in deroga alla normativa vigente, al fine di assicurare un'adeguata tutela del reddito dei lavoratori e sostenere la coesione sociale. Muovendo da tali premesse che per vero hanno alimentato le polemiche di quanti hanno appunto contestato l’utilizzo dello strumento della decretazione d’urgenza per l’esecuzione di disparate categorie di intervento cfr. G. Losavio, Una legge illegale, in Rottama Italia, 2014, disponibile all’indirizzo www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/09/12/14G00149/sg , il d.l. numero 133/2014 si compone di 45 articoli, suddivisi nei seguenti 10 Capi Capo I Misure per la riapertura del cantieri artt. 1-4 . È questa la parte dedicata sia al c.d. sblocca cantieri” relativo alle opere infrastrutturali ritenute di importanza strategica per il rilancio dell’economia sia al c.d. sblocca Comuni” dove si adottano le apposite misure per favorire la realizzazione delle opere incompiute segnalate dagli Enti locali Capo II Misure per il potenziamento delle reti autostradali e di telecomunicazioni artt. 5-6 . Alle citate disposizioni va l’etichetta sblocca reti”, prevedendosi – tra l’altro – delle apposite misure per agevolare la realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga, per la semplificazione delle procedure di scavo e di posa aerea dei cavi, nonché per la realizzazione delle reti di telecomunicazioni mobili Capo III Misure urgenti in materia ambientale e per la mitigazione del dissesto idreogologico artt. 7-8 , con cui vengono apportate importanti modifiche al Decreto Legislativo 3 aprile 2006, numero 152, recante Norme in materia ambientale” Capo IV Misure per la semplificazione burocratica artt. 9-16 . Si tratta della parte dedicata al c.d. sblocca burocrazia”, dove si prevedono procedure semplificate per i cantieri minori, con la riduzione dei casi in cui è necessaria l'autorizzazione paesaggistica Capo V Misure per il rilancio dell’edilizia artt. 17-27 . Si tratta della parte maggiormente innovativa del decreto, dove non solo vengono introdotte delle importanti novità sblocca edilizia” tra tutte, l’ampliamento della fattispecie della manutenzione straordinaria”, l’introduzione delle figure degli interventi di conservazione e del permesso di costruire convenzionato , ma vengono altresì stabilite delle rilevanti misure per il rilancio del settore immobiliare e per l'incentivazione degli investimenti in abitazioni in locazione e, soprattutto, vengono introdotte delle rilevanti modifiche all’istituto della conferenza di servizi di cui agli artt. 14-ter e 14-quater della L. numero 241/1990, nell’ambito di una revisione degli strumenti di semplificazione amministrativa e di accelerazione delle procedure in materia di patrimonio culturale Capo VI Misure urgenti in materia di porti e aeroporti artt. 28-29 , dettate al fine di migliorare la funzionalità aeroportuale e la competitività del sistema portuale e logistico Capo VII Misure urgenti per le imprese artt. 30-32 . Vi rientrano le disposizioni sblocca export”, che passa attraverso l’adozione di un Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia”, la realizzazione di un segno distintivo unico per le produzioni agroalimentari Made in Italy e il potenziamento degli strumenti di contrasto all’Italian sounding nel mondo Capo VIII Misure urgenti in materia ambientale artt. 33-35 . Sono qui contenute le norme sblocca Bagnoli”, che nel dare una prospettiva di riqualificazione e di sviluppo all’ex area industriale di Bagnoli-Coroglio NA , è comunque estensibile ad altre aree critiche” sotto il profilo dell’inquinamento ambientale Capo IX Misure urgenti in materia di energia artt. 36-39 . È la parte dedicata allo sblocca energia”, dove vengono previste misure che riconoscono la natura strategica delle infrastrutture di importazione, trasformazione e stoccaggio del gas. Capo X Misure finanziarie in materia di ammortizzatori sociali in deroga ed ulteriori disposizioni finanziarie per gli enti territoriali artt. 40-45 . Conferenza di servizi nel decreto Sblocca Italia le modifiche importanti sono 2. L’art. 25 del decreto Sblocca Italia reca 2 importanti modifiche all’istituto della conferenza di servizi. La citata disposizione, inserita nel Capo V del decreto dedicato alle Misure per il rilancio dell’edilizia , interviene sia sugli effetti degli atti acquisiti nel procedimento di conferenza, sia sui mezzi di superamento del dissenso. Sono due gli articoli della L. numero 241/1990 che il decreto si propone in concreto di modificare l’art. 14- ter , per il quale si aggiunge, dopo il comma 8, il seguente 8- bis . I termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della Conferenza di Servizi, decorrono a far data dall'adozione del provvedimento finale l’art. 14- quater , al cui comma 3, dopo le parole rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che sono inserite le seguenti ha natura di atto di alta amministrazione. Il Consiglio dei Ministri . Sono quindi 2 i binari entro i quali si muove il Legislatore del 2014. Per un verso, si è voluto forse allungare” la validità degli atti endoprocedimentali che confluiscono nella conferenza di servizi e che poi rimangono assorbiti nel provvedimento finale adottato dall’amministrazione procedente, in questo modo evitando che il soggetto proponente si ritrovi a poter iniziare i lavori assentiti confrontandosi coi ridotti termini di validità dei singoli atti endoprocedimentali pericolo certo maggiore nel caso in cui i lavori della conferenza si protraggano per anni . Per altro verso, qualificando come atto di alta amministrazione la specifica deliberazione del Consiglio dei Ministri ex art. 14- quater , si è voluto sottrarre la stessa al campo della insindacabilità”, rischio invero inevitabile ove la suddetta deliberazione fosse stata intesa quale atto di natura politica. Al fine di meglio comprendere la portata innovativa delle disposizioni introdotte col Decreto Italia, tuttavia, conviene analizzare partitamente il contesto normativo entro il quale esse si innestano solo all’esito di tale analisi, infatti, sarà possibile cogliere appieno il senso della disciplina riformista e valutare, al contempo, i dubbi interpretativi che essa solleva. Si rinvia dunque agli appositi approfondimenti per la disamina delle relative questioni.

Alla luce del regime normativo illustrato nel precedente paragrafo, ben si comprende il motivo per il quale il provvedimento finale dell’amministrazione procedente assuma carattere omnicomprensivo e assorbente rispetto a tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati, espressi nell’ambito del procedimento, ivi compresa la determinazione motivata di conclusione del procedimento conferenziale. Il Consiglio di Stato ha cercato di chiarire L’assunto è stato brillantemente chiarito da una recente sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI, n. 5084/2013 che, con particolare riferimento all’istituto della conferenza di servizi c.d. decisoria, ha evidenziato che esso è caratterizzato da una struttura dicotomica, articolata in una fase che si conclude con la determinazione della conferenza anche se di tipo c.d. decisorio , che ha valenza endoprocedimentale, e in una successiva fase che si conclude con l'adozione del provvedimento finale, che ha valenza esoprocedimentale ed esterna, effettivamente determinativa della fattispecie e incidente sulle situazioni degli interessati. Ne consegue che sussiste ancora uno iato sistematico fra la determinazione conclusiva della conferenza di tipo decisorio nonché – a fortiori – fra le posizioni espresse in sede di conferenza dalla singola amministrazione e il successivo provvedimento finale , il che conferma che solo al secondo di tali atti possa essere riconosciuta una valenza effettivamente determinativa della fattispecie con conseguente sorgere dell'onere di immediata impugnativa , mentre alla determinazione conclusiva deve essere riconosciuto un carattere meramente endoprocedimentale Cons. Stato, VI, n. 2417/2013 . Secondo il Consiglio, quindi, in sede di conferenza l’esercizio delle funzioni pubbliche è svolto dalle competenti figure nell’ambito di un contesto che si conclude con l’adozione di un provvedimento rispetto al quale la conferenza rappresenta solo un passaggio prodromico avente la veste di atto adottato, in via ordinaria, da un organo dell’amministrazione procedente, tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede di conferenza di servizi art. 14- ter ,comma 6- bis regola quest’ultima dal contenuto flessibile che, rispetto alla rigidità del metodo maggioritario, consente di valutare in concreto, in ragione della natura degli interessi coinvolti, l’importanza dell’apporto della singola autorità e la tipologia del loro eventuale dissenso. Ne consegue peraltro che il dissenso espresso da un’amministrazione interessata e convocata in sede di conferenza di servizi non manifesta una volontà provvedimentale dell’amministrazione, ma è solo un atto espressivo di un giudizio in vista di un confronto dialettico e che concorre, per la parte di competenza di quella stessa amministrazione, a formare il giudizio complessivo che, eventualmente, viene posto a base del provvedimento che segue la conferenza stessa e sempre che il dissenso di tipologia sensibile non venga condiviso e dunque, non potendo essere superato nella stessa sede conferenziale, non causi la devoluzione ad altra e superiore sede. Il nuovo comma 8-bis dell’art. 14-ter. Nel delineato contesto normativo dell’art. 14- ter , per come interpretato dalla giurisprudenza, si inserisce la novità recata dal novello Decreto Sblocca Italia, che proprio in chiusura della disciplina dei Lavori della conferenza di servizi”, introducendo un sedicesimo comma all’interno del citato art. 14- ter numerato tuttavia come comma 8- bis , stabilisce che i termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della Conferenza di Servizi, decorrono a far data dall'adozione del provvedimento finale . Come già evidenziato nel Dossier, la disposizione appena riportata è animata dall’intento pratico di non vanificare la validità e l’efficacia dei singoli atti endoprocedimentali che confluiscono nella conferenza di servizi e che rimangono assorbiti” nel provvedimento finale adottato dall’amministrazione procedente. Considerando che, sino ad ora, i termini di validità dei singoli atti endoprocedimentali sono stati fatti decorrere dal momento della loro manifestazione” in sede di conferenza, può considerarsi forse lodevole l’intento legislativo di evitare che il soggetto proponente si ritrovi a poter iniziare i lavori assentiti confrontandosi coi ridotti termini di validità dei singoli atti endoprocedimentali rischio invero ancor più cogente nel caso in cui i lavori della conferenza si protraggano per anni . Il problema, però, è che la novella legislativa alimenta almeno 5 grossi dubbi interpretativi, che per vero mettono in discussione la stessa bontà dell’intervento normativo proposto. In specie, ci si domanda 1. in primo luogo, non è forse atecnico l’utilizzo del termine validità”? 2. in secondo luogo, come è possibile che gli atti endoprocedimentali, che ovviamente devono essere considerati e valutati ai fini dell’adozione del provvedimento finale della conferenza, possano adesso avere validità” a far data dall'adozione del provvedimento finale ? 3. in terzo luogo, se è vero che, ai sensi del comma 6- bis , gli atti endoprocedimentali vengono sostituiti dalla determinazione finale, che senso ha far decorrere dall'adozione del successivo provvedimento finale i termini per la loro validità”? 4. in quarto luogo, viene forse introdotto una soluzione per rendere più disinvolto il ritiro in autotutela degli atti endoprocedimentali? 5. in quinto luogo, il novello comma 8- bis introduce per caso un disincentivo alla celere conclusione dei lavori della conferenza? Con l’auspicio che il dibattito parlamentare già innescato per la conversione in Legge del Decreto Sblocca Italia sappia dare una soluzione agli esposti dubbi interpretativi, si rinvia al prosieguo della trattazione per l’approfondimento dei cinque temi innanzi paragrafati.

Il primo dato che balza all’occhio leggendo la disposizione di cui all’art. 25 del Decreto Sblocca Italia è l’atecnicità del linguaggio giuridico sperimentato. La suddetta disposizione parla di termini di validità” degli atti endoprocedimentali, utilizzando un vocabolo validità fino ad ora sconosciuto alla Legge n. 241 del 1990 ed ivi usato, al più, nell’accezione negativa di invalidità”. Per vero, è soltanto la Rubrica” del Capo IV bis introdotto ex L. n. 15/2005 che espressamente si riferisce all’ Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso . Al di fuori del suddetto riferimento, però, il termine validità” o invalidità” non trova esplicito riconoscimento nella Legge sul procedimento amministrativo. Ma pure ammettendo che il novello comma 8 bis ben potrebbe battezzare” il vocabolo validità”, non può comunque dubitarsi del fatto che la richiamata rubrica del Capo IV bis si riferisca all’ invalidità” per descrivere le due principali sanzioni della nullità 21 septies e dell’annullabilità 21-octies del provvedimento amministrativo. E allora ci si domanda quando il comma 8 bis parla di termini di validità” degli atti endoprocedimentali, vuole forse riferirsi alla non nullità” o alla non annullabilità” dei suddetti atti? Se così fosse, si giungerebbe al paradosso di vedere il Legislatore usurpare la funzione tipica dell’Autorità giudiziaria, arrogandosi così il potere di stabilire quando un provvedimento è non nullo” o non annullabile”. Ma si tratterebbe di una soluzione francamente improponibile. È allora forse più opportuno ricercare il senso dell’art. 25 d.l. n. 133/2014 attraverso l’analisi del disposto di cui all’art. 21 bis della L. n. 241/1990, rubricato Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati . Con ciò – si badi – non si vuole assolutamente affermare che il concetto di validità” debba essere inteso nel senso di efficacia” si vuole piuttosto provare” a ricavare il significato del suddetto concetto di validità indagando le principali affermazioni interpretative relative all’istituto dell’efficacia del provvedimento amministrativo. In ogni caso, già si anticipa che quella proposta sarà un’indagine utile a dimostrare, ancora di più, quanto sia atecnica la formula linguistica prescelta dall’art. 25, decreto Sblocca Italia. Tanto premesso, occorre innanzitutto rammentare che il citato art. 21 bis esordisce stabilendo che il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima . Non essendo certamente questa la sede giusta per approfondire la ratio del richiamato art. 21 bis L. n. 241/1990, sembra qui sufficiente rilevare che la citata disposizione, oltre a dettare l’obbligo di comunicare il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati affinché esso acquisti efficacia nei confronti di essi recependo così la regola della recettizietà degli atti , certamente contribuisce a rompere la generale coincidenza del momento perfezionativo dell’atto con quello della sua efficacia. Il momento di perfezionamento dell’atto attiene alla sua giuridica esistenza e dunque alla sua validità”, mentre l’efficacia, per come descritta dall’art. 21-bis, è logicamente” e cronologicamente” successiva, almeno con riferimento ai provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati per questi ultimi, invero, l’obbligo di comunicazione contemplato dall’art. 21 bis stabilisce questo iato temporale, nell’ottica di implementazione delle garanzie del privato destinatario dell’atto limitativo. Se è vero, dunque, che in linea generale l’ efficacia” rappresenta l’idoneità dell’atto a produrre effetti giuridici ovvero costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico , l’accezione di efficacia” prescelta dal Legislatore della 241 induce a ritenere che essa costituisca, almeno con riferimento ai provvedimenti limitativi, un elemento esterno alla fattispecie provvedimentale. Distinzione tra efficacia dell’atto” e requisiti di efficacia che devono integrare l’atto”. Ne consegue una distinzione, pure ricorrente in dottrina e giurisprudenza, tra il concetto di efficacia dell’atto” intesa come attitudine a esplicare effetti sul piano dell’ordinamento e quello di requisiti di efficacia che devono integrare l’atto”, già perfetto, perché esso possa essere portato ad esecuzione ed incidere anche sulla realtà materiale, consentendo peraltro la tutela in sede giudiziale della posizione giuridica degli interessati. In questo senso, con sentenza Cons. Stato, sez. IV, n. 2849/2012, è stato ad esempio chiarito che la notificazione di un atto amministrativo al suo destinatario non incide affatto sull'esistenza o validità dello stesso. Anche dopo la novella di cui all'art. 21 bis L. n. 241/1990 deve continuare a distinguersi tra la fase della esistenza e legittimità del provvedimento che dipende dalla sussistenza degli elementi essenziali soggettivi ed oggettivi e dei relativi requisiti di validità e la fase integrativa dell'efficacia pubblicazioni, notificazioni, comunicazioni controlli ove previsti, ecc. che non attiene né alla perfezione dell'atto, e neppure alla sua validità, ma che incide esclusivamente sull'efficacia del provvedimento nonché, sul piano processuale, sul decorso dei termini per l'impugnativa. In altre parole proprio l'art. 21 bis L. n. 241/1990 conferma che la mancata comunicazione integrale da parte dell'autorità emanante al soggetto interessato impedisce l'esplicazione degli effetti, ma non rende l'atto nullo, né illegittimo . Proprio utilizzando la bipartizione svolta dalla richiamata giurisprudenza amministrativa, si può adesso tornare al punto dal quale è originata l’indagine svolta sul concetto di efficacia” del provvedimento dimostrare l’atecnicismo della formula linguistica prescelta dal comma 8 bis dell’art. 14 ter L. n. 241/1990. In specie, se è vero che il concetto di efficacia” ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a distinguere il momento di perfezionamento dell’atto che attiene alla sua giuridica esistenza e dunque alla sua validità” da quello successivo dell’efficacia dell’atto stesso, sembra adesso che il novello comma 8-bis voglia ulteriormente spezzettare la vita” del provvedimento, sostituendo la precedente bipartizione con la seguente tripartizione esistenza–validità–efficacia. Il binomio che, rispetto al passato, rischia dunque di rompersi, è quello che, in linea generale, faceva coincidere l’esistenza giuridica dell’atto con la sua validità” o con la sua eventuale invalidità”. In altri termini, posticipando al momento dell’adozione del provvedimento finale i termini di validità di tutti gli atti endoprocedimentali assunti in sede di conferenza di servizi, è ovvio che viene a crearsi un ulteriore iato tra l’adozione degli stessi provvedimenti e la loro successiva validità. E se ciò dovrebbe poi affermarsi con riferimento al provvedimento amministrativo in generale”, assumerebbe contorni alquanto inquietanti con specifico” riferimento all’atto endoprocedimentale acquisito in seno alla conferenza di servizi, dove si dovrebbe addirittura parlare della seguente quadripartizione esistenza–sostituzione da parte della deliberazione conclusiva– ri acquisizione di validità in seguito all’adozione del provvedimento finale–efficacia. Ciò equivarrebbe a dire, in definitiva, che un certo parere acquisito in sede di conferenza, prima viene ad esistenza, poi viene sostituito a tutti gli effetti” da parte della deliberazione conclusiva, poi ri diventa valido con l’adozione del provvedimento finale e poi, infine, diviene efficace”, nei sensi di cui all’art. 21 ter . Se fosse davvero così, sarebbero davvero imprevedibili gli effetti interpretativi patologici della novella normativa. Ragionando in termini maggiormente ottimistici e credendo nella buona fede del Governo , ci si auspica conclusivamente che il Legislatore si avveda dei possibili effetti negativi che, in punto di interpretazione, potrebbero derivare dall’atecnica ed infelice formulazione del proposto comma 8 bis .

L’art. 25 del decreto Sblocca Italia si propone di introdurre un nuovo comma 8- bis all’interno dell’art. 14- ter L. n. 241/1990, rubricato Lavori della conferenza di servizi”. La novella disposizione si occupa in particolare dei termini di validità” di tutti gli atti endoprocedimentali acquisiti nell'ambito della Conferenza di Servizi, stabilendo così che essi decorrono a far data dall’adozione del provvedimento finale. Emancipando i suddetti atti endoprocedimentali dalla determinazione motivata di conclusione del procedimento conferenziale anch’essa prevalentemente intesa, in ogni caso, come atto endoprocedimentale” , il nuovo comma 8- bis intende evitare che il soggetto proponente si ritrovi ad iniziare i lavori assentiti confrontandosi coi ridotti termini di validità dei pareri, delle autorizzazioni, delle concessioni, dei nulla osta o degli atti di assenso eventualmente emessi, in precedenza, dalle Amministrazioni che partecipano alla conferenza. Nonostante questo lodevole intento, la norma non riesce a sottrarsi ad alcune pratiche obiezioni, che nel corso del presente verranno puntualmente sciorinate. Nei fatti, si tratta di obiezioni che mettono in grande discussione la bontà dell’intervento normativo riformista, alimentando l’auspicio che il dibattito parlamentare già innescato per la conversione in Legge del decreto Sblocca Italia sappia rimodulare le novità proposte, evitando così che la disciplina della conferenza di servizi si trasformi in autentico pasticcio e diventi davvero un migliore strumento di semplificazione. Lavori della conferenza di servizi. L’art. 14- ter L. n. 241/1990 stabilisce la disciplina relativa all’organizzazione e al funzionamento della conferenza di servizi. Introdotta con L. n. 127/1997, la norma in questione ha subito nel tempo diversi rimaneggiamenti, i più importanti dei quali risalgono alle Leggi nn. 15/2005 e 69/2009 all’esito dei vari interventi riformisti, l’art. 14- ter si compone attualmente di ben 15 commi, che non sempre dialogano tra loro con fluidità. Ispirato da evidenti finalità acceleratorie e di semplificazione, l’art. 14- ter ha in ogni caso un’importanza fondamentale nella delineazione dei caratteri propri dell’istituto della conferenza di servizi, trovando esso applicazione per tutte le tipologie di conferenza, indipendentemente dalla loro natura decisoria od istruttoria. Nel dettaglio, la norma stabilisce che la prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro 15 giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione comma 1 . Una volta convocata, la conferenza di servizi assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti e può svolgersi per via telematica comma 1 . Quest’ultimo aspetto è stato introdotto ex L. n. 69/2009 e si pone certamente in linea con gli obiettivi posti dal Codice dell’amministrazione digitale, spianando la strada al meccanismo della teleconferenza in specie, mentre prima della riforma del 2009 la via telematica era espressamente prevista solo per la convocazione della prima riunione della conferenza di servizi, ora il Legislatore consente che l’intera conferenza si svolga telematicamente. Necessaria la presenza contestuale delle amministrazioni in un unico locus spaziale? Sul punto, già prima della novella del 2009 la giurisprudenza aveva chiarito che in sede di conferenza non è necessaria la presenza contestuale delle amministrazioni in un unico locus spaziale, dal momento che nella conferenza di servizi è ammissibile esprimere valutazioni anche attraverso la trasmissione di note scritte, considerata l’assenza di formalismo della conferenza, con la conseguenza che le forme stesse vanno osservate nei limiti in cui siano strumentali all’obiettivo perseguito Tar Puglia, Lecce, sez. I, n. 530/2009 . Giova ricordare, peraltro, che ai sensi dell’art. 14, comma 5- bis , la legge già prevedeva che, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte , la conferenza di servizi potesse essere convocata ed essere svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni. Il successivo comma 2 dell’art. 14- ter stabilisce che la convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica, almeno cinque giorni prima della relativa data. Entro i successivi 5 giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora siano impossibilitate a partecipare, l’effettuazione della riunione in una diversa data in tal caso, l’amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima. 3 vizi di legittimità dell’incompetenza. L’art. 49, comma 2, d.l. n. 78/2010, modificando il comma 2 dell’art. 14- ter , ha disposto che la nuova data della riunione può essere fissata entro i 15 giorni successivi nel caso la richiesta provenga da un’autorità preposta alla tutela del patrimonio culturale. I responsabili degli sportelli unici per le attività produttive e per l’edilizia, ove costituiti, o i Comuni, o altre autorità competenti, concordano, con i Soprintendenti territorialmente competenti, il calendario, almeno trimestrale, delle riunioni delle conferenze di servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali. Sulla natura del termine per la convocazione della conferenza di servizi, in disparte quanto innanzi si dirà circa la natura ordinatoria o perentoria del termine per la conclusione del procedimento conferenziale, la giurisprudenza ha precisato che la circostanza che la norma non prevede alcuna sanzione in caso di mancato rispetto del termine, ciò, ai fini della sua invalidità, è affatto irrilevante atteso, invero, che il nostro ordinamento considera, per regola generale, espressamente invalidanti per gli atti amministrativi i 3 vizi di legittimità dell’incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, ciò che rileva è soltanto il fatto che la predetta violazione costituisca effettivamente vizio di legittimità del procedimento Tar Veneto, Venezia, sez. II, n. 705/2007 . In definitiva, i termini di cui alla disposizione in commento devono ritenersi posti non solo a favore delle amministrazioni partecipanti dal momento che, il mancato rispetto del termine non consente alle stesse quell’adeguata preparazione per la quale la norma, stabilendo una presunzione assoluta, ha ritenuto necessari cinque giorni , ma anche a favore degli istanti e, più in generale, di tutti i soggetti i cui interessi sono coinvolti, a vario titolo, nel procedimento. La violazione dei termini può essere fatta valere da qualsiasi interessato. La loro violazione, pertanto, ove foriera di illegittimità sostanziali del provvedimento finale, potrà essere fatta valere da qualsiasi interessato. Proprio la posizione degli interessati è presa in consegna dai commi 2- bis e 2- ter dell’art. 14- ter introdotte dall’art. 9 L. n. 69/2009, le citate disposizioni mirano a mischiare l’esigenza di semplificazione con la garanzia della partecipazione di soggetti privati alla conferenza, finendo così per attribuire ad essi almeno parzialmente la contitolarità della funzione pubblica nello specifico, il comma 2-bis ben più rilevante del successivo comma 2- ter stabilisce che alla conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e 14- bis sono convocati i soggetti proponenti il progetto dedotto in conferenza, alla quale gli stessi partecipano senza diritto di voto . Il successivo comma 3 attribuisce alla conferenza il compito di determinare il termine per l’adozione della decisione conclusiva, che in ogni caso non può superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4 con riferimento ai casi in cui è necessario acquisire la V.I.A. Decorsi inutilmente tali termini, l’amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 6-bis del medesimo art. 14- ter , di cui si dirà innanzi. Per ciò che attiene alla partecipazione degli Enti pubblici in sede di conferenza, il comma 6 stabilisce che ogni amministrazione convocata alla conferenza di servizi vi partecipa attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione su tutte le decisioni di competenza delle stesse . Tuttavia, se il legale rappresentante non esprime definitivamente la volontà dell’amministrazione convocata in conferenza, l’assenso si considera comunque acquisito comma 7 . Per questa via, risulta quindi esclusa la possibilità, per i rappresentanti delle amministrazioni interessate, di esprimere dissensi postumi o successivi alla chiusura dei lavori i conferenza si tratta in ogni caso di una regola analoga a quella prevista dal comma 1 dell’art. 14-quater, ai sensi del quale anche il dissenso può essere fatto valere solo in conferenza. La regola del c.d. silenzio-assenso”, peraltro, vale anche per le amministrazioni preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA. All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di 90 giorni del procedimento, l’amministrazione competente adotta, ai sensi del comma 6- bis , la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutando le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede . L’adottata determinazione, peraltro, sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o, comunque, inviate a partecipare, ma risultate assenti alla predetta conferenza . La norma prosegue chiarendo pure che la mancata partecipazione alla conferenza di servizi, ovvero la ritardata o mancata adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento, sono valutate ai fini della responsabilità dirigenziale o disciplinare e amministrativa, nonché ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato . In ogni caso, resta salvo il diritto del privato di dimostrare il danno derivante dalla mancata osservanza del termine di conclusione del procedimento ai sensi degli articoli 2 e 2- bis L. n. 241/1990 modifiche aggiunte ex art. 1, comma 2, L. n. 78/2010 . Dopo la determinazione motivata di conclusione del procedimento, infine, ha luogo l’adozione del provvedimento finale della conferenza, a cura dell’amministrazione procedente.

L’art. 25 del Decreto Sblocca Italia intende introdurre un’importante novità all’interno dell’art. 14- quater l. n. 241/1990, intitolato Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi . In particolare, intervenendo sul comma 3 della citata disposizione, il d.l. n. 133/2014 attribuisce natura di atto di alta amministrazione alla deliberazione del Consiglio dei Ministri chiamata a superare l’eventuale dissenso espresso, nell’ambito della conferenza, da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute della pubblica incolumità. In questo modo, il Decreto Sblocca Italia ha evidentemente voluto sottrarre la suddetta deliberazione ministeriale al campo della insindacabilità”, rischio invero inevitabile ove essa fosse stata intesa quale atto di natura politica. Al fine di comprendere appieno la portata innovativa della novella normativa, si ritiene opportuno esaminare il contesto normativo entro cui essa interviene, analizzando quindi la disciplina degli effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi, per come stabilita nell’art. 14- quater . Gli effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi l’art. 14-quater l. n. 241/1990. L’art. 14- quater l. n. 241/1990 chiarisce come” deve essere manifestato il dissenso nell’ambito della conferenza di servizi e quali sono gli strumenti per superarlo. La norma è stata introdotta con l. n. 127/1997 e, come quasi tutte le disposizioni in materia di conferenza di servizi, è stata oggetto di diversi ripensamenti da parte del Legislatore, talvolta suggeriti addirittura dalla Corte Costituzionale il riferimento va, in quest’ultimo caso, al comma 3 della disposizione, che dopo la pronuncia di incostituzionalità avutasi con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/2012, ha consigliato una nuova riformulazione della disciplina del c.d. dissenso qualificato”, concretamente avutasi con il d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012. All’esito di un travagliato iter riformista, l’art. 14- quater si compone attualmente di quattro commi, i più importanti dei quali sono il primo ed il terzo, dedicati rispettivamente ai caratteri del dissenso manifestato in sede di conferenza ed agli strumenti per il superamento del dissenso manifestato dalle amministrazioni portatrici di interessi c.d. sensibili. Nel dettaglio, l’art. 14- quater , comma 1, esprime la generale necessità che le amministrazioni convocate alla conferenza di servizi vi prendano obbligatoriamente parte al fine di esprimere, in quella sede, il proprio consenso o dissenso. Prendendo in esame le conseguenze dell’eventuale dissenso, quindi, il legislatore stabilisce che il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, deve essere manifestato, a pena di inammissibilità, in quella sede. Tale dissenso deve essere congruamente motivato , non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve altresì recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali ai fini dell’assenso. La citata disposizione, quindi, ammette certamente che il dissenso venga manifestato in sede di conferenza, ma pretende che in questo caso si tratti di un dissenso motivato e propositivo. In merito a quest’ultimo aspetto, peraltro, alla pubblica amministrazione dissenziente non viene imposto l’obbligo di indicare, sempre e comunque, soluzioni alla vicenda sottopostale, ma di intervenire nella stessa con una graduazione di suggerimenti, la cui pregnanza è correlata all’ampiezza delle opportunità offerte all’operatore privato. Sul punto, la giurisprudenza di merito ha precisato che le modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso non possono intendersi come mera sostituzione della P.A. al privato nella predisposizione dell’opera. Nel corso della conferenza di servizi di cui all’art. 14- quater , l. n. 241/1990, infatti, le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie, e che giustificano il dissenso della pubblica amministrazione, possono consistere anche in mere indicazioni di massima, o in soluzioni espresse in negativo, nel caso in cui il tipo di intervento da realizzare permetta un ventaglio così ampio di soluzioni alternative da trasformare l’intervento dell’ente pubblico in una attività atipica conformativa della proprietà e della libertà e capacità d’impresa del privato Tar Puglia, Lecce, sez. I, n. 8188/2004 . Alla luce del citato orientamento si deduce che se il privato può agire secondo un limitato numero di opzioni, la pubblica amministrazione ha il dovere di indicare quale scelta le appaia maggiormente confacente tra le limitate opportunità disponibili se, invece, il privato può muovere il proprio intervento secondo modalità disparate, articolate secondo canoni differenziati quali quelli delle dimensioni del progetto, della sua allocazione e funzioni, ed altri ancora , non pare possibile attribuire alla P.A. un così stringente onere di indicare positivamente le soluzioni da adottare, perché altrimenti verrebbe vanificata la funzione di semplificazione procedimentale e di composizione degli interessi tipica dell’istituto della conferenza di servizi. Il c.d. dissenso qualificato” art. 14-quater, comma 3. La disciplina del c.d. dissenso qualificato” è stata di recente rivista dal Legislatore, che con il d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, ha sostanzialmente accolto le indicazioni provenienti dalla sentenza n. 179/2012 della Consulta, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del precedente intervento riformista avutosi con l. n. 122/2010. Già con l. n. 15/2005, tuttavia, il Legislatore aveva provveduto a dare nuovo smalto alla regolamentazione della materia, intervenendo sulla disciplina generale della conferenza di servizi per offrire al problema del dissenso una soluzione di ampio respiro. Di fronte ad un così articolato quadro normativo, conviene studiarne – almeno succintamente – l’evoluzione. Prima della riforma del 2005, il dissenso espresso in conferenza era insuperabile se i dissensi manifestati in quella sede fossero stati in maggioranza rispetto ai consensi. In tal modo, si finiva per conferire un vero e proprio diritto di veto alla mera maggioranza numerica delle amministrazioni intervenute in conferenza, in palese spregio della ponderazione qualitativa degli interessi pubblici di cui le stesse erano portatrici. Con l’entrata in vigore della l. n. 15/2005, invece, i dissensi quantitativamente maggioritari non sono stati più ritenuti ostativi alla definizione favorevole della procedura. La nuova disciplina, infatti, consente all’amministrazione procedente di adottare la determinazione conclusiva del procedimento tenendo conto delle posizioni prevalenti” espresse in conferenza, laddove il concetto di prevalenza, adottato dal legislatore, assume valenza non unicamente quantitativa-numerica, come nel principio maggioritario, ma anche qualitativa-sostanziale art. 14- ter , comma 6- bis , l. n. 241/1990 . Ciò significa che occorre attribuire rilevanza al peso specifico” che la singola amministrazione partecipante ai lavori conferenziali possiede, e al ruolo da essa svolto nello specifico affare amministrativo trattato in conferenza, tenendo conto anche delle sue dimensioni e della sua tipologia Tar Lombardia, Milano, sez. II, n. 6161/2008 . Se i consensi risultano dunque prevalenti”, i dissensi sono considerati tamquam non essent o, meglio, superabili dall’amministrazione procedente nell’esercizio del proprio potere sostitutivo, ancorché sulla base di adeguata motivazione. Il criterio delle posizioni prevalenti, introdotto dalla l. n. 15/2005, è dunque pure attualmente il generale strumento di superamento del dissenso manifestato nella procedura conferenziale. Si pone tuttavia il problema del dissenso c.d. qualificato”, così denominato perché espresso da un’amministrazione portatrice di interessi c.d. sensibili. A tale riguardo sovviene la disciplina di cui al citato comma 3 dell’art. 14- quater . Secondo la soluzione originariamente proposta dal d.l. n. 78/2010, convertito in l. n. 122/2010, i dissensi qualificati, anche se espressione della minoranza, potevano essere superati, in presenza di determinate condizioni, da parte dell’organo politico centrale. In specie, si prevedeva che nell’ipotesi in cui il motivato dissenso venisse espresso da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione fosse rimessa, dall’amministrazione procedente, alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, tenuta a pronunciarsi entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione, o le Regioni e le Province autonome interessate in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale, o tra più amministrazioni regionali , ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale, o tra più enti locali . Se l’intesa non era poi raggiunta nei successivi trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri poteva essere comunque adottata. In chiusura, l’originario comma 3 ammetteva, quale extrema ratio , l’intervento sostitutivo del Consiglio dei Ministri che deliberava con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate nell’ipotesi in cui il dissenso fosse stato espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza. La Corte Costituzionale, tuttavia, con sentenza n. 179/2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 3, lettera b , d.l. n. 78/2010, convertito in l. n. 122/2010, nella parte in cui, modificando il comma 3 dell’art. 14- quater , esso prevedeva che in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia autonoma, in una delle materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro il breve termine di trenta giorni, l’intesa il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo, con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate . Sul punto, la Corte ha rilevato che se da un lato esiste un’esigenza unitaria che legittima l’intervento del legislatore statale, anche in ordine alla disciplina di procedimenti complessi estranei alle sfere di competenza esclusiva statale affidati alla conferenza di servizi, in vista dell’obiettivo della accelerazione e semplificazione dell’azione amministrativa, dall’altro si deve escludere che l’intera disciplina della conferenza di servizi e, dunque, anche la disciplina del superamento del dissenso all’interno di essa sia riconducibile ad una materia di competenza statale esclusiva, tenuto conto della varietà dei settori coinvolti, molti dei quali sono innegabilmente relativi anche a competenze regionali es. governo del territorio, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali . Nel caso di specie – osserva la Consulta – la previsione dell’intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una drastica previsione” della decisività della volontà di una sola parte nella specie, del Governo in caso di dissenso, ma che siano necessarie ‘idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze’. Solo nell’ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure mirate all’accordo, può essere rimessa al Governo una decisione unilaterale . Se, invece, l’intervento unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa, è violato il principio di leale collaborazione, con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale. Recependo le direttive costituzionali, il Legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia con il d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, a cui si deve l’attuale formulazione del comma 3. In specie, secondo la disciplina ora vigente, se il motivato dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ai fini del raggiungimento dell’intesa, entro trenta giorni dalla data di rimessione della questione alla delibera del Consiglio dei Ministri, viene indetta una riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione della regione o della provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate, attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione sulle decisioni di competenza. In tale riunione i partecipanti debbono formulare le specifiche indicazioni necessarie alla individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto originario. Se l’intesa non è raggiunta nel termine di ulteriori trenta giorni, è indetta una seconda riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con le medesime modalità della prima, per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni progettuali alternative a quella originaria. Ove non sia comunque raggiunta l’intesa, in un ulteriore termine di trenta giorni, le trattative, con le medesime modalità delle precedenti fasi, sono finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso. Se all’esito delle predette trattative l’intesa non è raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata con la partecipazione dei Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate . Interpretando il dato normativo, la giurisprudenza ha recentemente spiegato che il meccanismo di rimessione al Consiglio dei Ministri svolge una funzione semplificatoria volta a superare gli arresti procedimentali per il rilascio – in questo caso – dell’autorizzazione unica. Il Consiglio dei Ministri, infatti, si sostituisce completamente alle amministrazioni interessate, previa acquisizione delle loro posizioni, nel rispetto del principio di leale collaborazione al Consiglio dei Ministri, pertanto, è conferito un ampio potere discrezionale volto ad effettuare una valutazione degli interessi in giuoco. In tal modo, come evidenziato dalla dottrina, la decisione è devoluta ad un altro e superiore livello di governo e con altre modalità procedimentali. L’effetto di un tale dissenso qualificato espresso a tutela di un interesse sensibile cioè di particolare eco generale, di incidenza non riparabile o facilmente riparabile, e per di più qui riferito a un valore costituzionale primario è dunque di spogliare in toto la conferenza di servizi della capacità di ulteriormente procedere – o meglio, di spogliare in termini assoluti l’amministrazione procedente della sua competenza a procedere e sulla base del modulo della conferenza di servizi – e di rendere senz’altro dovuta, ove l’amministrazione procedente stessa intenda perseguire il superamento del dissenso, la sua rimessione degli atti a diversa autorità, vale a dire al menzionato livello, a differenza del precedente impegnativo di responsabilità di ordine costituzionale. In questi casi dunque la manifestazione del dissenso qualificato in conferenza di servizi provoca senz’altro la sostituzione della formula e del livello del confronto degli interessi, fa cessare il titolo dell’amministrazione procedente a trattare nella sostanza il procedimento salvo, in conformità al dissenso, rinunciare essa stessa allo sviluppo procedimentale e disporre negativamente sull’iniziativa che gli ha dato origine cfr. CdS, sez. IV n. 2999/2014 . L’intervento riformista del Decreto Sblocca Italia. Nel descritto tessuto normativo si innesta la novella recata dall’art. 25 del Decreto Sblocca Italia, ai sensi del quale all’art. 14- quater , comma 3, dopo le parole rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che sono inserite le seguenti ha natura di atto di alta amministrazione. Il Consiglio dei Ministri . La portata innovativa del Decreto è tutta nella particolare identificazione della natura giuridica della deliberazione del Consiglio dei Ministri ex art. 14- quater essa costituisce un atto di alta amministrazione e non è dunque un atto di natura politica. Si tratta di una novità che incide sul regime sostanziale e processuale della suddetta deliberazione del Consiglio dei Ministri. L’assunto va meglio spiegato nei seguenti termini. In linea generale, occorre rammentare che gli atti di alta amministrazione costituiscono manifestazioni di impulso all’adozione di atti amministrativi, preordinati al perseguimento delle finalità previste dalla legge. Il fondamento normativo degli atti di alta amministrazione si rinviene nell’art. 95 Cost., nella parte in cui attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri, insieme al ruolo di indirizzo politico del Governo, anche la salvaguardia dell’unità di indirizzo amministrativo dello stesso e infatti, gli atti di alta amministrazione enucleano le direttive fondamentali della P.A. nel rispetto degli indirizzi politici espressi dal Governo in ordine alla cura ed alla gestione delle attività e dei beni pubblici e consentono, quindi, di svolgere un ruolo di raccordo tra la funzione politica o di governo espressione dello Stato-comunità e la funzione amministrativa espressione dello Stato-soggetto nella cura degli interessi concreti. Non si tratta quindi di atti connessi alla tutela di interessi fondamentali ed alla salvaguardia del funzionamento dei pubblici poteri, né di atti liberi nei fini ed insindacabili ex art. 7, comma 1, ultimo alinea, c.p.a. invero, mentre quelle innanzi descritte costituiscono le prerogative tipiche degli atti c.d. politici, gli atti di alta amministrazione si collocano viceversa in una posizione intermedia tra i suddetti atti politici e gli atti amministrativi veri e propri, giacché essi sono fonti secondarie, subordinate alla legge ordinaria e agli atti di direzione politica, ma hanno carattere discrezionale, sia pure nel rispetto del necessario perseguimento di finalità pubbliche. Come tali, gli atti di alta amministrazione sono interamente assoggettati al regime giuridico degli atti amministrativi, a partire dall’applicazione degli artt. 97 e 113 Cost. e ovviamente delle regole dettate dalla l. n. 241/1990. Per ciò che attiene alla loro motivazione, ad esempio, la capacità di tali atti di incidere negativamente sulla sfera giuridica dei destinatari ha da sempre convinto la giurisprudenza della necessità della loro dettagliata” motivazione cfr., da ultimo, Tar Lazio, Roma, sez. I, n. 9505/2014 . Il tutto risulta peraltro strettamente connesso con il relativo regime processuale solo un’analitica motivazione dell’atto, invero, consente che lo stesso venga puntualmente sindacato in sede giurisdizionale, laddove comunque l’atto di alta amministrazione risulti lesivo di una particolare situazione giuridica soggettiva cfr., da ultimo, CdS, sez. III, n. 4536/2014 . È proprio questo, in definitiva, il caso della deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata ex art. 14-quater, che dovrà quindi adesso intendersi come un atto soggetto alle regole procedimentali di cui alla l. n. 241/1990, nonché come un atto sindacabile dal Giudice Amministrativo.

Termine ordinatorio o perentorio? La novella legislativa, per come attualmente formulata, irrobustisce la tesi per cui è ordinatorio” e non perentorio” il termine di 90 giorni fissato dalla legge per la conclusione dei lavori della conferenza di servizi. L’assunto era per vero già stato sostenuto in ragione del richiamo che l’art. 14- ter , comma 6-bis, svolge ai precedenti artt. 2 e 2- bis della stessa L. n. 241/1990 in particolare, sebbene tali disposizioni vengano richiamate ai soli fini della individuazione delle conseguenze risarcitorie derivanti dal ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, è stato comunque affermato che l’Amministrazione procedente, pure decorsi i termini di legge per la conclusione dei lavori della conferenza, non consumi il potere di provvedere. Tuttavia, adesso che il novello comma 8- bis consente una sorta di allungamento dei termini di validità degli atti endoprocedimentali, si ritiene che possa a maggior ragione affermarsi tale soluzione. Il risvolto negativo che ne deriverebbe, però, riguarderebbe l’eventuale disincentivo alla celere conclusione dei lavori della conferenza. In specie, svincolando gli atti endoprocedimentali da un immediato termine di decorrenza della loro validità, si potrebbe giungere ad avallare una disinvolta gestione della procedura conferenziale, in spregio ai principi acceleratori che dovrebbero viceversa ispirare uno dei più importanti strumenti di semplificazione dell’attività amministrativa. In ogni caso, si tratterebbe di un definitivo superamento dell’opposto orientamento sostenuto da quella giurisprudenza di merito secondo cui, non essendo ammissibile mantenere una conferenza aperta sine die ovvero esposta alla volontà di uno dei partecipanti, sarebbe perentorio” il termine imposto all’amministrazione per l’adozione del provvedimento finale conclusivo della conferenza Tar Molise, Campobasso, sez. I, n. 721/2008 .

Il quarto punctum pruriens del novello comma 8- bis attiene alla rimozione, in sede di autotutela, degli atti endoprocedimentali resi in sede di conferenza di servizi. In particolare, il dubbio che in questo caso si pone attiene al rischio che, una volta attribuita validità” agli atti endoprocedimentali in seguito all’adozione del provvedimento finale, non si finisca per introdurre una soluzione per rendere più disinvolto il ritiro in autotutela dei suddetti atti endoprocedimentali. L’argomento merita la seguente precisazione. Nel vigore dell’attuale disciplina, silente sulla questione innanzi paragrafata, la prevalente giurisprudenza ritiene che un’Amministrazione che partecipi alla conferenza di servizi non possa ritirare l’atto endoprocedimentale nell’occasione adottato. Le motivazione di tale impostazione poggiano sostanzialmente sul fatto che la disciplina della conferenza risulta emancipata dal pieno assenso di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti sì che, nei fatti, l’esercizio del potere di autotutela non potrebbe porre nel nulla una decisione che, in ogni caso, potrebbe essere adottata già pure se nella conferenza una singola amministrazione manifesti il proprio dissenso. In questo senso, si rammenta in primo luogo che all’originario principio dell’unanimità è subentrato il principio della maggioranza, a sua volta sostituito dal principio delle c.d. posizioni prevalenti art. 14- ter , comma 6- bis in secondo luogo, che sono stati eliminati i meccanismi del c.d. dissenso postumo” e dell’impugnazione successiva alla determinazione conclusiva in terzo luogo, che sono stati rafforzati i sistemi di acquisizione tacita dell’assenso art. 14- ter , comma 7 . Rivedere la posizione espressa? Bisogna sollecitare l’indizione di una nuova conferenza. Alla luce di tanto, la prevalente giurisprudenza opina nel senso che l’unica strada percorribile per l’Ente pubblico che intenda rivedere la posizione espressa in sede di conferenza, è quella di sollecitare l’indizione di una nuova conferenza, nell’ambito della quale tutte le amministrazioni coinvolte possono poi procedere nuovamente a quelle valutazioni che avevano condotto all’adozione della prima decisione. Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, tuttavia, l’indizione di una nuova conferenza non costituisce un obbligo per la P.A., potendo quest’ultima procedere in tal senso solo all’esito di una valutazione positiva circa la sussistenza dei presupposti necessari per proporla. Un diverso orientamento, infatti, sarebbe in contrasto con la riforma operata dalla L. n. 15 del 2005 che, introducendo il comma 6- bis nell’art. 14- ter , L. n. 241/1990, ha potenziato il ruolo e le responsabilità dell’amministrazione procedente cui è rimessa la determinazione finale, previa valutazione delle specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede Cons. Stato, sez. VI, n. 1023/2006 . Rebus sic stanti bus A chi scrive pare che il novello comma 8- bis possa in qualche modo incidere sulla riferita opzione interpretativa che nega la ritirabilità in autotutela dell’atto endoprocedimentale. In specie, ferma restando la bontà della tesi secondo cui l’esercizio del potere di autotutela non potrebbe comunque porre nel nulla un provvedimento finale di per sé emancipato dal pieno assenso di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, nondimeno il ritiro in autotutela di un atto endoprocedimentale che ha grandemente inciso sulla determinazione finale potrebbe di certo spingere l’Autorità procedente verso l’indizione di una nuova conferenza. Da qui il rischio che il comma 8- bis , attribuendo una postuma validità recte grande importanza” agli atti endoprocedimentali, abiliti ad un esercizio disinvolto del potere di ritiro di tali atti, usato al solo fine di forzare” la già manifestata volontà dell’Amministrazione procedente, spingendola subdolamente verso l’indizione di una nuova conferenza di servizi il tutto, in barba ai propositi di semplificazione, di efficacia e di efficienza dell’azione amministrativa, per come forse malamente perseguiti dal Governo.

Il terzo aspetto critico della novella proposta dal decreto Sblocca Italia riguarda l’opportunità della novella medesima che nei fatti, come si vedrà, sottrae organicità ad un istituto che di certo aveva bisogno di soluzioni acceleratorie, ma non di scelte confusionarie. Nel primo paragrafo del presente approfondimento già si è evidenziato che, secondo la disciplina attualmente recata dal comma 6- bis non modificato dal d.l. n. 133/2014 , la determinazione motivata di conclusione del procedimento, assunta alla luce delle posizioni prevalenti espresse in sede di conferenza, sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti . Ebbene, essendo rimasto invariato tale regime normativo, che senso ha – adesso – far decorrere dall'adozione del provvedimento finale i termini di validità” di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della Conferenza di Servizi? In altri termini, se è vero che tutti gli atti endoprocedimentali acquisiti in sede di conferenza vengono sostituiti a tutti gli effetti” dalla determinazione motivata di conclusione del procedimento, perché il Legislatore intende adesso attribuire a questi una validità” a partire dalla definitiva conclusione dei lavori? Per come formulata, quindi, la novella legislativa crea una evidente frizione con il precedente disposto normativo, perché non si comprenderebbe come possa giustificarsi il fatto che un atto endoprocedimentale sostituito a tutti gli effetti”, possa attraversare un momento di purgatorio nella fase intermedia tra la determinazione conclusiva ed il provvedimento finale, per poi risorgere dalle ceneri al momento dell’adozione del suddetto provvedimento finale, acquistando bellamente validità”. In ogni caso, la soluzione scelta dal decreto Sblocca Italia sembra poter pure alimentare il dibattito interpretativo circa l’autonoma impugnabilità degli atti endoprocedimentali dopo l’adozione del provvedimento finale. Da quando decorre il termine per impugnare? In specie, il novello comma 8- bis sembra poter dare un avallo normativo alla tesi giurisprudenziale secondo cui le pubbliche amministrazioni che partecipano o che avrebbero dovuto partecipare alla conferenza possono, dopo l’adozione del provvedimento finale, impugnare sia quest’ultimo atto che quello endoprocedimentale eventualmente pregiudizievole adottato da altra Amministrazione . Il termine per l’impugnazione, quindi, decorrerebbe con certezza dal momento dell’adozione del provvedimento finale, conclusivo della conferenza di servizi. Se così davvero fosse, poco senso avrebbe disquisire in merito al rapporto intercorrente, ai fini della proposizione del ricorso, tra gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale emanato dall’amministrazione procedente all’esito della conferenza in ogni caso, infatti, i termini per l’impugnazione dell’atto endoprocedimentale decorrerebbero dall’adozione del provvedimento finale, con buona pace di quanti, sino ad ora, hanno pensato di dover distinguere tra un provvedimento finale meramente dichiarativo” da un lato, ed un provvedimento finale non consequenziale” dall’altro lato. Analogo discorso varrebbe per l’impugnazione eventualmente proposta da parte dei privati pure questi, finalmente ammessi alla partecipazione alla conferenza di servizi art. 14-ter, comma 2-bis , potrebbero attendere l’emanazione del provvedimento finale per impugnare, insieme ad esso, l’atto endoprocedimentale eventualmente lesivo della proprio sfera giuridica. A nulla varrebbe, perciò, invocare l’immediata lesività dell’atto endoprocedimentale per giungere a soluzioni interpretative diverse.

Un aspetto intimamente connesso a quello innanzi analizzato attiene alla valutazione dell’incoerenza della disciplina della conferenza di servizi che il novello comma 8-bis contribuirebbe colpevolmente a determinare. In particolare, in disparte tutti i dubbi interpretativi di cui innanzi si è detto, il riferimento va alla validità” degli atti endoprocedimentali nella fase procedimentale che va dalla loro adozione e manifestazione in sede di conferenza alla fase dell’adozione del provvedimento finale. Per come formulato, il nuovo comma 8- bis sembra invero lasciare intendere che solo dopo” l'adozione del provvedimento finale acquistino validità” i precedenti pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell'ambito della Conferenza di Servizi. Ebbene, come è possibile che un provvedimento che esplica i propri effetti in un certo contesto procedimentale e che poi viene sostituito a tutti gli effetti” dalla determinazione conclusiva, acquisti poi validità” in seguito all’adozione del provvedimento che lo assorbe? E come è possibile negare validità” proprio a quegli atti che in sede di conferenza è necessario acquisire e valutare ai fini dell’adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento conferenziale? Affidando al successivo paragrafo il compito di verificare il modo in cui, sino ad ora, il Legislatore ha inteso trattare la sorte degli atti endoprocedimentali acquisiti in sede di conferenza di servizi, questa sembra la sede opportuna per segnalare l’ulteriore aporia sistematica che deriverebbe dall’asettica conversione in Legge del decreto Sblocca Italia, laddove si finirebbe per negare l’ autentica validità” di tutti quegli atti endoprocedimentali che costituiscono il fondamento della determinazione finale assunta all’esito della conferenza di servizi.