“Svuota carceri” e risarcimento: nodi applicativi nella giurisprudenza

Il decreto legge n. 146/2013, convertito con modifiche nella legge n. 10/2014 e il decreto legge n. 92/2014, convertito in legge n. 117/2014, fanno parte delle misure adottate dal legislatore italiano per far fronte al sovraffollamento carcerario degli istituti penitenziari italiani. Interventi normativi resi necessari per adempiere alla sentenza pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013, nel caso Torreggiani, che, nel riscontrare la sistematica violazione del divieto di trattamenti degradanti ex art. 3 Cedu, ha invitato lo Stato italiano a combattere le cause dell’ormai cronico problema adottando le misure necessarie entro un anno dal passaggio in giudicato della sentenza, ossia il 28 maggio 2014 . Il primo provvedimento legislativo, intitolato misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata” della popolazione carceraria , si è mosso in entrambe le direzioni di adempimento dei moniti europei sul fronte dei rimedi preventivi interni al sistema carcerario migliorando la tutela dei diritti dei detenuti si fa riferimento all’introdotto reclamo ex art. 35- bis ord. penit., ossia un nuovo procedimento giurisdizionale davanti al magistrato di sorveglianza, caratterizzato da meccanismi diretti a garantire l’effettività delle decisioni giudiziarie, nella prassi troppo spesso inevase . Misure alternative alla detenzione in funzione deflattiva. Quanto ai rimedi preventivi esterni, utilizzando le misure alternative alla detenzione in funzione deflattiva, nel senso che l’aumentata applicazione di queste misure dovrebbe portare i numeri della popolazione carceraria entro le soglie compatibili con un’espiazione rispettosa della popolazione carceraria dell’umanità dei reclusi Bronzo, Problemi della liberazione anticipata speciale , in Arch. Pen., 2014, n. 2 . Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, incaricato di monitorare l’adeguamento dell’Italia alla sentenza Torreggiani, con un comunicato emesso il 5 giugno 2014, pur valutando positivamente il percorso di riforme attuato dallo Stato italiano nel quale si inserisce anche il d.l. n. 78/2013, convertito in l. n. 94/2013 che, per limitare il numero di detenuti in attesa di giudizio, ha innalzato il limite minimo del massimo edittale, da 4 a 5 anni, necessario per disporre la custodia cautelare in carcere , evidenziava la perdurante carenza di un rimedio compensativo , e auspicava in tempi brevi l’introduzione di un rimedio risarcitorio . Sconto di pena Proprio in tale direzione si è mosso il d.l. n. 92/2014, convertito in l. n. 117/2014, nel dettare disposizioni urgenti sui rimedi risarcitori da sovraffollamento carcerario e tutela offerta al detenuto che abbia vissuto o continua a subire detenzioni degradanti, attraverso strumenti compensativi e/o risarcitori. In particolare, è previsto uno sconto di pena” di un giorno di pena residua per ogni 10 giorni durante i quali vi è stata la violazione dell’art. 3 Cedu oppure un risarcimento monetario di 8 euro per ogni giorno trascorso in carcere in condizioni inumane e degradanti qualora 1 il residuo di pena da espiare non permette l’attuazione integrale della citata detrazione percentuale perché, ad esempio, sono più numerosi i giorni da abbuonare” a titolo di risarcimento che quelli effettivi residui da scontare 2 quando il periodo detentivo trascorso in violazione dell’art. 3 Cedu sia stato inferiore a 15 giorni 3 il pregiudizio di cui all'art. 3 Cedu sia subito dal detenuto in custodia cautelare non computabile nella determinazione della pena ovvero abbia ormai espiato la pena della detenzione. Le novelle introdotte presentano dubbi interpretativi che hanno condotto ad applicazioni difformi nella magistratura di sorveglianza. Con il presente lavoro – in versione integrale nella sezione Speciali - si vuole offrire un contributo per dare contezza di tali prassi giurisprudenziali cercando di fornire spunti ermeneutici in attesa della cristallizzazione interpretativa delle suindicate normative.

Nei casi di condannati a pene cumulate, alcune soltanto per il reato di cui all’art. 4- bis , si pone la questione se, anche ai fini della liberazione anticipata speciale i cumuli penali debbano sciogliersi virtualmente oppure no. Anche in questa problematica si riscontrano due contrapposti orientamenti giurisprudenziali. Il primo ritiene che allorché l’esecuzione della pena detentiva sia riferita ad una pluralità di reati, alcuni dei quali ostativi alla concessione della liberazione anticipata speciale di cui all’art. 4, d.l. n. 146/2013, è consentita, in sede esecutiva, la scissione del cumulo al fine di verificare l’avvenuta espiazione della parte di pena imputabile ai reati ostativi e la conseguente possibilità di disporre la misura in oggetto Mag. Sorv. Vercelli, 27 maggio 2014 . Un secondo orientamento, più restrittivo, rilevato che l’art. 4 della legge di conversione n. 10/2014 prevede la maggiorazione sul beneficio ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti di cui all’art. 4- bis interpreta tale inciso come rivolto al tipo delinquenziale”, ritenendo inscindibile il cumulo ai fini dell’applicazione della liberazione anticipata speciale. Il significato letterale della norma porta ad escludere dal beneficio chiunque sia stato condannato” per tale tipologia di delitti. In particolare, per Trib. Sorv. Catania, 10.11.2014. Che la volontà del legislatore sia quella di escludere in senso assoluto la tipologia d’autore” dalla estensione del beneficio si evince chiaramente dai lavoro parlamentari. Il decreto legge n. 146/2013 prevedeva infatti l’estensione a tali soggetti a date condizioni. Nella società civile e, di conseguenza, nelle aule parlamentari, si scatenava la reazione indignata di chi riteneva che una riduzione di pena non fondata su una evoluzione individuale, ma dettata da esigenze di sfollamento carcerario, non dovesse applicarsi ai soggetti che si fossero distinti per aver commesso reati di particolare allarme sociale. Il Parlamento votava accoglimento a tale orientamento. Il principio del favor rei ” di cui al comma 4 dell’art. 2 c.p., invocato da taluno per imporre l’operazione logica di scissione del cumulo, non appare in alcun modo applicabile alla materia, trattandosi di legge eccezionale e temporanea espressamente esclusa dal comma 5 dell’art. 2 c.p. e di tale norma di carattere processuale per l’evidente distinzione che occorre tra norma che sancisce una pena e norma che, di quella pena, regola l’esecuzione . Tale ultima lettura non sembra condivisibile perché la soluzione della inscindibilità del cumulo stride, prima ancora che con l’individualizzazione necessaria per la realizzazione del finalismo rieducativo della pena ex art. 27, comma 3, Cost., col canone di eguaglianza e ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost. Inoltre, è in via di superamento l’interpretazione del carattere meramente processuale” delle norme che presiedono all’esecuzione della pena. Secondo la sentenza della Grande Charme della Corte europea dei diritti dell’uomo, emessa nel caso Del Rio Prada c. Spagna, del 21 ottobre 2013 sebbene la materia dell'esecuzione penale rimanga esclusa, in via di principio, dal concetto di matière pénale e non sia pertanto assoggettata al principio di irretroattività di cui all'art. 7 Cedu , nel caso in esame la disciplina della redención de penas deve essere considerata parte integrante del droit pénal matériel ” peraltro esteso dai giudici di Strasburgo all’improvviso revirement giurisprudenziale della Corte Suprema spagnola in senso peggiorativo che aveva irrigidito il criterio di individuazione del dies a quo della pena, in caso di cumulo, ai fini dell’ammissione di una condannata per reati di matrice terroristica alla liberazione anticipata, invocata dalla ricorrente sulla base di una normativa di favore, successivamente abrogata . Ciò in quanto la distinzione tra pena ed esecuzione della pena non è decisiva quando le misure nel corso di questa possono incidere sulla sua durata e sul diritto alla restituzione anticipata della libertà. In ogni caso, gli uffici esecuzione delle Procure farebbero bene che, al momento dell’emanazione del provvedimento di cumulo delle pene, stabiliscano che la prima parte di pena da scontare si riferisce al reato ostativo in modo che, conseguentemente il giudice di sorveglianza, visionato il provvedimento dell’organo d’accusa e appurato che i semestri per i quali l’interessato ha richiesto la misura deflativa-premiale si riferiscono invece a reati comuni non ostativi, possa quindi accogliere l’istanza del condannato posto che, come si evince dalle risultanze documentali acquisite, egli ha dato prova di un’attiva partecipazione al programma rieducativo. Laddove il pubblico ministero avesse errato nel modulare l’ordine cronologico da seguire per l’espiazione delle diverse pene — stabilendo per ipotesi che dovesse eseguirsi prima la pena per i reati comuni e solo poi quella per i reati ostativi — al giudice di sorveglianza sarebbe comunque precluso un sindacato sulla legittimità dell’ordine di esecuzione, gravando piuttosto sull’interessato l’onere di instaurare un incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 c.p.p. Cercola, La liberazione anticipata speciale e lo scioglimento del cumulo, in Arch. pen., n. 5/2014 .

L’art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013 estendeva i benefici della liberazione anticipata speciale anche ai condannati per reati di cui all’art. 4- bis ord. penit., sia de futuro, sia de praeterito, a condizione che avessero dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità . Tale norma è stata eliminata in sede di conversione dalla l. n. 10/2014, ponendo, in assenza di norme di diritto intertemporale, la questione, attualmente controversa nelle aule della magistratura di sorveglianza, inerente alla concedibilità della liberazione anticipata speciale integrativa” ai condannati 4- bis nel caso di richiesta avanzata durante la vigenza dell’art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013. Alcuni Tribunali di Sorveglianza hanno stabilito che L’art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013, convertito, con modificazioni, in l. n. 10/2014, art. 1, ha natura processuale, del pari di tutte le altre norme dell’ordinamento penitenziario, risultando estranea alla materia della successione delle leggi processuali nel tempo ogni ipotesi di applicazione del trattamento più favorevole al reo. A quanto precede consegue che correttamente il Magistrato di Sorveglianza ha applicato il principio tempus regit actum escludendo la liberazione anticipata speciale nel caso in cui l’istanza sia stata presentata nella vigenza del d.l. n. 146/2014 ma decisa dopo la legge di conversione n. 10/2014 Trib. Sorv. Milano, 30.5.2014 Trib. Sorv. Catania, 10.10.2014 . L’art. 77, comma 3, Cost. impedisce al decreto-legge non convertito di inserirsi in quel fenomeno di successione di leggi nel tempo, cui si riferisce invece l’art. 25, comma 2, Cost., alla stregua di quanto affermato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 51/1985 conseguentemente, l’istanza di liberazione anticipata speciale presentata da soggetto condannato per taluno dei delitti previsti dall’art. 4- bis ord. penit., se ancora pendente al momento della conversione del decreto-legge n. 146/2013, va decisa alla stregua della disciplina introdotta dalla legge di conversione 10/2014, sebbene meno favorevole all’istante Trib. Sorv. Torino, 17.6.2014 . Inoltre, nel caso specifico non troverebbe comunque applicazione la retroattività della lex mitior ex art. 2, comma 4, c.p., trattandosi di norma transitoria ed eccezionale dovendosi applicare per il periodo di 2 anni dalla sua entrata in vigore, al fine dichiarato di svuotare” le carceri che rientrerebbe nella previsione di cui al comma quinto dell’art. 2 Trib. Sorv. Catania, 8.11.2014 . La conferma è arrivata dalla Cassazione. Tale orientamento ha trovato conferma in una pronuncia della Suprema Corte secondo la quale Il ricorso per cassazione di un detenuto, in espiazione di pena relativa a taluno dei particolari delitti indicati nell’art. 4- bis , l. 26 luglio 1975, volta all’applicazione del beneficio della liberazione anticipata speciale per il passato, formulata nella vigenza del tenore normativo contenuto nell’art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013, deve essere rigettato in quanto quest’ultima disposizione, eliminata in sede di conversione dalla l. n. 10/2014, non può più applicarsi, perché l’efficacia del decreto legge in tutto o in parte non convertito che può farsi salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto Cass. pen., sez. I, n. 34073/2014 . Critiche a siffatto orientamento. Tale posizione non sembra condivisibile in quanto un’attenta lettura della pronuncia della Corte Costituzionale n. 51/1985 comporta l’impossibilità di applicare retroattivamente la norma penale più mite contenuta nel decreto legge non convertito solo” ai fatti cosiddetti pregressi”, ossia commessi antecedentemente l’entrata in vigore del decreto stesso. Ferma restando, al contrario, la necessità di applicare la norma più mite ai fatti cosiddetti concomitanti”, ossia commessi sotto la vigenza del decreto, stante la prevalenza, sul disposto dell’art. 77, comma 3, Cost., del superiore ed irrinunciabile principio di irretroattività della legge penale più severa, sancito dall’art. 25, comma 2, Cost Perciò, la norma del decreto legge – che prevedeva l’applicabilità universale dell’istituto temporaneo a tutti i detenuti meritevoli – andrebbe ciò nonostante applicata dal giudice ai fatti concomitanti”, che qui sono costituiti dalle situazioni soggettive diritto alla detrazione di settantacinque giorni maturate nell’arco temporale compreso tra l’entrata in vigore della norma e la sua mancata conversione in legge. Cioè, a tutti i detenuti che in quel periodo abbiano acquisito il diritto allo sconto, avendo tenuto una condotta partecipativa all’opera di rieducazione durante i semestri di detenzione ai quali la previsione era allora riferibile, ossia quelli compresi tra il 1° gennaio 2010 e il 22 febbraio 2014 giorno successivo alla pubblicazione della legge . La rilevanza dell’art. 25, comma 2, Cost. non può dunque escludersi tout court – come sostenuto dalle pronunce citate – sempre ed in ogni caso di decreto non convertito o convertito con emendamenti implicanti mancata conversione parziale. Qualora, come nel caso di specie, il condannato per un reato di cui all’art. 4- bis ord. penit. abbia maturato i requisiti per accedere alla liberazione anticipata speciale nella vigenza provvisoria del decreto legge n. 146/2013, si si avrà una ultrattività di una norma penale più favorevole – applicazione dello speciale beneficio di cui all’art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013 – successivamente estromessa dalla legge di conversione n. 10/2014. In conclusione, non concordando con l’orientamento che precede, è preferibile ritenere invece che anche ai condannati per i reati descritti nell’art. 4- bis ord. penit. va riconosciuto il diritto al beneficio della liberazione anticipata speciale, de praeterito , quando ne abbiano maturato i requisiti prima dell’entrata in vigore della legge. E ciò a prescindere dalla circostanza che la relativa istanza sia stata già avanzata nella vigenza del decreto legge o venga presentata dopo la sua conversione. La disciplina della legge di conversione, nella parte in cui esclude dalla maggiorazione i detenuti assoggettati al regime dell’art. 4-bis, sarebbe dunque applicabile unicamente ai semestri successivi all’entrata in vigore della legge stessa. In questo senso si è pronunciato il Magistrato di sorveglianza di Vercelli, 19 giugno 2014 che, nell’applicare la liberazione anticipata speciale al condannato 4- bis , ha aggiunto che altrimenti si finisce per addossare ad un soggetto incolpevole carenze strutturali e organizzative degli uffici di sorveglianza, facendo dipendere l'esito della domanda dalla circostanza - del tutto casuale ed estranea alla volontà e alla capacità di controllo dell'interessato - che sia stata o meno decisa nell'ambito temporale di vigenza delle norme più favorevoli . Ci troviamo, dunque, dinnanzi a condannati meritevoli del beneficio già prima dell'entrata in vigore della modifica normativa in pejus . In tal senso si è espressa la giurisprudenza che, in tema di introduzione di norme legislative che modifichino restrittivamente la concessione dei benefici penitenziari, ne ha negato l'applicazione nei confronti di coloro che, prima dell'entrata in vigore della disciplina più rigorosa, avessero utilmente raggiunto i risultati rieducativi richiesti per la concessione del beneficio Cass., Sez. I, n. 8092/2010, Vizzini . Allo stesso modo, la Consulta ha ritenuto illegittime le norme restrittive sopravvenute nella parte in cui non prevedono che i benefici possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, ai condannati che abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti Corte Cost., n. 79/2007 . La funzione rieducativa della pena, quindi – secondo la condivisibile giurisprudenza della Corte costituzionale – comporta che il percorso trattamentale non possa subire regressioni non ascrivibili alla condotta del condannato, a cui si collega la tutela della legittima aspettativa maturata dal condannato ai fini dell'accesso al beneficio, per il quale risultano integrati, al momento dell'istanza, tutti i presupposti e le condizioni di legge sempre Mag. Sorv. Vercelli, 19.6.2014 . In conclusione, come ricorda Autorevole dottrina È pur vero che sinora la Corte ha affermato il principio con riguardo al fenomeno della successione di norme nel tempo, ma la irrinunciabile esigenza ad esso sottesa, di non frustrare i positivi esiti dell’opera rieducativa, induce a ritenere che la Corte manterrebbe un simile orientamento anche là dove la più restrittiva norma sopravveniente fosse contenuta in una legge di conversione, come nel caso di specie .

Innalzamento degli sconti di pena. Accanto alle modifiche in tema di misure alternative, che ampliando l’operatività di questi istituti consentiranno anche per il futuro una minore carcerizzazione, il d.l. n. 146/2013, c.d. svuota carceri, prevede una risposta immediata all’emergenza sovraffollamento attraverso un istituto transitorio un temporaneo ma sostanzioso innalzamento degli sconti di pena previsti a titolo di liberazione anticipata la liberazione anticipata speciale . Tale intervento, comunque, più che rispondere a logiche clemenziali, si inserisce nel disegno legislativo nel quale la decarcerizzazione non è perseguita attraverso provvedimenti generali ma attraverso misure applicate dal giudice, sulla base di valutazioni di meritevolezza, precluse in presenza di elementi che giustifichino un giudizio di attuale pericolosità del detenuto. In particolare, è previsto un aumento, da 45 a 75 giorni per ogni semestre di pena scontata sia per il futuro per un periodo di 2 anni, quindi fino a Natale 2015 la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata prevista dall’art. 54 l. n. 354/1975 è pari a 75 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata , secondo il disposto dell’art. 4, comma 1 che per il passato a decorrere dal 1° gennaio 2010 , ex art. 4, comma 2, liberazione anticipata integrativa”, ossia maggiorazione di 30 giorni ai detenuti che abbiano ottenuto nel triennio pregresso la concessione della liberazione anticipata ordinaria . Il comma 5 dell’art. 4 d.l. n. 146/2013, prevede che Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai condannati ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative , a cui le legge di conversione ha aggiunto in quanto irragionevolmente escluse dal legislatore d’urgenza tra le ipotesi che escludevano la liberazione anticipata speciale quelle dei condannati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 656, comma 10, c.p.p. . Liberazione anticipata speciale anche per il detenuto agli arresti domiciliari ordinari semplici? Il problema che si è posto dinanzi alla magistratura di sorveglianza è se la liberazione anticipata speciale possa essere concessa al detenuto agli arresti domiciliari ordinari semplici. In merito, Tribunale di Sorveglianza di Palermo, 3.7.2014, Il reclamo di un detenuto agli arresti domiciliari esecutivi ex art. 656, comma 10, c.p.p. avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza che ha negato la maggiorazione dello sconto di liberazione anticipata speciale in quanto la causa ostativa prevista dal comma 5 dell’art. 4 d.l. n. 146/2013, malgrado il legislatore non lo abbia espressamente specificato, deve ritenersi che la perfetta compatibilità del regime degli arresti domiciliari esecutivi” e la detenzione speciale e della detenzione domiciliare imponga lo stesso trattamento, in linea con la ratio dell’istituto che è quella di ridurre la popolazione carceraria . Tali affermazioni non possono essere condivise per un duplice ordine di motivi. L’applicazione del comma 5 agli arresti domiciliari in via analogica, valorizzando l’omogeneità tra gli istituti che prevedono una detenzione” in senso ampio non carceraria, ma domiciliare, anche laddove si ravvisi una eadem ratio , si risolve in un’analogia in malam partem . Invece, la disciplina speciale è riferibile a tutti i casi valutabili ai fini del beneficio ordinario e tra queste rientra la custodia cautelare in carcere per espressa previsione dell’art 54, comma 1, ord. penit. , alla quale gli arresti domiciliari sono equiparati ex lege art. 284, comma 5, c.p.p. . In secondo luogo, l’accennata giustificazione deflattiva che – secondo il Tribunale di sorveglianza di Palermo – non ricorrerebbe nel caso di misure alternative alla detenzione, quindi di soggetti che si trovano già extra moenia , non considera che tali eccezioni incidono sui tassi di scarcerazione perché l’esclusione dello sconto aggiuntivo ritarda la definitiva fuori uscita dei condannati dal circuito penale e che risultano irragionevoli ex art. 3 Cost Lo stesso ordine di problemi e di considerazioni devono compiersi per la liberazione condizionale, altra condizione per la quale la Suprema Corte ammette la concessione della liberazione anticipata ordinaria Cass., sez. I, n. 17343/2009 e non è espressamente esclusa dal beneficio speciale.

Il d.l. n. 92/2014, conv. in l. n. 117/2014 ha dato attuazione diretta alla sentenza Torregiani della Grande Chambre della Corte di Strasburgo che aveva chiesto specifiche misure compensative a favore dei detenuti i quali hanno scontato la pena in una condizione di sovraffollamento tale da comportare una violazione dell’articolo 3 Cedu. In particolare, è stato aggiunto l’articolo 35- ter ord. penit., che attribuisce al magistrato di sorveglianza il potere di dispone, a titolo di risarcimento del danno, uno sconto in termini di riduzione della porzione di pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, ad un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio. E quando il periodo di pena ancora da espiare è tale da non consentire la detrazione suindicata, il giudice di sorveglianza liquida una somma di denaro pari a 8 euro per ogni giorno di detenzione degradante. Quindi, gli strumenti introdotti si configurano quale rimedi specifici per il ristoro di una ben precisa categoria di danno subita dalla persona detenuta o internata, coincidente con la sofferenza psicologica e morale patita in conseguenza di un regime penitenziario non conforme ai parametri elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea. Per ricorrere a Strasburgo è necessario il previo esperimento dei rimedi ad hoc introdotti dal legislatore italiano per fronteggiare il sovraffollamento. Prima di analizzare gli aspetti problematici della nuova disciplina, occorre premettere che con due distinte decisioni del 25 settembre 2014, Sez. II, deccomma 25 settembre 2014, Stella e altri comma Italia, e Rexhepi e altri comma Italia , la Corte europea dei diritti dell'Uomo ha dichiarato irricevibili una serie di ricorsi sollevati per violazione dell'articolo 3 Cedu da alcuni detenuti ristretti nelle carceri italiane. I ricorrenti lamentavano condizioni di detenzione contrarie al divieto di trattamenti inumani e degradanti, dichiarando di essere stati trattenuti in celle sovraffollate e prive di adeguata areazione, illuminazione e riscaldamento. Pronunciandosi all'unanimità, la Seconda Sezione della Corte di Strasburgo ha tuttavia giudicato non soddisfatta la condizione del previo esaurimento delle vie di ricorso interne, non essendo stati esperiti i rimedi recentemente introdotti dal legislatore italiano per riparare, in via preventiva o compensativa, alle violazioni dei diritti fondamentali derivanti da condizioni di sovraffollamento. Sebbene, infatti, i ricorsi esaminati dalla Corte siano stati presentati prima dell'entrata in vigore dei nuovi rimedi, i giudici europei hanno richiamato i ricorrenti al generale obbligo di privilegiare gli strumenti predisposti dal diritto nazionale, riservandosi di intervenire soltanto qualora essi siano stati esperiti senza successo o si siano altrimenti rivelati ineffettivi. Sulla competenza del magistrato di sorveglianza occorre l’attualità del pregiudizio? In seno alla magistratura di sorveglianza è sorto un conflitto tra i requisiti necessari per attivare il reclamo per il risarcimento” del danno da detenzione sconto di pena o del risarcimento monetario , occorre l’attualità del pregiudizio? Secondo un primo orientamento, lo specifico rimedio risarcitorio azionabile ai sensi dell’articolo 35- bis ord. penit. è soggetto ad un duplice presupposto ben definito dall’architettura normativa 1 il pregiudizio afferente alla violazione di un diritto fondamentale del detenuto, quale sancito dall’articolo 3 Cedu 2 il ricorso è anzitutto testualmente collegato alle situazioni indicate nell’articolo 69, comma 6, lett. b ord. penit., il quale per fondare una pronuncia di addebito a carico dell’Amministrazione penitenziaria suscettibile di risarcimento deve esser presente un pregiudizio attuale e grave” della posizione soggettiva del detenuto o internato. Il richiamo all’articolo 69 ord. penit. non può che rinviare alla medesima cornice giuridica del reclamo giurisdizionale fuoriescono dal concetto di attualità del pregiudizio” sia le eventuali violazioni al diritto convenzionale subire in relazioni a detenzioni pregresse rispetto all’attuale vicenda esecutiva sofferte, cioè, in forza di titoli esecutivi diversi da quello attualmente in esecuzione sia le violazioni che, pur riferite a detenzione riferibile all’esecuzione in corso momento della domanda, non siano tuttavia attuali perché medio tempore venute meno, per l’intervento della magistratura o della stessa Amministrazione penitenziaria nell’esercizio della propria sfera di discrezionalità organizzativa in questo senso, Mag. Sorv. Alessandria, 31.10.2014 Mag. Sorv. Padova, 25.9.2014 . L’attualità del pregiudizio deve sussistere sia al momento della presentazione del reclamo, fondando tale elemento l’interesse concreto ad agire dell’interessato, sia – ai sensi dell’articolo 69, comma 6, lett. b ord. penit. – al momento della decisione sul medesimo, poiché l’istituto del reclamo è elettivamente finalizzato ad assicurare quella e solo quella tutela urgente ed immediata che inerisce alla natura stessa della giurisdizione attribuita al magistrato di sorveglianza nella prospettiva delineata dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani che è, appunto, insieme, inibitoria e risarcitoria del danno che si è prodotto fino alla decisione del magistrato di sorveglianza. Solo in questi termini, infatti, la collocazione del rimedio risarcitorio appare coerente con la natura propria della giurisdizione della magistratura di sorveglianza, che viene attribuita nei limiti in cui si tratti di intervenire a riparare un pregiudizio in atti nei confronti di u soggetto detenuto o internato nei casi in cui tale pressante esigenza non sussista, viene meno ogni valida ragione per derogare alla competenza generale in materia di risarcimento del danno assicurata alla giurisdizione del giudice civile, venendosi altrimenti a creare un foro speciale a privilegio esclusivo dei soggetti detenuti, che non pare rispondere, tra l’altro, al canone di eguaglianza di tutti i soggetti dell’ordinamento di fronte alla legge né può essere giustificata da una sorta di giurisdizione esclusiva” della magistratura di sorveglianza su tutte le questioni attinenti alla posizione del soggetto detenuto Mag. Sorv. Novara, 8.9.2014 . Da tale premessa sistematica, disegnata dal testo normativo, deriva in definitiva che, in tutti i casi in cui la violazione dell’articolo 3 Cedu non possegga le caratteristiche dell’attualità essa fuoriesce dall’ambito della competenza della magistratura di sorveglianza, per ricadere nella giurisdizione generale in materia risarcitoria affidata al giudice civile. Tale principio distribuisce, in definitiva, la competenza tra giudice di sorveglianza e giudice civile sulla base dell’attualità del pregiudizio subito, ed appare coerente con la finalità perseguita dal compendio dei rimedi preventivi-compensativi” approntato dal legislatore agli artt. 35- bis e 35- ter ord. penit. e con il risarcimento differenziato sul binomio riduzione di pena/ristoro pecuniario, secondo che il pregiudizio derivante dalle condizioni detentive sia tuttora attuale è giustificata, invero, la parziale rinuncia all’esecuzione della pena qualora sia accertato giudizialmente che quest’ultima si sta eseguendo in condizioni inumane e degradanti , ovvero che il pregiudizio stesso sia nel frattempo cessato in questa ipotesi non vi è ragione alcuna per ridurre la pena ancora da espiare, la cui esecuzione resta sotto ogni profilo legittima, e si fa luogo al risarcimento monetario per il danno pregresso . Il diverso orientamento che nega la necessità di un pregiudizio attuale. Una contrapposta posizione giurisprudenziale, distinguendo nettamente l’articolo 35- ter ord. penit. dal reclamo giurisdizionale articolo 35- bis ord. penit., introdotto dal d.l. 146/2013, convertito nella l. n. 10/2014 , afferma che il legislatore non ha formulato una fattispecie normativa unica in cui l'articolo 35-ter ord. penit. si pone come un corollario dell'articolo 35- bis ord. penit., ma ha disciplinato articolatamente una diversa tutela a titolo compensativo risarcitorio che non incide sul futuro ma riguarda il passato, ossia le gravi lesioni dei diritti patite nel corso della detenzione relativa al titolo in attuale espiazione Mag. Sorv. Bologna, 26.9.2014 e 8.10.2014 . Detenuto che ha subito il pregiudizio”. A suffragare tale opzione interpretativa la dicitura riguardante il destinatario oggetto della tutela, definito come il detenuto che ha subito il pregiudizio” articolo 35- ter , comma 1, ultima parte , e non subisce e sta subendo il danno. Così come il rimedio pecuniario sussidiario è stato stabilito sempre per chi ha subito il pregiudizio, per un periodo evidentemente pregresso, che non sia stato inferiore a 15 giorni” articolo 35- ter , comma 2 . Inoltre, come rilevato da Mag. Sorv. per le Circoscrizioni dei Tribunali di Genova, Savona, Imperia, 10.10.2014 l’accento posto sulle aggettivazioni che accompagnano il pregiudizio” di cui all’ar.69 comma 6 appare incongruo se si ha riguardo all’attributo grave” ipotizzando di applicare pari rigore interpretativo e di assegnare, quindi, un significato proprio e dirimente alla gravità” del pregiudizio – secondo la previsione dell’articolo 69 comma 6 ord. penit. – ci si dovrebbe poter rappresentare l’eventualità di una condizione detentiva tale da violare l’articolo 3 CEDU e tuttavia non grave”. Inoltre, questa lettura colloca e ritiene giustificata la competenza del Magistrato di sorveglianza alla liquidazione dei rimedi risarcitori solo in funzione di una tutela giurisdizionale che, per essere diretta a riparare un pregiudizio in atto, non potrebbe non essere anche inibitoria in tale modo la liquidazione stessa dei rimedi risarcitori finisce per essere configurata alla stregua di uno dei possibili esiti del reclamo ex articolo 35- bis ord. penit., laddove, al contrario, è evidente dal tenore dello stesso articolo 1 e dalle disposizioni transitorie di cui all’articolo 2 che l’azione di cui all’articolo 35- ter è stata voluta dal legislatore ed è descritta dalla normativa in esame come autonoma e indipendente rispetto al reclamo volto a far cessare la violazione dei diritti e nel caso della detenzione illegittima inferiore a quindici giorni inevitabilmente scissa dalla ipotizzabilità di un utile intervento inibitorio . Quest’ultimo orientamento è da condividere, anche perché la Corte di Strasburgo ha inteso in più occasioni rafforzare l'accessibilità da parte dei detenuti ad una effettiva” tutela giurisdizionale - intesa non solo come possibilità di reclamare una decisione afflittiva dell'Amministrazione penitenziaria in conformità all'articolo 6 CEDU Enea comma Italia, 17.9.2009, § 108 e ss. ,ma anche di ottenere un'effettiva tutela risarcitoria per gli inumani trattamenti subiti in sede di esecuzione della pena, in applicazione dell'Articolo 13 letto in connessione con l'articolo 3 CEDU Serdar Güzel comma Turchia, 15.3.2011, § 47 e ss – conseguentemente, si ritiene come la previsione di una permanenza di attualità di violazione dell'articolo 3 Cedu da parte del ricorrente detenuto al fine di vedersi riconoscere dal magistrato di sorveglianza un risarcimento in primis in forma specifica e/o in subordine in forma equivalente, impedisca di fatto al detenuto stesso di esercitare pienamente ed efficacemente ai propri diritti Malavasi, in www.penalecontemporaneo.it, 20.11.2014 . Onere della prova della detenzione degradante. Ai fini della concessione dei rimedi compensativi dello sconto di pena o del risarcimento monetario si pone il problema se viene posto solo in capo all’istante l’obbligo di allegazione di documentazione o altro onere probatorio. In merito si è ritenuto che incombe in capo all’istante una precisa e completa indicazione degli elementi di fatto e di diritto che intende porre a fondamento della pretesa risarcitoria Mag. Sorv. Messina, 26.9.204 che ha ritenuto inammissibile l’istanza del detenuto . Per Trib. Sorv. Catania, 7.11.2014, una volta indicate le circostanze lesive del diritto, nella materia che ci occupa, il magistrato è dotato di poteri istruttori volti a verificare vi sia stata, atteso che onere probatorio a carico del detenuto. Vero è pero che il Magistrato non può anche spingersi a dover ipotizzare quale, quando e dove possa esservi stata una violazione dei diritti, muovendosi per ipotesi personali o sulla base del id quod plerumque accidit . Tale motivazione appare contraddittoria atteso che, in primo luogo, la violazione che lamenta l’istante è proprio la conduzione di vita in carcere in condizioni di sovraffollamento e, in secondo luogo, i dati spazio-temporali” nei quali si è verificata, e tutt’ora si verifica la violazione de qua, possono essere celermente estrapolati attraverso il sistema informativo c.d. Progetto S.I.E.S. – Sistema Integrato Esecuzione Sorveglianza - predisposto dal Ministero della Giustizia ed in particolare con il sottosistema c.d. S.I.U.S - Sistema Informativo Uffici Sorveglianza – ai quali il Magistrato di Sorveglianza può attingere, ricostruendo efficacemente l’intera storia detentiva del reclamante. Inoltre, il Giudice di Sorveglianza potrebbe richiedere all’amministrazione penitenziaria puntuali ed esatte indicazioni sulla dimensione della cella occupata dal detenuto. E l’omissione totale o parziale appare inadempienza in grave in contrasto con il dictum della Corte europea nella sentenza Torreggiani in ordine all’onere della prova in contesti ove sussiste una particolare vulnerabilità della persona che si trova sotto il controllo esclusivo degli agenti dello Stato così, Mag. Sorv. Bologna, 26.9.2014, che al rifiuto parziale della direzione dell’istituto penitenziario in ordine alla dimensione dell’armadio in osservanza delle disposizioni ministeriali con richiesta di calcolare la superficie detentiva al lordo del mobilio”, l’ha considerato in via presuntiva secondo gli standard già accertati in istituti penitenziari nazionali secondo quanto confermato per incidens da Cass. pen. n. 5728/2014 che ha avvalorato la decisione del magistrato di sorveglianza di Padova di scomputare dalla superficie lorda lo spazio occupato dall’arredo fisso nel vano .