Svuota carceri: definitivamente approvato il decreto sulla tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e sulla riduzione controllata della popolazione carceraria

Con la definitiva conversione del Decreto legge n. 146 del 23 dicembre 2013 a mezzo della Legge n. 10/2014 del 21 febbraio 2014 pubblicata in G.U. n. 43 del 21 febbraio 2014 si sono introdotte rilevanti novità nel sistema penale italiano vista la straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure per ridurre con effetti immediati il sovraffollamento carcerario . Come è noto l’ iter di ratifica del Decreto legge in questione è stato piuttosto travagliato, specie per la parte in cui si è prevista una liberazione anticipata speciale, che in pratica ha aumentato, per un periodo di 2 anni, a 75 giorni la detrazione di pena operabile ex art. 54 Legge n. 354/1975 per ogni semestre di pena scontata. Nel complesso, tuttavia, l’impostazione e la disciplina data dal Governo italiano con l’emissione della decretazione d’urgenza è rimasta sostanzialmente intatta. Al di là di tale dato formale, è oltremodo doveroso riconoscere che, sebbene si sia innanzi ad un intervento proteso a rendere effettiva l’umanità della pena nel sistema penitenziario italiano, detto intervento è giustificato – per stessa esplicita ammissione del Governo – non già da una visione complessiva e meditata dell’ordinamento di riferimento ma da contingenti bisogni dettati dalle indicazioni in proposito provenienti dalle più altre cariche istituzionali e dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo CEDU sull’attuale situazione carceraria italiana. Se il fine, quindi, è lodevole, gli strumenti adoperati sono quelli tipici ma frammentari della decretazione d’urgenza. Gli istituti oggetto di intervento sono quelli classici dalla diminuzione delle pene per taluni reati alla individuazione di più ampi strumenti alternativi al carcere. Da questa angolazione, non si è fatto altro che ribadire principi piuttosto risalenti nel tempo, ma che nella pratica normativa italiana trovano, specie negli ultimi decenni, scarsa eco il diritto penale deve essere mite ed il carcere deve essere davvero una extrema ratio . Si è poi prevista e disciplinata la figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, con definizione di compiti di vigilanza e supervisione in merito al concreto rispetto della dignità dei detenuti. Se e quanto sarà efficace l’intervento del Garante è difficile da stabile certamente il tutto, tuttavia, testimonia una inequivocabile presa d’atto sulla precarietà delle situazioni carcerarie e, conseguentemente, sulla necessità di assicurare tempestivi interventi e valutazioni da parte dell’amministrazione facente capo al Ministro della Giustizia. Volendo fornire un quadro d’insieme adeguato e stabile della normazione di cui si tratta, non è inopportuno soffermarsi dapprima su alcuni aspetti fondamentali del normazione de qua ed in particolare su quelli attinenti le modifiche del codice di rito e dell’ordinamento penitenziario, in quanto certamente efficaci da subito e da subito rilevanti per la posizione di numerosi detenuti, lasciando per ultimo le altre e diverse disposizioni, le quali benché importanti non assumono una diretta rilevanza nella pratica giudiziaria.

Nel decreto in questione, al di là di una proroga per le agevolazioni e gli sgravi per i datori di lavori che occupano detenuti ed internati, si sono previste da ultimo maggiori procedure di collaborazione tra gli istituti di pena e le questure, nell’ottica di una velocizzazione delle pratiche di espulsione degli stranieri irregolari, che entrano in carcere, nonché l’accennata istituzione del Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale. Carcere sostituito con l’espulsione. Per quanto riguarda il primo aspetto non vi è molto da riferire, poiché il tutto è chiaramente proteso ad agevolare, nell’ambito delle fattispecie di cui all’art. 16 d.lgs. n. 286/1998, la sostituzione del carcere da eseguire o ancora da scontare con la misura dell’espulsione. Anche in tal caso il fine di evitare un congestionamento delle carceri è evidente per quanto riferito in precedenza non pare irrazionale la previsione in questione, visto che in ogni caso si presuppone il congestionamento della popolazione carceraria, che è per una parte significativa composta da cittadini stranieri irregolari e per i quali è applicabile un provvedimento di espulsione amministrativa. Relativamente al Garante nazionale, bisognerà comprendere nella prassi di quali effettivi poteri potrà godere, tenuto presente che la carica è gratuita e non può essere ricoperta da soggetti aventi cariche istituzionali, anche elettive, o incarichi in partiti politici.

Il decreto ha trasformato” la precedente circostanza attenuante in tema di spaccio di stupefacenti, per il caso di lieve entità, in delitto autonomo, provvedendo anche a fornire le indicazioni normative entro le quali il giudice dovrà emettere il giudizio di lieve entità. La Corte Costituzionale si è espressa di recente sull’argomento. Di per sé stessa tale disciplina non porrebbe particolari problemi, se non fosse che la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 32/2014 ha dichiarato incostituzionale la disciplina inerente la formulazione dell’art. 73 d.p.r. n. 309/1990 così come disciplinata in conseguenza del Decreto legge n. 272/2005. Si è così tornati, per parafrasare le parole della stessa Corte, alla disciplina vigente sino al 27 febbraio 2006, che come noto era ed è ben diversa. Se non che, la norma in questione, essendo stata modificata autonomamente dal legislatore, non potrà essere sindacata in ragione della predetta pronuncia di incostituzionalità, benché il quadro normativo attuale di rifermento è alquanto diverso rispetto a quello esistente al momento della emissione del decreto legge.

Liberazione anticipata. Al fine del decongestionamento delle carceri di notevole importanza appare l’art. 4 del decreto in questione poiché è prevista una liberazione anticipata speciale di giorni 75, in luogo degli attuali 45, per ogni semestre trascorso in detenzione a far data dal 1 gennaio 2010 e sino a 2 anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto. Il beneficio de quo è estensibile anche ai semestri per i quali si è già beneficiato della liberazione anticipata ordinaria non è invece più godibile, come invece indicato in sede di emissione del decreto, da coloro che siano stati condannati per i reati di cui all’art. 4 bis Legge n. 354/1975. Tal ultimo punto è stato oggetto di vivaci discussioni. La discriminazione” in questione peraltro, per quanto ponga allo stato delicati questioni intertemporali per coloro a cui tali benefici erano prima concedibili ed ora invece no ed hanno in effetti goduto di tali benefici, non appare irrazionale. È evidente, infatti, che impedire il godimento di tali benefici ai condannati di cui al predetto art. 4 bis ord. pen. significa valorizzare il dato sostanziale sopra quello formale della liberazione anticipata. Beneficio temporaneo. In altri termini, per stessa ammissione del legislatore il beneficio de quo è temporaneo proprio per ridurre la popolazione carceraria in tempi stretti, sicché l’aumento a 75 giorni non ha dirette giustificazioni sotto il profilo special preventivo, ma dipende solamente dall’esigenza di anticipare di qualche mese la fuoriuscita di condannati dalle carceri. Se così è, ammesso il particolare allarme sociale connesso a taluni reati e data l’eccezionalità della disciplina, non può di per sé giustificarsi una estensione della normativa in questione a tutta la popolazione carceraria. Venendo alle modalità applicative, è previsto che il magistrato di sorveglianza accerti che il condannato abbia comunque dato prova di partecipare all’opera di rieducazione. Non sussistono quindi requisiti speciali o autonomi rispetto a quelli ordinari per poter usufruire della maggiore detrazione. Ne consegue che lo sconto di pena” dovrà essere applicato in via automatica senza possibilità di alcuna discrezionalità sul punto. Per coloro che alla data del 1 gennaio 2010 abbiano già usufruito della liberazione anticipata, si prevede che la maggiore detrazione di giorni 30 per ogni singolo semestre possa essere riconosciuta sempre che nel corso dell’esecuzione, successivamente alla concessione del beneficio originario, abbiano continuato a dare prova di partecipare all’opera di rieducazione. Il tutto sta sostanzialmente a significare la necessità di verificare che tale opera di rieducazione sia attuale e, dunque, sussistente al momento della richiesta della domanda di attribuzione in via retroattiva” dei maggiori giorni di liberazione anticipata. Si è da ultimo previsto che l’aumento di detrazione per la liberazione anticipata non si applichi ai condannati ammessi all’affidamento in prova o alla detenzione domiciliare per i periodi trascorsi in esecuzione di tale misure analoga disciplina vale per i condannati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o agli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 656 comma 10 c.p.p Riduzione del sovraffollamento. Quanto sopra indica definitivamente, se mai ve ne fosse ancora bisogno, che la ratio sottesa al beneficio non è di natura special preventiva di carattere individualizzante. È tuttavia da escludere che la liberazione anticipata speciale sia una sorta di indulto mascherato”, come impropriamente riferito da taluni. Se ben si osserva, infatti, ciò a cui si mira è la riduzione del sovraffollamento delle carceri, sovraffollamento che è innanzitutto evidente ed indiscutibile per i condannati a reati comuni. Le conseguenze, anche criminogene, di tale sovraffollamento sono ben note e non è il caso qui di ripeterle, ma non anche di ritenerle irrilevanti. Ne consegue che vi è comunque un nesso tra la liberazione anticipata speciale e la funzione tipica della pena, la quale se deve tendere alla rieducazione non può mai essere contraria al senso di umanità. Se così è, la strumentalità va vista non nella special prevenzione, ma nell’evitare l’applicazione o il protrarsi di una pena inumana, date le oggettive condizioni precarie delle attuali carceri italiane. Non si è quindi in presenza di un atto di clemenza, neppure in senso ampio, ma di un atto di giustizia.

Particolarmente importanti appaiono le modifiche all’ordinamento penitenziario, posto che, al di là della possibilità di inoltrare reclami alla nuova” figura del Garante dei diritti dei detenuti, si è scritto un nuovo articolo, l’art. 35 bis Legge n. 354/1975, che disciplina in maniera organica il reclamo giurisdizionale, che interessa in particolare le lagnanze in merito alle violazioni, da parte dell’amministrazione penitenziaria, delle disposizioni di legge e di regolamento da cui derivino danni gravi ed attuali all’esercizio di diritti del detenuto o dell’internato. Previsto il giudizio di ottemperanza. L’aspetto più importante di tale disposizione è rinvenibile nella definizione dei poteri spettanti al magistrato di sorveglianza ed in particolare nel fatto di aver previsto, anche per l’ordinamento penitenziario e su iniziativa della parte interessata, il giudizio di ottemperanza tipico del processo amministrativo al fine di porre rimedio alle situazioni che rechino pregiudizio ai diritti dei reclusi. Si è infatti stabilito che in caso di accoglimento, il magistrato di sorveglianza nelle ipotesi di cui all’art. 69, comma 6, lett. b , accertate la sussistenza e l’attualità del pregiudizio, ordina all’amministrazione di porre rimedio nel termine indicato dal giudice e che in caso di mancata esecuzione del provvedimento irrevocabile di può chiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza, il quale dovrà, in caso di accoglimento della richiesta - ordinare l’ottemperanza indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto delle indicazioni fornite dall’amministrazione, sempre che le stesse siano compatibili con il soddisfacimento del diritto - dichiarare nulli gli atti compiuti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito - nominare, ove occorra, un commissario ad acta . Si pone così formalmente fine al problema così tanto sentito, non solo dalle Corti nazionali e internazionali, sui poteri spettanti al magistrato di sorveglianza nei confronti dell’amministrazione penitenziaria inadempiente verso gli obblighi disposti da tale organo giurisdizionale in difesa dei diritti delle persone recluse. Per quanto riguarda le modifiche intercorse in sede di lettura parlamentare è doveroso sottolineare che è stato specificato che il provvedimento de quo è impugnabile per il mezzo del reclamo avanti al Tribunale di sorveglianza, la cui decisione sarà ricorribile per cassazione per violazione di legge. La questione del risarcimento del danno. In corso di conversione del decreto legge è, inoltre, venuta meno ogni specificazione relativa alle soglie di risarcimento del danno dovute in caso inerzia amministrativa. Ciò non significa che la violazione dei diritti e della dignità del detenuto non possa essere oggetto di autonoma azione risarcitoria. Sul punto, infatti, sebbene la giurisprudenza escluda che, ex art. 69, comma 6, ord. pen., il magistrato di sorveglianza possa avere competenza in materia risarcitoria od indennitaria, atteso che la competenza di detto magistrato in materia di violazione dei diritti dei condannati e degli internati nel corso del trattamento, cui fa riferimento l'art. 69, comma 5, u.p. ord. pen., va intesa solo nel senso che egli deve vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e pena ai fini della corretta esecuzione della pena o della misura di sicurezza, con una proiezione ripristinatoria volta al futuro, si da escludere alcuna sua competenza in materia di ristoro risarcitorio, per sua natura rivolta al passato così da ultimo Cass. Pen. Sez. I sentenza n. 36686/2013 , nulla vieta di azionare in sede civile la tutela dei diritti violati. È, tuttavia, indubbio che l’assenza di una responsabilità patrimoniale e diretta dell’amministrazione in caso di inerzia nell’ottemperare l’ordinanza del magistrato di sorveglianza, non costituisce un elemento di accelerazione ma di possibile freno o lassismo all’esecuzione spontanea delle ordinanze. Di particolare rilevanza appare poi l’introduzione dell’affidamento in prova allargato” ex nuovo comma 3 bis dell’art. 47 ord. pen. dal momento che si prevede possa beneficiare di tale istituto anche chi debba espiare una pena, anche residua, di anni 4 di detenzione, purché nell’anno precedente abbia tenuto un comportamento tale da poter essere valutato positivamente ai fini della sua rieducazione ed il tutto preservi dalla commissione di ulteriori reati. Sul punto il decreto indica che il periodo di un anno può essere trascorso o in esecuzione di pena o in custodia cautelare ovvero anche in libertà. Sospensione della pena, Si pone pertanto un problema – a parere di chi scrive - di raccordo con l’istituto di sospensione della pena ex art. 656, comma 5, c.p.p. qualora l’interessato non sia detenuto né in custodia cautelare nel momento in cui diviene definitiva la condanna, posto che l’art. 656, comma 5, c.p.p. fa riferimento a 4 anni di pena detentiva solo con riferimento all’istituto della detenzione domiciliare e non anche dell’affidamento in prova. Si crede che una estensione della disciplina della sospensione al caso de quo sarebbe non solo opportuna ma del tutto dovuta in ragione di semplici criteri di eguaglianza e coerenza sistematica. La pratica chiarirà se ed in che modo vi saranno effettive necessità di adeguamento normativo, visto che in sede di conversione nulla è stato indicato. Per maggiori garanzie ed un giudizio più equo, si è inoltre previsto che sia il pubblico ministero e non più il direttore a chiedere al magistrato di sorveglianza di adottare i provvedimenti connessi al sopravvenire di nuovi titoli di detenzione, dandosi anche espressa possibilità di un reclamo ex art. 69bis ord. pen. avverso i provvedimenti in questione. La decisione di riporre nel pubblico ministero l’iniziativa è giustificata oltre che da ragioni di garanzia anche di competenza, posto che vi è necessità di verificare il cumulo delle pene da eseguire, compito istituzionalmente demandato al pubblico ministero, e la permanenza dei requisiti di legge si tratta di questioni sulle quali è bene affidare ogni decisione solo a magistrati togati. Da ultimo, in sede di conversione, si è data, in casi d’urgenza, al direttore dell’ufficio di esecuzione penale esterna UEPE la possibilità, in favore del condannato, di derogare alle prescrizioni date dal Tribunale di sorveglianza, fermo restando la necessità di comunicare il provvedimento e di rimettere la questione a tale ultimo organo e di darne contezza nella relazione si tratta di uno snellimento opportuno, atteso che l’UEPE è certamente capace di verificare quali modifiche siano da apportare alle prescrizioni allorché si imponga una situazione di urgenza, tenuto altresì conto del contatto che dovrebbe tenersi con il condannato di riferimento e la sostanziale impossibilità di investire immediatamente della questione il Tribunale di sorveglianza.

La prima modifica introdotta è quella relativa al così detto braccialetto elettronico” ex art. 275 bis c.p.p., nel senso che diversamente dallo stato attuale si prevede che salvo che le ritenga non necessarie il giudice è tenuto, nel caso di concessione degli arresti domiciliari, a prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, sempre che ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria. In sostanza il controllo elettronico diviene la regola e la sua mancata imposizione sempre che ovviamente ciò non sia giustificato dall’oggettiva assenza di strumenti tecnici adeguati è posta sulla responsabilità del giudice, il quale evidentemente dovrà adeguatamente motivare sul punto. Detenzione domiciliare più sicura. Ciò è chiaramente proteso non solo a semplificare l’adozione di tali strumenti ma anche ad incentivare maggiori controlli, di modo che la custodia e detenzione domiciliare possano essere oggetto di ampia e più sicura” concessione. Di ciò ne è prova il fatto che, con l’art. 5 del decreto in questione, l’esecuzione della pena presso il domicilio delle pene detentive non superiori a 18 mesi ex art. 1 Legge n. 199/2010 non è più vincolata ad alcun provvedimento o termine di scadenza, costituendo così una stabile” regola del sistema vigente, e dall’aggiunta dell’art. 58 quinques ord. pen. che impone il controllo elettronico di coloro che beneficiano della detenzione domiciliare facendo leva proprio sul nuovo” art. 275 bis c.p.p Tale disciplina è da salutare con favore, poiché in effetti agevola, anche sul piano concreto, la possibilità di ricorrere agevolmente agli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare. Si è poi semplificato il procedimento relativo alla rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie e di altre materie tipiche della competenza del magistrato di sorveglianza e del Tribunale di sorveglianza inerenti ad istituti di favore per i condannati, prevedendo la procedura senza formalità di cui all’art. 667, comma 4, c.p.p., nel chiaro intento di ridurre il più possibile i tempi di intervento per la decisione nelle materie suddette. Più precisamente si è esclusa la necessità, allorché il magistrato di sorveglianza debba decidere sulla rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie, sulla remissione del debito nonché sulla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, di seguire la procedura formale di cui all’art. 666 c.p.p. analoga disciplina è prevista per il Tribunale di sorveglianza allorché sia chiamato in tema di riabilitazione o di valutazione sull’esito dell’affidamento in prova ai servizi sociali, anche in casi speciali.