RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZ. II SENTENZA DEL 24 GENNAIO 2020, N. 1618 IMPUGNAZIONI CIVILI - CASSAZIONE RICORSO PER - GIUDIZIO DI RINVIO - GIUDICE DI RINVIO - IN GENERE. Ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Commissione Centrale per gli esercenti le Professioni Sanitarie - Annullamento con rinvio - Composizione della Commissione in sede di rinvio - Alterità dei componenti rispetto a quelli che hanno pronunciato la sentenza cassata - Necessità - Violazione - Conseguenze. A seguito dell'annullamento, ad opera della Corte di cassazione, della decisione della Commissione Centrale per gli esercenti le Professioni Sanitarie, della composizione di quest'ultima, in sede di rinvio, non può far parte alcuno dei componenti che abbiano partecipato alla pronuncia del provvedimento cassato, diversamente sussistendo una nullità attinente alla costituzione del giudice, ex art. 158 c.p.c., rilevabile senza che occorra fare ricorso alla ricusazione. Si richiama Cass. Sez. U, Sentenza n. 5087/2008 La sentenza che dispone il rinvio a norma dell'art. 383, primo comma, cod. proc. civ. cosiddetto rinvio proprio o prosecutorio , contiene una statuizione di competenza funzionale nella parte in cui individua l'ufficio giudiziario davanti al quale dovrà svolgersi il giudizio rescissorio che potrà essere lo stesso che ha emesso la pronuncia cassata o un ufficio territorialmente diverso, ma sempre di pari grado ed una statuizione sull'alterità del giudice rispetto ai magistrati persone fisiche che hanno pronunciato il provvedimento cassato. Ne consegue che, se il giudizio viene riassunto davanti all'ufficio giudiziario individuato nella sentenza della Corte di cassazione, indipendentemente dalla sezione o dai magistrati che lo trattano, non sussiste un vizio di competenza funzionale, che non può riguardare le competenze interne tra sezioni o le persone fisiche dei magistrati se, invece, il giudizio di rinvio si svolge davanti allo stesso magistrato persona fisica in caso di giudizio monocratico o davanti ad un giudice collegiale del quale anche uno solo dei componenti aveva partecipato alla pronuncia del provvedimento cassato, essendo violata la statuizione sull'alterità, sussiste una nullità attinente alla costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 158 cod. proc. civ., senza che occorra fare ricorso alla ricusazione art. 52 c.p.c. , essendosi già pronunciata la sentenza cassatoria sull'alterità. SEZ. III ORDINANZA DEL 24 GENNAIO 2020, N. 1588 PROCEDIMENTO CIVILE - DOMANDA GIUDIZIALE - INTERESSE AD AGIRE. Esecuzione spontanea di un provvedimento giudiziario – Sopravvenuto difetto di interesse ad agire nel giudizio di impugnazione – Presupposti – Pagamento degli accessori maturati successivamente al provvedimento – Rilevanza – Esclusione. L'esecuzione spontanea di un provvedimento giudiziario determina il sopravvenuto difetto di interesse ad agire nel giudizio di impugnazione soltanto se accompagnata dal riconoscimento - anche implicito purché inequivoco - della fondatezza della domanda, riconoscimento non ravvisabile nel caso di pagamento degli accessori interessi e spese maturati dopo la formazione del provvedimento, in quanto integrante dovuto adempimento del titolo provvisoriamente esecutivo. Si richiamano a Sez. 3, Sentenza n. 23289/2007 La cessazione della materia del contendere si verifica solo quando nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini una posizione di contrasto tra le parti, producendo la caducazione dell' interesse delle stesse ad agire e a contraddire e, quindi, facendo venir meno la necessità della pronunzia del giudice. Tale situazione non ricorre nell'ipotesi di esecuzione anche spontanea, di un provvedimento del giudice che non abbia definito il giudizio, qualora a tale comportamento non si accompagni il riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda ovvero la rinunzia alla prosecuzione del giudizio né, peraltro, può ritenersi cessata la materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti se non quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi. b Sez. 2, Sentenza n. 26005/2010 In ipotesi di pagamento avvenuto nel corso del giudizio, non si verifica la cessazione della materia del contendere che, presupponendo il venir meno delle ragioni di contrasto fra le parti, fa venir meno la necessità della pronuncia del giudice allorché l'obbligato non rinunci alla domanda diretta all'accertamento dell'inesistenza del debito. Nella specie, il ricorrente si doleva che fosse stata dichiarata la cessazione della materia del contendere in difetto di conclusioni in tal senso la S.C., ha rigettato il motivo di ricorso in quanto il giudice di merito era pervenuto all'anzidetta pronuncia a seguito di un accertamento sull'estinzione della obbligazione dedotta in giudizio, da cui, pertanto, non residuava alcuna pretesa attorea . SEZ. III ORDINANZA DEL 24 GENNAIO 2020, N. 1581 LOCAZIONE - IN GENERE NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI . Locazione finanziaria - Risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore - Leasing traslativo - Disciplina prevista dall’art. 1526 c.c. per la vendita con riserva di proprietà - Applicabilità - Equo compenso - Nozione - Cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene – Esclusione. L'applicazione al leasing traslativo della disciplina di carattere inderogabile di cui all'art. 1526 c.c. in tema di vendita con riserva della proprietà comporta, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell'utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi. Ne consegue che il concedente, mantenendo la proprietà della cosa ed acquisendo i canoni maturati fino al momento della risoluzione, non può ottenere un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene. Principio conforme a quello espresso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19732/2011 Al leasing traslativo si applica la disciplina di carattere inderogabile di cui all'art. 1526 cod. civ. in tema di vendita con riserva della proprietà, la quale comporta, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell'utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi ne consegue che il concedente, mantenendo la proprietà del bene ed acquisendo i canoni maturati fino al momento della risoluzione, non può conseguire un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene. Nella specie, alla stregua dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza che, dichiarata la nullità della clausola contrattuale contenente la previsione dell'obbligo di pagamento in unica soluzione, da parte dell'utilizzatore, dei canoni non ancora scaduti, aveva poi quantificato l'equo compenso dovuto per l'uso della cosa nella entità del residuo debito, compresi gli interessi convenzionali .