RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZ. I SENTENZA DEL 23 NOVEMBRE 2018, N. 30505 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - APERTURA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - PROCEDIMENTO - IN GENERE. Procedimento per dichiarazione di fallimento – Sequestro preventivo penale ex art. 321 c.p.p. – Incidenza preclusiva – Esclusione – Custode giudiziario nominato in sede penale – Qualità di contraddittore necessario nel procedimento prefallimentare – Insussistenza – Fondamento. Non è di ostacolo alla dichiarazione di fallimento, che ha quale proprio presupposto l'accertamento dello stato di insolvenza, l'assoggettamento a sequestro penale preventivo dei beni della società. Il soggetto nominato custode giudiziario dei beni in sede penale, cui siano assegnati anche compiti di amministratore, inoltre, non è un contraddittore necessario nel procedimento prefallimentare, di cui è piuttosto parte necessaria l'amministratore della società, perché, in conseguenza dell'apertura della procedura, gli organi sociali non vengono meno, e non rimangono esautorati dalle proprie funzioni gestorie per gli aspetti che non concernono il patrimonio della società, conservando la titolarità dei poteri di rappresentanza. Si vedano, in precedenza i Sez. 6 - 1, Sentenza n. 23461 del 2014 Il sequestro preventivo penale dei beni di una società di capitali non rende il custode giudiziario di tali beni contraddittore necessario nel procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento, per la validità del quale è sufficiente la convocazione dell'amministratore della medesima società, che resta nella titolarità di tutte le funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio. D'altronde, la stessa dichiarazione di fallimento non comporta l'estinzione della società, ma solo la liquidazione dei beni, con conseguente legittimazione processuale dell'organo di rappresentanza a difendere gli interessi dell'ente nell'ambito della procedura fallimentare, né reca alcun pregiudizio alla procedura di prevenzione patrimoniale diretta alla confisca dei beni aziendali sia quando il fallimento sia stato pronunciato prima del sequestro preventivo, sia quando sia stato dichiarato successivamente , dovendo essere privilegiato l'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto all'interesse meramente privatistico della par condicio creditorum perseguito dalla normativa fallimentare. ii Sez. 1 - , Sentenza n. 25736 del 2016 La sottoposizione dei beni o delle quote di una società di capitali a sequestro penale, preventivo o di prevenzione, o, comunque, a custodia giudiziale non rende il custode o l'amministratore giudiziale contraddittore necessario nel procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento, per la validità del quale è sufficiente la convocazione dell'amministratore della medesima società, che resta nella titolarità di tutte le funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio. D'altronde, anche l’istanza prefallimentare rientra tra le attività conservative di quest'ultimo e la stessa dichiarazione di fallimento non comporta l'estinzione della società, ma solo la liquidazione dei beni, con conseguente legittimazione processuale dell'organo di rappresentanza a difendere gli interessi dell'ente nell'ambito della procedura fallimentare, senza necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea, né reca alcun pregiudizio alla procedura di prevenzione patrimoniale, diretta alla confisca dei beni aziendali sia quando il fallimento sia stato pronunciato prima del sequestro penale, sia quando sia stato dichiarato successivamente , dovendo essere privilegiato l'interesse pubblico perseguito dalla normativa penalistica rispetto all'interesse meramente privatistico della par condicio creditorum perseguito dalla normativa fallimentare. SEZ. I ORDINANZA DEL 21 NOVEMBRE 2018, N. 30109 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - OBBLIGAZIONI - ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA. Enti locali - Impegno di spesa attivato dal funzionario in violazione dello schema procedimentale - Conseguenze - Rapporto obbligatorio diretto con il funzionario inadempiente - Conseguenze in tema di esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente locale - Riconoscimento del debito fuori bilancio - Presupposti. In tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni siano state assunte senza un previo contratto e senza l'osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso, al di fuori delle norme c.d. ad evidenza pubblica, insorge un rapporto obbligatorio direttamente tra chi abbia fornito la prestazione e l'amministratore o il funzionario inadempiente che l'abbia consentita. Ne consegue che, potendo il terzo interessato agire nei confronti del funzionario, per la mancanza dell'elemento della sussidiarietà, non è ammissibile l'azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell'ente locale il quale può soltanto riconoscere a posteriori , ex art. 194 d. lgs. n. 267 del 2000 - nei limiti dell'utilità dell'arricchimento puntualmente dedotto e dimostrato - il debito fuori bilancio. Tale riconoscimento deve avvenire espressamente, con apposita deliberazione dell'organo competente, e non può essere desunto dal mero comportamento degli organi rappresentativi dell'ente, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico - finanziaria dell'ente e con le scelte amministrative. In senso conforme, Sez. 1, Sentenza n. 24860 del 2015 In tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, agli effetti di quanto disposto dall'art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989 convertito, con modificazioni nella l. n. 144 del 1989 , qualora le obbligazioni contratte non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, per difetto del requisito della sussidiarietà, sicché resta esclusa l'azione di indebito arricchimento nei confronti dell'ente, il quale può, comunque, riconoscere a posteriori il debito fuori bilancio, ai sensi dell'art. 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente stesso. Peraltro, tale riconoscimento può avvenire solo espressamente, con apposita deliberazione dell'organo competente, e non può essere desunto anche dal mero comportamento tenuto dagli organi rappresentativi, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico-finanziaria dell'ente e con le scelte amministrative compiute.