RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZIONE SESTA – PRIMA ORDINANZA 3 SETTEMBRE 2014, N. 18627 FAMIGLIA - MATRIMONIO - CONCORDATARIO - NULLITÀ - IN GENERE. Controversia in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio - Domanda riconvenzionale di nullità del matrimonio secondo quanto accertato da sentenza di primo grado del tribunale ecclesiastico - Sospensione del giudizio in attesa di delibazione della sentenza ecclesiastica - Esclusione - Fondamento. Ai sensi dell’art. 797, n. 6, Cpc, tuttora operante nell’ambito regolato dall’Accordo di revisione del Concordato lateranense reso esecutivo con legge 121/1985 per l’espresso richiamo, di natura materiale e non formale, agli artt. 796 e 797 Cpc ivi contenuto, i rapporti fra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile sono disciplinati sulla base di un principio di prevenzione a favore di quest’ultima, essendo venuta meno, giusta l’art. 8, n. 2, dell’Accordo predetto, la riserva di giurisdizione del tribunale ecclesiastico sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari. Ne consegue che il giudice italiano, in difetto di delibazione della corrispondente sentenza ecclesiastica, può statuire sulla domanda di nullità del matrimonio concordatario formulata in via riconvenzionale dal coniuge convenuto in giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si richiamano i Sez. 1, Sentenza 12671/1999 per effetto dell’Accordo di revisione del Concordato dell’11 febbraio 1929 con la Santa Sede, stipulato a Roma il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con legge 121/1985 , deve ritenersi abrogata la riserva di giurisdizione, a favore dei tribunali ecclesiastici, sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari, già prevista dall’art. 34 del suddetto Concordato, poiché l’art. 13 dell’Accordo di revisione ha disposto l’abrogazione delle precedenti norme concordatarie non riprodotte nel proprio testo ed in quest’ultimo non v’è più alcuna disposizione che preveda la riserva, senza, peraltro, che tale conclusione possa essere superata dalla opposta interpretazione data dalla Corte Costituzionale nella sentenza 421/1993. Il venir meno della riserva di giurisdizione ha determinato il sorgere del concorso della giurisdizione italiana e di quella ecclesiastica sulle controversie inerenti alla nullità del matrimonio concordatario. Tale concorso deve essere risolto secondo il criterio della prevenzione, il quale, tuttavia, con riferimento ad una situazione di vigenza dell’art. 3 del Cpc del 1942 e di inapplicabilità della norma dell’art. 7 della legge 218/1995, nonché dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 , non deve essere intesa alla stregua dell’art. 39 Cpc, bensì oltre che secondo la norma dell’art. 797 n. 5 secondo la norma dell’art. 797 n. 6 Cpc, richiamata dall’art. 8, n. 2, lettera c dell’Accordo di revisione, di modo che l’instaurazione avanti al giudice italiano di un giudizio avente il medesimo oggetto rispetto alla sentenza ecclesiastica sulla nullità preclude la favorevole delibazione di quest’ultima ove detto giudizio sia stato introdotto prima del passaggio in giudicato di detta sentenza. ii Sez. 1, Sentenza 11416/2014 la dichiarazione di efficacia nell’ordinamento nazionale delle sentenze di nullità di un matrimonio concordatario emesse da un tribunale ecclesiastico è subordinata all’accertamento della sussistenza dei requisiti cui l’art. 797 Cpc - e non già l’art. 64 della legge 218/1995, sulla riforma del diritto internazionale privato, che lo ha sostituito - condiziona l’efficacia delle sentenze straniere in Italia, in quanto il rinvio al riguardo contenuto alla citata disposizione codicistica nell’art. 8, n. 2, dell’Accordo di revisione del Concordato 11 febbraio 1929 con la Santa Sede, stipulato in data 18 febbraio 1984, e reso esecutivo con legge 121/1985, deve ritenersi di natura materiale e non formale. Ne consegue che la censura relativa alla violazione del diritto di difesa nella procedura adottata dal tribunale ecclesiastico riferita alle modalità di espletamento degli atti istruttori non può essere esaminata dal giudice della delibazione, per effetto del disposto del citato art. 797 Cpc, siccome attinente allo svolgimento del processo ecclesiastico. iii Sez. 1, Sentenza 11416/2014 la dichiarazione di efficacia nell’ordinamento dello Stato delle sentenze di nullità del matrimonio concordatario emesse da un tribunale ecclesiastico è subordinata all’accertamento della sussistenza dei requisiti cui l’art. 797 Cpc condiziona l’efficacia delle sentenze straniere in Italia, tra i quali, il passaggio in giudicato della sentenza secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata. Tale requisito sussiste quando il matrimonio concordatario sia stato dichiarato nullo con sentenza di prima istanza dal tribunale ecclesiastico regionale, confermata con decreto di ratifica dal tribunale ecclesiastico d’appello ed infine dichiarata esecutiva con decreto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in conformità delle leggi canoniche. Nella specie, la S.C. ha ritenuto irrilevante la circostanza che la conferma in appello della pronuncia di primo grado era avvenuta con sentenza, anziché con decreto . SEZIONE SESTA – PRIMA ORDINANZA 3 SETTEMBRE 2014, N. 18608 ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA - POLIZIA DI SICUREZZA - LIMITAZIONI DI POLIZIA – STRANIERI. Provvedimento di espulsione - Impugnazione da parte dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare - Art. 13, comma 2 bis, del D.Lgs. 286/1986 - Tutela del diritto alla vita familiare dello straniero - Applicabilità - Condizioni - Fondamento. In tema di disciplina dell’immigrazione, l’art. 13, comma 2 bis, del D.Lgs. 286/1998 introdotto dal D.Lgs. 5/2007 , nel disporre che qualora debba adottarsi un provvedimento di espulsione, ai sensi del secondo comma, lett. a e lett. b , della medesima disposizione, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, si deve tenere anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine, tende a salvaguardare il diritto alla vita familiare dello straniero in ogni caso in cui esso non contrasti con gli interessi pubblici. Si richiama Cass. Sez. 1, Sentenza 20838/2010 in tema di disciplina della immigrazione la clausola di salvaguardia della coesione familiare contenuta nell’art. 5, quinto comma del D.Lgs. 286/1998, così come novellato dal D.Lgs. 5/2007, non trova applicazione fuori dalla sfera dell’art. 29 del D.Lgs. 286/1998 potendo riguardare solo il rifiuto di rilascio, il diniego di rinnovo o la revoca di permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare degli stranieri che abbiano esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o i loro familiari ricongiunti che chiedano il relativo titolo. Ne consegue l’inidoneità della clausola ad escludere l’applicazione delle norme ostative al riconoscimento del titolo di soggiorno, improntate alla preminenza dell’interesse nazionale e a non consentire la permanenza dello straniero condannato per gravi, significativi reati.