RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio TERZA SEZIONE 26 MAGGIO 2011, numero 11593 RESPONSABILITÀ CIVILE - MAGISTRATI E FUNZIONARI GIUDIZIARI - MAGISTRATI. Danno cagionato per grave violazione di legge nell'esercizio di funzioni giudiziarie - Negligenza inescusabile - Necessità - Nozione con riferimento all'attività interpretativa del giudice - Individuazione. I presupposti della responsabilità dello Stato per grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, ai sensi dell'art 2, comma 3 lett.a , della legge 117/1988, devono ritenersi sussistenti allorquando nel corso dell'attività giurisdizionale si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero. V., in tal senso, anche la precedente Cass.7272/08. Sul tema, Cass. 15227/07 ha sottolineato che La responsabilità prevista dalla legge 117/1988, ai fini della risarcibilità del danno cagionato dal magistrato nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, é incentrata sulla colpa grave del magistrato stesso, tipizzata secondo ipotesi specifiche ricomprese nell'articolo 2 della citata legge, le quali sono riconducibili al comune fattore della negligenza inescusabile, che implica la necessità della configurazione di un quid pluris rispetto alla colpa grave delineata dall'articolo 2236 c.c., nel senso che si esige che la colpa stessa si presenti come non spiegabile , e cioé priva di agganci con le particolarità della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se non giustificato, l'errore del magistrato. PRIMA SEZIONE 19 MAGGIO 2011, numero 11062 FAMIGLIA - MATRIMONIO - SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI - EFFETTI - ASSEGNO DI MANTENIMENTO - EROGAZIONE DIRETTA. Ordine di pagamento diretto - Presupposti - Valutazione comparativa delle ragioni delle parti - Esclusione - Idoneità del comportamento dell'obbligato a far dubitare del futuro adempimento - Necessità - Sindacato riservato al giudice del merito. In tema di separazione personale dei coniugi, l'articolo 156, sesto comma, c.c., nell'attribuire al giudice, in caso d'inadempimento dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunita' che prescinde da qualsiasi comparazione tra le ragioni poste a fondamento della richiesta avanzata da questi ultimi e quelle addotte a giustificazione del ritardo nell'adempimento, implicando esclusivamente un apprezzamento in ordine all'idoneita' del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarita' del futuro adempimento, e quindi a frustrare le finalita' proprie dell'assegno di mantenimento. La relativa valutazione resta affidata in via esclusiva al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non e' sindacabile in sede di legittimita'. V., per l'affermazione di analogo principio, già Cass. 23668/06. PRIMA SEZIONE 13 MAGGIO 2011, numero 10655 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - ORGANI PREPOSTI AL FALLIMENTO - CURATORE - POTERI - ATTRIBUZIONI - IN GENERE. Procuratore legale del fallimento - Conferimento del mandato difensivo dopo la nomina da parte del giudice delegato - Successiva designazione di un consulente di parte - Spettanza - Al difensore - Fondamento - Autorizzazione del giudice delegato - Necessita' - Esclusione. In tema di poteri degli organi fallimentari, spetta al procuratore legale del fallimento - una volta che sia stato nominato dal curatore su autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell'articolo 25, primo comma, n. 6, della legge fallim., nel testo ratione temporis vigente prima delle modifiche di cui al d.lgs. 5/2006 - procedere, nel relativo giudizio, alla designazione di un consulente tecnico di parte i poteri conferiti con il mandato al difensore, infatti, non differiscono da quelli ordinari, previsti in linea generale dall'articolo 87 c.p.c., non essendo necessario che la nomina provenga dalla parte in senso sostanziale o che vi sia l'autorizzazione del giudice delegato, come erroneamente ritenuto dal decreto oggetto di cassazione con rinvio avendo il tribunale, in sede di reclamo relativamente alla liquidazione del compenso al professionista, dichiarato nulla la nomina di quest'ultimo, perche' effettuata dal solo curatore , trattandosi della scelta di un difensore tecnico ausiliare del legale, e non di un ausiliare del curatore. V., in senso conforme, Cass. 12904/95. PRIMA SEZIONE 13 MAGGIO 2011, numero 10654 FAMIGLIA - POTESTÀ DEI GENITORI - RAPPRESENTANZA E AMMINISTRAZIONE - IN GENERE. Genitore esercente la potesta' sul figlio minore autorizzato all'esercizio - Apertura di credito bancario - Specifica autorizzazione - Necessita' - Esclusione - Fondamento - Questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 320, quinto comma, c.c. - Manifesta infondatezza. Il genitore, autorizzato dal tribunale ai sensi dell'articolo 320, quinto comma, c.c. alla continuazione dell'esercizio dell'impresa commerciale del minore, puo' compiere, senza necessita' di specifica autorizzazione del giudice tutelare, anche i singoli atti strettamente collegati all'esercizio d'impresa, stante il carattere dinamico di questa e la necessita' di assumere decisioni pronte e tempestive, le quali sarebbero gravemente ostacolate, o addirittura paralizzate qualora, per ogni singolo atto, occorresse rivolgersi all'autorita' giudiziaria fra tali atti rientra, in particolare, il contratto di apertura di credito bancario, quale strumento fondamentale e presupposto per l'esercizio dell'attivita' imprenditoriale, la quale non potrebbe svolgersi senza i fondi necessari. E', inoltre, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 320, quinto comma, c.c., sollevata in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, per violazione del principio di uguaglianza tra minore esercente e minore non esercente un'attivita' commerciale, dal momento che nel primo caso e' prevista dalla legge una duplice autorizzazione provvisoria da parte del giudice tutelare, definitiva da parte del tribunale in composizione collegiale e che, in forza dell'articolo 334 c.c., in ipotesi di cattiva amministrazione del patrimonio del minore, il tribunale per i minorenni puo' stabilire condizioni e prescrizioni ai genitori e, nei casi piu' gravi, rimuovere entrambi o uno di essi dall'amministrazione, come pure il curatore speciale esercente l'impresa. Nel senso che il genitore autorizzato dal tribunale alla continuazione dell'esercizio dell'impresa commerciale del minore, ai sensi dell'articolo 320 quarto comma, c.c., può compiere, senza necessità di una specifica autorizzazione del giudice tutelare, anche gli atti che non rientrino fra quelli cosiddetti di straordinaria amministrazione, purché si tratti di atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, ovvero che si ricolleghino direttamente a tale esercizio, restando pertanto escluso che l'autorizzazione si estenda ad altri atti privi di un qualsiasi collegamento, quantomeno funzionale, con il raggiungimento di quel fine, secondo una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, v. già Cass. 13154/07, che ha, alla stregua di tale principio, confermato la sentenza di merito che aveva annullato la vendita di una partecipazione societaria, non risultando dimostrati né la necessità di capitali - che sarebbero stati immobilizzati temporaneamente in quella partecipazione in vista di futuri impieghi - né il reimpiego del ricavato dell'alienazione della suddetta partecipazione nell'attività dell'impresa del de cuius. PRIMA SEZIONE 13 MAGGIO 2011, numero 10649 PROCEDIMENTO CIVILE - INTERRUZIONE DEL PROCESSO - MORTE DELLA PARTE - DOPO LA CHIUSURA DELLA DISCUSSIONE. Evento occorso dopo la chiusura della discussione e prima della pubblicazione della sentenza - Notificazione della sentenza effettuata nei confronti della parte colpita dall'evento interruttivo - Invalidita' - Impugnazione proposta dal difensore della parte medesima - Inammissibilita' - Fondamento. Qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo si verifichi dopo la chiusura della discussione, ma prima della pubblicazione della sentenza, non sussiste la c.d. stabilizzazione della posizione giuridica della parte colpita dall'evento, ne' si verifica alcuna ultrattivita' della procura conferita al suo difensore. Invero, l'articolo 328 c.p.c. e' rivolto non soltanto a modificare la decorrenza dei termini per impugnare, ma, soprattutto, ad esprimere il principio generale, secondo il quale l'intervenuto mutamento della situazione soggettiva della parte incide sulla legittimazione attiva ad impugnare e passiva a ricevere la notificazione della sentenza, in tal modo riconoscendo la norma, in relazione ai successivi gradi del giudizio, l'automatica efficacia di quei mutamenti. Ne' a diversa conclusione conduce il disposto dell'articolo 300 c.p.c., il quale concerne la sola fase processuale in cui il mutamento della situazione soggettiva della parte si e' verificato ed e' insuscettibile di interpretazione estensiva, o dell'articolo 286, primo comma, c.p.c., che, nel necessario coordinamento con l'articolo 328 c.p.c., induce a interpretare la facolta' di scelta, da esso attribuita al notificante, non gia' tra la notifica nei confronti del deceduto e quella nei confronti degli eredi collettivamente e impersonalmente a norma dell'articolo 303, secondo comma, c.p.c., bensi' tra quest'ultima e la notifica agli eredi stessi singolarmente e personalmente nel loro domicilio. Per quanto riguarda il ricordo per cassazione, Cass. S.U. 19343/08 ha affermato che qualora la morte della parte si verifichi dopo la chiusura della discussione nel giudizio di appello e dopo lo stesso deposito della sentenza di secondo grado, la notificazione del ricorso per cassazione al procuratore della medesima è nulla, per omissione o incertezza assoluta nell'indicazione del convenuto articolo 164, in riferimento all'articolo 163 nn. 1 e 2 c.p.c. , e sanabile mediante l'ordine di rinnovo della notifica del ricorso personalmente agli eredi dell'originaria controparte, entro il termine perentorio fissato dalla Corte di Cassazione principio affermato in un caso nel quale, successivamente alla notificazione del ricorso, il procuratore domiciliatario aveva comunicato, con lettera indirizzata alla controparte ed alla Corte, la data di decesso del proprio assistito documento acquisito dalla Corte per consentire la salvaguardia degli interessi di soggetti, sostanzialmente parti del giudizio . Qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell'articolo 190 c.p.c. , e tale evento non venga dichiarato né notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce, a norma dell'articolo 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati ne consegue che, ove la controparte abbia avuto formale comunicazione, anche se stragiudiziale, del decesso, l'atto di appello deve essere notificato agli eredi, non potendosi ritenere valida la notifica compiuta all'originario difensore della parte defunta Cass. 259/11 . In caso di morte della parte vittoriosa, avvenuta dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado ma prima della notificazione della stessa, effettuata dal procuratore del defunto, sottacendo la circostanza della morte, deve ritenersi valida l'impugnazione proposta nei confronti della parte deceduta presso il predetto procuratore, qualora sia accertata l'incolpevole ignoranza dell'evento da parte dell'appellante Cass. 5841/10 . PRIMA SEZIONE 12 MAGGIO 2011, numero 10500 CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI - PROCESSO EQUO - TERMINE RAGIONEVOLE - IN GENERE. Violazione - Conseguenze - Diritto all'equa riparazione ex articolo 2 legge 89/2001 - Esito della lite - Soccombenza - Rilevanza - Limiti - Incertezza interpretativa sui termini processuali e la tutela del diritto controverso - Conseguenze - Spettanza dell'indennizzo. In tema di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione di cui all'articolo 2 della legge 89/2001 spetta indipendentemente dall'esito del processo presupposto, ad eccezione del caso in cui il soccombente, consapevole dell'inconsistenza delle proprie istanze, abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza e dunque elidendosi il presupposto dello stato di disagio e sofferenza. Ne consegue che, proposta una pretesa verso la P.A., nella specie derivante da rapporti di pubblico impiego per il periodo anteriore al 30 giugno 1998, ancora avanti al giudice amministrativo, secondo la competenza in via esclusiva mantenuta dall'articolo 45 del d.lgs. 80/ 1998 ma solo per le domande presentate, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000, il predetto indennizzo compete alla parte che abbia agito anche oltre il predetto termine, essendo sussistito il dubbio interpretativo sulla portata, se solo processuale ovvero anche sostanziale, di tale preclusione, i cui effetti sostanziali sono stati esplicitati solamente dall'articolo 69 del d.lgs. 165/2001, secondo una lettura costituzionalmente orientata oggetto delle pronunce nn. 213 del 26 maggio 2005, 382 del 7 ottobre 2005 e 197 dell'11 maggio 2006 della Corte costituzionale. In applicazione del principio secondo il quale il diritto all'equa riparazione di cui all'articolo 2 della legge 89/2001 spetta indipendentemente dall'esito del processo presupposto, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia proposto una lite temeraria, Cass. 18780/10 ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva rigettato la domanda di indennizzo in quanto l'azione nel processo presupposto era stata iniziata nonostante fosse intervenuta una transazione tra le parti. Cass. 9938/10 ha sottolineato che dell'esistenza delle situazioni costituenti abuso del processo, cui si fa riferimento anche nella sentenza in rassegna, deve dare prova puntuale l'Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte - che in qiella occasione era di riconoscimento di un trattamento pensionistico - sia stata dichiarata manifestamente infondata. SECONDA SEZIONE 12 MAGGIO 2011, M. 10457 SERVITU' - PREDIALI - ESTINZIONE - IN GENERE. Rinuncia - Forma scritta - Contenuto e modalita' - Atti di tipo diverso - Validita' - Sussistenza - Uso di formule sacramentali - Necessita' - Esclusione - Servitus inaedificandi - Rinuncia conseguente alla domanda di concessione edilizia - Configurabilita' - Condizioni. In tema di rinuncia al diritto di servitu' prediale, il requisito della forma scritta previsto dall'articolo 1350, n. 5, c.c., puo' essere integrato - non essendo necessario l'uso di formule sacramentali o di particolari espressioni formali - anche dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso, purche' contenenti una chiara ed inequivoca dimostrazione di volonta' incompatibile con il mantenimento del diritto stesso. Pertanto, la rinuncia al diritto di servitus inaedificandi puo' essere contenuta nella domanda di concessione edilizia diretta all'esecuzione di opere che, ove compiute, necessariamente determinerebbero il venir meno dell' utilitas dalla quale dipende l'esistenza della servitu' stessa. Ai fini della costituzione contrattuale di una servitù di passaggio non è richiesto l'uso di formule sacramentali, ma è sufficiente che dalla relativa clausola siano determinabili con certezza il fondo dominante, il fondo servente e l'oggetto, rappresentato dall'assoggettamento dell'uno all'utilità dell'altro pertanto, ai fini dell'accoglimento della domanda ex articolo 1079 c.c., non è necessario risalire al contratto originario istitutivo della servitù medesima, essendo sufficiente il richiamo di esso nei successivi atti di acquisto Cass. .12766/08 . SECONDA SEZIONE 11 MAGGIO 2011, numero 10347 COMUNIONE DEI DIRITTI REALI - CONDOMINIO NEGLI EDIFICI - AMMINISTRATORE - ATTRIBUZIONI DOVERI E POTERI - PROVVEDIMENTI - IN GENERE. Provvedimenti emessi nei confronti dei condomini - Obbligatorieta' ed impugnabilita' - Limiti - Obbligo di garantire il rispetto del regolamento di condominio - Sussistenza - Conseguenze - Invito rivolto ad un condomino a tenere un certo comportamento - Turbativa del diritto - Configurabilita' - Esclusione. A norma dell'articolo 1133 c.c., l'amministratore di condominio ha il potere di assumere provvedimenti obbligatori nei confronti dei condomini, i quali possono impugnarli davanti all'assemblea e, ricorrendone le condizioni, davanti all'autorita' giudiziaria. Pertanto, poiche' l'amministratore e' tenuto a garantire il rispetto del regolamento di condominio allo scopo di tutelare la pacifica convivenza, qualora egli inviti uno dei condomini ad osservare un certo comportamento, nella ragionevole convinzione di agire nel rispetto dei propri doveri istituzionali, non e' configurabile, a suo carico, alcun atto di turbativa del diritto altrui. Fattispecie in tema di azione di manutenzione del possesso promossa nei confronti dell'amministratore . L'amministratore di condominio, essendo tenuto a curare l'osservanza del regolamento di condominio articolo 1130, primo comma, n. 1, c.c. , è legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale nella specie, bar ristorante , senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, c.c., la quale è richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'amministratore stesso Cass. 21841/10 .