RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 21 APRILE 2011, N. 9260 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - APERTURA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - INIZIATIVA - ISTANZA DEL P.M Art. 7, numero 1, legge fallimentare - Legittimazione all'iniziativa - Condizioni - Emersione dell'insolvenza solo in casi di procedimento penale - Esclusione - Desumibilità anche da condotte non riconducibili a reato ovvero in relazione a procedimenti penali non aperti - Configurabilità. In tema di iniziativa del P.M. per la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'articolo 7, numero 1, legge fallimentare, la doverosità della sua richiesta può fondarsi dalla risultanza dell'insolvenza, alternativamente, sia dalle notizie proprie di un procedimento penale pendente, sia dalle condotte, del tutto autonome, indicate in tal modo dalla congiunzione ovvero di cui alla norma, che non sono necessariamente esemplificative né di fatti costituenti reato né della pendenza di un procedimento penale, che può anche mancare. In tema di fallimento, l'esigenza di assicurare la terzietà e l'imparzialità del tribunale fallimentare, emergente da un'interpretazione sistematica della legge fallimentare così come modificata dal D.Lgs. 5/2009 ed in particolare degli artt. 6 e 7, letti alla luce del novellato articolo 111 Cost., porta ad escludere che l'iniziativa del P.M. ai fini della dichiarazione di fallimento possa essere assunta in base ad una segnalazione proveniente dallo stesso tribunale fallimentare, in tal senso deponendo, oltre alla soppressione del potere di aprire d'ufficio il fallimento ed alla riduzione dei margini d'intervento del giudice nel corso della procedura, anche il numero 2 dell'articolo 7 cit., che limita il potere di segnalazione del giudice civile all'ipotesi in cui l'insolvenza risulti, nei riguardi di soggetti diversi da quelli destinatari dell'iniziativa, in un procedimento diverso da quello rivolto alla dichiarazione di fallimento, nonché dagli interventi correttivi del D.Lgs. 169/2007, che hanno reso totalmente estranea al sistema l'ingerenza dell'organo giudicante sulla nascita o l'ultrattività della procedura. Cass. 4632/09 in applicazione di tale principio, la Corte ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stata dichiarata nulla la dichiarazione di fallimento intervenuta ad iniziativa del P.M., al quale il tribunale fallimentare aveva trasmesso gli atti a seguito della desistenza del creditore dalla propria istanza . SEZIONE PRIMA 20 APRILE 2011, N. 9079 FAMIGLIA - MATRIMONIO - SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI - EFFETTI - ASSEGNO DI MANTENIMENTO - IN GENERE. Artt. 155 e 156 cc - Rispettive funzioni - Iniziale assegnazione anche della casa coniugale - Successiva revoca di tale concessione - Riconsiderazione dell'evento ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento - Necessità. L'articolo 156, secondo comma, cc stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato , mentre l'assegnazione della casa familiare, prevista dall'articolo 155 quater cc è finalizzato unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell'assegno previsto dall'articolo 156 cc. Tuttavia, allorché il giudice del merito abbia revocato la concessione del diritto di abitazione nella casa coniugale nella specie, stante la mancanza di figli della coppia che avrebbe potuto astrattamente legittimare la statuizione , è necessario altresì che egli valuti, una volta in tal modo modificato l'equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell'assegno di mantenimento originariamente disposto. In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione di cui all'articolo 155, quarto comma, cc nella formulazione previgente , che attribuisce al giudice il potere di assegnare la casa familiare al coniuge affidatario che non vanti alcun diritto di godimento reale o personale sull'immobile, ha carattere eccezionale ed é dettata nell'esclusivo interesse della prole. Pertanto, detta norma non é applicabile al coniuge, ancorché avente diritto al mantenimento, in assenza di figli affidati minori o maggiorenni non autosufficienti conviventi, potendo, in tal caso, il giudice procedere all'assegnazione della casa coniugale unicamente nell'ipotesi di comproprietà dell'immobile Cass. 1491/11 . In tema di assegno di mantenimento, Cass. 6712/05 ha affermato che l'articolo 156, primo comma, cc attribuisce al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione un assegno tendenzialmente idoneo ad assicurargli un tenore di vita analogo a quello che aveva prima della separazione, sempre che non fruisca di redditi propri tali da fargli mantenere una simile condizione e che sussista una differenza di reddito tra i coniugi. Tuttavia, poiché non sempre è possibile il conseguimento di un tale risultato, avuto riguardo all'aumento delle spese fisse dei coniugi conseguente alla separazione, soccorre il secondo comma dell'articolo 156 cc, il quale stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato . Le circostanze da considerare, ai sensi della citata disposizione, unitamente ai redditi del coniuge, ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento, consistono in quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti. Nella specie, la Corte ha cassato la decisione del giudice di secondo grado che, nel procedere alla quantificazione dell'assegno di mantenimento in favore della moglie separata dell'onerato, aveva considerato espressione di capacità economica della donna sia quanto a quel titolo ricevuto dal marito, sia gli aiuti economici corrispostile in via del tutto precaria dal figlio e da un conoscente, ritenuti dalla Corte inidonei ad influire in maniera stabile e certa sul tenore di vita dell'interessata, e non aveva invece valutato le effettive condizioni economiche della stessa, nè tenuto conto del pregiudizio economico derivante alla donna dalla perdita, a seguito della disposta revoca dell'assegnazione, del godimento e dell'uso della casa coniugale, con conseguente necessità da parte della stessa di sopperire diversamente alle proprie esigenze abitative. . SEZIONE PRIMA 20 APRILE 2011, N. 9081 IMPUGNAZIONI CIVILI - IMPUGNAZIONI IN GENERALE - TERMINI - TERMINI BREVI. Decorrenza - Notifica della sentenza - Ricorso per cassazione ed istanza di revocazione della stessa sentenza - Termini brevi - Decorrenza dalla notifica della sentenza. Allorché la parte soccombente, dopo aver provveduto a notificare la sentenza di appello, proponga avverso di essa sia il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360 Cpc, sia l'istanza per la revocazione ai sensi dell'articolo 395, numero 4, Cpc, il termine breve entro cui entrambi vanno notificati decorre dalla notificazione della sentenza stessa. La notifica del ricorso per cassazione equivale alla notifica della sentenza impugnata, ai fini del decorso del termine breve per proporre istanza di revocazione ordinaria per errore di fatto o contrasto di giudicato, con la conseguenza che tale istanza è inammissibile se proposta dopo lo spirare di trenta giorni dalla notifica stessa Cass. 3294/09 . SEZIONE SECONDA 18 APRILE 2011, N. 8880 VENDITA - OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE - GARANZIA PER VIZI DELLA COSA VENDUTA - ESCLUSIONE DELLA GARANZIA - VIZI FACILMENTE RICONOSCIBILI. Consegna della merce in un momento successivo a quello della conclusione del contratto - Art. 1491 cc - Operatività - Esclusione. Nel contratto di compravendita, la norma dell'articolo 1491 cc - secondo cui il venditore non è tenuto alla garanzia per i vizi della cosa venduta ove questi siano facilmente riconoscibili al momento della conclusione del contratto - non opera quando la consegna della merce sia successiva a tale conclusione. V., in senso conforme, Cass. 851/00. Cass. 8192/09 aveva affermato che, qualora la consegna della merce sia successiva alla conclusione del contratto, ai fini dell'esclusione della garanzia di cui all'ultima parte dell'articolo 1491 cc, la facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta deve essere verificata con riferimento non al momento della conclusione del contratto, bensì a quello in cui il compratore abbia ricevuto la merce, in questo momento soltanto potendo egli esaminare lo stato in cui essa si trova. SEZIONE TERZA 12 APRILE 2011, N. 8408 ESECUZIONE FORZATA - PIGNORAMENTO - IN GENERE FORMZA. Mancanza dell'ingiunzione - Nullità del pignoramento - Mancanza dell'avvertimento ex articolo 492 Cpc - Nullità - Esclusione. In tema di forma del pignoramento immobiliare, l'ingiunzione alla quale fa riferimento l'articolo 555 Cpc, mediante il rinvio espresso all'articolo 492 Cpc, consiste nel richiamo che l'ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito, esattamente indicato, i beni che si assoggettano all'espropriazione ed i frutti di esso. Solo nel caso di omissione dell'ingiunzione di cui al primo comma dell'articolo 492 Cpc deve, pertanto, dichiararsi la nullità del pignoramento immobiliare mentre la mancanza dell'avviso e dell'avvertimento di cui al secondo e terzo comma dell'articolo 492 Cpc determinano mere irregolarità, non essendo prevista, come invece accade per la mancata comunicazione ex articolo 163 numero 7 Cpc, la nullità dell'atto o della procedura. V., in senso conforme, Cass. 2473/09. SEZIONE SECONDA 18 APRILE 2011, N. 8876 COMUNE - DEMANIO COMUNALE - STRADE. Artt. 822, secondo comma, e 824 cc - Demanio c.d. accidentale - Criteri di individuazione - Strade comunali - Presunzione di demanialità di cui all'articolo 22 della legge 2248/1865, all. F - Portata e limiti. A norma degli artt. 822, secondo comma, e 824 cc, fanno parte del c.d. demanio accidentale quei beni che, oltre ad appartenere allo Stato o alle Province o ai Comuni, presentino caratteristiche rispondenti a quelle indicate nel citato articolo 822, secondo comma. Ne consegue che, in riferimento alle strade comunali, la presunzione di demanialità di cui all'articolo 22 della legge 2248/1865, all. F , non si riferisce ad ogni area contigua e/o comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle aree che per l'immediata accessibilità appaiono integranti della funzione viaria della rete stradale, così da costituire una pertinenza della strada stessa. Secondo Cass. 4975/07, affinché un'area privata venga a far parte del demanio, non è sufficiente che essa sia destinata all'uso pubblico, ma è invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla P.A., e che essa sia destinata all'uso pubblico dalla stessa P.A., a meno che non possa operare, trattandosi di aree adiacenti a una strada pubblica, la presunzione di demanialità stabilita dall'articolo 22 della legge 2248/1865, all. F - la quale sancisce una presunzione iuris tantum di proprietà pubblica di quegli spazi adiacenti alle strade comunali che, per l'immediata accessibilità, appaiono parte integrante pertinenza della strada, salvo prova contraria idonea a dimostrare il carattere privato degli stessi spazi. Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la natura pubblica di uno slargo adiacente una via comunale, benché fosse privo di sbocchi di transito e potesse essere utilizzato dai soli frontisti, oltre a risultare in parte catastalmente intestato ai suddetti privati .Quanto agli elementi probatori idonei a dimostrare il carattere privato degli spazi medesimi, Cass. 5262/06 ha ritenuto tale la produzione del titolo di proprietà, e non già la prova del possesso. SEZIONE TERZA 12 APRILE 2011, N. 8413 CONTRATTI AGRARI - AFFITTO DI FONDI RUSTICI - AFFITTO A COLTIVATORE DIRETTO - EQUO CANONE - IN GENERE. Declaratoria di incostituzionalità ai sensi della sentenza 318/2002 - Conseguenze - Determinazione equitativa del canone da parte del giudice - Illegittimità. Per effetto della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte costituzionale 318/2002, sono divenute prive di effetti sia le tabelle per il canone di equo affitto, disciplinate dall'articolo 9 della legge 203/1982 e dalle norme da questo richiamate, sia, ai fini della quantificazione del canone stesso, i redditi dominicali stabiliti, ai sensi dell'articolo 62 della citata legge 203, a norma del Rd 589/1939, per cui il canone dovuto dalla parte conduttrice è unicamente quello stabilito liberamente tra le parti o l'ultimo, giudizialmente accertato con sentenza passata in cosa giudicata anteriormente alla sentenza 318/2002, senza che sia consentito al giudice - in attesa di un'eventuale nuova disciplina della materia - determinare un canone equo in sostituzione di quello voluto dalle parti o definitivamente accertato dal giudice, anche se il canone così determinato pattiziamente o in forza di pronuncia passata in giudicato non assicuri al concedente una remuneratività non irrisoria della rendita e all'affittuario la possibilità di esercizio dell'impresa con il contemperamento degli interessi reciproci. La sentenza della Corte costituzionale 318/2002 ha dichiarato la illegittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione - degli articoli 9 e 62 della legge 203/1982, i quali prevedono un meccanismo di determinazione del canone di equo affitto basato sul reddito dominicale stabilito a norma del regio decreto-legge 589/1939, convertito, con modificazioni, in legge 976/1939, rilevando che detto meccanismo di determinazione del canone di equo affitto, risulta privo, ormai, di qualsiasi razionale giustificazione, sia perché esistono dati catastali più recenti ed attendibili ai quali fare eventualmente riferimento, sia perché in ogni caso, a distanza di oltre un sessantennio dal suo impianto, quel catasto ha perso qualsiasi idoneità a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei terreni agricoli, cosicché non può sicuramente essere posto a base di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprietà terriera privata e tale da soddisfare, nello stesso tempo, la finalità della instaurazione di equi rapporti sociali.