RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 23 FEBBRAIO 2011, numero 4417 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - APERTURA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - RIGETTO DELL'ISTANZA DI FALLIMENTO - RECLAMI. Decreto della Corte d'appello di accoglimento del reclamo ai sensi dell'art. 22 legge fallimentare - Comunicazione anche al debitore - Necessità - Sussistenza - Omissione - Conseguenze - Nullità della sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal tribunale. Il decreto con cui la Corte d'appello accoglie, ai sensi dell'art. 22, quarto comma, legge fallimentare, il reclamo avverso il provvedimento di rigetto del ricorso per la dichiarazione di fallimento, deve essere comunicato alle parti, ai sensi del terzo comma del citato art. 22, essendo in facoltà delle stesse segnalare al tribunale, che non ha più l'obbligo di sentirle di nuovo dopo averle sentite in sede di istruttoria prefallimentare , la sopravvenuta modificazione dei presupposti per la dichiarazione di fallimento. La comunicazione è funzionale all'esercizio del diritto di difesa, non sotto il profilo della ulteriore impugnazione, non essendo il provvedimento ricorribile per cassazione, ma piuttosto a fini di tutela della parte, che può evitare la dichiarazione di fallimento se posta in condizione di recare nuovi elementi di conoscenza al tribunale, al quale anche si indirizza il precetto dell'art. 22 legge fallimentare, così come novellato dal D.Lgs. 5/2006. In applicazione del principio di cui alla massima, la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata per difetto della comunicazione al debitore del decreto con cui la Corte d'appello aveva accolto, ai sensi dell'art. 22, quarto comma, legge fallimentare, il reclamo avverso il provvedimento di rigetto del ricorso per la dichiarazione di fallimento, revocando la sentenza di fallimento, siccome affetta da nullità. Sulla non ricorribilità per cassazione del decreto con cui la Corte d'appello accoglie, ai sensi degli artt. 22, terzo comma, e 147 legge fallimentare, il reclamo avverso il provvedimento di rigetto di estensione del fallimento alla società di fatto ed ai soci, v. Cass. 19096/07, che ha escluso tale impugnabilità anche a seguito della modifica dell'art. 360 Cpc, di cui all'art. 2 del D.Lgs. 40/2006, difettando i requisiti, pur sempre necessari, della definitività e della decisorietà, in quanto l'incidenza sui diritti soggettivi delle parti coinvolte, deriva dalla successiva dichiarazione di fallimento, di cui il provvedimento della Corte d'appello costituisce un momento del relativo complesso procedimento. SEZIONE PRIMA 17 FEBBRAIO 2011, numero 3909 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE O UTILITÀ - PROCEDIMENTO - LIQUIDAZIONE DELL'INDENNITÀ - DETERMINAZIONE STIMA - IN GENERE. Determinazione dell'indennità di occupazione legittima - Giudicato sulla qualificazione del terreno come agricolo - Antecedente logico-giuridico della decisione - Diversa qualificazione nel giudizio risarcitorio per occupazione appropriativa - Preclusione. In tema di espropriazione per pubblica utilità, il giudicato formatosi sulla qualificazione del terreno come agricolo, quale antecedente logico-giuridico della statuizione sulla indennità di occupazione legittima, calcolata secondo il criterio degli interessi legali sul valore del suolo, preclude ogni diversa qualificazione e valutazione del terreno medesimo nel giudizio risarcitorio per occupazione appropriativa, costituendo l'accertamento in fatto del valore del bene il comune punto di partenza per la stima sia dell'indennità di occupazione sia del danno risarcibile. Il giudicato sostanziale art. 2909 cc - che, in quanto riflesso di quello formale art. 324 Cpc , fa stato ad ogni effetto fra le parti per l'accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso - si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto, i quali rappresentano le premesse necessarie ed il fondamento logico-giuridico della pronuncia, spiegando, quindi, la sua autorità non solo nell'ambito della controversia e delle ragioni fatte valere dalle parti cosiddetto giudicato esplicito , ma estendendosi necessariamente agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione, formandone il presupposto, così da coprire tutto quanto rappresenta il fondamento logico-giuridico della pronuncia. Pertanto, l'accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione, anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo ed a condizione che i due giudizi abbiano identici elementi costitutivi dell'azione soggetti, causa petendi e petitum , secondo l'interpretazione della decisione affidata al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logici e giuridici Cass., S.U., 6689/95, Cass. 14477/99 . SEZIONE TERZA 17 FEBBRAIO 2011, numero 3851 ESECUZIONE FORZATA - MOBILIARE - PRESSO TERZI - DICHIARAZIONE DEL TERZO - MANCATA E OMESSA. Duplice successivo pignoramento del medesimo credito - Dichiarazione del terzo priva degli elementi necessari alla quantificazione della prima assegnazione - Conseguenze. Nella espropriazione di crediti presso terzi, ove il terzo, nel rendere la dichiarazione di cui all'art. 547 Cpc, dichiari che il credito è già stato in parte pignorato ed assegnato, ma non fornisca gli elementi essenziali per quantificare la misura di tale precedente assegnazione, il creditore che pignori per secondo il medesimo credito ha l'onere di impugnare nelle forme prescritte tale dichiarazione, se vuole far accertare la consistenza della prima assegnazione. Ove, invece, il creditore pignorante per secondo ciò non faccia, chiedendo puramente e semplicemente l'assegnazione del credito pignorato, egli accetta il rischio di vedersi opporre dal terzo l'incapienza di quest'ultimo. Nella specie, avendo il creditore pignorato il quinto dello stipendio del debitore, il terzo datore di lavoro aveva dichiarato l'esistenza di una precedente assegnazione di tale credito retributivo, senza però indicare che tale credito produceva interessi convenzionali molto superiori a quelli legali. Sicché il secondo creditore pignorante, nel domandare al terzo il pagamento nelle proprie mani del quinto dello stipendio del debitore, si era visto opporre che questo era dovuto al primo creditore pignorante, il cui credito non era stato ancora interamente soddisfatto. La Corte, affermando il principio di cui alla massima, ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato il ricorso proposto avverso tale decisione dal secondo creditore pignoratizio, il quale invocava una responsabilità personale del datore di lavoro per avere reso una dichiarazione incompleta. SEZIONE SECONDA 15 FEBBRAIO 2011, numero 3711 SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - OPPOSIZIONE - IN GENERE. Pagamento del diritto camerale e della soprattassa alla Camera di commercio - Avviso di mora - Opposizione ai sensi della legge 689/1981 - Esclusione - Opposizione nella forma del giudizio ordinario di cognizione - Necessità. L'azione diretta contro l'avviso di mora notificato per il pagamento del cosiddetto diritto camerale e della relativa soprattassa alla Camera di commercio deve essere proposta nelle forme previste per il giudizio ordinario di cognizione, non già mediante l'opposizione di cui all'art. 22 della legge 689/1981 avverso le sanzioni amministrative. In caso di mancato pagamento, nei tempi e nei modi prescritti, del diritto annuo dovuto alla Camera di commercio, non è prevista la corresponsione di interessi, in quanto l'art. 34, ultimo comma, del Dl 786/1981, convertito in legge 51/1982, prevede esclusivamente, in via assorbente, il pagamento di una soprattassa, la quale, oltre a rivestire un carattere repressivo - punitivo, assolve anche ad una funzione risarcitoria. Da ciò consegue che la soprattassa in questione non si rende in alcun modo assimilabile alle sanzioni amministrative previste dalla legge 689/1981, il cui ambito applicativo risulta definito dall'art. 12, che circoscrive espressamente il suo riferimento alle violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, da intendersi - perciò - come misura esclusivamente afflittiva ed escludente ogni connotazione anche risarcitoria . Cass. 8525/01. Nella specie, affermando un tal principio, la Suprema Corte ha ritenuto rientrante nell'ambito dei poteri equitativi del giudice di pace la avvenuta riduzione dell'importo della suddetta soprattassa . SEZIONE SECONDA 15 FEBBRAIO 2011, numero 3709 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - RAPPRESENTANZA DELLA P.A. - CAPACITÀ E LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE - IN GENERE. Regione Sicilia - Indennità di occupazione abusiva di demanio marittimo - Ingiunzione fiscale - Opposizione - Notifica dell'atto all'Amministrazione finanziaria - Erronea individuazione dell'ente legittimato - Conseguenze. In tema di corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti di una P.A., nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale, emessa dall'Ufficio del Registro, per riscuotere l'indennità di occupazione del demanio marittimo appartenente alla Regione Sicilia, l'autorità amministrativa legittimata passivamente è esclusivamente la Regione in quanto titolare dei beni demaniali e titolare delle funzioni amministrative che li concernono. Ne consegue che, ove sia stata evocata in giudizio l'Amministrazione finanziaria e dall'ingiunzione fiscale non emerga in alcun modo che l'ufficio finanziario abbia agito nell'esecuzione di un rapporto di avvalimento con la Regione, a fronte della tempestiva eccezione formulata dall'Avvocatura dello Stato, la mancata concessione da parte del Tribunale di un termine, finalizzato alla corretta instaurazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 4 della legge 260/1958 - norma applicabile non solo quando l'errore di identificazione dell'autorità amministrativa riguardi il medesimo ente, ma anche quando riguardi enti diversi come Stato e Regione -, determina la nullità del giudizio di primo grado. Nel senso indicato dalla massima v. Cass. 4755/03, che ha affermato che il limite introdotto, dalla disposizione dell'art. 4 della legge 260/1958 recante Modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato , alla rilevanza dell'erronea individuazione dell'autorità amministrativa competente a stare in giudizio limite in virtù del quale l'errore di identificazione della persona alla quale l'atto introduttivo del giudizio e ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall'Avvocatura dello Stato alla prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l'atto doveva essere notificato eccezione dalla cui formulazione discende la rimessione in termini della parte attrice, alla quale il giudice deve assegnare un termine entro il quale l'atto introduttivo deve essere rinnovato , opera non soltanto nelle ipotesi in cui l'errore di identificazione ivi prefigurato sia circoscritto all'individuazione del soggetto passivamente legittimato negli ambiti, separatamente considerati, dell'amministrazione statale o di quella regionale, che siano rappresentate e difese dall'Avvocatura dello Stato, ma anche quando l'errore medesimo cada sulla stessa individuazione dell'ente - Stato o Regione - legittimato al giudizio, e tuttavia sia stato determinato dal rapporto di avvalimento intercorso tra i suddetti enti, non reso palese nell'atto amministrativo impugnato dal privato davanti al giudice. Nella specie la Regione Siciliana, per l'esercizio delle funzioni amministrative relative a beni del proprio demanio, si era avvalsa dell'Intendenza di finanza ai sensi degli artt. 1 e 2 del Dpr 1825/1961, la quale aveva emesso ingiunzione di pagamento nei confronti del privato, senza dar conto nell'atto, né esplicitamente né implicitamente, del rapporto di avvalimento instaurato dalla Regione stessa il privato aveva convenuto nel giudizio di opposizione all'ingiunzione il Ministero delle finanze, anziché la Regione medesima, e l'Avvocatura, costituitasi in giudizio, aveva eccepito la carenza di legittimazione dell'Amministrazione finanziaria, indicando come autorità amministrativa competente l'Assessorato agricoltura e foreste della Regione Siciliana enunciando il principio di cui in massima, la Corte ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata, posto che l'adito giudice di primo grado, facendo applicazione dell'art. 4 della citata legge 260/1958, avrebbe dovuto, a pena di nullità del relativo giudizio, fissare alla parte incorsa in errore un termine entro il quale rinnovare l'atto introduttivo nei confronti dell'autorità amministrativa indicata nell'eccezione dell'Avvocatura . In senso contrario a tale pronuncia v., successivamente, Cass. 6917/05, secondo la quale l'evocazione in giudizio di una P.A. diversa rispetto a quella cui sia imputabile il rapporto sostanziale dedotto in causa, precludendo l'instaurazione del contraddittorio con il soggetto destinatario della statuizione domandata al giudice, implica l'inammissibilità della domanda, tenendo conto che l'unitarietà e l'inscindibilità dello Stato, nell'esercizio delle sue funzioni sovrane, non tocca l'autonoma personalità giuridica di diritto pubblico delle Amministrazioni centrali, la separazione delle relative attribuzioni e la riferibilità a ciascuna di esse degli atti di rispettiva pertinenza e che rispetto al suddetto errore non operano la preclusione e la sanatoria previste dall'art. 4 della legge 260/1958 tale disposizione, in linea con le regole generali poste dall'art. 291 Cpc contempla, infatti, secondo la citata sentenza, la diversa ipotesi in cui non sia stata correttamente identificata la persona alla quale notificare l'atto introduttivo e non già il caso in cui l'invalidità, dipendente da difetto di legittimazione sostanziale dell'amministrazione, investa la citazione a motivo della vocatio in ius di soggetto diverso dal legittimo contraddittore. Pertanto - conclude la pronuncia citata -, con riguardo al giudizio in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo svoltosi davanti al giudice ordinario - per il quale l'art. 3, comma terzo, della legge 89/2001, attribuisce la legittimazione ad causam e ad processum dal lato passivo al Presidente del Consiglio dei Ministri - è inammissibile la domanda proposta nei confronti del Ministro della giustizia dei ministri e tale inammissibilità non può ritenersi sanata, ai sensi dell'art. 4 della legge 260/1958, per il fatto che, nel giudizio camerale davanti alla corte di appello, l'Avvocatura dello Stato non eccepisca alla prima udienza l'errore di identificazione dell'Amministrazione competente a cui il ricorso introduttivo del giudizio era stato notificato. Tale indirizzo è stato poi ribadito da Cass. 3434/06.