RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 11 GENNAIO 2011, N. 410 ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA - POLIZIA DI SICUREZZA - LIMITAZIONI DI POLIZIA - STRANIERI. Domanda di riconoscimento dello status di rifugiato politico - Accoglienza o trattenimento del richiedente presso i centri di cui all'art. 20 o 21 del D.Lgs. 25/2008 - Decisione della Commissione Territoriale per la protezione internazionale - Diniego - Ricorso davanti all'autorità giudiziaria - Competenza - Tribunale distrettuale in cui è situato il centro - Fondamento - Cessazione della situazione di fatto al momento della domanda - Rilevanza - Esclusione. In tema di ricorso avverso la decisione di diniego assunta dalla commissione territoriale per la protezione internazionale, la competenza alla relativa pronuncia spetta, ai sensi dell'art. 35, primo comma, ultima parte, del D.Lgs. 25/2008 applicabile ratione temporis - in deroga alla competenza generale collegata alla sede della predetta commissione -, al tribunale distrettuale nel cui ambito è situato il centro di permanenza temporanea o il centro di accoglienza nel quale lo straniero è stato trattenuto od ospitato ai sensi degli artt. 20 o 21 del cit. D.Lgs., senza che la cessazione di tale situazione nella specie, di accoglienza al momento della domanda giudiziale spieghi alcuna rilevanza, essendo entrambi i criteri collegati a dati oggettivi e non affidati al fattore temporale. Il principio era già stato affermato da Cass. 18722/10. Il ricorso di cui si tratta - come specificato da Cass. 13111/10 - deve essere proposto, ai sensi dell'art. 35, quattordicesimo comma, del D.Lgs. 25/2008, mediante deposito dell'atto nel termine perentorio di trenta giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado al ricorrente, e dev'essere notificato alle parti a cura della cancelleria, unitamente al decreto presidenziale di fissazione dell'udienza. Nella specie, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto mediante notifica dell'atto ad istanza di parte, nel termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza . In tema di protezione internazionale, si richiama Cass. 26253/09, secondo la quale lo straniero che sia giunto clandestinamente in Italia e venga trattenuto per accertamenti presso l'aerostazione di arrivo ha diritto di presentare contestuale istanza di riconoscimento della condizione di rifugiato politico e di permanere nello Stato munito di permesso temporaneo o ristretto nel Centro di identificazione fino alla definizione della procedura avente ad oggetto la verifica delle condizioni per beneficiare dello status di rifugiato ovvero della protezione umanitaria. Ne consegue che deve ritenersi illegittimo il rifiuto da parte della polizia aeroportuale di ricevere detta istanza in sede di svolgimento dei primi controlli, avendo l'Amministrazione l'obbligo di inoltrarla al questore per le determinazioni di competenza, astenendosi da alcuna forma di respingimento e dall'adozione di misure di espulsione che impediscano il corso e la definizione della domanda presso le commissioni designate. Sulla questione di giurisdizione nella materia de qua, si sono pronunciate le S.U. con la ordinanza 11535/09, affermando che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull'impugnazione del provvedimento del Questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari richiesto ex art. 5, sesto comma, del D.Lgs 286/1998, all'esito del rigetto, da parte della Commissione Territoriale competente, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto, a partire dal 20 aprile del 2005, con l'entrata in vigore dell'art. 1 quater del Dl 416/1989, introdotto dall'art. 32 comma 1, lett. b , della legge 189/2002, le Commissioni Territoriali sono espressamente tenute, quando non accolgano la domanda di protezione internazionale, a valutare, per i provvedimenti di cui all'art. 5, sesto comma, cit., le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali. Ne consegue che al Questore, a differenza che nel regime giuridico previgente, non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all'adozione dei provvedimenti riguardanti i permessi umanitari, coerentemente con la definitiva attribuzione alle predette Commissioni di tutte le competenze valutative in ordine all'accertamento delle condizioni del diritto alla protezione internazionale, definitivamente affermata nell'art. 32 del D.Lgs. 25/2008 di attuazione della Direttiva CE 2005/85 del 1° dicembre 2005. SEZIONE SECONDA 12 GENNAIO 2011, N. 587 COMUNIONE DEI DIRITTI REALI - CONDOMINIO NEGLI EDIFICI - PARTI COMUNI DELL'EDIFICIO - TERRAZZE, LASTRICI SOLARI, LOGGE. Balconi aggettanti - Comunione - Esclusione - Fondamento. In tema di condominio, i balconi aggettanti , i quali sporgono dalla facciata dell'edificio, costituiscono solo un prolungamento dell'appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell'edificio - come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell'edificio - non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani e ad essi non può applicarsi il disposto dell'articolo 1125 cc. I balconi aggettanti , pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono. Nel senso di cui alla massima si era pronunciata Cass. 15913/07, che, sulla base di tale principio, aveva escluso che il proprietario dell'appartamento sito al piano inferiore potesse agganciare le tende alla soletta del balcone aggettante sovrastante, se non con il consenso del proprietario del corrispondente appartamento. In tema di balconi aggettanti , già Cass. 14576/04, nel ritenere che gli stessi, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, aveva precisato che i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole con la conseguenza che, anche nei rapporti con il proprietario di analogo manufatto che sia posto al piano sottostante sulla stessa verticale, nella ipotesi di strutture completamente aggettanti - in cui può riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura rispetto al balcone sottostante e, trattandosi di sostegno, non indispensabile per l'esistenza dei piani sovrastanti - non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili posti su piani sovrastanti, ne' quindi di presunzione di proprietà comune del balcone aggettante riferita ai proprietari dei singoli piani. SEZIONE TERZA 10 GENNAIO 2011, N. 292 RESPONSABILITÀ CIVILE - COLPA O DOLO - DI TERZI. Installazione di ponteggi per i lavori di manutenzione di uno stabile - Furto in appartamento - Danno conseguente - Responsabilità dell'imprenditore installante i ponteggi - Configurabilità - Estremi. In tema di furto consumato da persona introdottasi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi installati per i lavori di manutenzione dello stabile, è configurabile la responsabilità, ai sensi dell'art. 2043 cc, dell'imprenditore che per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, violando il principio del neminem laedere , egli abbia collocato tali impalcature omettendo di dotarle di cautele atte ad impedirne l'uso anomalo. Alle medesime conclusioni era già pervenuta Cass. 8630/06, che, dopo aver affermato tale principio, aveva cassato la sentenza di merito per aver ritenuto l'uso dei ponteggi da parte dei ladri sulla base della astratta possibilità di tale utilizzo, senza alcun accertamento in concreto, come la rottura dei vetri delle finestre in corrispondenza del ponteggio e, ancora prima, Cass. 24897/05, la quale aveva confermato la sentenza di merito che aveva motivatamente escluso - in quanto inattendibile - l'ipotesi che l'accesso fosse avvenuto per vie diverse dal ponteggio, quali il montacarichi o l'ascensore condominiali. SEZIONE TERZA 10 GENNAIO 2011, N. 293 SPESE GIUDIZIALI CIVILI - DISTRAZIONE DELLE SPESE. Richiesta presentata dal difensore - Omessa pronuncia - Rimedio esperibile - Proposizione di impugnazione ordinaria da parte del difensore istante - Esclusione - Procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e 288 Cpc - Ammissibilità - Fondamento. In caso di omessa pronuncia sull'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un'espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 Cpc, e non dagli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di distrazione qualificarsi come domanda autonoma. La procedura di correzione, oltre ad essere in linea con il disposto dell'art. 93, secondo comma, Cpc - che ad essa si richiama per il caso in cui la parte dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore per onorari e spese - consente il migliore rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, garantisce con maggiore rapidità lo scopo del difensore distrattario di ottenere un titolo esecutivo ed è un rimedio applicabile, ai sensi dell'art. 391 bis Cpc, anche nei confronti delle pronunce della Corte di cassazione. La pronuncia si ispira alla decisione delle S.U. 16037/10, che ha composto un contrasto insorto nell'ambito della giurisprudenza di legittimità. Com'è noto, l'istituto della distrazione delle spese in favore del difensore trova il suo referente normativo nell'art. 93 Cpc, il quale dispone che questi è legittimato a chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese la controparte, distragga in suo favore e degli altri difensori che lo abbiano eventualmente affiancato gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipato al proprio cliente. Nessuna indicazione, tuttavia, è fornita sul rimedio di tutela processuale azionabile nel caso di omessa pronuncia sull'istanza ovvero di rigetto di essa per cui un primo orientamento della Corte, in passato maggioritario, vi aveva ravvisato il tipico vizio ricavabile dalla formula dell'art. 112 Cpc, che impone al giudice di provvedere su tutta la domanda , vizio che deve essere denunciato dal difensore interessato allorché trattasi di sentenza di appello con l'ordinario rimedio del ricorso per cassazione. Ciò perché l'accoglimento dell'istanza non è automatico, ma richiede di accertare la sussistenza del requisito dell'anticipazione da parte del difensore e perché il rimedio è apparso coerente con la finalità dell'eccezione introdotta dalla norma alla regola generale secondo la quale il compenso al difensore è dovuto solo dal suo rappresentato o assistito salvo se vittorioso il diritto di quest'ultimo al rimborso nei confronti della parte soccombente e si giustifica con l'opportunità di prevedere un sistema di maggiore garanzia in favore del difensore ai fini del conseguimento del suo compenso direttamente dalla parte soccombente senza, quindi, la necessità di dover compulsare il proprio cliente . La quale conferisce, appunto, allo stesso difensore, cui è riconosciuta la distrazione, la titolarità di una posizione giuridica soggettiva, autonoma e distinta da quella del suo assistito, ancorché limitatamente a questo aspetto. Tale indirizzo, cui aveva aderito anche la dottrina meno recente, era stato smentito da più recenti pronunce, che avevano, invece, ritenuto doveroso ricercare nell'ordinamento strumenti di garanzia della situazione giuridica fatta valere, alternativi e meno dispendiosi del ricorso al giudice di legittimità Cass. 11965 e 13982/2009 14831/2010 ravvisandoli nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 Cpc, giustificato della necessità di porre rimedio ad un errore solo formale, estraneo alla decisione, in quanto determinato da una divergenza evidentemente e facilmente individuabile, che lascia immutata la conclusione adottata. Al nuovo indirizzo avevano aderito qualificati studiosi ora richiamando la disposizione dello stesso art. 93, comma 2, che espressamente lo prevede nell'ipotesi di revoca dell'istanza richiesta dalla parte che dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore, ora evidenziando l'autonomia e l'estraneità del provvedimento sulla distrazione rispetto alla pronuncia sul merito, e perciò escludendo l'estensione al primo dei mezzi di reazione processuale che la legge riconosce contro l'altra. Non erano mancate, infine, pronunce che avevano ritenuto ammissibile il cumulo dei due rimedi Cass. 7692/2009 , ovvero opinioni dottrinali che hanno attribuito al difensore istante,non parte del processo, il rimedio dell'opposizione di terzo o ne hanno equiparato la posizione all'interventore volontario. Le Sezioni Unite hanno ritenuto di risolvere il contrasto in favore del secondo più recente orientamento, giudicato il più idoneo a salvaguardare l'effettività del principio di garanzia della durata ragionevole del processo come previsto dall'art. 111 Cost., comma 2 , che secondo la giurisprudenza di legittimità Cass. Sez. Un. 26373/2008 impone al giudice anche nell'interpretazione dei rimedi processuali di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, traducendosi, per converso, in un inutile dispendio di attività processuali non giustificate, in particolare, ne' dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio art. 101 Cpc , né da effettive garanzie di difesa art. 24 Cost. . L'indirizzo prescelto è stato, inoltre, ritenuto garantire con maggiore celerità il soddisfacimento dello scopo di far ottenere al difensore distrattario un titolo esecutivo immediato per agire nei riguardi della controparte soccombente lasciando salvo il diritto di quest'ultimo all'esercizio degli ordinari rimedi impugnatori che, ai sensi dello stesso art. 288, comma 4, possono essere, comunque, proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze. Infine - hanno rilevato le Sezioni Unite - tale orientamento può trovare applicazione ai sensi dell'art. 391 bis Cpc, anche con riguardo alle sentenze rese dalla Corte di Cassazione, incorse in identica omissione, e tuttavia non impugnabili. Per converso, il diritto alla proposizione dell'impugnazione ordinaria in capo al difensore che non ha ricevuto alcuna risposta all'istanza di distrazione,non può desumersi, secondo le Sezioni Unite, né da altra norma positiva anche perché l'istanza non comporta l'instaurazione di alcun contraddittorio sostanziale con la controparte che, anche se soccombente, non è legittimata ad impugnare il provvedimento di distrazione. E perché, d'altra parte, il vizio di omessa pronuncia implicante violazione dell'art. 112 Cpc, si configura ai fini della proposizione dell'impugnazione ordinaria, qualora il giudice del merito abbia, nella valutazione motivazionale delle pretese avanzate in giudizio dalle parti, mancato di provvedere in tutto o in parte su una o più domande legittimamente da esse formulate, attinenti all'oggetto del contendere dedotto ai fini del soddisfacimento della tutela sostanziale azionata nel processo. È al riguardo significativo,se non determinante, che lo stesso legislatore, nella disposizione dell'art. 93 Cpc, comma 2, abbia indicato nel procedimento di correzione degli errori materiali piuttosto che nell'impugnazione ordinaria il rimedio con cui la parte può ottenere la revoca del provvedimento di distrazione nell'ipotesi di cui si è detto avanti pur comportando la stessa una notevole estensione del campo di applicazione dell'istituto della correzione, testualmente limitato dall'art. 287 Cpc, alle ipotesi in cui il giudice sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo . E pur richiedendo da parte del giudice della correzione un controllo assai più complesso sull'avvenuto soddisfacimento del credito del difensore per gli onorari e le spese , di quello devolutogli in caso di omessa pronuncia sull'istanza di distrazione, in cui deve limitarsi ad accertare se sussista o meno la dichiarazione di avere anticipato le spese e non riscosso onorario senza alcun potere di apprezzamento neppure sulla corrispondenza al vero della stessa.