RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 1 DICEMBRE 2010, N. 24395 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - CESSAZIONE - CHIUSURA DEL FALLIMENTO - EFFETTI Esdebitazione - Disciplina transitoria di cui al D.Lgs. 169/2007 - Procedure chiuse prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 5/2006 - Applicabilità - Esclusione - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza L'istituto dell'esdebitazione, previsto dagli articolo 142-144 della legge fallimentare, nel testo novellato dal D.Lgs. 5/2006 e dal D.Lgs. 169/2007, trova applicazione, secondo quanto disposto dalla disciplina transitoria, alle procedure aperte anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. 5 cit., purché ancora pendenti a quella data 16 luglio 2006 , ed a quelle chiuse nel periodo intermedio, vale a dire sino all'entrata in vigore del D.Lgs. 169 cit. 1° gennaio 2008 , purché, in quest'ultimo caso, la relativa domanda venga presentata entro un anno dall'entrata in vigore di detto ultimo decreto. Ne consegue che non è ammissibile l'esdebitazione per i fallimenti dichiarati chiusi in epoca antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. 5/2006 né tale limitazione giustifica alcun dubbio di costituzionalità della disciplina transitoria, così come interpretata, per contrasto con l'articolo 3 Cost., in quanto nell'ordinanza 61/2010, l'applicabilità ratione temporis dell'istituto corrisponde ad una scelta del legislatore, secondo un discrimine temporale che non è arbitrario, costituendo il fluire del tempo valido elemento diversificatore di situazioni giuridiche. La recente Ordinanza della Corte costituzionale 61/2010 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articolo 19 e 22 del D.Lgs. 169/2007, impugnati, in riferimento all'articolo 3 Cost., in quanto escludono dalla possibilità di godere del beneficio dell'esdebitazione i falliti per i quali sia intervenuto provvedimento di chiusura del fallimento prima del 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 5/2006. Non sussiste, infatti - ha osservato il giudice delle leggi - la denunciata violazione del principio di uguaglianza poiché il criterio di discrimine nell'applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca, fonte di ingiustificata disparità di trattamento. Né si appalesa irragionevole - prosegue la citata ordinanza - la scelta del legislatore di fissare un limite temporale alla possibilità di accedere al suddetto beneficio al contrario, essa è coerente con l'esigenza di compiere, al fine della concessione dell'esdebitazione, una serie di riscontri istruttori, volti alla verifica dell'effettiva meritevolezza del beneficio da parte del fallito, che ben difficilmente sarebbero possibili o, comunque, fonte di risultati attendibili, ove fossero svolti in relazione a procedure concorsuali la cui chiusura rimonti a periodi troppo risalenti nel tempo. Sul consolidamento orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche, v. le citate Sentenze 94/2009, 341/2007 e Ordinanze 170/2009 e 212/2008. Sulla disciplina transitoria di cui al D.Lgs. 169/2007, v., in senso conforme alla sentenza in rassegna, Cass. 24121/09. SEZIONE PRIMA 1 DICEMBRE 2010, N. 24396 VENDITA - COSE FUTURE - IN GENERE Contratto preliminare di vendita di cosa futura - Natura giuridica - Distinzione con il contratto di vendita di cosa futura - Accertata sussistenza di una mera promessa di compravendita di cosa futura - Azione ex articolo 2932 cc del promissario acquirente - Sopravvenuta dichiarazione di fallimento del promittente venditore - Trasferimento della proprietà al promissario acquirente - Insussistenza - Facoltà di scelta del curatore fra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto - Persistenza - Conseguenze - Credito risarcitorio del promittente acquirente per la restituzione del doppio della caparra confirmatoria - Insinuabilità nel passivo fallimentare - Inammissibilità Il contratto preliminare di vendita di cosa futura ha come contenuto la stipulazione di un successivo contratto definitivo e costituisce, pertanto, un contratto in formazione produttivo, dal momento in cui si perfeziona, di semplici effetti obbligatori preliminari, distinguendosi dal contratto di vendita di cosa futura che si perfeziona ab initio ed attribuisce lo ius ad habendam rem nel momento in cui la cosa venga ad esistenza. Ne consegue che, accertata la sussistenza di un contratto preliminare di vendita di cosa futura, nel caso di fallimento del promittente venditore, anche quando il promissario acquirente abbia già proposto domanda giudiziale per l'adempimento in forma specifica ai sensi dell'articolo 2932 cc ed abbia, inoltre, trascritto la domanda stessa, resta impregiudicata per il curatore - ai sensi dell'articolo 72 legge fallimentare - la facoltà di dare esecuzione al contratto, oppure come nel caso di specie di chiederne lo scioglimento, con l'effetto, in tal caso, che la parte non inadempiente non può insinuare al passivo il credito risarcitorio, per il doppio della caparra confirmatoria versata, difettandone il postulato necessario, e cioè il diritto di recesso maturato prima dell'apertura del concorso formale, tale diritto essendo semmai esercitabile nel giudizio d'esecuzione in forma specifica, ex articolo 1373 cc e non invece ex articolo 1385 cc, che presuppone l'inadempimento, e dunque rimanda ad una scelta che il promissario acquirente mostra di aver consumato agendo, invece, per l'esecuzione in forma specifica, cioè per l'adempimento. Sui rimedi a disposizione della parte non inadempiente, Cass. S.U. 553/09 ha affermato che, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione giudiziale o di diritto ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell'intervenuto recesso con ritenzione della caparra o pagamento del doppio , avuto riguardo - oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all'irrinunciabilità dell'effetto conseguente alla risoluzione di diritto - all'incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all'azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito - in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale - di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative. SEZIONE PRIMA 2 DICEMBRE 2010, N. 24438 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - CESSAZIONE - CONCORDATO FALLIMENTARE - ESECUZIONE Decreto del tribunale in ordine all'esecuzione del concordato - Contestazione circa la sostituzione soggettiva in crediti già ammessi al passivo - Titolo - Provvedimento non definitivo del medesimo tribunale - Definitività - Insussistenza - Conseguenze - Inammissibilità del ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost. È inammissibile il ricorso per cassazione proposto ex articolo 111 Cost. avverso il decreto del tribunale fallimentare che, in sede di esecuzione del concordato fallimentare, si sia pronunciato sulla questione attinente alla titolarità di un credito da soddisfare, da parte dell'assuntore, così ritenendo la provvisoria esecutività di altro provvedimento giurisdizionale, ancora soggetto ad impugnazione, con cui il medesimo tribunale aveva accolto le domande tardive di surroga in crediti già ammessi allo stato passivo, non avendo tale ultimo provvedimento il carattere della definitività e dunque non essendo idoneo a pregiudicare in modo definitivo i diritti soggettivi delle parti. Il principio riportato in massima è stato affermato con riguardo al decreto del tribunale, emesso su reclamo avverso il decreto del giudice delegato con cui al terzo assuntore veniva dato l'ordine di pagare i creditori surrogatisi ad altri e tali riconosciuti con decisione assunta in procedimento ancora non concluso. Cass. 3921/09 ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto ex articolo 111 Cost. avverso il decreto del tribunale fallimentare che, in sede di esecuzione del concordato fallimentare, si sia pronunciato su di una questione attinente alla misura di un credito da soddisfare, in quanto tale provvedimento, non potendo avere ad oggetto questioni decise con la sentenza di omologazione, le quali devono trovare la loro soluzione in sede contenziosa nelle forme ordinarie, non è idoneo a pregiudicare in modo definitivo e con carattere decisorio i diritti soggettivi delle parti. Invece, il decreto del tribunale fallimentare che - investito del reclamo avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato, dopo la sentenza di omologazione del concordato fallimentare, abbia indicato le modalità di pagamento dei crediti da parte dell'assuntore - abbia escluso i crediti ammessi a seguito d' istanze tardive, è un provvedimento abnorme, viziato da carenza assoluta di potestà decisionale che, decidendo su diritti soggettivi è impugnabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost., essendo preclusa al giudice delegato e al tribunale, in sede di esecuzione, di interpretare una decisione definitiva di carattere giurisdizionale, qual è la sentenza di omologazione del concordato fallimentare Cass., 19858/10 . SEZIONE PRIMA 2 DICEMBRE 2010, N. 24442 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - LIQUIDAZIONE DELL'ATTIVO - IN GENERE Espropriazione forzata su beni del fallito - Successiva dichiarazione di fallimento - Conseguenze - Sostituzione automatica del curatore al creditore istante - Scelta del curatore di non coltivare la procedura - Improcedibilità della stessa - Conservazione degli effetti sostanziali del pignoramento in favore della massa - Condizioni - Assenza di cause di inefficacia del pignoramento - Omessa declaratoria del giudice dell'esecuzione - Irrilevanza - Fondamento Nell'ipotesi in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stata iniziata da un creditore l'espropriazione di uno o più immobili del fallito, a norma dell'articolo 107 legge fallimentare, il curatore si sostituisce al creditore istante, e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento da parte del curatore o un provvedimento di sostituzione da parte del giudice dell'esecuzione ove il curatore ritenga di attuare altre forme di esecuzione, la procedura individuale, non proseguita, per sua scelta, dal curatore, né proseguibile, ai sensi dell'articolo 51 legge fallimentare, dal creditore istante, diventa improcedibile, ma tale improcedibilità non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento tra cui quello, stabilito dall'articolo 2916 cc in base al quale nella distribuzione della somma ricavata dall'esecuzione non si tiene conto delle ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento , purché, però, nel frattempo, non sia sopravvenuta una causa di inefficacia del pignoramento stesso, la quale, benché non dichiarata dal giudice dell'esecuzione all'epoca della dichiarazione di fallimento, opera ex tunc ed automaticamente. Affermando detto principio e cassando la decisione impugnata, la Corte di Cassazione ha ammesso al passivo privilegiato il creditore e così riconosciuto l'efficacia verso la massa dell'ipoteca iscritta dopo il pignoramento, affetto da inefficacia per non essere stata depositata nella relativa procedura la documentazione ipocatastale ai sensi dell'articolo 567 Cpc. Avverte Cass. 25963/09 che, nell'ipotesi in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stato trascritto da un creditore il sequestro conservativo su un bene immobile, successivamente ceduto dal debitore ad un terzo, con acquisto trascritto anteriormente alla conversione della misura cautelare in pignoramento, a seguito dell'inizio dell'espropriazione forzata sul predetto bene ed a norma dell'articolo 107 della legge fallimentare, il curatore si sostituisce al creditore istante, che perde ogni potere di impulso ai sensi dell'articolo 51 della legge fallimentare, e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento del curatore o un provvedimento di sostituzione del giudice dell'esecuzione se il curatore interviene nell'esecuzione, si realizza un fenomeno di subentro nel processo, come manifestazione del più generale potere di disposizione dei beni del fallito ex articolo 31 della legge fallimentare, ma non una vera e propria sostituzione processuale ex articolo 81Cpc, potendo perciò il curatore giovarsi degli effetti sostanziali e processuali del solo pignoramento, ex articolo 2913 cc, ma non sostituirsi nelle posizioni giuridiche processuali strettamente personali del creditore istante, dalle quali non deriva i propri poteri, che, invece, hanno fonte nella legge fallimentare. Ne consegue che mentre al curatore, come partecipante alla medesima esecuzione che con lui prosegue, sono inopponibili gli atti pregiudizievoli trascritti successivamente al pignoramento, egli non può giovarsi della inopponibilità degli atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata in quanto tale, trattandosi di effetti di cui si avvantaggia, ex articolo 2906 cc, solo il creditore sequestrante. SEZIONE PRIMA 2 DICEMBRE 2010, N. 24549 PROVA CIVILE - CONSULENZA TECNICA - POTERI DEL GIUDICE - VALUTAZIONE DELLA CONSULENZA - IN GENERE Documenti nuovi prodotti tardivamente dalle parti - Esame da parte del CTU anche contabile - Esclusione - Documenti meramente accessori - Esame da parte del CTU - Ammissibilità Nell'ambito della consulenza tecnica, anche contabile, si deve escludere, a prescindere dal consenso della controparte, l'ammissibilità della produzione tardiva di prove documentali concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento della domanda e delle eccezioni di merito, potendo il consulente tecnico, a norma dell'articolo 198 Cpc, esaminare documenti ulteriori solo se meramente accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente ed approfondita al quesito posto dal giudice fattispecie in tema di revocatoria fallimentare di rimesse bancarie . Nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, non trova più applicazione il principio secondo cui l'inosservanza del termine per la produzione di documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al collegio l'articolo 184 Cpc nel testo novellato dalla legge 35371990, non si limita infatti a prevedere l'eventuale assegnazione alle parti di un termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma stabilisce espressamente il carattere perentorio di detto termine, in tal modo sottraendolo alla disponibilità delle parti stante il disposto dell'articolo 153 Cpc , come del resto implicitamente confermato anche dal successivo articolo 184 bis, che ammette la rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una causa ad essa non imputabile. Pertanto, nel giudizio di appello l'eventuale indispensabilità dei documenti, in tanto può essere valutata dal giudice, in quanto si tratti di documenti nuovi, nel senso che la loro ammissione non sia stata richiesta in precedenza, e che comunque non si sia verificata la decadenza di cui all'articolo 184 Cpc, la quale è rilevabile d'ufficio, in quanto sottratta alla disponibilità delle parti Cass., 1020/06 . SEZIONE PRIMA 3 DICEMBRE 2010, N. 24630 FONTI DEL DIRITTO - INTERPRETAZIONE DEGLI ATTI NORMATIVI - LETTERALE Non esaustività - Ricorso al criterio sussidiario dell'interpretazione storica e logica - Ammissibilità - Condizioni - Fattispecie in tema di presupposti soggettivi di fallibilità In tema di presupposti dimensionali per l'esonero dalla fallibilità del debitore, nel computo dei ricavi, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, il triennio cui si richiama il legislatore nell'articolo 1, comma 2, lett. b , legge fallimentare nel testo modificato dal D.Lgs. 5/2006, applicabile ratione temporis va riferito agli ultimi tre esercizi, in cui la gestione economica è scadenzata, e non agli anni solari a tale interpretazione si perviene, in assenza di un dato letterale della norma sufficientemente chiaro ed inequivoco che ne permetta la ricostruzione del significato e la connessa portata precettiva, mediante il ricorso al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, nell'esame complessivo del testo, della mens legis, con un'interpretazione sistematica delle norme ed il richiamo, tra esse, dell'articolo 14 legge fallimentare, che, in tema di istanza di fallimento, impone al debitore che chieda tale dichiarazione di depositare le scritture contabili e fiscali degli ultimi tre anni, cioè degli ultimi tre esercizi cui ha riguardo la documentazione funzionale all'accertamento delle sue condizioni di fallibilità, mentre la modifica letterale del citato articolo 1, intervenuta ad opera del D.Lgs. 169/2007, pur non fungendo da fonte di interpretazione autentica, ha proprio voluto eliminare ogni incertezza sull'interpretazione effettiva della disposizione, nel senso sopra indicato. Sempre in tema di presupposti dimensionali per l'esonero dalla fallibilità dell'imprenditore commerciale, ha affermato la recente Cass.22146/2010 che nella valutazione del capitale investito, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, trovano applicazione i principi contabili, cui si richiama il legislatore nell'articolo 1, comma 2, lett. a , legge fallimentare nel testo modificato dal D.Lgs. 5/2006, applicabile ratione temporis, ed anche successivamente in quello sostituito dal D.Lgs. 169/2007 e di cui è espressione l'articolo 2424 cc, con la conseguenza che, con riferimento agli immobili, iscritti tra le poste attive dello stato patrimoniale, opera - al pari che per ogni altra immobilizzazione materiale - il criterio di apprezzamento del loro costo storico al netto degli ammortamenti, quale risultante dal bilancio di esercizio, ai sensi dell'articolo 2426, numeri 1 e 2, cc, e non il criterio del valore di mercato al momento del giudizio. SEZIONE SECONDA 1 DICEMBRE 2010, N. 24376 COMPETENZA CIVILE - LITISPENDENZA Delibazione al momento della pronuncia del giudice successivamente adito - Necessità - Estinzione del primo giudizio per rinuncia agli atti - Litispendenza - Esclusione - Rinuncia intervenuta prima della costituzione della controparte - Rilevanza - Condizioni e limiti Il giudice successivamente adito, al fine di stabilire se sussista la litispendenza, deve fare riferimento alla situazione processuale esistente al momento della sua pronuncia e deve respingere la relativa eccezione allorquando a tale data il giudizio preventivamente instaurato non sia più pendente per intervenuta estinzione. Tale situazione si verifica nel caso in cui nel primo giudizio sia intervenuta rinuncia agli atti prima ancora che la controparte si sia costituita, così da determinare, per l'appunto, l'estinzione del giudizio medesimo - che, in quanto operante di diritto ai sensi dell'articolo 306 Cpc, può essere incidentalmente accertata dal giudice - giacché, in siffatta ipotesi, la rinuncia non è condizionata dalla relativa accettazione, che, del resto, è richiesta soltanto ove, nel rapporto processuale già instaurato, la parte costituita abbia interesse alla prosecuzione del giudizio, quale evenienza da escludersi allorché la costituzione sia determinata dal solo intento di ottenere il rimborso delle spese processuali. Nella specie, in sede di regolamento di competenza, la Corte di Cassazione ha dichiarato la competenza del giudice successivamente adito, ai sensi dell'articolo 39 Cpc, in opposizione a decreto ingiuntivo, il quale, a sua volta, aveva dichiarato la litispendenza rispetto a precedente opposizione a decreto ingiuntivo emesso per lo stesso titolo, nonostante nel primo giudizio l'opponente avesse notificato l'atto di rinuncia in un momento antecedente alla costituzione dell'opposto, costituzione che, in seguito, era stata da questo effettuata al solo fine di conseguire il rimborso delle spese di lite. SEZIONE TERZA 1 DICEMBRE 2010, N. 24400 TRASPORTI - CONTRATTO DI TRASPORTO DIRITTO CIVILE - DI COSE - RESPOSANBILITÀ DEL VETTORE - AVARIE E PERDITE Legittimazione a domandare il risarcimento del danno - Individuazione del soggetto che ne ha sopportato il peso economico - Conseguenze Nell'ipotesi di vendita di merce fuori piazza, ove per colpa del vettore si verifichi la perdita od il danneggiamento della merce trasportata, legittimato a domandare il risarcimento del danno nei confronti del vettore sarà, alternativamente, il destinatario od il mittente, a seconda di quale dei due abbia sopportato il peso economico della perdita. Pertanto, ove il mittente-venditore scelga di tenere indenne il destinatario-acquirente della perdita subita, il primo e non il secondo avrà titolo per promuovere l'azione risarcitoria nei confronti del vettore. Nel trasporto di cose la sostituzione del destinatario al mittente nei diritti nascenti dal contratto ha luogo, nel caso di perdita delle cose consegnate al vettore, soltanto dal momento in cui, scaduto il termine legale o convenzionale della consegna, il destinatario sia venuto a conoscenza di tale evento a seguito della richiesta di riconsegna della merce, con la conseguenza che, in assenza di tale richiesta, la legittimazione all'azione di risarcimento del danno contro il vettore, permane in capo al mittente Cass., 15946/00, 9469/04 . SEZIONE TERZA 9 DICEMBRE 2010, N. 24856 PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE - IN GENERE Prova articolata dalla parte prima contumace costituitasi dopo la notifica della domanda riconvenzionale di uno dei convenuti - Termine dato dal giudice per integrare il contraddittorio - Preclusione processuale sulla richiesta di prove per resistere alla domanda riconvenzionale - Insussistenza fino alla notifica della comparsa con la domanda riconvenzionale - Conseguenze sulla sentenza fondata sulle prove così formate - Nullità - Esclusione Nell'ambito del procedimento dinanzi al giudice di pace, in caso di domanda riconvenzionale proposta da uno dei convenuti avverso altra parte, già convenuta e contumace sulla domanda dell'attore, prima che a detta parte contumace sia notificata la predetta domanda riconvenzionale non si forma, in capo ad essa, alcuna preclusione in ordine alla propria richiesta di prove, addotte per dimostrare l'infondatezza della domanda così notificata nella specie, su ordine del giudice ne consegue che, instaurato in tal modo il rapporto processuale, la sentenza che abbia utilizzato le prove così acquisite non è affetta da alcuna nullità. Nell'ambito del procedimento dinanzi al giudice di pace, l'articolo 181 Cpc non prevede alcuna decadenza dalla richiesta di prova articolata dalla parte non comparsa alla prima udienza, qualora il convenuto chieda che si proceda in assenza, ma neppure la norma speciale di cui all'articolo 320, terzo comma, Cpc - relativa alla trattazione della causa davanti al giudice di pace - prevede alcuna decadenza dalla richiesta di prova, articolata nell'atto di citazione, allorché l'attore non compaia alla prima udienza di trattazione. Conseguentemente, la mancata ammissione di prove orali e documentali, ammissibili e rilevanti ai fini della decisione della causa, per l'erronea decadenza dalla prova ritenuta dal giudice di pace, si risolve in vizio del procedimento e della conseguente sentenza, pronunziata a seguito della mancata assunzione delle prove orali e del mancato esame dei documenti prodotti. Cass. 21346/06 .