RASSEGNA DELLA SEZIONE TRIBUTARIA DELLA CASSAZIONE

SEZ. V ORDINANZA DEL 6 MAGGIO 2020, N. 8485 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI - IN GENERE TRIBUTI ANTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 - TRIBUTI DOGANALI DIRITTI DI CONFINE - DAZI ALL'IMPORTAZIONE ED ALLA ESPORTAZIONE - DIRITTI DOGANALI - ESENZIONI ED AGEVOLAZIONI. Dazi - Regime del perfezionamento passivo - Dichiarazione erronea - Onere prova a carico del contribuente - Contenuto - Finalità - Fattispecie. In caso di ricorso al perfezionamento passivo, il debitore dell'obbligazione doganale, che abbia reso una dichiarazione di esportazione temporanea o di reimportazione erronea, ha l'onere di dimostrare che questa non ha avuto incidenza sul corretto funzionamento del predetto regime doganale, occorrendo a tale fine che le autorità doganali possano comunque constatare l'inesattezza del contenuto dei pertinenti documenti doganali e procedere alla corretta classificazione delle merci attraverso la prova della loro natura reale. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito che, nel riconoscere l'esenzione dai dazi all'importazione nonostante l'erronea indicazione dei codici delle merci, aveva valorizzato l'assenza di intento fraudolento in capo al contribuente, senza verificare le conseguenze sul corretto funzionamento del regime di perfezionamento . Si veda Cass. Sez. 5 - , Ordinanza n. 16570 del 2019 In tema di tributi doganali, il regime di perfezionamento passivo consente, previa autorizzazione, di esportare temporaneamente fuori del territorio dell'Unione europea merci comunitarie per sottoporle ad operazioni di perfezionamento e di immettere i prodotti compensatori, risultanti da queste operazioni, in esenzione totale o parziale dai dazi all'importazione, incombendo, in caso di contestazione, sul debitore dell'obbligazione doganale l'onere di provare che tali prodotti risultano dalla lavorazione delle merci in esportazione temporanea Corte giust. 3 ottobre 2003, causa C-411/01, GEFCO SA . SEZ. V SENTENZA DELL’11 MAGGIO 2020, N. 8715 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI - IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE I.R.P.E.F. TRIBUTI POSTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 - REDDITI DI IMPRESA - DETERMINAZIONE DEL REDDITO - DETRAZIONI - PERDITE, SOPRAVVENIENZE PASSIVE E MINUSVALENZE PATRIMONIALI. Partecipazioni in società estere con sede in Stati non appartenenti all’Unione europea con i quali mancano accordi che consentano all’amministrazione finanziaria di acquisire informazioni - Indeducibilità della svalutazione della partecipazione - Esclusione - Interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 61, comma 3-bis, del d.P.R. n. 917 del 1986 - Necessità - Ammissione del contribuente alla prova contraria - Sussistenza. L'art. 61, comma 3-bis, del d.P.R. n. 917 del 1986, laddove prevede che le svalutazioni di partecipazioni estere, per perdite subite, di società con sede in Stati non appartenenti all'Unione europea sono deducibili dalle società residenti in Italia, sempre che siano in vigore accordi che consentano all'amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie per l'accertamento delle condizioni ivi previste, va inteso, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, ispirata ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost., nel senso che è, comunque, sempre consentito al contribuente residente di fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza dell'esistenza di tali componenti negativi di reddito, come del resto accade per la deducibilità dei costi da spese contratte con società site in Stati inclusi nelle black list , ex art. 110 del d.P.R. n. 917 del 1986, per il regime PEX Participation exemption , ex art. 87 del d.P.R. n. 917 del 1986, per le CFC Controlled Foreign Companies , ex art. 167 del d.P.R. n. 917 del 1986, e in ogni ipotesi di elusione ai sensi dell'art. 10-bis della legge n. 212 del 2000. Non si segnalano precedenti in termini. SEZ. V SENTENZA DELL’11 MAGGIO 2020, N. 8714 RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE - A MEZZO RUOLI TRIBUTI DIRETTI DISCIPLINA ANTERIORE ALLA RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972 - RISCOSSIONE ESATTORIALE - ESATTORIE DELLE IMPOSTE DIRETTE E CONSORZI ESATTORIALI - DIRITTI DELL'ESATTORE – AGGIO. Aggio per l'attività di riscossione - Natura retributiva - Conseguenze - Applicazione della disciplina vigente al momento della riscossione - Rilevanza della retroattività della stessa - Esclusione. In tema di riscossione, l'aggio ha natura retributiva, trattandosi di compenso per l'attività esattoriale, e pertanto deve essere determinato secondo la disciplina vigente al tempo dell'attività di riscossione senza che rilevi la retroattività della detta disciplina rispetto all'anno di imposta cui si riferisce l'iscrizione a ruolo. Si richiamano i Sez. 5 - , Sentenza n. 3524 del 2018 Attesa la natura retributiva dell'aggio di riscossione, derivante dalla sua funzione di compenso per l'attività esattoriale del soggetto incaricato, è manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 17 d. Igs. n. 112 del 1999 come modificato dall'art 2 del d.l. n. 262 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 286 del 2006, fondata sull?asserita violazione della capacità contributiva prevista dall?art. 53 Cost. ii Sez. 1, Ordinanza n. 24588 del 2019 L'aggio costituisce il compenso spettante al concessionario esattore per l'attività svolta su incarico e mandato dell'ente impositore ed il relativo credito non muta la sua natura di corrispettivo per un servizio reso in base al soggetto contribuente, ente impositore o entrambi pro quota a carico del quale, a seconda delle circostanze, è posto il pagamento pertanto, in sede di accertamento al passivo dei crediti insinuati dal concessionario, il credito per aggio non può in alcun modo essere considerato inerente al tributo riscosso e non è quindi assistito dal relativo privilegio. SEZ. V ORDINANZA DEL 14 MAGGIO 2020, N. 8919 TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972 - IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO I.V.A. - OBBLIGHI DEI CONTRIBUENTI - FATTURAZIONE DELLE OPERAZIONI - IN GENERE. Iva - Diritto alla detrazione - Corresponsione di imposta indicata in fattura - Sufficienza - Esclusione - Inerenza operazione - Necessità - Assenza in caso di operazioni inesistenti - Fondamento. In tema di IVA, il diritto alla detrazione dell'imposta non sorge per il solo fatto dell'avvenuto pagamento dell'imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l'inerenza dell'operazione all'impresa, requisito questo mancante in relazione all'IVA corrisposta per operazioni anche parzialmente oggettivamente inesistenti, stante la sua inidoneità a configurare un pagamento a titolo di rivalsa in quanto costituente un costo non inerente all'attività dell'impresa e potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da spezzare il detto nesso di inerenza. In precedenza i Sez. 5, Sentenza n. 735 del 2010 In tema di IVA, è indebita la detrazione d'imposta relativa a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anche se la merce sia stata realmente acquistata ed i costi risultino effettivamente sostenuti, non essendo la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture una circostanza indifferente ai fini dell'IVA da un lato, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell'aliquota e, per conseguenza, sull'entità dell'imposta legittimamente detraibile dall'acquirente e, dall'altro, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell'avvenuta corresponsione dell'imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l'inerenza all'impresa, requisito mancante in relazione all'IVA corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all'attività istituzionale dell'impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza. ii Sez. 5 - , Ordinanza n. 17619 del 2018 In tema di IVA, una volta assolta da parte dell'Amministrazione finanziaria la prova ad esempio, mediante la dimostrazione che l'emittente è una cartiera o una società fantasma dell'oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell'IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l'esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia. SEZ. V SENTENZA DEL 21 MAGGIO 2020, N. 9338 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI - IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE GIURIDICHE I.R.P.E.G. TRIBUTI POSTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 - DETERMINAZIONE - DETRAZIONI - IN GENERE. Operazioni con soggetti domiciliati in Paesi cd. black-list” - Deduzione dei relativi costi - Condizioni - Indicazione separata in dichiarazione - Obbligo di carattere formale - Violazione - Sanzioni applicabili alle violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della l. n. 296 del 2006 - Fattispecie. In tema di determinazione del reddito d'impresa, a decorrere dal 1° gennaio 2007 data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006 , la deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati cd. black list è condizionata alla prova, da parte dell'impresa residente, che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico , mentre l'obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei suddetti costi è stato degradato da condizione sostanziale di deducibilità di essi a obbligo di carattere formale. Nel caso di violazione di quest'ultimo obbligo commessa prima del 1° gennaio 2007, in base alla norma transitoria dell'art. 1, comma 303, della legge cit., qualora l'impresa residente fornisca la prova delle menzionate condizioni sostanziali di deducibilità dei costi o anche qualora l'Amministrazione finanziaria non le contesti , si applica sia la sanzione amministrativa proporzionale pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese non indicate primo periodo del comma 303 , sia la sanzione amministrativa da 258,23 a 2.065,83 euro prevista dall'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 secondo periodo del comma 303 . In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato l'impugnata sentenza della CTR che aveva affermato che l'impresa contribuente che, nel periodo d'imposta 2003, aveva dedotto costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi cd. black list senza indicarli separatamente in dichiarazione, fornendo la prova dell'esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilità degli stessi costi, andava esente da sanzioni in ragione dell'asserito carattere meramente formale della violazione . In senso conforme, già Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11933 del 2016 In tema di reddito d'impresa, all'esito delle modifiche retroattive introdotte dall'art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge n. 296 del 2006 e prima di quelle di cui alla legge n. 208 del 2015, applicabili a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata cd. paesi black list è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità e la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa ex art. 8, comma 3 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della dichiarazione integrativa di cui all'art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, ove operata dal contribuente dopo l'avvio dei controlli.