RASSEGNA DELLA SEZIONE TRIBUTARIA DELLA CASSAZIONE

SEZIONE 5 SENTENZA 16 GIUGNO 2017, N. 15003 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI TRIBUTI POSTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 ACCERTAMENTI E CONTROLLI POTERI DEGLI UFFICI DELLE IMPOSTE IN GENERE. Accertamenti fondati sulle indagini bancarie Onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione Violazione del divieto di doppie presunzioni Configurabilità Esclusione Fondamento. In tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi degli artt. 32 d.P.R. n. 600/1973 e 51 d.P.R. n. 633/1972, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur ” o divieto di doppie presunzioni” o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena sia perché tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perché, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicché non ricorrerebbe nel caso di specie. Tema assai dibattuto. Si richiamano i Sez. 5, Sentenza n. 27032 del 2007 In tema di accertamento delle imposte, l'art. 32 n. 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e l'art. 51 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 autorizzano l'Ufficio finanziario a procedere all'accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall'Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l'utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest'ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un'altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame. ii Sez. 5, Sentenza n. 17953 del 2013 Il divieto di doppia presunzione cd. praesumptio de praesumpto attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice, ma non con altra presunzione legale e, dunque, non ricorre nel caso in cui l'Ufficio finanziario procede all'accertamento fiscale sulla base di proventi desumibili dalle indagini su conti correnti bancari compiute dalla Guardia di Finanza, dovendosi presumere, in assenza di prove contrarie e posto l'accertamento del reato di usura, nel proprio contenuto fattuale, nonostante il proscioglimento penale, imputati i relativi elementi a ricavi diretti dell'attività del contribuente. iii Sez. 5, Sentenza n. 428 del 2015 In tema di imposte sui redditi, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all'attività economica della società sottoposta a verifica, sicché in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell'onere della prova contraria sul contribuente. Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio con riferimento a conti bancari intestati ad amministratori, legati da evidenti rapporti di parentela, e nessuno degli intestatari svolgeva attività economica idonea a giustificare simili importi reddiduali . iv Sez. 6 5, Ordinanza n. 1898 del 2016 In tema di accertamento del reddito d'impresa, gli artt. 32, n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972 autorizzano l'Ufficio finanziario a procedere all'accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, sicché possono assumere rilievo ai fini delle indagini i conti correnti intestati all'amministratore unico e socio assoluto di maggioranza di una società a responsabilità limitata in ragione di movimentazioni sia in entrata che in uscita che non trovino corrispondenza alcuna nelle registrazioni contabili né rileva che il medesimo soggetto sia legale rappresentante di una pluralità di persone giuridiche, essendo in tal caso sufficiente, in difetto della prova contraria circa una più corretta imputazione, ripartire i dati estratti dai conti correnti in proporzione al volume di affari di ciascun ente. v Sez. 5, Sentenza n. 8112 del 2016 In sede di rettifica e di accertamento d'ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, l'utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all'ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorché risulti provata dall'Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi dell'art. 32 d.P.R. n. 600 cit., incombe sulla società contribuente dimostrarne l'estraneità alla propria attività di impresa. SEZIONE 5 SENTENZA 7 GIUGNO 2017, N. 14137 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE I.R.P.E.F. TRIBUTI POSTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 REDDITI DI IMPRESA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DETRAZIONI PERDITE, SOPRAVVENIENZE PASSIVE E MINUSVALENZE PATRIMONIALI. Sanzione pecuniaria ex art. 15 l. n. 287/1990 Sopravvenienza passiva Configurabilità Esclusione Fondamento. In tema di determinazione del reddito di impresa, la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 l. n. 287/1990, in materia di tutela della concorrenza e del mercato, non va considerata sopravvenienza passiva in quanto, da un lato, non è possibile ricollegarla a ricavi ed altri proventi e, dall’altro, non potendo la condotta anticoncorrenziale integrare un fattore produttivo, essendo non soltanto autonoma ed esterna alla normale vita dell’impresa, ma radicalmente antitetica al suo corretto andamento l’imputazione della stessa a reddito d’impresa, a titolo appunto di sopravvenienza passiva, neutralizzerebbe la ratio” punitiva della misura, trasformandola in un risparmio d’imposta. Del resto, anche la Corte di giustizia della UE non ha mancato di rilevare come l’efficacia della sanzione inflitta a garanzia della concorrenza potrebbe essere sensibilmente ridotta dalla sua deducibilità fiscale, che avrebbe l’effetto di compensarne il peso con una diminuzione degli oneri tributari. Si veda Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18368/2012 in tema di determinazione del reddito di impresa, la sanzione irrogata per la violazione di un divieto da parte di un'impresa non deriva da un'attività connessa al corretto esercizio dell'impresa e non può pertanto qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita della impresa, ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività, ed il computo di essa, nella determinazione del reddito d'impresa, quale sopravvenienza passiva significherebbe neutralizzare interamente la ratio punitiva della penalità, trasformandola in un risparmio d'imposta, cioè in un premio per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust ne consegue, pertanto, che l'entità di tale sanzione non può costituire costo deducibile dal reddito imprenditoriale, in quanto la sanzione -che viene determinata in misura variabile, anche se nei limiti del 10% dei ricavi dell'anno precedente non si collega strettamente né al reddito dell'anno in cui la violazione si è verificata né a quello degli esercizi precedenti, restando estranea al corretto esercizio dell'impresa ed essendo il riferimento variabile della sanzione al 10% dei ricavi dell'esercizio precedente soltanto un parametro, riprodotto sulla base della normativa comunitaria, per determinare la misura della sanzione.