RASSEGNA DELLA SEZIONE TRIBUTARIA DELLA CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA 27 FEBBRAIO 2013, N. 4924 TRIBUTI IN GENERALE - CONTENZIOSO TRIBUTARIO DISCIPLINA POSTERIORE ALLA RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972 - PROCEDIMENTO - IN GENERE. Controversia concernente il merito dell’accertamento tributario - Sentenza penale, non definitiva, avente ad oggetto i medesimi fatti fondanti l’accertamento - Rapporto di pregiudizialità necessaria - Inconfigurabilità - Sospensione del primo giudizio - Necessità - Esclusione - Ragioni. GIUDIZIO CIVILE E PENALE RAPPORTO - COSA GIUDICATA PENALE - AUTORITÀ IN ALTRI GIUDIZI CIVILI O AMMINISTRATIVI - IN GENERE. Sentenze penali irrevocabili - Efficacia nel processo tributario - Limiti. Nel contenzioso tributario - in cui non opera automaticamente l’efficacia vincolante del giudicato penale ai sensi dell’art. 654 Cpc, vigendo invece le limitazioni probatorie sancite dall’art. 7, quarto comma, del D.Lgs. 546/1992 e potendo ivi valere anche le presunzioni, inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna - la sentenza penale costituisce semplice indizio od elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio e non rappresenta un accertamento preliminare necessario. Pertanto, non può disporsi, ai sensi dell’art. 295 Cpc ed ancorché coincidano i fatti esaminati in sede penale e quelli che fondano l’accertamento, la sospensione del processo tributario in attesa della definitività della predetta sentenza, come peraltro sancito dall’art. 20 del D.Lgs. 74/2000. Si vedano i seguenti precedenti i Sez. 5, Sentenza 3724/2010 ai sensi dell’art. 654 del Cpp, che ha implicitamente abrogato l’art. 12 del Dl 429/1982 convertito nella legge 516/1982 , poi espressamente abrogato dall’art. 25 del D.Lgs. 74/2000, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova come il divieto della prova testimoniale e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti art. 116 Cpc deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare. ii Sez. 5, Sentenza 19786/2011 nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del D.Lgs. 546/1992 e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti art. 116 Cpc , deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio. Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretto l’operato del giudice tributario che, nonostante il giudicato penale di assoluzione, ha dato conto che nell’accertamento della indeducibilità dei costi afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, opposti elementi indiziari permettevano altresì di negare la stessa esistenza oggettiva di tali operazioni, come le risultanze del processo verbale di constatazione, le informative attestanti la non operatività della società straniera destinataria degli esborsi, l’irregolare tenuta della contabilità della contribuente, l’assenza di contratti scritti per prestazioni professionali di terzi e la non autenticità delle relative sottoscrizioni apposte su documenti . iii Sez. 5, Sentenza 8129/2012 in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del D.Lgs. 546/1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario. iv Sez. 6 - 5, Ordinanza 11206/2012 il giudizio tributario avente ad oggetto la validità o il perfezionamento della definizione agevolata di un’imposta nella specie, ai sensi della legge 289/2002 , ovvero la decadenza dalla stessa, ha carattere pregiudiziale rispetto a quello, vertente tra le medesime parti, riguardante il merito dell’accertamento relativo alla stessa imposta, in quanto la decisione sul condono si riflette necessariamente condizionandola, sulla decisione concernente il merito dell’accertamento. Pertanto, ove risulti la pendenza di un altro giudizio tra le medesime parti in ordine alla validità o al perfezionamento del condono o alla decadenza dallo stesso, il giudice tributario è tenuto, ai sensi dell’art. 295 Cpc, a sospendere il giudizio riguardante il merito dell’accertamento, fino alla decisione del primo con autorità di giudicato. v Sez. 5, Sentenza 21396/2012 la sospensione necessaria del processo, di cui all’art. 295 Cpc, è applicabile anche al processo tributario, qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell’uno costituisca indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati. Nella specie, a seguito di rettifica delle perdite dichiarate da una società, era stato intrapreso un giudizio avente ad oggetto l’avviso di recupero dell’imposta patrimoniale, accertamento dalla S.C. ritenuto consequenziale al successivo giudizio vertente sulle somme dovute a titolo di Irpeg e Ilor . SEZIONE QUINTA 12 FEBBRAIO 2013, N. 3342 TRIBUTI IN GENERALE - CONTENZIOSO TRIBUTARIO DISCIPLINA POSTERIORE ALLA RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972 - PROCEDIMENTO - IN GENERE. Ricorso avverso diniego di rimborso di somme erroneamente versate o di agevolazioni - Centro di servizio delle imposte dirette e indirette di Pescara - Qualità di parte processuale - Esclusione - Fondamento. In sede di contenzioso tributario, il Centro di servizio delle imposte dirette e indirette di Pescara, il quale procede alla revoca totale o parziale dei crediti d’imposta, dopo aver comunicato al contribuente l’avvio del relativo procedimento, ai sensi dell’art. 7 del Dm 311/1998, resta privo di legittimazione nel processo in relazione ad atti ad esso ascrivibili, spettando essa all’ufficio delle entrate infatti, l’art. 10 del D.Lgs. 546/1992 prevede che, in ipotesi di ricorso avverso il diniego di rimborso di somme erroneamente versate dal contribuente, ovvero il diniego di agevolazioni, è parte del processo, se l’ufficio è un Centro di servizio, l’Ufficio delle entrate del Ministero al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. In senso sostanzialmente conforme, già a Sez. 5, Sentenza 64/2005 in tema di contenzioso tributario, nel caso di ricorso avverso il diniego di rimborso di somme erroneamente versate dal contribuente, il centro di servizio è privo di legittimazione processuale, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del centro medesimo. Da un lato, infatti, l’art. 10 del D.Lgs. 546/1992, esclude, in linea di principio, i centri di servizio dal novero dei soggetti che possono essere parti del processo tributario stabilendo che, qualora l’atto impugnato sia ascrivibile ad un centro di servizio, deve essere chiamato in causa l’ufficio delle entrate del Ministero delle Finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso” dall’altro, l’art. 20, terzo comma, del citato D.Lgs. 546/1992, nel far salvo il disposto dell’art. 10 del Dpr 787/1980, si riferisce esclusivamente - attraverso il richiamo operato dal detto art. 10 al precedente art. 8 - ai ricorsi avverso i provvedimenti di rimborso disposti a seguito di errori materiali o duplicazioni dovuti al centro di servizio”. b Sez. 5, Sentenza 2937/2010 in tema di contenzioso tributario, il ricorso avverso una cartella esattoriale emessa dal Centro di Servizio va notificato a quest’ultimo ufficio, in virtù dell’esplicito richiamo all’art. 10 del Dpr 787/1980, contenuto nell’art. 20, comma terzo, del D.Lgs. 546/1992, ma, nell’instaurato giudizio, l’unica parte processuale legittimata è l’Ufficio delle Entrate, al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso ed al quale, di conseguenza, va notificato l’eventuale ricorso in appello. Qualora, però, il contribuente abbia per errore notificato l’atto di impugnazione al Centro di Servizio, quest’ultimo, in ossequio al principio generale di tutela dell’affidamento del contribuente ed al conseguente dovere di collaborazione art. 10 della legge 212/2000 , è tenuto, facendo parte della medesima Amministrazione finanziaria, a trasmettere il ricorso al competente Ufficio delle Entrate, conseguendone, in difetto, che la mancata tempestiva costituzione dell’Ufficio in appello non è imputabile al contribuente, bensì all’Amministrazione medesima.