NOVITA’ FISCALI TRA SENTENZE E PRASSI

Esordio oltre confine per l’aggiornamento del week-end in materia fiscale. Spunti di rilievo, difatti, arrivano dalla Corte di Giustizia europea, che, con tre pronunce ad hoc, affronta il tema della territorialità dei depositi doganali, da un lato, e quello dell’Iva, dall’altro. Anche tornando in territorio nazionale, però, ci sono tematiche da approfondire. Prima fonte, la Cassazione, con i giudici impegnati ad affrontare, tra l’altro contabilità ‘fantasma’ dell’azienda e accertamento induttivo motivazione per relationem cessione di azienda e Iva agevolazioni ‘prima casa’ contabilità regolare e Gerico plusvalenza e accertamento. Seconda fonte, le Commissioni tributarie territoriali, con argomenti interessanti sul tappeto, come Tarsu variazione catastale e Ici condono transfer pricing. Per chiudere, infine, ancora una pronuncia del Tar Veneto in materia di imposta di soggiorno e di oneri a carico degli albergatori. Pro rata iva. Agli Stati membri facoltà di adottare criteri diversi Corte di Giustizia UE numero C-511/10 dell’8 novembre 2012 Pur nel rispetto delle direttive comunitarie, gli stati membri, esclusivamente in relazione a determinate fattispecie, possono imporre un pro rata diverso da quello previsto dall’art. 19 della VI Direttiva. Infatti, il disposto dell’art. 17 ha carattere derogatorio e le disposizioni in esso contenute non possono essere adottate in termini generali in quanto verrebbero meno i principi di uniformità per tutti gli stati membri. A stabilirlo la Corte di Giustizia UE chiamata a rispondere ad una questione sull’applicazione del prorata in Germania. In particolare, si legge nelle conclusioni della sentenza, L’articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto base imponibile uniforme, dev’essere interpretato nel senso che consente agli Stati membri di privilegiare, come criterio di ripartizione ai fini del calcolo del prorata di detrazione dell’imposta sul valore aggiunto dovuta a monte per una determinata operazione, quale la costruzione di un immobile ad uso promiscuo, un criterio di ripartizione diverso da quello fondato sul volume d’affari di cui all’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva medesima, subordinatamente alla condizione che il metodo accolto garantisca una determinazione più precisa del suddetto prorata di detrazione ”. Nessuna extraterritorialità per i depositi doganali Corte di Giustizia UE numero C-165/11 dell’8 novembre 2012 I depositi territoriali sono parte dello stato in cui effettivamente si trovano e le cessioni di beni ad essi riferibili rientrano nel campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto anche quando la normativa nazionale prevede l’esenzione. Chiamati a pronunciarsi sulla questione dal Fisco slovacco che aveva contestato a una società il mancato assoggettamento all’imposta delle cessioni di beni situati in un deposito doganale, i giudici della Corte di Giustizia UE hanno così stabilito che Qualora merci provenienti da un paese terzo siano state vincolate al regime di deposito doganale in uno Stato membro, siano state successivamente trasformate in regime di perfezionamento attivo nella forma del sistema della sospensione e siano state poi vendute e vincolate nuovamente al regime di deposito doganale, rimanendo per la durata dell’insieme di tali operazioni nel medesimo deposito doganale sito nel territorio di tale Stato membro, la vendita di siffatte merci è soggetta all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2004/66/CE del Consiglio, del 26 aprile 2004, salvo che il suddetto Stato membro non si sia avvalso della facoltà, ad esso riconosciuta, di esentare tale cessione dall’imposta ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della medesima direttiva, il che deve essere verificato dal giudice nazionale ”. Detraibile l’IVA sugli acquisti della holding quando c’è un nesso diretto” Corte di Giustizia UE numero C-496/11 del 6 settembre 2012 Chiamata a pronunciarsi in merito all’interpretazione dell’art. 17, par. 2, della sesta direttiva 77/388/CEE, e più specificatamente al metodo da utilizzare per determinare l’importo detraibile dell’IVA nel caso di una Holding di partecipazioni che in via accessoria acquista beni e servizi che rifattura alle società controllate, la Corte ha così stabilito che una holding come quella di cui alla causa principale la quale, a titolo accessorio alla propria attività principale di gestione delle partecipazioni societarie delle società di cui detenga del tutto o in parte il capitale sociale, acquisti beni e servizi che essa fatturi successivamente alle società medesime, è autorizzata a detrarre l’importo dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte, purché i servizi acquistati a monte presentino un nesso diretto e immediato con operazioni economiche a valle che danno diritto a detrazione. Quando detti beni e servizi sono utilizzati dalla holding per effettuare, al contempo, operazioni economiche che danno diritto a detrazione e operazioni economiche che non danno tale diritto, la detrazione è ammessa per la sola parte dell’imposta sul valore aggiunto che è proporzionale all’importo relativo alle prime operazioni e l’amministrazione finanziaria nazionale è autorizzata a prevedere uno dei metodi di determinazione del diritto a detrazione di cui all’articolo 17, paragrafo 5. Quando tali beni e servizi sono utilizzati, al contempo, per attività economiche e attività non economiche, l’articolo 17, paragrafo 5, della sesta direttiva 77/388 non è applicabile e i metodi di detrazione e di ripartizione sono definiti dagli Stati membri che, nell’esercizio di tale potere, devono tener conto dello scopo e dell’economia della sesta direttiva 77/388 e, a tale titolo, prevedere un metodo di calcolo che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese a monte a ciascuna di queste due attività ”. Rimpiattino tra amministratore e consulente contabilità scomparsa e poi riapparsa. Ma è legittimo l’accertamento induttivo del Fisco Cassazione numero 19871 del 14 novembre 2012 Contabilità ‘palleggiata’ tra amministratore e consulente aziendale. Poi, a distanza di mesi dalla richiesta avanzata durante un controllo dai militari della Guardia di Finanza, i documenti spuntano fuori Tutto troppo sospetto. E, difatti, l’accertamento induttivo, operato dal Fisco, può essere considerato legittimo. Chiara la posizione assunta dai giudici di terzo grado, che hanno messo in discussione la pronuncia della Commissione tributaria regionale, pronuncia che aveva ritenuto non fondato l’accertamento per il mancato accesso della Guardia di Finanza presso la sede legale della ditta contribuente ”. Questa tesi, però, andrà rivista – nuovamente in Commissione tributaria regionale, cui la questione viene affidata come effetto dell’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate – alla luce di alcuni ‘paletti’ normativi. Nessun dubbio sulla vicenda il consulente aziendale – un ragioniere – dichiara che la documentazione contabile si trova presso la sede sociale ”, mentre l’amministratore riferisce che la contabilità si trova presso il ragioniere ”, e questo ‘rimpiattino’ si chiude solo a distanza di mesi, quando la documentazione viene prodotta proprio dal ragioniere, però con modalità copia e tempistica sospette ”, sostiene il Fisco. Ciò che rileva, secondo i giudici di terzo grado, è il ‘buco nero’, seppur temporaneo, in cui sono finiti i documenti, e il conseguente divieto di prendere in considerazione, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, i libri, le scritture e i documenti di cui si è rifiutata l’esibizione ”, e ciò a prescindere dal fatto che il ‘buco nero’ sia frutto di dolo o di semplice errore ”. Evidente, difatti, la incompletezza della contabilità, con conseguente inattendibilità delle sue risultanze ”. All’interno di questo quadro, infine, è assolutamente irrilevante il particolare ritenuto invece fondamentale dai giudici tributari, ossia il mancato accesso in sede ”. Perché, chiariscono i giudici di Cassazione, quel che conta è che vi sia stata una specifica richiesta degli agenti accertatori ”, addirittura ripetuta per ben due volte ” e andata sempre a vuoto. No al condono se il manager è indagato Cassazione numero 19862 del 14 novembre 2012 Accogliendo il ricorso presentato dal Fisco, la Cassazione ha stabilito come non sia applicabile il condono fiscale per quelle aziende i cui manager sono indagati per reati tributari di cui al D.Lgs. 74/2000. Per i giudici della Suprema Corte, si legge nelle motivazioni, né il dolo, né l’abuso di potere dell’amministratore riescono ad interrompere il rapporto organico che questi intrattiene con la società, risultando essenziale unicamente che l’attività dell’agente si configuri come esplicazione dell’attività propria dell’ente Cass. 5 dicembre 2011, numero 25946 . E, coerentemente, questa stessa sezione tributaria ha riconosciuto alle dichiarazioni rese in sede di verifica dal rappresentante legale della società valenza di confessione stragiudiziale e non già contenuto testimoniale, in ragione ancora del rapporto d’immedesimazione organica Cass. 21 dicembre 2005, numero 28316 ”. Ne consegue L’esclusione dalla definizione agevolata contemplata dall’ultimo nucleo normativo del 1° comma dell’art. 15 l. 289 del 2002 si applica alle società i cui rappresentanti legali siano stati destinatari dell’azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo numero 74 del 2000, qualora la contribuente abbia avuto formale conoscenza di tale esercizio entro la data di perfezionamento della definizione ”. Agevolazione prima casa. L’abitabilità è estranea al rapporto tributario Cassazione numero 19660 del 12 novembre 2012 A stabilirlo la Cassazione, richiamando anche quanto disposto dalla sentenza numero 10807/12, nell’ordinanza che respinge il ricorso della contribuente. In particolare, si legge nelle motivazioni, nel calcolo della superficie utile deve computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorché privi del requisito dell’abitabilità, e ciò in quanto la verifica dell’abitabilità resta estranea al rapporto tributario, incidendo sull’uso effettivo del fabbricato che la norma tributaria non ha inserito tra i requisiti postulati per l’applicazione dell’imposta sentenza numero 7905/05 ”. La contabilità regolare non ferma Gerico Cassazione numero 19626 del 12 novembre 2012 In presenza di grave incongruenza ”, espressamente prevista dall’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993 numero 331, e seppur l’ispezione abbia rilevato una contabilità formalmente regolare, lo studio di settore è sempre applicabile. A stabilirlo la Cassazione con l’ordinanza numero 19626/12, In particolare, e secondo consolidata giurisprudenza, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può - ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. numero 600 del 1973 - fondare il proprio accertamento sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili, come nella specie, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente V. pure Cass. sentenza numero 16430 del 27/07/2011 ”. Affitto di azienda fittizio. Via libera al sequestro per equivalente Cassazione numero 43508 del 9 novembre 2012 Rigettando il ricorso presentato dal contribuente, e confermando il lavoro già svolto dal GIP, per cui La fittizietà del contratto è stata desunta dal tribunale del riesame non solo - come ritiene la ricorrente - dalla perfetta identità delle attività produttive svolte dalla società apparente affittuaria e dalla ditta individuale dell’indagata, in conformità del resto al disposto dell’art. 2561 c.c., ma da una serie di altre circostanze assolutamente univoche ”, la Cassazione ha così confermato la legittimità del sequestro per equivalente, in funzione della successiva confisca, nel caso di omesso versamento dell’IVA. Elusivo lo sconto delle fatture Cassazione numero 19566 del 9 novembre 2012 A rischio elusione lo sconto di fatture in sede di trasferimento di ramo di azienda. A stabilirlo la Cassazione che, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha ribaltato il precedente giudizio della CTR. In particolare, specificano i giudici nelle motivazioni dell’ordinanza, la CTR fa l’apodittica affermazione che la parte contribuente ha dimostrato l’inerenza delle passività, senza dare contezza dell’iter seguito e degli elementi utilizzati nel percorso decisionale, omettendo di esaminare e valutare le circostanze fattuali evidenziate dall’Agenzia e richiamate in questa sede, quali il peculiare meccanismo di sconto ed anticipazione bancaria a cui erano ricollegabili le passività, nonché i particolari rapporti intercorsi tra società cadente e cessionaria, in ipotesi idonei a configurare un intento elusivo ”. Abitazione senza elettricità e riscaldamento, necessari interventi ad hoc possibile ritardare il trasferimento di residenza. E salvare i benefici ‘prima casa’ Cassazione numero 19561 del 9 novembre 2012 Benefici fiscali per l’acquisto della prima casa a rischio, se il trasferimento di residenza del compratore non avviene nei tempi dettati dalla legge. Ma l’applicazione della norma deve essere più flessibile, deve fare i conti con la realtà quotidiana. Di conseguenza, è doveroso tener conto – come hanno stabilito i giudici della Cassazione – di ‘cause di forza maggiore’, come l’assoluta impossibilità di vivere in un appartamento senza elettricità e riscaldamento. Ecco perché l’azzeramento delle agevolazioni – deciso dalla Commissione tributaria regionale – viene rimesso in discussione dalla Cassazione. Accolta, difatti, l’osservazione proposta dal contribuente, e fondata sulla necessità di lavorare sulle condizioni dell’immobile, privo dei servizi minimi di abitabilità ”, con interventi ad hoc su impianto di riscaldamento e impianto elettrico, prima di trasferire definitivamente la residenza. Per i giudici del ‘Palazzaccio’ è evidente la causa di forza maggiore”, simboleggiata dalle precarie condizioni dell’immobile acquistato, di cui dovrà tener conto anche la Commissione tributaria regionale a cui la questione viene riaffidata. Cessione di azienda. È sufficiente l’attitudine potenziale per evitare l’IVA Cassazione numero 19544 del 9 novembre 2012 Distinguendo tra cessione di azienda, soggetta al solo registro, e cessioni di singoli beni aziendali, soggetti ad IVA, la Cassazione, richiamando consolidata giurisprudenza, ha ricordato che Ove sussista una cessione di beni strumentali, atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio d’impresa, si deve ravvisare una cessione di azienda soggetta ad imposta di registro, mentre la cessione dei singoli beni, inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere assoggettata ad IVA ai fini dell’assoggettamento all’imposta di registro non si richiede che l’esercizio dell’impresa sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa, né è esclusa la cessione d’azienda per il fatto che non risultino cedute anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali Cass. numero 23857/2007, Cass. numero 897/2002 ”. L’atto di adesione non si modifica Cassazione numero 19220 del 7 novembre 2012 Nessuna possibilità per il contribuente di richiedere il rimborso delle somme già versate una volta stipulato l’atto di adesione. Secondo consolidata giurisprudenza, la Cassazione ha infatti confermato una volta di più che in tema di imposte sui redditi, poiché avverso l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione che, invece, in conformità alla ratio dell’istituto, deve ritenersi intangibile Cass. nnumero 20732 del 2010 10086 del 2009 18962 del 2005 ”. Nulla da fare quindi per il contribuente anche se nel frattempo avesse nuovi documenti relativi all’accertamento ricevuto. Revocazione. 60 giorni quando si rinvengono nuovi documenti Cassazione numero 15242 del 12 settembre 2012 Ai sensi dell’art. 51 del d.lgs. numero 546/92, l’impugnazione per revocazione a seguito del rinvenimento di nuova documentazione deve essere proposta nel termine di 60 giorni dalla data di ritrovamento dei documenti stessi. Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza numero 15242/12 della Corte di Cassazione. In particolare, si legge nelle motivazioni della sentenza, L’impugnazione per revocazione correlata, a norma dell’art. 395 numero 3 cod. proc. civ., al ritrovamento di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta a pena di inammissibilità, a norma dell’art. 51 D.lgs. 546/92, entro sessanta giorni dalla data della scoperta dei documenti medesimi e l’onere della prova dell’osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell’ammissibilità dell’impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in ricorso, a pena d’inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonché del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento Cass. Sez. 3, sentenza numero 2287 del 04/02/2005 . Il termine per l’impugnazione decorre dal giorno in cui la parte abbia avuto notizia dell’esistenza del documento assunto come decisivo, e non già dalla data di materiale apprensione dello stesso documento Cass. Sez. 3, sentenza numero 9369 del 21/04/2006 ”. Accertamento in discussione se la plusvalenza contestata è eccessiva rispetto all’introito effettivo Cassazione numero 14800 del 4 settembre 2012 Saggezza popolare insegna che la matematica non è un’opinione ”. E ciò vale ancor di più quando si parla di accertamenti Esemplare il caso di un imprenditore finito nel mirino del Fisco per una mancata dichiarazione dei redditi conseguiti ” con una cessione di azienda. Fondata, secondo la Commissione tributaria regionale – seguita a ruota anche dalla Commissione tributaria centrale –, la mossa compiuta dall’Agenzia delle Entrate, e mirata a evidenziare la plusvalenza realizzata e occultata dall’imprenditore. Ma in Cassazione la questione viene rimessa in discussione, perché, secondo i giudici, è legittima più di una perplessità sul quantum dell’avviso di accertamento, ossia oltre 36milioni di lire, mentre nelle tasche del contribuente sono stati accreditati ‘solo’ 21milioni di lire, in parte a titolo di avviamento ” e in parte quale corrispettivo per la vendita di automezzi ”. Evidente la sproporzione tra le due cifre, e, soprattutto, evidente la lacuna nelle valutazioni dei giudici tributari a fronte del lapalissiano maggiore importo dell’avviso di accertamento ”. La prescrizione nazionale” non salva dall’estradizione Cassazione numero 33594 del 3 settembre 2012 Non sfugge all’estradizione verso gli USA l’evasore fiscale. Anche nel caso in cui il reato sia prescritto in Italia. A stabilirlo la sezione Penale della Corte di Cassazione. In particolare, specificano i giudici in conclusione della sentenza, La circostanza che l’Italia, in una situazione speculare, non potrebbe chiedere l’estradizione di un soggetto dagli Stati Uniti perché in Italia, Paese richiedente, il reato sarebbe prescritto, anche se non lo fosse negli Stati Uniti, non deriva da una irrazionalità della norma del trattato ma, più semplicemente, dal fatto che la legislazione italiana prevede un termine prescrizionale più breve. Né si vede come ciò possa risultare ostativo ad una condizione di parità con gli Stati Uniti, essendo ogni stato libero di stabilire normativamente quali debbano essere i termini prescrizionali dei reati. Ancor meno l’assetto normativo in disamina può vulnerare il diritto di difesa dell’imputato, al quale è sufficiente interpellare un avvocato del paese richiedente per sapere quando scadrà il termine di prescrizione del reato ivi commesso e quando dunque egli potrà essere sicuro di non poter essere più perseguito ”. Fatture ‘scottanti’, socio indagato nessuna confisca per la società Cassazione numero 33371 del 29 agosto 2012 Socio indagato per una ‘rete’ di fatture per operazioni inesistenti? Allora ‘via libera’ per il sequestro di beni ad personam , mentre è assolutamente in discussione quello operato nei confronti della società. Come chiariscono i giudici della Cassazione, con la sentenza penale 33371, azzerando l’ordinanza con cui era stato disposto il sequestro di beni, finalizzato alla confisca per equivalente ”, nei confronti della società di cui la persona indagata è componente. Fondamentale la valutazione della natura di sanzione penale ” della confisca, inapplicabile, quindi, nei confronti di un soggetto diverso dall’autore del reato, a nulla rilevando, con riferimento alle persone giuridiche, il cosiddetto rapporto di immedesimazione organica del reo con l’ente del quale, con compiti o poteri vari, fa parte ”. Unica eccezione, chiariscono i giudici, solo l’ipotesi in cui la struttura societaria costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale, sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato ”. Ma non è la situazione verificata in questa vicenda ecco perché il sequestro dei beni della società è ritenuto non legittimo, con consequenziale ordine di restituzione. Oltre dieci anni di battaglia, senza possibilità dell’obolo del 5 per cento. Contribuente incolpevole, processo estinto Cassazione numero 13927 del 2 agosto 2012 Processi ‘lumaca’? Annoso problema per la giustizia italiana, anche sul fronte tributario. Laddove, peraltro, l’applicazione della extrema ratio normativa, per contenere i procedimenti nei limiti della durata ragionevole ”, può essere resa più ampia. Per evitare discriminazioni tra i contribuenti. Esemplare il casus relativo a un accertamento contestato la querelle si è ‘spalmata’ su un arco temporale superiore ai dieci anni, vedendo il Fisco sì sconfitto sia in primo che in secondo grado ma comunque deciso a ricorrere anche in Cassazione. Alla luce della normativa – ossia il decreto legge 40 del 2010, poi convertito nella legge 73 del 22 maggio 2010 – soluzione logica sarebbe stata l’estinzione a seguito del pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia ”, a seguito della domanda ad hoc, da parte del contribuente, alla competente segreteria o cancelleria ” entro il termine di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, con attestazione del relativo pagamento ”. Ma se manca l’ufficio di riferimento, come in questo caso? Nonostante ciò, non è da credere che la parte contribuente non possa domandare ” alla Corte di Cassazione l’accertamento dell’intervenuta estinzione del processo così come esso si trovava, ancora pendente, avanti alla Commissione tributaria centrale ”, perché la disciplina prevede appunto che le controversie tributarie pendenti innanzi alla Commissione tributari centrale sono automaticamente definite ”. Di conseguenza, chiariscono i giudici di terzo grado, è irragionevole supporre ” che non possa intervenire come ‘surrogato’ il provvedimento” della Corte di Cassazione che si limiti ad accertare la sussistenza dei presupposti che avrebbero giustificato l’adozione del provvedimento di definizione da parte della Commissione tributaria centrale”. Tale quadro si attaglia perfettamente alla vicenda in esame, che difatti viene chiusa dai giudici della Cassazione, con la dichiarazione della avvenuta estinzione del processo ”. Transfer pricing agevolato” per la start up CTR Milano numero 111/44/12 del 1 agosto 2012 Il valore normale” stabilito dall’art. 110 del TUIR deve tenere conto della fase di avviamento dell’azienda e di quanto indicato dall’OCSE nelle proprie linee guida. Regge quindi la tesi difensiva della società, nei confronti della quale il Fisco aveva contestato delle cessioni avvenute al costo industriale” non conforme al valore normale indicato dal TUIR. Infatti, per la società queste cessioni erano avvenute solo ed esclusivamente, nei confronti di una controllata estera di recente costituzione, nella fase di start-up al fine di permettere l’avvio della produzione di quest’ultima e l’affermazione della stessa sul nuovo mercato. Per i giudici della CTR nulla di illecito, quindi. Anzi, proseguono nelle loro motivazioni affermando che in presenza di condizioni di mercato tali da non consentire il raggiungimento immediato dei risultati previsti, l’effettuazione di vendite a prezzi inferiori a quello di mercato può proseguire per un certo periodo non essendo, tale comportamento, lesivo del principio di libera concorrenza. Occorre però controllare” tale situazione il cui protrarsi potrebbe invece nascondere un comportamento finalizzato solo ad ottenere indebiti risparmi di imposta. I familiari soccorrono” il contribuente nell’accertamento CTR Torino numero 74/30/12 del 6 luglio 2012 Onere a carico del contribuente provare la correttezza dei movimenti del proprio conto corrente ed evitare che gli stessi, come da consolidata giurisprudenza, possano essere imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito ”. Ma onere, dopo la sentenza della CTR piemontese, meno gravoso se in aiuto possono arrivare familiari e amici che attestino la natura dei movimenti registrati. Infatti, si legge ancora nelle motivazioni, il principio che in tema di IVA l’art. 51, secondo comma, nnumero 2 e 7, DPR 26.10.1972, n 633 - che accorda all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione - non trova applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie sui conti” così Cass. 28.6.2001, numero 8826 ”. Nessuna sanzione con solo un giorno di ritardo CTR Perugia numero 111/02/12 del 31 maggio 2012 Favor rei” al contribuente che versa l’IRAP con un solo giorno di ritardo. Per i giudici perugini, quindi, non sono applicabili sanzioni per ritardato pagamento qualora il pagamento avvenga comunque nel termine di 15 giorni dalla scadenza ordinaria. Per i giudici, in particolare, il favor rei trova preciso riferimento normativo nell’art. 3 del D.Lgs. 472/97. La domanda di variazione catastale batte” l’ICI CTP Savona numero 67/1/12 del 7 agosto 2012 La presentazione della domanda di variazione catastale presentata all’Agenzia del Territorio per l’attribuzione della Cat. D/10 accompagnata dalla relativa dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante l’esistenza dei requisiti di ruralità ha di per sé efficacia sanante della situazione relativa all’anno in contestazione. Con queste motivazioni la CTP savonese ha accolto le istanze del contribuente avverso al recupero dell’ICI operato dal Comune. In particolare, si legge nelle conclusioni, sebbene I’ Agenzia del Territorio abbia tempo fino al 20/11/2012 per negare la variazione, di conseguenza il ricorso deve, intanto, allo stato degli atti, essere accolto ”. È solo un indizio la dichiarazione del terzo CTP L’Aquila numero 87/3/12 del 3 luglio 2012 In tema di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, le dichiarazioni dei terzi hanno solo valore indiziario e non valgono, quale presunzione certa e precisa ”, se non trovano conferme e riscontri della volontà fraudolenta delle parti. Con questa motivazione i giudici della CTP abruzzese hanno accolto il ricorso di un contribuente avverso l’accertamento emesso dalla locale Agenzia delle Entrate. Per i giudici, infatti, nella documentazione prodotta dal Fisco viene a mancare la dimostrazione della connivenza nella frode da parte della società ricorrente basata anche su elementi presuntivi, purché dotati del requisito di gravità, precisione e concordanza elementi presuntivi consistenti nella esposizione di circostanze tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente Cassazione numero 10414/2011 ”. Condono salvo anche se la seconda rata è versata in ritardo CTP Lecce numero 355/12 del 25 giugno 2012 È scusabile, e non inficia la validità del condono, il versamento tardivo della seconda rata dovuta all’accavallarsi di continue proroghe che determinano uno stato obiettivo di incertezza sulle varie scadenze ”. È questo il parere dei giudici della CTP pugliese che richiamano il disposto dell’art. 12 della Legge numero 289/02. In particolare, l’errore scusabile è espressamente previsto nel comma 9, dell’articolo 16, riguardante le disposizioni in materia di chiusura di liti fiscali pendenti e la stessa Amministrazione Finanziaria, nella circolare numero 17/E del 21 marzo 2003, ha definitivamente chiarito che il principio dell’errore scusabile è da ritenersi applicabile a tutte le procedure di condono contenute nella sopracitata legge. Accolto quindi il ricorso del contribuente avverso il comportamento tenuto dal concessionario della riscossione che, al mancato adempimento della seconda rata, aveva dichiarato decaduto il condono e ha provveduto a recuperare l’intera somma iscritta a ruolo. Raddoppio dei termini. Al Fisco l’onere della prova CTP Lecco numero 74/1/12 del 19 giugno 2012 La semplice enunciazione nell’atto di accertamento o nel p.v.c. dell’inoltro della notizia di reato alla Procura della Repubblica, senza ulteriori elementi, non legittima l’Ufficio a beneficiare del raddoppio Comm. Trib. Prov. di Milano, sentenza numero 231/40/2011 l’Ufficio che si avvale del raddoppio dei termini per l’accertamento ha l’obbligo di allegare copia della denuncia penale presentata alla Procura della Repubblica Comm. Trib. Prov. di Milano, sentenza numero 372/3/11, del 12 dicembre 2012 . L’omessa allegazione della denuncia, se non sanata in corso di causa, impedisce al Giudice di verificare la sussistenza del presupposti indicati nell’art. 43, co. 3, D.P.R. numero 600/1973 ed apprezzare se il ricorso al raddoppio dei termini è o meno legittimo ”. Per i giudici lecchesi è quindi onere che incombe sul Fisco quello di provare la fondatezza del raddoppio dei termini per l’accertamento qualora il contribuente ne contesti la decadenza. TARSU. L’illegittimità parte dal 31 dicembre 2009 CTP Grosseto numero 124/4/12 del 19 aprile 2012 Senza il passaggio alla TIA, dal 2010, è da ritenersi illegittima ogni pretesa avanzata dai comuni in tema di TARSU. Con il conseguente rischio di dover rimborsare quanto versato dai cittadini successivamente a tale data. In particolare, si legge nella sentenza che respinge la tesi dell’ente locale, è evidente che per l’anno 2010 in questione la TARSU, in assenza di una disposizione normativa di proroga del regime transitorio, è stata sostituita dalle Tariffe della TIA, condizionata come detto alla emanazione del già ricordato regolamento. Con la conseguenza, per il caso che ci interessa, che il Comune di ., impositore, non può pretendere il pagamento, a carico della ricorrente, delle somme [numero d.r. leggasi richieste] dall’avviso di pagamento impugnato in questa sede, non potendo applicare la Tassa Rifiuti Solidi Urbani, di cui il legislatore ha già disposto l’abrogazione ”. Imposta di soggiorno. Oneri di riscossione semplici” per gli alberghi TAR Veneto numero 1283 del 23 ottobre 2012 A poco più di due mesi dalla sentenza 1165/12, il TAR del Veneto torna a pronunciarsi in tema di imposta di soggiorno e di oneri a carico degli albergatori. Se con la prima sentenza, i giudici avevano rilevato l’illegittimità dell’utilizzo delle espressioni responsabile degli obblighi tributari” e di responsabile della riscossione” perché si richiamano alla figura del sostituto d’imposta” o del responsabile d’imposta” di cui all’art. 64 del DPR 29 settembre 1973, numero 600, che individuano quanti sono tenuti al pagamento dell’imposta in luogo di altri o insieme ad altri, e lamentano altresì che tale formulazione rende incerta ed indeterminata l’esatta individuazione degli obblighi che gravano sui gestori e conseguentemente le responsabilità che sugli stessi incombono in caso di mancato pagamento dell’imposta da parte del cliente della struttura ”, la nuova sentenza stabilisce invece la legittimità di tali oneri posti a carico di titolari ed esercenti l’attività alberghiera, purché non eccessivamente complessi e strumentali alla riscossione dell’imposta di soggiorno ”. Il riferimento normativo è all’art. 4 del DL 23/2011 che demanda ai regolamenti comunali la facoltà di attuare le modalità applicative dell’imposta di soggiorno, incaricando i terzi degli adempimenti necessari alla riscossione purché, appunto, privi di connotati eccessivamente complessi ”. A cura di d.t.