NOVITA’ FISCALI TRA SENTENZE E PRASSI

‘Pacchetto monstre’, questo week-end, per gli ultimi aggiornamenti in materia fiscale. Solito il doppio binario percorso Cassazione da un lato, Commissioni tributarie dall’altro. Partiamo proprio dal Palazzaccio di piazza Cavour, segnalando alcune tra le questioni più rilevanti sufficienza dei ricavi contabilizzati per la soglia di punibilità dell’evasione, impugnazione in commissione per la cartella emessa per la riscossione del contributo unificato, placet per la sentenza notificata a mezzo posta, mancata compilazione del quarto ‘Rw’ come evasione fiscale, nessun blocco della sanzione anche in caso di incertezza normativa, validità del condono Iva anche per le fatture false, niente evasione in caso di mancata registrazione delle fatture non pagate. Facciamo ora tappa in Commissione tributaria, anche in questo caso proponendo alcuni flash validità delle certificazioni rilasciate dalle autorità fiscali straniere, mutuo non utilizzabile dal Fisco per rivalutare l’immobile. Per chiudere, infine, spazio all’Europa, con una pronuncia della Corte di giustizia sui diritti camerali annuali. E dulcis in fundo un chiarimento dall’Agenzia delle Entrate, che conferma, nonostante la Cassazione, la non impugnabilità degli avvisi bonari. Non sono impugnabili gli avvisi bonari. L’agenzia conferma la propria posizione nonostante la sentenza della Cassazione L’Agenzia si affida ad un comunicato stampa per ribadire la propria posizione circa l’impugnabilità degli avvisi bonari dopo la recente sentenza della Cassazione n. 7344. Nelle poche righe del comunicato l’Agenzia delle Entrate conferma la propria adesione all’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, ribadito dalle sentenze a Sezioni Unite della Cassazione SS.UU. n. 16293/2007 e n. 16428/2007, secondo cui è esclusa l’impugnabilità degli avvisi bonari, con i quali si invitano i contribuenti a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di liquidazione delle dichiarazioni. L’emanazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 7344/2012, peraltro emessa in relazione a controversia riguardante anche il ruolo che solo incidentalmente si è occupata dell’impugnabilità degli avvisi bonari, di per sé non giustificherebbe, infatti, un’eventuale modifica dell’orientamento fin qui costantemente tenuto dall’Agenzia. Gli Uffici, pertanto, continueranno a sostenere l’inammissibilità dei ricorsi eventualmente proposti contro gli avvisi bonari ”. Legittimi i diritti camerali annuali Corte di Giustizia UE n. C-443/09 del 19 aprile 2012 Legittimità piena per il diritto annuale di iscrizione al registro delle imprese. A stabilirlo la Corte di Giustizia UE con la sentenza in oggetto. In particolare, concludono i giudici, L’articolo 5, paragrafo 1, lettera c , della direttiva 2008/7/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a un diritto, come quello controverso nel procedimento principale, dovuto annualmente da ogni impresa per l’iscrizione nel registro delle imprese, anche se siffatta iscrizione ha un effetto costitutivo per le società di capitali e tale diritto è dovuto dalle società in parola anche relativamente al periodo di tempo in cui svolgono unicamente attività preparatorie alla gestione di un’impresa ”. Evasione. bastano i ricavi per la soglia di punibilità Cassazione n. 20286 del 28 maggio 2012 Bastano i ricavi contabilizzati per il raggiungimento del valore di 75mila euro indicati dal D.Lgs. 74/2000 quale soglia di punibilità per l’evasione fiscale. Per la Cassazione, si legge nella sentenza, la determinazione delle imposte evase è legittimamente operata anche tenendo conto soltanto dei ricavi aziendali in assenza di elementi che facciano ritenere l’esistenza di costi aziendali Sez. III Cass. n. 35858, 4 ottobre 2011 ed essendo state utilizzate a tal fine le risultanze degli accertamenti eseguiti dal personale di polizia giudiziaria che aveva effettuato la verifica ”. La mancata compilazione del quadro rw equivale ad evasione fiscale Cassazione n. 19660 del 24 maggio 2012 La mancata compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi configura il reato di evasione fiscale. Soprattutto quando si tratta di paradisi fiscali. Per la Cassazione, si legge nella sentenza, lo scopo del previsto obbligo di compilazione del modello RW è inequivocabilmente quello di rilevare a fini fiscali trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori, come recita espressamente il titolo del DL 28 giugno 1990, n. 167 e come si ricava dall’art. 4, comma 1 del medesimo decreto-legge, laddove si precisa che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, residenti in Italia che al termine del periodo d’imposta detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione dei redditi. Non si vede, dunque, quali altre finalità possano avere le disposizioni normative richiamate. Il modello RW consiste, dunque, in un mero strumento di comunicazione e conoscenza per la determinazione del reddito ed il conseguente calcolo dell’imposta relativamente agli investimenti detenuti all’estero o le attività estere di natura finanziaria e la evasione contestata al ricorrente non deriva, ovviamente, dalla mancata compilazione di detto modello ma dell’inadempimento degli obblighi fiscali sanzionati dagli artt. 4 e 5 DLgs. 74/2000 ”. Ruolo sufficiente per l’ammissione al passivo Cassazione n. 8223 del 24 maggio 2012 Riprendendo quanto già stabilito in recenti sentenze, la Cassazione ha così stabilito che ai fini della presentazione della istanza di ammissione al passivo è sufficiente l’esistenza del ruolo, che costituisce titolo attestante il credito, senza dovere attendere la formazione e la notifica della cartella esattoriale l’Amministrazione finanziaria può presentare istanza di ammissione al passivo sia pure con documentazione incompleta, con conseguente ammissione del credito ai sensi dell’art. 96 L.F., con riserva di produzione dei documenti. Nella specie il ruolo è stato consegnato il 25 settembre 2008 e cioè entro l’anno per la tempestiva presentazione della domanda di ammissione al passivo ”. Non sfugge ai dazi il bene in transito Cassazione n. 19409 del 22 maggio 2012 Non è sufficiente il giro di mezza Europa per sfuggire ai dazi italiani. La Cassazione riconosce così le ragioni del fisco e condanna il contribuente che aveva provato ad introdurre merce non CEE nello spazio comunitario transitando anche dalla Croazia. Questa quadrangolazione”, spiegano i giudici, rende inapplicabile il disposto dell’art. 215, comma 4, del Reg. Ce 2913/92 del Consiglio, istitutivo del Codice doganale comunitario in quanto la seconda reintroduzione del bene in ambito comunitario fa sorgere l’obbligazione doganale nel luogo della nuova introduzione. In particolare, Le merci non comunitarie, infatti, allorché vengono riesportate fuori dello spazio doganale comunitario, ai sensi dell’art. 182 del Codice, si sottraggono alla vigilanza doganale prevista dall’art. 37, sicché la loro reintroduzione nello spazio doganale comunitario determina nuovamente la sottoposizione delle stesse merci a detta vigilanza ed il sorgere dell’obbligazione doganale. Anche ai sensi dell’art. 202, comma 1 lett. b , del Codice, inoltre, le merci non comunitarie, per le quali non siano stati corrisposti i diritti di confine, allorché vengano irregolarmente introdotte in altra parte del territorio doganale comunitario, fanno ivi sorgere l’obbligazione doganale all’importazione. Ulteriore riscontro alla interpretazione della norma nei sensi precisati è contenuto nella regolamentazione della reintroduzione di merci nello spazio doganale comunitario prevista dall’art. 185 del Codice, le cui disposizioni sottraggono ai dazi all’importazione solo le merci comunitarie, allorché ricorrano le ulteriori condizioni previste dal comma 1 dell’articolo citato. Orbene, nel caso in esame, è stato accertato dai giudici di merito, e la circostanza non ha neppure formato oggetto di contestazione, che l’imbarcazione del , seppure fosse stata introdotta per la prima volta nello spazio doganale comunitario a Tolone, in Francia, certamente in seguito è uscita dallo spazio doganale comunitario, in quanto è entrata in Italia provenendo da Sebenico in Croazia. Tale circostanza ha fatto sorgere l’obbligazione doganale nel luogo in cui è avvenuta tale introduzione irregolare della merce extracomunitaria nello spazio doganale comunitario con la conseguente giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana per il corrispondente reato doganale ”. Società collegate condanne raddoppiate Cassazione n. 19247 del 21 maggio 2012 Diventa un’aggravante la frode fiscale operata tra imprese collegate per l’emissione e l’utilizzo di false fatture. Per la Cassazione, in particolare, deve ritenersi infondata l’interpretazione che esamina la fattispecie ex artt. 2 e 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 avendo riguardo al profilo meramente soggettivo rappresentato dalla identità delle persone chiamate a rispondere dei due reati. Ciò che l’art. 9, citato, intende evitare non è, in sé, la doppia” punibilità della medesima persona fisica per la gestione delle medesime fatture, ma la punibilità della medesima persona una volta a titolo diretto per la propria condotta di utilizzazione delle f.o.i. e una seconda volta per concorso morale nella diversa e autonoma condotta posta in essere dall’emittente con cui ha preso accordi. Deve, dunque, affermarsi il principio che la disposizione prevista dall’art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contenente una deroga alla regola generale fissata dall’art. 110 c.p. in tema di concorso di persone nel reato, esclude la rilevanza penale del concorso dell’utilizzatore nelle condotte del diverso soggetto emittente, ma non trova applicazione quando la medesima persona proceda in proprio sia all’emissione delle f.o.i. sia alla loro successiva utilizzazione ”. L’ipoteca esattoriale si blocca di fronte al fondo patrimoniale Cassazione n. 7880 del 18 maggio 2012 Nessun automatismo è consentito per i beni oggetto di ipoteca esattoriale ma facenti parte di un fondo patrimoniale. Respingendo il ricorso dell’Agenzia, infatti la Cassazione ha stabilito che Il giudice del rinvio procederà, in particolare, all’accertamento elettivamente rimesso al giudice del merito cfr. Cass. 15862/2009, Cass. 12730/2007, Cass. 11683/2001 relativo alla riconducibilità del debito oggetto dell’iscrizione ipotecaria dedotta in controversia alle esigenze della famiglia, tenendo conto della relazione esistente tra gli scopi per cui il debito è stato, in concreto, contratto ed i bisogni della famiglia v. Cass. 12998/2006 e considerando che nel novero di tali bisogni vanno ricomprese anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, al potenziamento della sua capacità lavorativa nonché a scongiurare pregiudizi a danno del nucleo familiare cfr. Cass. 15862/2009, Cass. 5684/2006 ”. Condono iva valido anche per le fatture false Cassazione n. 7675 del 16 maggio 2012 Unica limitazione imposta l’aver usufruito solo dell’indebita detrazione e non aver invece iscritto un credito nei confronti del Fisco. Accogliendo il ricorso del contribuente, la Cassazione ha così stabilito che in tema di condono fiscale, la definizione agevolata delle pendenze in materia di Iva prevista dall’art. 28 d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in l. 7 agosto 1982 n. 516, è ammissibile, in mancanza di limitazioni, anche in caso di fatturazione di operazioni inesistenti, non risultando dalla legge limitazioni al riguardo, ed essendo stata tale fattispecie compresa tra i reati di cui all’art. 50 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 abrogato dall’art. 13 della legge n. 516 cit. con decorrenza dal 1° gennaio 1983 , la cui inclusione nell’amnistia di cui al d.p.r. 9 agosto 1982 n. 525 era subordinata alla condizione che il contribuente avesse fatto ricorso al condono fiscale”. La definizione agevolata, cioè, non resta esclusa nel caso in cui le predette operazioni abbiano condotto all’esposizione di un minor debito d’imposta mentre non è consentita quando si configuri un credito in favore del contribuente, in quanto, come si evince dagli art. 26 e 28 del d.l. n. 423/82 ndr art. 26 e 28 del d.l. n. 429/82 cit., il condono presuppone pur sempre un debito d’imposta e un conseguente obbligo di versamento v. da ultimo Cass. n. 18801/2006 nonché conf. Cass. n. 14053/2006 n. .11560/1997 . La conclusione assunta dall’orientamento evocato che qui si conferma trova convincente spiegazione in ciò che il condono previsto, con riguardo all’Iva, dal citato d.l. n. 429/1982 è stato considerato alla stregua di condizione por fruire dell’amnistia di cui al d.p.r. 9 agosto .1982 n. 525 e a sua volta l’amnistia era stata concessa, appunto a condizione che si fosse fatto ricorso al condono fiscale, anche a coloro che avessero commesso il reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti punito, all’epoca, dall’art. 50 del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 ”. Comunicazione necessaria solo in caso di errore Cassazione n. 7329 dell’11 maggio 2012 Non sussiste alcun obbligo di comunicazione preventiva, da parte del Fisco al contribuente, all’emissione della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato salvo il caso in cui la verifica abbia riscontrato degli errori nella dichiarazione. In particolare, si legge testualmente nella sentenza della Cassazione, L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 54 bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 o dall’art. 36 bis. comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, in materia di tributi diretti , come risulta dal chiaro tenore letterale della norma, è subordinata alla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente nel solo caso in cui il controllo medesimo riveli l’esistenza di errori riscontrati nella dichiarazione. Fuori dal caso di risultato erroneo rivelato dal controllo automatico, nessun obbligo di comunicazione è previsto dalla legge per la liquidazione, eseguita con tale metodo, dell’imposta ciò per l’evidente ragione che i dati contabili risultanti dalla liquidazione automatica si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente” comma 4 , cosicché sarebbe perfettamente inutile comunicare al dichiarante i risultati del controllo automatico e interloquire con lui, se questi coincidono col dichiarato, ossia se non emerga alcun errore, in quanto l’adempimento in questione è una comunicazione d’irregolarità”, mentre nessuna norma impone di comunicare la regolarità” della dichiarazione in tali termini, che il Collegio pienamente condivide, Cass. n. 17396 del 2010 ”. SNC. Tutti i soci partecipano al ricorso Cassazione n. 6711 del 4 maggio 2012 Nullo il ricorso presentato dal socio di una snc senza la partecipazione degli altri soci. Per la Cassazione, si legge nelle motivazioni della sentenza, In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del DLgs. n. 546 del 1992, art. 14 salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29 ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio ”. Presunzione di distrazione se il bene manca Cassazione n. 14779 del 17 aprile 2012 Richiamando consolidata giurisprudenza, per cui In tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta, il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e di valori societari, a disposizione dell’amministratore, costituisce, qualora non sia da questi giustificato, valida presunzione della loro dolosa distrazione, probatoriamente rilevante al fine di affermare la responsabilità dell’imputato ”, la Cassazione ha respinto il ricorso del contribuente già imputato di bancarotta documentale e di plurimi episodi di bancarotta distruttiva. Da impugnare in commissione la cartella emessa per la riscossione del contributo unificato Cassazione n. 5994 del 17 aprile 2012 Le cartelle emesse per la riscossione del contributo unificato possono essere contestate esclusivamente di fronte al giudice tributario. Accogliendo il ricorso di Equitalia, la Cassazione ha così stabilito che l’opposizione ex art. 617 c.p.c., con la quale si fanno valere asseriti vizi della cartella di pagamento emessa in esito ad iscrizione a ruolo del contributo unificato previsto dall’art. 9 d.p.r. 115/2002, rientra nella competenza giurisdizionale del giudice tributario, atteso che il contributo unificato in oggetto ha natura di entrata tributaria cfr. Corte cost. 73/2005 e Cass., SS.UU., 3007/08 e 3008/08 e che il controllo della legittimità delle cartelle esattoriali, configurando queste atti di riscossione e non di esecuzione forzata, spetta, quando le cartelle riguardino tributi, al giudice tributario in base alla previsione degli artt. 2, comma 1, e 19 lett. a , d.lgs. 546/1992 cfr. Cass. SS.UU. 9840/11 ”. Non si dichiara il falso per partecipare ad un appalto Cassazione n. 14359 del 16 aprile 2012 Si applica la 231 all’impresa che ha fornito false dichiarazioni di regolarità contributiva e fiscale per poter partecipare ad un appalto pubblico. E rischia anche la condanna per falsità ideologica l’amministratore. La Cassazione ha infatti ritenuto che integra il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico la falsa attestazione del legale rappresentante di una società circa il possesso, da parte di quest’ultima, di un requisito indispensabile per la partecipazione alla gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico Rv. 236866, ricomma Scelsi . Nel caso descritto analogo a quello in esame vale infatti l’ulteriore principio secondo cui, premesso che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è destinata, per espressa disposizione di legge, a provare la veridicità delle asseverazioni in essa contenute e considerato che essa deve essere poi trasfusa in un atto pubblico Rv. 234879 , consistente, nel caso di specie, nell’atto di aggiudicazione dell’appalto, il falso ideologico del privato si configura dal momento che esso può investire le attestazioni, anche implicite, contenute nell’atto pubblico conclusivo della procedura e i presupposti di fatto giuridicamente rilevanti ai fini della parte dispositiva dell’atto medesimo, che concernono fatti compiuti o conosciuti direttamente dal pubblico ufficiale, ovvero altri fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità Rv. 236867 ”. Ok alla sentenza notificata a mezzo posta Cassazione n. 5871 del 13 aprile 2012 Ok alla notifica della sentenza di appello, strumentale per il decorso del termine breve” per il successivo ricorso in Cassazione, a mezzo posta. Lo stabilisce la Cassazione richiamando le novità introdotte dall’art. 3 co. 1 lett. a del DL 40/2010. In particolare, si legge nelle motivazioni della sentenza, a partire dell’entrata in vigore della disposizione novellatrice 26.3.2010 , sono idonee a far decorrere il termine breve di cui all’art. 51 procomma trib. anche la consegna della sentenza direttamente all’ufficio finanziario o all’ente locale, ovvero la spedizione di essa, a cura delle parte o del suo procuratore, effettuata mediante il servizio postale, nei luoghi di cui all’art. 17 procomma trib. e in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento. Si tratta, evidentemente, di una norma di semplificazione che, com’è nello spirito del processo tributario, mira ad agevolare l’agire giuridico del Fisco e del contribuente, analogamente a quanto avviene per il ricorso introduttivo. Non v’è alcun motivo perché tale ratio” semplificativa non possa trovare applicazione anche alla notifica in questione, atteso che si tratta pur sempre di produrre l’effetto di abbreviare la formazione del giudicato formale sulla sentenza ”. Niente detrazione Iva se manca la DIA Cassazione n. 5870 del 13 aprile 2012 La mancanza della DIA e delle necessarie concessioni edilizie, oltre alla non idonea struttura dell’appaltatore, rendono indetraibile l’IVA versata dal contribuente per i lavori di ristrutturazione. Per la Cassazione, tali operazioni nascondono una falsità soggettiva delle fatture emesse e nella giurisprudenza comunitaria è condiviso l’orientamento che subordina il diritto alla detrazione IVA all’assoluta inconsapevolezza del cessionario di partecipare a un acquisto costituente ipotesi di frode fiscale cfr. sentenze in cause C-439/04 e C-354/03 , e alla circostanza che, anche usando l’ordinaria diligenza, non avrebbe mai potuto comprendere che l’effettivo cedente non era colui che risultava nella fattura sentenze in cause C 439/04 e C-271/06 ”. Diniego non impugnabile se motivato dall’improcedibilità della richiesta Cassazione n. 5843 del 13 aprile 2012 Se con la sentenza n. 8663/11 la Cassazione aveva confermato l’impugnabilità del diniego opposto dal direttore regionale delle Entrate all’istanza di disapplicazione di norma antielusiva, con questa nuova sentenza la Suprema Corte ha precisato che deve, non di meno, rilevarsi la non impugnabilità del provvedimento oggetto del presente giudizio, con il quale il direttore generale delle Entrate, rilevata l’assenza del minimo di elementi conoscitivi indispensabili all’Istruttoria della richiesta avanzata, ha così testualmente disposto dichiara l’istanza improcedibile, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del d.m. 259/1998, in quanto inidonea ad ottenere una determinazione in ordine all’eventuale disapplicazione delle disposizioni contenute nell’art. 30 della legge del 23.12.1994 n. 724. La predetta istanza di disapplicazione va considerata come non presentata ”. Alla stregua delle considerazioni che precedono ed atteso che la regola è quella dell’impugnabilità dei soli atti amministrativi definitivi con rilevanza esterna e che, per le sopra descritte caratteristiche, il provvedimento in rassegna non è assimilabile ad alcuno di quelli indicati dall’art. 19 d.lgs. 546/1992 s’impone l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia ”. Occultamento dei documenti contabili. decorrenza della prescrizione solo dal momento della cessazione del reato Cassazione n. 13938 del 12 aprile 2012 Il carattere permanente del reato di occultamento di documenti contabili fa decorrere il termine di prescrizione solo dal momento della cessazione della permanenza. Interruzione che si verifica solo in modo spontaneo” o per sopraggiunta impossibilità a reiterare il reato stesso. A stabilirlo la Cassazione nella sentenza n. 13938/12 che respinge il ricorso del contribuente. In particolare, si legge nelle motivazioni, Il reato non era prescritto ai momento della pronuncia della sentenza impugnata. Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte vedi Cass. 19.4.2006, n. 13716 8.2.2006, n. 4871 , condivisa dal Collegio, il delitto di occultamento dei documenti contabili ha carattere permanente e la cessazione della permanenza si verifica per effetto della spontanea interruzione dell’azione criminosa da parte del reo attraverso, ad esempio, l’esibizione ai verificatori oppure della sopravvenuta impossibilità di portare a compimento l’azione per esempio, a seguito di contestazione dell’illecito . Nella specie l’accertamento risale al 16.12.2002 e la scadenza del termine ultimo di prescrizione coincide pertanto con il 16.6.2010 ”. Non c’è evasione in caso di mancata registrazione delle fatture non pagate Cassazione n. 13926 del 12 aprile 2012 Non si configura il reato di evasione, bensì quello di dichiarazione infedele, per il professionista che non riporta nella propria contabilità le fatture emesse ma non ancora saldate. Per la Cassazione, si legge nelle motivazioni della sentenza, è ben vero che la normativa tributaria art. 6, D.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che le prestazioni di servizi sono soggette all’IVA, soltanto se rese verso corrispettivo, e si considerano effettuate all’atto del relativo pagamento, per cui prima di tale momento non sussiste alcun obbligo ma solo la facoltà di emettere fattura o di pagare l’imposta e quindi in assenza di fattura la pretesa fiscale relativa ad una prestazione di servizi non può prescindere dall’accertamento relativo al pagamento del corrispettivo cfr. Cass. Civ., Sez. 5, n. 13209 del 9/6/2009, Gamba contro Min. Economia Finanze, Rv. 608594 , ma se è stata emessa fattura, sorge l’obbligo della dichiarazione a fini IVA ”. Diverso è il caso per il reato di dichiarazione infedele che si realizza quando, al fine di evadere nel caso di specie l’IVA, in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte siano stati indicati elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, sempre che l’imposta evasa superi i limiti e la percentuale prevista nell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000. Infatti la giurisprudenza ha chiarito che per la configurazione del delitto è sufficiente che la dichiarazione presentata ai fini IVA contenga elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi”, e che ricorrano le altre condizioni previste in relazione all’ammontare dell’imposta evasa e degli elementi attivi sottratti alla imposizione, fatto che assicura che la condotta infedele accertata sia qualitativamente tale da arrecare all’amministrazione finanziaria un nocumento sostanziale e non solo formale, seppure non è richiesto necessariamente per il perfezionamento del reato l’evento di danno ”. La mancanza dei beni fa scattare la presunzione Cassazione n. 13858 del 12 aprile 2012 Presunzione di dolosa distrazione se al momento della dichiarazione di fallimento non si rinvengono quei beni di cui era invece stata accertata l’esistenza in precedenza. La Cassazione non accoglie il ricorso dell’imputato, già condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto In diritto si osserva come, in tema di bancarotta per distrazione, il mancato rinvenimento all’atto della dichiarazione di fallimento di beni o valori societari costituisca valida presunzione della loro dolosa distrazione, a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori dì qualsivoglia presunzione v. di recente Cass. Sez. V 17 giugno 2010 n. 35882 . Il che è quanto avvenuto nel caso di specie ove la responsabilità dell’imputato era stata affermata sulla base della relazione del Curatore fallimentare, dell’esame del bilancio, degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di finanza e delle deposizioni testimoniali ”. Intestazione fittizia anche con cessione parziale delle quote Cassazione n. 13421 dell’11 aprile 2011 La cessione parziale delle quote di una società non esclude l’imputazione del reato di intestazione fittizia con finalità di riciclaggio. Per la Cassazione, in particolare, è fondata la censura del PM ricorrente, laddove sostiene che la figura del prestanome non necessariamente deve essere quella canonica dell’impossidente che, proprio perché tale, è disposto a fungere da testa di legno” non solo non lo prescrive il dato normativo, ma la stessa realtà delle organizzazioni criminali dimostra che esse hanno tutto l’interesse a coinvolgere in operazioni interpositorie soggetti che abbiano una propria autonoma capacità imprenditoriale. Sotto il secondo profilo rispetto al quale non constano precedenti di questa S.C. , si osservi che nulla né il tenore letterale né la ratio legis autorizza a ritenere che sia penalmente illecita ai sensi dell’art. 15 quinquies cit. solo l’intestazione fittizia della totalità di uno o più beni. Invero, se il proprietario solo pro quota di un determinato bene ne cede fraudolentemente la titolarità a chi legittimamente ed effettivamente ne detiene un’altra, per la porzione di bene così trasferita l’altro quotista si pone, rispetto a detto trasferimento, come mero prestanome in tal caso, del reato p. e p. ex art. 12 quinquies non muta né l’elemento oggettivo, né quello soggettivo, né l’oggetto giuridico siffatta condotta è comunque lesiva dell’interesse a che non venga frustrata l’effettività delle norme in tema di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando e a che siano represse le attività di riciclaggio e reimpiego ”. Cartella ok anche senza comunicazione dell’esito della liquidazione Cassazione n. 5724 dell’11 aprile 2012 Per la Cassazione, si legge nella breve ordinanza, in tema di imposte sui redditi, è legittima la cartella di pagamento che non sia preceduta dalla comunicazione dell’esito della liquidazione, prevista dal comma 3 dell’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sia perché la norma non prevede alcuna sanzione, in termini di nullità, per il suo inadempimento, sia perché tale comunicazione, avendo la funzione di evitare al contribuente la reiterazione di errori e di consentirgli la regolarizzazione di aspetti formali, è un adempimento rivolto esclusivamente ad orientare il comportamento futuro dell’interessato ed esula, quindi, dall’ambito dell’esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio nei confronti dell’emittenda cartella di pagamento nonché Sez. 5. sentenza n. 17396 del 23/07/2010 secondo cui l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli artt. 36-bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di tributi diretti e 54-bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l’esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l’obbligo di comunicazione per la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi circostanza questa che non risulta dedotta dal ”. L’incertezza normativa non blocca la sanzione Cassazione n. 5324 del 3 aprile 2012 Una normale successione di leggi, non infrequente nella decretazione d’urgenza e nella legislazione fiscale ” non salva il contribuente dall’applicazione delle sanzioni amministrative poiché non vi è una reale incertezza normativa. Per la Cassazione è quindi da respingere il ricorso del contribuente in quanto l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria Statuto, art. 10, co. 3 D.Lgs. 546/1992, art. 8 , postula una condizione d’immutabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa Cass. 24670/2007 , e deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa della cui applicazione si tratta si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, gravando sul contribuente l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione Cass. 22890/2006 e 22252/2011 ”. Variazione di indirizzo e opposizione al fisco. attenzione alla data di trascrizione da parte dell’anagrafe Cassazione n. 5201 del 30 marzo 2012 Attenzione alla data di trascrizione della variazione da parte dell’anagrafe comunale. È questo infatti il termine da cui far decorrere i 30 giorni validi per l’opposizione al Fisco. Rigettando il ricorso del contribuente, la Cassazione ha infatti precisato che Il punto focale della questione non è infatti la individuazione del dies a quo presentazione della dichiarazione di variazione di indirizzo effettiva iscrizione della variazione nei registri anagrafici dal quale decorre il termine dilatorio di efficacia del mutamento di residenza anagrafica per l’Amministrazione finanziaria D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 3 , ma la prevalenza della residenza effettiva del destinatario della notifica su quella risultante dalle certificazioni anagrafiche avente valore meramente presuntivo , con la conseguenza che a fronte della ritenuta corrispondenza della residenza anagrafica risultante dal sistema informatico anagrafico alla data del 14.12.2006 con quella reale del destinatario, convincimento al quale la CTR laziale è pervenuta alla stregua di plurimi elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” presenza del coniuge nella abitazione ricezione delle raccomma AR relative all’avviso di deposito dell’atto ai sensi dell’art. 140 c.p.comma assenza di indicazioni nella relata di notifica tali da ritenere la insussistenza di un collegamento tra il destinatario ed il luogo di esecuzione della notifica che rendono irrilevante l’accertamento della data in cui è stata presentata la variazione di indirizzo ovvero tale variazione è stata effettivamente iscritta nei registri anagrafici, atteso che alla prova logica della residenza effettiva argomentata dalla CTR, il contribuente avrebbe dovuto opporre non la mera prova documentale di aver presentato richiesta di modifica della residenza anagrafica, ma la prova che a tale richiesta era seguito anteriormente alla data 22.12.2006 di notifica dell’atto l’effettivo trasferimento al nuovo indirizzo e la conseguente cessazione di ogni collegamento con il precedente domicilio fiscale ”. Tempi supplementari per la rettifica inviata per posta Cassazione n. 4883 del 26 marzo 2012 Comunque tempestivo l’invio della rettifica al contribuente anche se giunge oltre i termini previsti dalla legge. Ciò che rileva, si legge nelle motivazioni, è il principio enunciato da Corte Cost. 477/02 e Corte Cost. 28/04 secondo cui gli effetti della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale si producono per il notificante al momento della consegna del piego all’ufficiale giudiziario ovvero al personale del servizio postale e per il destinatario al momento della ricezione, ha carattere generale e trova applicazione non solo con riferimento agli atti processuali, ma anche con riferimento agli atti d’imposizione tributaria. Ne discende che è tempestiva la spedizione dell’avviso di rettifica effettuata come nel caso di specie prima dello spirare del termine di decadenza gravante sull’ufficio, a nulla rilevando che la consegna al destinatario sia avvenuta successivamente a tale scadenza cfr. Cass. 15298/08, 1647/04 ”. Valide le certificazioni rilasciate dalle autorità fiscali straniere CTR Milano n. 16/29/12 del 24 febbraio 2012 Respingendo il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, che aveva emesso una cartella di pagamento per maggior IRPEF accertata nei confronti del contribuente, i giudici lombardi hanno confermato la piena validità, almeno sino a querela di falso, delle certificazioni rilasciate da autorità fiscali estere. Per la CTR, si legge nella sentenza, la gravata pronuncia ha puntualmente registrato le ragioni per cui il ricorso del contribuente andava integralmente accolto, riscontrate nella ricca ed esaustiva documentazione prodotta che di nuovo qui richiamiamo, contrastata dall’Ufficio con poca convinzione ed estrema genericità. Tale atteggiamento mal si concilia con il fatto che i documenti prodotti si qualifichino come certificazioni rilasciate, a prova della fondatezza dell’assunto di parte appellata, da Autorità Fiscali del che soltanto una querela di falso avrebbe potuto invalidare. Orbene, dalle riferite attestazioni di facile comprensione sebbene ovviamente, vergate in lingua inglese risulta senza ombra di dubbio, che il ricorrente ha percepito per l’annualità che qui interessa, un reddito da lavoro dipendente svolto alle dipendenza di una società nel conservando la residenza in Italia di qui, in forza del combinato disposto degli artt. 23, 51 comma 8° bis e 165 del DPR n. 917/1986 sotto l’egida peraltro della Convenzione tra Stato Italiano e l’acclarato diritto del contribuente allo scomputo delle ritenute subite all’estero attesa anche l’intervenuta loro definitività ”. Valida la notifica eseguita sia presso la sede legale che presso il domicilio del legale rappresentante. ma attenzione alla data di decorrenza dei termini CTR Firenze n. 2/1/12 del 17 gennaio 2012 Infatti, stabiliscono i giudici fiorentini, Questo fatto tuttavia non legittima l’Agenzia a considerare come data di notificazione quella più sfavorevole al contribuente, al fine di far dichiarare l’inammissibilità del ricorso. La Società Srl è dotata di personalità giuridica e l’art. 145 c.p.comma 1° comma stabilisce che la notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede. È ben vero che lo stesso articolo stabilisce che la notificazione può anche essere eseguita a norma degli artt. 138, 139 e 141, alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificata residenza, domicilio e dimora abituale, ma tutto ciò non legittima l’Agenzia a servirsi di un termine o di un altro, in particolare del termine più sfavorevole al contribuente per dichiarare l’inammissibilità del ricorso. Questo Collegio ritiene che il dies a quo” per impugnare sia quello della notificazione nella sede della società perché è la normale notificazione che il legislatore prevede per la notifica alle persone giuridiche la notificazione si esegue nella loro sede . Infatti non a caso l’art. 145 1° comma c.p.c., solo successivamente dispone che la notificazione può essere eseguita” sottendendo e dando per pacifico che il modo normale di notificare un avviso di accertamento ad una società dotata di personalità giuridica è di eseguirlo nella sede della stessa. D’altra parte nella fattispecie accettare una data o un’altra per l’Amministrazione non comportava il maturarsi a suo svantaggio né di prescrizioni né decadenze, per cui appare ingiusto ed irragionevole comprimere in modo così irreversibile il diritto di difesa, costituzionalmente garantito ”. Il mutuo non aiuta il fisco nella determinazione del valore dell’immobile CTR Lombardia n. 3/18/12 del 16 gennaio 2012 Mutui erogati e valori OMI non bastano al fisco per accertare un maggior valore dell’immobile oggetto di compravendita. Per i giudici milanesi, si legge nella sentenza, il solo scostamento del prezzo dichiarato dal valore normale, non basta in quanto tale a legittimare l’accertamento analitico-induttivo, ma sono necessari altri elementi per integrare complessivamente presunzioni gravi, precise e concordanti di un maggior imponibile non dichiarato Non può sottacersi che le quotazioni OMI sono soltanto approssimative e pertanto, nel loro insieme, non possono essere sostitutive del sistema di valutazione” in generale, ma soltanto di ausilio dello stesso. Per quanto riguarda i mutui bancari contratti dagli acquirenti terzi , non può escludersi che ragioni di vario tipo finanziamento di spese notarili, di arredo o di ristrutturazione abbiano indotto, se del caso mediante idonee garanzie, alla stipula di mutui eccedenti l’importo della compravendita ”. Ravvedimento ok anche se il versamento è inferiore al dovuto CTR Lombardia n. 8/1/12 L’errore del contribuente, che versa un importo inferiore al dovuto, non compromette il perfezionamento del ravvedimento operoso. Nella fattispecie si tratta di un errore di calcolo degli interessi dovuti ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 472/97. Ma per i giudici lombardi è un errore trascurabile che non può essere sanzionato, come invece pretendeva di fare l’agenzia, disconoscendo l’intero ravvedimento ed applicando la sanzione ordinaria, pari al 30% del tributo evaso, prevista dall’art. 13 del D.lgs. n. 471/1997. È quindi prevalsa la linea difensiva del contribuente, già vincente in primo grado, che sosteneva la propria buona fede e che si appellava al comportamento tenuto quale dimostrazione del proprio intento di regolarizzare le violazioni commesse. A cura di d.t.