RASSEGNA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SEZ. I MRAOVIC comma CROAZIA 14 MAGGIO 2020, RICcomma 30373/13. TUTELA DELL’IMMAGINE, DELLA REPUTAZIONE E DELLA PRIVACY – VITTIMA DI STUPRO EQUO PROCESSO. Vietato divulgare particolari della vita intima delle persone le vittime vanno sempre tutelate. Il ricorrente fu accusato di stupro da una giocatrice della squadra locale di basket. I processi si sono tenuti a porte chiuse per tutelare la vittima, malgrado le richieste del ricorrente che si sentiva stigmatizzato dalle interviste rilasciate dalla giovane. La CEDU ha escluso una violazione dell’articolo 6 Cedu vista la delicatezza della situazione stupro e, quindi, del processo la donna correva un rischio di vittimizzazione secondario evitabile con un processo a porte chiuse. Infatti durante lo stesso doveva rivelare aspetti intimi della sua vita ed era possibile che tali informazioni sensibili potessero essere rilevate ai media in qualsiasi fase del processo se pubblico o parzialmente a porte chiuse, sì che la donna avrebbe potuto essere stigmatizzata. Sul tema Chaushev e a. c. Russia del 25/10/16 e si segnala la ricca sezione sulle norme internazionali a tutela delle vittime di reati. È analoga ai casi Rodina c. Lettonia, in cui si è ravvisata una deroga all’articolo 8 Cedu nel mettere in cattiva luce la ricorrente in reportages della televisione e di un settimanale su una faida familiare e Papadopoulos c. Grecia in cui parimenti sono state escluse deroghe all’equo processo per non avere registrato la testimonianza di un minore, avvenuta senza la presenza di uno specialista, che aveva accusato il padre di abusi sessuali. Si evidenzino anche le Conclusioni dell’AG EU C 2020 375, C-129/19 della CGUE del 14/5/20 sul mancato indennizzo della vittima di stupro perché i rei erano latitanti le vittime di reato intenzionale violento, ai sensi della direttiva 2004/80/CE, devono essere sempre indennizzate dallo Stato risarcimento simbolico o forfettario indipendentemente dalla loro residenza, id est sia se si tratti di c.d. vittime itineranti il reato è stato commesso in uno Stato diverso da quello di residenza o di c.d. rei itineranti residenti altrove o resisi irreperibili . SEZ. III KOROSTELEV comma RUSSIA 12 MAGGIO 2020, RIcomma 29290/10 TUTELA DELLA RELIGIONE E DIRITTI DEI CARCERATI PREGHIERA DEI MUSULMANI DI NOTTE LIMITI LICEITÀ. Il detenuto musulmano è libero di pregare all’alba il riposo è un diritto non un dovere. Il ricorrente è un detenuto musulmano osservante che si lamenta dei vani ricorsi contro le sanzioni disciplinari avvertimenti per avere pregato durante l’orario di riposo obbligatorio notturno tra le 21 e le 6 del mattino . La sua religione, infatti, prevede 5 preghiere al giorno. Violata la libertà religiosa del ricorrente articolo 9 Cedu non si può imporre una restrizione alla libertà di culto salvo che comporti rischi per la sicurezza pubblica, la salute, la morale o i diritti di altri prigionieri , abbia causato inconvenienti agli altri detenuti ed imposto oneri alle autorità. In una società pluralista la libertà di religione ivi compresa quella di non professarne alcuna assurge ad un ruolo fondamentale la manifestazione del credo religioso può assumere la forma dell’adorazione, dell’insegnamento, della pratica e del rispetto dei precetti. Testimoniare parole e opere è legato all'esistenza di convinzioni religiose , purchè avvenga nel rispetto degli altri credi, convinzioni etc. Nella fattispecie la religione musulmana impone 5 preghiere al giorno, specie nel periodo del Ramadam ergo rientrano nelle pratiche religiose poste a fondamento di detta libertà. Ciò non creava disagi od oneri aggiuntivi per le autorità e gli altri detenuti, tanto più che il riposo è un diritto e non un dovere, sì che ognuno durante il suddetto periodo 21-6 con obbligo di sonno ininterrotto dalle 22 alle 6 può fare ciò che vuole senza disturbare gli altri detenuti era prevista una sorveglianza obbligatoria da parte dei secondini e la preghiera non deteriorava le condizioni degli altri carcerati. Non vi è stato perciò un equo bilanciamento tra i contrapposti diritti, anzi le autorità hanno peccato di eccessivo formalismo, sì da imporre misure non necessarie in una società democratica ed incompatibili con l’articolo 9 Cedu. Sul tema Aliyev v Azerbaigian nella rassegna del 21/9/18, Jakóbski c. Polonia del 7/12/10 e Leyla Şahin c. Turchia [GC] del 2005 Raccomandazione del Comitato dei Ministri del COE numero 2006/2 sulle regole penitenziare europee in cui si affronta anche il problema dell’esercizio della libertà di culto durante la detenzione.