RASSEGNA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SEZ. II UZAN ED ALTRI C. TURCHIA 5 MARZO 2019, RIC.19620/05 + 3 CONFISCA DEI BENI – FRODE LAVORATORI PUNITI PER REATI COMMESSI DAL SUPERIORE GERACHICO E DA FAMILIARI. Far ricadere le colpe dei padri e datori sui figli e dipendenti viola la Cedu. I ricorrenti sono i figli del proprietario di un omonimo gruppo bancario Uzan , cui era stata ritirata la licenza bancaria, del direttore esecutivo e dipendenti con posti apicali nella gestione di una controllata implicata in un processo penale per storno di fondi pubblici. Il giudizio, però, ha riguardato i superiori gerarchici e familiari dei ricorrenti che si sono visti sequestrare i loro beni anche se estranei allo stesso. Violato l’articolo 1 protocollo 1 Cedu le autorità turche non sono state in grado di bilanciare equamente gli imperativi dell’interesse generale con la tutela dei diritti dei ricorrenti al rispetto dei loro beni dato che le suddette misure restrittive, adottate in modo automatico, generalizzato ed inflessibile, sono durate dai 10 ai 15 anni. Alcuni ricorrenti, al momento del sequestro dei beni, erano minorenni e sono stati privati della possibilità di acquistare ogni sorta di bene, mentre i dipendenti erano stati privati del salario e di disporre della loro auto. Si ricordi che non erano parti del processo penale de qua e non c’erano prove che fossero implicati in dette frodi, sì che, alla luce di tutto ciò, queste misure risultano arbitrarie e sproporzionate anche perché prese in deroga ai principi del diritto al contraddittorio ed all’uguaglianza delle armi, visto che i ricorrenti non hanno potuto usufruire delle garanzie processuali ex articolo 6 Cedu. Sul tema G.I.E.M. S.R.L. ed altri c. Italia [GC] nella rassegna del 29/6/18, Radomilja ed altri c. Croazia [GC] del 20/3/18, Parrillo c. Italia [GC] nel quotidiano del 27/8/15. SEZ.II YAVAS ED ALTRI C. TURCHIA 5 MARZO 2019, RIC.36366/06 TUTELA DEL LAVORO CASSE PREVIDENZIALI DI PROFESSIONISTI DUPLICAZIONE DEI CONTRIBUTI DECURTAZIONE DELLA PENSIONE CRISI ECONOMICA. La crisi economica ed i conti in rosso delle casse previdenziali non legittimano i tagli alla pensione. Sono dipendenti in pensione di una nota società assicurativa versarono alla Cassa previdenziale della loro categoria professionale contributi doppi rispetto a quelli previsti dalla legge interna, acquisendo il diritto ad una pensione complementare. Nel 2002 il Consiglio dei Ministri trasferì la Cassa ad un altro Ente previdenziale che dimezzò l’importo delle pensioni per far fronte alla crisi ed al deficit di bilancio della Cassa. Violato l’articolo 1 protocollo 1 il peso imposto ai ricorrenti è eccessivo e la decurtazione della pensione è stata arbitraria. È irrilevante che la Cassa previdenziale, cui avevano versato i contributi ante riforma, fosse privata perché svolgeva le stesse funzioni ed era assimilabile in tutto ad altri analoghi organismi pubblici, tra cui l’Ente cui era stata trasferita. I ricorrenti avevano goduto di un vantaggio dato che la pensione elargita dalla Cassa era complementare a quella sociale e la riforma aveva deciso di liquidarle in base alla durata della contribuzione secondo il regime delle pensioni sociali, sì che la decurtazione dei loro importi era giustificata dalla necessità di procedere a questo adattamento. I ricorrenti non avevano subito alcuna applicazione retroattiva della legge né la perdita totale della pensione, ma solo di una sua parte. Se da un lato ciò annullava le discriminazioni e gli svantaggi di chi aveva percepito la pensione sociale, inferiore a quella percepita da chi aveva aderito a questa Cassa, dall’altro l’ampio margine di cui gode lo Stato nel regolare la previdenza ed il sociale non sempre trova giustificazione nel perseguire interessi legittimi della collettività quali esigenze di budget dello Stato, dettate dalla crisi economica e la necessità di risanare i conti in profondo rosso della Cassa. Questa misura infatti ha imposto un carico eccessivo ai ricorrenti. Sul tema Béláné Nagy c. Ungheria del 13/12/16, Varesi ed altri c. Italia del 12/3/13 e Kjartan Ásmundsson c. Islanda del 2004.