RASSEGNA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO.

SEZ.II CASO YASEMIN DOGAN comma TURCHIA 6 SETTEMBRE 2016, RIC.40860/04 MOBBING ISTIGAZIONE AL SUICIDIO DELLA VITTIMA. Lo Stato deve indagare sul mobbing e sulle cause che hanno spinto un dipendente al suicidio, ma non ha l’obbligo di impedirlo. È la vedova di un sergente maggiore di stanza presso il Comando generale della polizia che, nel 2003, si suicidò per il mobbing e per le conseguenze delle azioni del suo superiore gerarchico il suicidio era dovuto alle accuse di questo ultimo relative a fatti, in realtà, da lui commessi, tanto che era sotto indagine per la concessione di permessi in cambio < < di certi vantaggi> > . Le inchieste del Tribunale militare non permisero di riconoscere il mobbing operato dal superiore e non furono mai trovati i fogli che avrebbero dovuto fare chiarezza sulle responsabilità del comandante spedite dalla vittima, prima del suicidio, ad un soldato semplice vani i ricorsi della vedova. Nel frattempo l’inchiesta amministrativa evidenziò che il capo aveva diffamato, umiliato ed offeso davanti a tutti la vittima, grazie a testimonianze di colleghi la vedova visto che era stato dimostrato il nesso di causalità tra il suicidio del marito e la condotta del capo chiese un indennizzo e gli interessi di legge, ma anche stavolta invano. Infine due inchieste penali dimostrarono che il superiore aveva spinto il defunto a fare per lui dei < < lavori in privato> > , che aveva abusato del suo potere e del suo grado nei suoi confronti fu condannato, ma beneficiò della libertà condizionale, sì che anche stavolta i ricorsi per ottenere giustizia ed un indennizzo furono vani. La vedova ricorse alla CEDU lamentando il mobbing, l’istigazione al suicidio subiti dal marito e l’assenza di un’inchiesta penale effettiva su questi trattamenti degradanti subiti dall’uomo e sulla sua morte. Violato l’art. 2 Cedu sotto il solo profilo procedurale, ma non sotto quello sostanziale. Da questa norma discendono oneri di tutela contro le < < azioni criminali> > altrui e nel caso in cui, come nella carriera militare, ci sia un vincolo di subordinazione impone di proteggere il dipendente dalle azioni del superiore gerarchico. Più precisamente la responsabilità dei comandanti militari va < < ben oltre il semplice errore di giudizio o l’imprudenza> > , ma per ravvisarla si dovrà tenere conto anche dell’imprevedibilità del comportamento umano l’esegesi dell’onere positivo che grava sullo Stato deve essere tale da non imporgli pesi eccessivi od insopportabili. Il nostro caso rientra in questa ultima ipotesi pochi giorni prima del suicidio la vittima fu ricoverato prima nell’infermeria del battaglione e poi nel reparto psichiatrico dell’ospedale, ove gli fu diagnosticata una depressione reattiva far dipendere una possibile previsione di suicidio da questa diagnosi e dagli elementi contenuti nella sua cartella, significa imporre allo Stato un eccessivo obbligo positivo di tutela. Lo Stato però non ha condotto accurate ed approfondite indagini sulle circostanze che lo hanno portato al suicidio, negando il risarcimento alla ricorrente, malgrado testimonianze sulle condotte del capo, sulle presunte umiliazioni e ferite Mustafa e Fecire Tunc c. Turchia [GC] ed Armani da Silva c. Regno Unito [GC] nelle rassegne del 17/4/15 e 1/4/16 .Esclusa, perché manifestamente infondata, la deroga all’art. 3 Cedu. SEZ.IV CASO KURSKI comma POLONIA 5 LUGLIO 2016, RIcomma 26115/10 CRITICHE ALLA STAMPA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E DIRITTO DI CRITICA DI UN POLITICO. Imporre pubbliche scuse ed un’onerosa multa ad un politico che difendeva il suo partito sono sanzioni eccessive che violano l’art. 10 Cedu. Con fare sensazionalistico, durante un dibattito in TV, mostrò alcuni articoli di un noto giornale locale in cui, a suo dire, era attaccato il suo partito, asserendo una connivenza a tale fine tra l’editore e la società che gestiva la pubblicità nello stesso. Fu condannato a pubbliche scuse sui quotidiani ed a versare l’equivalente di 18 volte lo stipendio medio in base alle stime dell’epoca dei fatti . Vani tutti i ricorsi. Le Corti non hanno tenuto conto del contesto dibattito politico , della prova della veridicità delle affermazioni che gravava sul ricorrente, se si trattasse di valutazioni di fatto o di giudizi di valore. Inoltre è pacificamente concesso usare iperboli, esagerazioni, sensazionalismi, purchè non superino il limite generalmente accettato e non scadano in offese gratuite. In breve le Corti non hanno saputo bilanciare equamente i diritti della società e dell’editore, la libertà di stampa e le libertà di critica e di espressione del ricorrente, che erano volte a promuovere un dibattito pubblico su questioni d’interesse generali. Inoltre le pene inflitte erano eccessive tutto ciò ha costituito un’illecita ed arbitraria interferenza nella vita e nel diritto di critica del ricorrente. Violato l’art. 10 Cedu PerinÇ ek c Svizzera [GC] del 15/10/15, Couderc e Hachette Filipacchi Associés c. Francia [GC] e Cojacaru c. Romania nella rassegne del 13/11 e 12/2/15 .