RASSEGNA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SEZ. CASO ZAVODNIK C.SLOVENIA 21 MAGGIO 2015, RIC.53723/13 FALLIMENTO DEL DATORE PERDITA DEI CREDITI DA LAVORO PER ERRORI GIUDIZIARI. Gli errori giudiziari e la carenza di un equo indennizzo per l’eccessiva durata dei processi violano l’equo processo. Il ricorrente è un lavoratore, che era stato fittiziamente trasferito dal suo datore, già in difficoltà economiche e che non ricevette i dovuti arretrati e contributi previdenziali. Vinse la causa civile per ottenerli e procedette prima all’esecuzione forzata e poi a chiedere il fallimento del suo ex datore. Non gli fu, però, notificata la data dell’udienza per l’approvazione del piano di liquidazione, sì che nulla gli fu riconosciuto e, per i ritardi con cui apprese questa decisione, perse il diritto di impugnarla, essendo spirati i termini di legge tutti i ricorsi furono quindi respinti. Precisa che se l’articolo 6 non disciplina espressamente le ritardate notifiche come violazioni dell’equo processo, ciò si desume da alcune sue interpretazioni e dall’articolo 13. Infatti il processo dovrebbe essere rapido ed efficacie, senza che nulla limiti l’esercizio dei diritti di difesa ed al contradditorio, negati de facto nella fattispecie, in cui sono lesi anche i diritti economici già riconosciuti da una sentenza definitiva del giudice del lavoro. La procedura fallimentare, quindi, non è altro che la prosecuzione di quest’ultima, sì che la CEDU ha ravvisato un’eccesiva durata del giudizio contro cui i rimedi interni sono stati inefficaci. Lo Stato è dunque venuto meno ai suoi doveri, tanto più che avrebbe dovuto riconoscere questi crediti come prioritari un collega regolarmente avvisato è stato risarcito integralmente ed offrirgli i mezzi per ricorrere contro tale ripartizione, sì che anche ciò denota un’altra carenza di rimedi interni ed una limitazione all’accesso alla giustizia Di Pede c.Italia del 26/9/96, Cordova c. Italia del 2003 e Jama c.Slovenia del 19/7/12 . SEZ. III CASO FĂLIE C.ROMANIA 19 MAGGIO 2015, RIC.23257/04 AZIONE DI APPOSIZIONE DEI CONFINI OCCUPAZIONE ABUSIVA MEDIAZIONE CIVILE OBBLIGATORIA. Il G.O., rilevando la violazione reciproca dei diritti sottesi alla lite, non può negare un gravame nè obbligare le parti a mediare. Il ricorrente acquistò nel 1999 una casa con annesso terreno sulla quale era costruita confinante con altre proprietà acquistate da terzi nel 1948.Citò i vicini sostenendo che avevano occupato abusivamente una porzione del suo terreno risultando vincitore in primo grado. In appello, però, il G.I. rilevò che dai contratti tutte le parti possedevano meno mq di terreno di quelli indicati nei rispettivi contratti d’acquisto, annullò, quindi, la precedente sentenza e, negando, secondo il ricorrente, la possibilità di proporre un nuovo gravame invitò le parti a risolvere la lite con la mediazione od altro mezzo di ADR . Per il ricorrente questo rigetto contrastava con l’equo processo perché erano stati negati i suoi diritti civili senza esaminare il merito delle lite, ledendo così il suo diritto economico di proprietà . È palese la violazione dell’articolo 6 § .1 Cedu per i motivi sopra esplicati. Il ricorrente aveva diritto e doveva poter impugnare la mancata ripartizione, tanto più che precedenti pronunce e perizie comprovavano il credito e non aveva potuto impugnarla nei termini di legge per errori della cancelleria. Infine, stante la palese assenza di volontà di conciliare la lite, non si può imporre una mediazione in assenza di una legge interna in tal senso come il nostro Dlgs 28/10 e quindi il grado di accesso alla giustizia, offerto dalla normativa nazionale, non era sufficiente a garantire l’esercizio di questo diritto così come tutelato dalla Cedu Stanev c. Bulgaria [GC] del 2012 e Beneficio Cappella Paolini c. San marino del 2004 . SEZ.III CASO PARROCCHIA GRECO CATTOLICA DI LUPENI ED ALTRI comma ROMANIA 19 MAGGIO 2015, RIcomma 76943/11 CRITERI PER LA RISOLUZIONE DELLE LITI TRA DUE CULTI RELIGIOSI SUCCESSIONE DI LEGGI CONFLITTO TRA DIRITTO COMUNE E LEGGE SPECIALE. Il criterio della maggioranza della popolazione viola il diritto di proprietà dei ricorrenti, fondato sul diritto comune richiamato dalla legge speciale stessa? No. Si tratta di un conflitto tra la Chiesa unionita, ricorrente e la Chiesa ortodossa per la restituzione di beni confiscati durante il regime totalitario ed inglobati da quest’ultima. La L.129/90 stabiliva una mediazione con membri di entrambi i culti, la prevalenza degli interessi della maggioranza dei fedeli ortodossi ed un’eventuale azione civile in cui si applichi il diritto comune. Di tutte le censure la Cedu ha riconosciuto solo quella sull’eccesiva durata del processo 5 anni , perché contraria all’articolo 6 Cedu. In primis la legge è stata varata prima che la Romania ratificasse la Cedu, perciò aveva ampio margine di discrezionalità nel fissare i criteri per la restituzione di tali beni. Ciò e le pur divergenti tesi giurisprudenziali in materia non sono motivi sufficienti a rendere non effettivo i diritto dei richiedenti di accedere ai tribunali non si trattava di chiarire l’esegesi della norma, ma di decidere in via giurisprudenziale se applicare le norme del diritto comune o quelle della legge speciale e sul punto la legge era molto chiara. Giudica corretto, invero, il bilanciamento degli interessi ed analiticamente motivate le decisioni rese dalle corti interne. Lo Stato ha il dovere di essere un organizzatore neutro ed imparziale della pratiche religiose e la tutela della libertà religiosa deve essere rapportata al contesto storico, sotteso alla vertenza non c’è stata nessuna discriminazione basata sulla religione né è stato violato l’equo processo Magyar Keresztény Mennonita Egyház ed altri c. Ungheria del 2014 .