RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

11 MAGGIO 2021, N. 97 ORDINAMENTO PENITENZIARIO Condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste – ammissione alla liberazione condizionale in assenza della collaborazione con la giustizia – preclusione – rinvio all’udienza pubblica del 10 maggio 2022. La ben nota disciplina ostativa” contenuta nell’art. 4-bis, co. 1, ordin. penit., approvata all’indomani delle stragi di mafia dei primi anni Novanta del secolo scorso, mette in tensione i principi espressi dalla Corte Costituzionale e dalla Corte EDU in tema di liberazione condizionale. Infatti, anche per i condannati all’ergastolo a seguito di reati connessi alla criminalità organizzata, tale disciplina, da una parte eleva la utile collaborazione a presupposto indefettibile per l’accesso anche alla liberazione condizionale, dall’altra sancisce, a carico del detenuto non collaborante, una presunzione di perdurante pericolosità, dovuta, in tesi, alla mancata rescissione dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata. Una presunzione assoluta, perché non superabile da altro se non dalla collaborazione stessa, che lo esclude in radice dall’accesso ai benefici penitenziari e, appunto, fra questi, alla liberazione condizionale. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 306/1993 la collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento la condotta di collaborazione ben può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche in vista dei vantaggi che la legge vi connette, e non anche segno di effettiva risocializzazione, così come, di converso, la scelta di non collaborare può esser determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con associazioni criminali. 11 MAGGIO 2021, N. 96 PROCESSO PENALE Disposizioni di coordinamento e integrative riguardanti la disciplina sulla sospensione dei termini processuali di cui al decreto-legge n. 18 del 2020 – svolgimento delle udienze penali mediante collegamenti da remoto – esclusione dell’applicazione, salvo consenso delle parti, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti – inammissibilità. La previsione di cui all’art. 3, co. 1, lett. d , decreto-legge n. 28/2020 Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19 , poi convertito, con modificazioni, nella legge n. 70/2020 – che ha modificato l’art. 83, co. 12-bis, del decreto-legge n. 18/2020 Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 , convertito, con modificazioni, nella legge n. 27/2020 – non può che essere interpretata alla luce del contesto sistematico in cui essa è stata chiamata a operare. In tale contesto, assume rilievo decisivo la previsione, contenuta nello stesso comma, secondo cui, in un momento necessariamente antecedente all’udienza penale da svolgersi da remoto, al giudice incombeva l’onere di comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui era prevista la partecipazione all’udienza il giorno, l’ora e le modalità di collegamento. Tale previsione, se assolveva a una finalità essenzialmente informativa nel momento in cui si prevedeva che quella da remoto fosse l’unica modalità di trattazione delle udienze penali, ha assunto un rilievo ancora maggiore nel momento in cui, con la norma censurata, una volta ripristinata la regola generale delle udienze penali in presenza, si è introdotta la possibilità per le parti di esprimere il consenso all’udienza da remoto. Ragioni di ordine sistematico, infatti, ma anche legate a una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame, impongono di ritenere che tale manifestazione di consenso non potesse che avvenire prima dell’udienza, con la necessaria conseguenza che anche l’obbligo di interpello da parte del giudice procedente dovesse essere assolto in un momento antecedente all’udienza. La garanzia del diritto di difesa richiede che le parti, e in particolare l’imputato, debbano essere informate con ragionevole anticipo della data, dell’ora e delle modalità di svolgimento dell’udienza, così da esprimere il loro eventuale consenso alla partecipazione alla medesima udienza da remoto. Tuttavia, una volta che tale comunicazione sia mancata e, quindi, le parti si siano presentate fisicamente all’udienza tanto più, come nel caso di specie, per effetto di un precedente rinvio , non può in alcun modo ritenersi che esse potessero, in quella sede, essere interpellate in ordine alla loro volontà di acconsentire alla celebrazione della medesima udienza da remoto. Del resto, se la previsione della trattazione delle udienze penali da remoto era rivolta a ridurre la diffusione del contagio, sarebbe stato contraddittorio consentire alle parti di manifestare il loro consenso in favore di tale modalità di partecipazione all’udienza quando le stesse erano già fisicamente comparse davanti al giudice. Non si rinvengono precedenti 7 MAGGIO 2021, N. 93 LAVORO E OCCUPAZIONE Disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti – tutela per ipotesi specificate di vizi formali e procedurali del licenziamento – meccanismo di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore – manifesta inammissibilità. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015 Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge n. 183/2014 , sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, co. 1, e 35, co. 1, Cost., dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza del 3 gennaio 2020, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2020, è manifestamente inammissibile, atteso che, successivamente all’ordinanza di rimessione, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata in senso conforme al petitum dell’odierno rimettente. Sull’argomento, cfr. Corte Cost., n. 150/2020 l’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015 è costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”. 5 MAGGIO 2021, N. 89 PROCEDIMENTO CIVILE Impugnazioni – revocazione – revocazione per errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa – controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato – esclusione dell’appellabilità – non fondatezza nei sensi di cui in motivazione. La norma espressa dal combinato disposto degli artt. 395, n. 4 , cod. proc. civ. e 14 del d.lgs. n. 150/2011, nella parte in cui non consente di assoggettare al rimedio della revocazione l’ordinanza, emessa ai sensi dell’art. 14 d.lgs. n. 150/2011, viziata da errore di fatto consistito nel ritenere non prodotto in giudizio un documento decisivo, deve essere interpretata in modo costituzionalmente conforme, nel senso che la revocazione per errore di fatto può essere esperita contro ogni atto giurisdizionale riconducibile nel paradigma del provvedimento decisorio. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 558/1989 l’art. 395, n. 4 , cod. proc. civ. è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede la revocazione per errore di fatto avverso i provvedimenti di convalida di sfratto o licenza per finita locazione emessi in assenza o per mancata opposizione dell’intimato, sul presupposto che, attesa l’efficacia di cosa giudicata sostanziale di tali ordinanze, è irrazionale e lesivo dei diritti delle parti escludere la possibilità di emendarle dall’errore determinato dalla mancata o inesatta percezione dei documenti versati in causa.