RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA 9 DICEMBRE 2020, N. 267 SPESE PROCESSUALI. Rimborso delle spese di patrocinio legale – Rimborso delle spese legali sostenute da dipendenti pubblici per la difesa nei giudizi civili, penali o amministrativi, in relazione a fatti commessi nell’esercizio delle funzioni e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità – Mancata previsione del rimborso anche ai funzionari onorari chiamati a svolgere funzioni sostitutive o integrative o comunque equivalenti a quelle svolte da funzionari di ruolo dell’Amministrazione dello Stato o quantomeno ai magistrati onorari nominati ai sensi della legge n. 374 del 1991 – Illegittimità costituzionale parziale. L’art. 18, co. 1, del decreto-legge n. 67/1997 Disposizioni urgenti per favorire l’occupazione , convertito, con modificazioni, nella legge n. 135/1997, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 189/2020 la ratio dell’istituto del beneficio del rimborso delle spese di patrocinio risiede nel fine di evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l’accertamento di responsabilità. SENTENZA 4 DICEMBRE 2020, N. 262 IMPOSTE E TASSE. Indeducibilità dell’imposta municipale propria [IMU] dalle imposte erariali sui redditi e dall’imposta regionale sulle attività produttive – Illegittimità costituzionale parziale. In relazione agli oneri fiscali, l’art. 99, co. 1, del TUIR rubricato Oneri fiscali e contributivi” sancisce in via generale il principio della deducibilità delle imposte dal reddito, stabilendo che [l]e imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”. Tale disciplina prevede espressamente, dunque, solo due esclusioni dalla regola della deducibilità, del tutto ragionevoli e confermative del principio di tassazione al netto a una attiene alle imposte per le quali è prevista la rivalsa il cui peso non è sopportato dall’impresa, onde la logicità della mancata deduzione del relativo onere b l’altra riguarda le imposte sui redditi che, in quanto derivanti dal reddito, non possono logicamente rientrare tra gli antecedenti causali di questo . Quanto alle altre imposte”, il richiamato art. 99 TUIR ne stabilisce la deducibilità, affermando un criterio sì derogabile dal legislatore, ma non quando vengano in considerazione fattispecie relative a tributi non commisurati al reddito e né oggetto di rivalsa direttamente e pienamente inerenti alla produzione del reddito. Un tributo così caratterizzato costituisce, infatti, un costo fiscale inerente di cui non si può precludere, senza compromettere la coerenza del disegno impositivo, la deducibilità una volta che il legislatore abbia, nella propria discrezionalità, stabilito per il reddito d’impresa il criterio di tassazione al netto. In questa prospettiva, dunque, l’indeducibilità dell’IMU relativa ai beni strumentali – che rappresenta un onere certo e inerente, costituendo un costo necessitato che si atteggia alla stregua di un ordinario fattore della produzione, a cui l’imprenditore non può sottrarsi – contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo della coerenza e quindi della ragionevolezza. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 116/2013 il controllo in ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., si riconduce a un giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico. SENTENZA 3 DICEMBRE 2020, N. 261 IMPOSTE E TASSE. Collaborazione volontaria c.d. voluntary disclosure – Omesso rispetto dei termini di pagamento – Mancato perfezionamento della procedura con conseguente attività accertativa e sanzionatoria dell’amministrazione finanziaria – equiparazione del versamento tardivo al mancato versamento – Ritenuta natura sanzionatoria dell’inefficacia della procedura premiale, equiparabile, anche sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, a una sanzione sostanzialmente penale – Manifesta inammissibilità. La disciplina della c.d. voluntary disclosure è stata introdotta nell’ambito di una procedura eccezionale rivolta a consentire, per un circoscritto periodo di tempo, ai contribuenti di riparare alle infedeltà dichiarative, presentando un’autodenuncia completa delle violazioni tributarie commesse, con conseguente obbligo di versare, entro termini perentori, imposte e interessi in misura piena, ottenendo, al contempo, una considerevole riduzione delle sanzioni amministrative e la non punibilità penale di alcuni connessi reati fiscali. La previsione in base alla quale l’omesso pagamento nei termini delle somme dovute comporta l’applicazione delle sanzioni piene rispetto alle annualità in cui il contribuente si è autodenunciato non ha natura sanzionatoria, trattandosi, invece, di una mera decadenza, in realtà essenziale ai fini di una corretta applicazione dell’eccezionale procedura e di non pregiudicare oltremodo l’ordinaria applicazione delle norme sanzionatorie poste a presidio dell’inderogabilità del dovere tributario. Sull’argomento, cfr. Corte Cost., n. 288/2019 nella Costituzione il dovere tributario, inteso come concorso alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, è qualificabile come dovere inderogabile di solidarietà, non solo perché il prelievo fiscale è essenziale – come ritenevano risalenti concezioni che lo esaurivano nel paradigma dei doveri di soggezione – alla vita dello Stato, ma soprattutto in quanto esso è preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per divenire effettivi sia quelli sociali – come, ad esempio, la tutela della salute, che peraltro deve essere assicurata gratuitamente agli indigenti art. 32, primo comma, Cost. - sia gran parte di quelli civili si pensi alla spesa necessaria per l’amministrazione della giustizia, che è funzionale a garantire anche tali diritti . È infatti da tale legame, anche in forza della funzione redistributiva dell’imposizione fiscale e del nesso funzionale con l’art. 3, secondo comma, Cost., che discende la riconducibilità del dovere tributario al crisma dell’inderogabilità di cui all’art. 2 Cost., che rende, oltretutto, di immediata evidenza come il disattenderlo rechi pregiudizio non a risalenti paradigmi ma in particolare al suddetto sistema dei diritti. SENTENZA 3 DICEMBRE 2020, N. 260 PROCESSO PENALE. Giudizio abbreviato – Previsione che non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo – Non fondatezza. Le finalità perseguite dall’art. 438, co. 1-bis, c.p.p., come inserito dalla legge n. 33/2019 Inapplicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo , nell’escludere il rito abbreviato per gli imputati di reati punibili con l’ergastolo, possono essere o meno condivise ma né le finalità in sé né i mezzi individuati dal legislatore per raggiungerle appaiono connotabili in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. Sull’argomento, cfr. Corte Cost., n. 14/2020 l’accesso ai riti alternativi costituisce parte integrante del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. soltanto in quanto il legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni di talché esso deve essere garantito ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato per effetto di un errore del pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza nella medesima vicenda processuale, ovvero di una modifica dell’imputazione nel corso del processo.