RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

24 SETTEMBRE 2020, N. 204 TRASPORTO. Autotrasporto di merci su strada – azione diretta del vettore finale verso tutti coloro che hanno ordinato il trasporto – disposizione introdotta in sede di conversione di decreto-legge – denunciato difetto di omogeneità rispetto ai contenuti e alle finalità del medesimo decreto-legge – manifesta infondatezza. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, lett. e , del d.l. n. 103/2010 Disposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo ed il sostegno della produttività nel settore dei trasporti , convertito, con modificazioni, nella l. n. 127/2010, nella parte in cui inserisce l’art. 7- ter del d.lgs. n. 286/2005 Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore , sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Prato, con ordinanza del 21 ottobre 2019, iscritta al n. 247 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2020, è manifestamente inammissibile. Ed infatti, la questione, sollevata in forza di censure del tutto corrispondenti a quelle ora dedotte, è già stata dichiarata non fondata con la sentenza n. 226/2019 e manifestamente infondata con l’ordinanza n. 93 del 2020, entrambe successive all’ordinanza di rimessione. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 226/2019 la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, lett. e , del d.l. n. 103/2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 127/2010, sollevata in riferimento all’art. 77, comma 2, Cost., nella parte in cui inserisce l’art. 7-ter del d. lgs. n. 286/2005 – prevedendo nel settore del trasporto merci su strada per conto terzi l’azione diretta dei vettori finali per il pagamento del corrispettivo nei confronti di tutti coloro che hanno ordinato il trasporto – è infondata, poiché la norma introdotta in sede di conversione incide sulla medesima materia del trasporto e mira comunque a risolvere una situazione di crisi, in termini non eterogenei, sul piano materiale e funzionale, rispetto alla disciplina contenuta nel decreto legge convertito. 24 SETTEMBRE 2020, N. 203 PROCEDIMENTO CIVILE . Equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo – procedimenti regolati dalla legge n. 89 del 2001 – applicazione dei termini generali previsti per l’ordinario processo di cognizione – denunciata violazione dei principi di ragionevolezza, del giusto processo, nonché dell’equo processo garantito dalla CEDU – difetto di rilevanza – manifesta inammissibilità. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2- bis e 2- ter , della legge 24 n. 89/2001 Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile , come aggiunti dall’art. 55, comma 1, lett. a , n. 2, del decreto-legge n. 83/2012 Misure urgenti per la crescita del Paese , convertito, con modificazioni, nella legge n. 134/2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Firenze, Seconda Sezione Civile, con ordinanza del 27 novembre 2014, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2020, sono manifestamente inammissibili. La Corte costituzionale, infatti, decidendo su ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, con la sentenza n. 36/2016, ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale del censurato art. 2, comma 2- bis , nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla legge n. 89 del 2001”. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 36/2016 è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., l’art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui – stabilendo che il termine è considerato ragionevole se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado – si applica alla durata del primo e unico grado di merito del processo previsto dalla citata legge per assicurare un’equa riparazione a chi abbia subito un danno conseguente all’irragionevole durata di un altro, precedente processo. Per consolidata giurisprudenza europea, lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all’equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, che nella maggior parte dei casi sono più complesse e, comunque, non sono costruite per rimediare ad una precedente inerzia nell’amministrazione della giustizia. L’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo preclude al legislatore nazionale, che abbia deciso di disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell’equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento regolato dalla legge n. 89/2001 pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, anziché modellarla sul calco del più breve termine biennale indicato dalla Corte di Strasburgo e recepito dalla giurisprudenza nazionale, in caso di celebrazione sia del grado di merito che di quello di legittimità. Pertanto, la disposizione impugnata, imponendo di considerare ragionevole la durata del procedimento di primo grado regolato dalla legge n. 89/2001, quando la stessa non eccede i tre anni, viola i predetti parametri, posto che questo solo termine comporta che la durata complessiva del giudizio possa essere superiore al limite biennale adottato dalla Corte europea e dalla giurisprudenza nazionale per un procedimento regolato da tale legge, che si svolga invece in due gradi.