RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE III, SENTENZA 29 LUGLIO 2020, N. 4824 PROCESSO AMMINISTRATIVO – RICORSO – TERMINI SPECIALI IN MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI. Il decreto sblocca cantieri” non sana le decadenze già maturate prima della sua entrata in vigore. Con la sentenza in rassegna il Consiglio di Stato offre la propria interpretazione delle norme abrogatrici del c.d. rito super accelerato” in materia di contratti pubblici che, per come originariamente previste dall’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, c.p.a., sono state appunto abrogate dall’art. 1, comma 22, del d.l. n. 32/2019 c.d. decreto sblocca cantieri” , con la precisazione contenuta nel successivo comma 23 del predetto d.l. n. 32/2019 per la quale il nuovo regime si applica ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ovverosia dopo il 19.06.2019. Giova precisare che, nella fattispecie scrutinata dal Consiglio di Stato, il provvedimento di ammissione contestato dal ricorrente risaliva al 21.01.2019, mentre il ricorso di primo grado era stato notificato il 17.10.2019 sicché si poneva il dubbio se le nuove disposizioni introdotte dal d.l. n. 32/2019 entrando in vigore dopo il 19.06.2019 comportassero, o meno, l’ammissibilità del ricorso proposto in primo grado. Ebbene, in argomento il Collegio ha precisato che la disposizione transitoria introdotta dal d.l. n. 32/2019 non può essere intesa come introduttiva di una sanatoria processuale idonea a rimettere in termini i concorrenti nell'impugnazione di provvedimenti di ammissione non solo adottati prima di tale data, ma anche già consolidatisi per inutile decorso del termine di impugnazione ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a. Invero, secondo il Consesso la residua vigenza del regime processuale abrogato implica che l’attivazione del giudizio è soggetta ad un onere di tempestiva impugnazione a pena di decadenza nel termine ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a. sicché l’inutile decorso di detto termine determina il perfezionarsi di una fattispecie preclusiva, conclusa e non più rivedibile. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE II, SENTENZA 27 LUGLIO 2020, N. 4774 EDILIZIA – AGIBILITA’. L’immobile non conforme” per il versante urbanistico-edilizio è altresì non agibile” a fini commerciali. La sentenza in commento valorizza l’importanza del provvedimento di agibilità dei manufatti o dei locali dove si intende svolgere un’attività commerciale. Sono due i principali aspetti affrontati nella fattispecie dal Consiglio di Stato. Per un verso, infatti, il Collegio chiarisce che attualmente, diversamente dal passato, le Amministrazioni non possono autorizzare l’insediamento di un’attività commerciale in contrasto con la disciplina urbanistica egualmente, nel definire la pianificazione commerciale, oggi i Comuni possono integrare quella urbanistica evitando di dar luogo ad una duplicazione degli atti di programmazione. Sicché, in sostanza, il contrasto tra pianificazione urbanistica e commerciale non può che essere risolto nel senso che il piano commerciale integra e completa la pianificazione urbanistica. In senso conforme Cons. Stato, sez. II, 18 novembre 2019, n. 7853. Per altro verso, poi, il Consiglio spiega che l’agibilità dei manufatti o dei locali dove si intende svolgere un’attività commerciale rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale, nel senso che la non conformità dei locali per il versante urbanistico-edilizio si traduce nella non agibilità dei predetti manufatti o locali sul versante commerciale. All’inverso, ai fini dell’agibilità, è necessario che il manufatto o il locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni ospitanti l’attività commerciale e l’agibilità degli stessi. In senso conforme Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE IV, SENTENZA 23 LUGLIO 2020, N. 4709 ESPROPRIAZIONE – OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA – RISARCIMENTO DEL DANNO. La quantificazione del danno da occupazione illegittima di un fondo. Nella decisione in commento il Consiglio di Stato si sofferma sulle seguenti questioni a se sia configurabile un danno derivante dall’occupazione senza titolo di un fondo qualora, nel giudizio, il ricorrente si sia limitato ad allegare la mera lesione della facoltà di godimento del bene, senza ulteriormente specificare e descrivere i pregiudizi patrimoniali che da essa siano derivati b l’applicabilità o meno – nell’ipotesi anzidetta - dell’art. 42-bis, co. 3, del d.P.R. n. 327 del 2001 ai fini della quantificazione del danno fatto valere in giudizio. Con riguardo alla prima questione innanzi indicata, il Collegio afferma che, nel caso in cui il ricorrente alleghi o provi la temporanea privazione del godimento di un bene, tale circostanza rappresenta sempre una lesione del diritto soggettivo dalla quale deriva, normalmente, un danno risarcibile, ferma restando sia la possibilità per il ricorrente medesimo di provare le ulteriori poste di danno sofferto in relazione al mancato uso profittevole del bene sia la possibilità per la P.A. di dedurre circostanze o avvenimenti diretti a smentire la sussistenza di conseguenze economiche pregiudizievoli ovvero a ridimensionare la consistenza di tali conseguenze. In senso conforme Cons. Stato, sez. IV, 13 agosto 2019, n. 5703 Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 2019, n. 3428 Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2018, n. 29990. Con riguardo alla seconda questione prima evidenziata, poi, il Consiglio di Stato rileva che nel caso di occupazione senza titolo preordinata all’esproprio, poi seguita dalla restituzione dell’area come nella specie , in mancanza di disposizioni di legge ad hoc trovano applicazione in sede di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 133 del c.p.a. , gli artt. 2043, 2056 e 1226 del codice civile. Nella fattispecie va viceversa esclusa l’applicabilità del criterio sancito dall’art. 42-bis, co. 3, ultimo periodo, del d.P.R. n. 327 del 2001, per quantificare il danno subito. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI, SENTENZA 21 LUGLIO 2020, N. 4665 CONTRATTI PUBBLICI – CLAUSOLA SOCIALE. La clausola sociale non può avere un’applicazione rigida. La sentenza in rassegna si sofferma sulla c.d. clausola sociale” che, per come inserita nel CCNL di settore e – di regola – nei capitolati d’oneri nel rispetto dei principi dell'Unione Europea , è deputata a garantire ed a promuovere la stabilità occupazionale soprattutto nel caso in cui una certa impresa subentri ad un’altra impresa nell’aggiudicazione dell’appalto. Ebbene, in argomento il Consiglio di Stato spiega che, sulla base del CCNL e, nella fattispecie scrutinata, anche sulla base del capitolato d’oneri la clausola sociale non comporta un onere di integrale assunzione del personale già dipendente, soprattutto perché il suddetto CCNL prende atto della necessità di mantenere la situazione occupazionale nei limiti della nuova situazione lavorativa. In questo senso, il Collegio evidenzia che la clausola sociale, in virtù del suo necessario carattere di flessibilità, va interpretata alla luce dei tre seguenti fattori in primo luogo la libertà d’impresa, perché la ratio cogente della clausola sociale impedisce una lettura rigida di tali modi contrattuali di tutela dei lavoratori, che devono essere sempre contemperati con la libertà di organizzazione dell’imprenditore in secondo luogo le esigenze della stazione appaltante, che non possono comunque imporre un riassorbimento integrale del personale perché verrebbero a limitare eccessivamente la libera iniziativa economica dell’operatore concorrente in senso conforme Cons. Stato, sez. VI, 24 luglio 2019, n. 5243 in terzo luogo le esigenze dei lavoratori, perché l’elasticità di applicazione della clausola non può peraltro spingersi fino al punto da legittimare politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro perseguito attraverso la stessa in senso conforme Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885 . Alla luce di quanto innanzi, il Consesso conclude nel senso che la clausola sociale non può avere un’applicazione rigida, in quanto l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà di impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto. In senso conforme Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2019, n. 750 Cons. Stato, sez. III, 29 gennaio 2019, n. 726 Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2019, n. 142 Cons. Stato, sez. III, 18 settembre 2018, n. 5444 Cons. Stato, sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078 Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272 Cons. Stato, sez. V, 18 luglio 2017, n. 3554.