RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

11 MARZO 2020, N. 47 PATROCINIO A SPESE DELLO STATO. Revoca del decreto di ammissione – Inammissibilità. La finalità perseguita dalla vigente disciplina in materia di gratuito patrocinio è evidentemente quella di non incoraggiare iniziative temerarie che, da un lato, aggraverebbero il carico dei processi, e, dall’altro, esporrebbero la controparte abbiente, e quindi con spese a suo carico, o non abbiente, e quindi con ingiustificato aggravio per lo Stato ad azioni temerarie, con il rischio di determinare una discriminazione a rovescio”, inducendo i non abbienti a intentare cause palesemente infondate senza dover tener conto del loro peso economico, peso che invece devono sopportare coloro che non rientrano nella platea dei beneficiari. In sostanza, la previsione di un filtro legato alla non manifesta infondatezza delle ragioni dell’aspirante beneficiario deve ritenersi giustificata, anzi, opportuna, alla luce degli altri interessi di rilievo costituzionale in campo. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 97/2019 l’istituto del patrocinio a spese dello Stato è riconducibile alla disciplina processuale nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate. 9 MARZO 2020, N. 46 ELEZIONI. Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi [cd. legge Severino] – Cariche elettive presso gli enti locali – sospensione di diritto per coloro che abbiano riportato una condanna non definitiva per taluni delitti – Manifesta infondatezza. Colui che, assolto in primo grado e poi condannato in appello, viene sospeso per un periodo massimo di diciotto mesi da una carica elettiva presso gli enti locali, non è trattato più severamente del condannato anche in primo grado, ma riceve invece, per effetto della sentenza d’appello che ne accerta per la prima volta la responsabilità, lo stesso trattamento riservato a chi riporta la condanna già in primo grado e ciò senza contare che nei suoi confronti non potrebbe mai decorrere un ulteriore periodo di sospensione di dodici mesi, mancandone in astratto il presupposto. Sull’argomento, cfr. Corte Cost., n. 276 del 2016 la scelta legislativa di prolungare gli effetti della sospensione da una carica elettiva è diretta a corrispondere, anche dopo la conferma della condanna per reati di particolare gravità o contro la pubblica amministrazione, alle permanenti esigenze cautelari che giustificano l’automatica applicazione della misura in attesa che l’accertamento penale si consolidi nel giudicato, determinando la decadenza dalla carica art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 235 del 2012 . 6 MARZO 2020, N. 42 CIRCOLAZIONE STRADALE. Sanzioni amministrative accessorie – revoca della patente di guida anche a seguito di estinzione del reato di cui all’art. 590-bis c.p. a seguito di esito positivo della messa alla prova – denunciata violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza – manifesta inammissibilità. Nel procedimento con messa alla prova manca una condanna e, correlativamente, manca un’attribuzione di colpevolezza pertanto, in caso di esito positivo della messa alla prova, il giudice penale non deve applicare la sanzione amministrativa accessoria, ma deve investire il prefetto, quale autorità competente a irrogare le sanzioni della sospensione e della revoca della patente di guida. In senso conforme, cfr. Cass. Pen., n. 13681/2016 quando manca una pronunzia di condanna o di proscioglimento, le sanzioni amministrative riprendono la loro autonomia ed entrano nella sfera di competenza dell’amministrazione pubblica. 6 MARZO 2020, N. 41 RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA E CONTABILE. Regolazione delle spese processuali – Preclusione per il giudice della possibilità di disporre la compensazione delle spese tra le parti in caso di sentenza che escluda definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione degli obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave – Possibilità per il giudice di disporre la compensazione delle spese tra le parti in caso di soccombenza reciproca o di novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza, ovvero nel caso di definizione del giudizio con la decisione di questioni pregiudiziali o preliminari – Mancata previsione della facoltà per il giudice di compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti, anche nel caso di proscioglimento nel merito per mancanza di uno degli elementi indicati dall'art. 31, comma 2, del codice di giustizia contabile, qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe” a quelle tassativamente indicate dall'art. 31, comma 3, del codice di giustizia contabile. Le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 31 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 , nella parte in cui non consente che il giudice, anche in caso di intervenuto proscioglimento nel merito per mancanza di uno degli elementi indicati dall’art. 31, comma 2, c.g.c., possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle tassativamente indicate dall’art. 31, comma 3, c.g.c., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, sono inammissibili. Sull’argomento, cfr. Corte Cost., n. 77/2018 la regolamentazione delle spese processuali nel giudizio civile risponde alla regola generale victus victori fissata dall’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui – ripetendo l’analoga prescrizione dell’art. 370, primo comma, del codice di procedura civile del 1865 − prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”. Quindi la soccombenza si accompagna, di norma, alla condanna al pagamento delle spese di lite. L’alea del processo grava sulla parte soccombente perché è quella che ha dato causa alla lite non riconoscendo, o contrastando, il diritto della parte vittoriosa ovvero azionando una pretesa rivelatasi insussistente. È giusto, secondo un principio di responsabilità, che chi è risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa.